Prezzi da capogiro nelle enoteche e nei ristoranti; la Ue mette in gioco un regolamento contestatissimo. Ma chi ci rimette è sempre il consumatore...
Il vino made in Italy non sta passando un buon momento. Primo perché il mercato è in crisi ; secondo perché l'Ue ha approvato un regolamento che permette anche a un vino australiano di chiamarsi " Brunello ". Come se non bastasse, i prezzi delle bottiglie vendute al dettaglio spesso sono folli. Di chi è la colpa? Il presidente del Consorzio del Chianti, Ricasoli, non ha dubbi : dei ristoratori e degli enotecari che aumentano il prezzo del vino da due a 5 volte rispetto al prezzo d'acquisto. Lo appoggia il presidente del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano, Contucci, secondo cui questo problema è particolarmente evidente visto il momento di crisi.
La questione non è di poco conto, visto il crescente interesse degli italiani, soprattutto giovani, verso il vino. Bastano poche cifre per rendersene conto: Nielsen rivela che il 66,3% degli italiani al di sopra dei 14 anni beve vino. E ancora: durante l'ultima manifestazione " cantine aperte " sono stati 1 milione e 200 mila gli appassionati che hanno preso d'assalto le cantine: la maggioranza di questi erano donne e giovani tra i 25 e i 30 anni. Recentemente poi l'Associazione Italiana di Sommelier del Lazio ha rivelato che quasi il 40% degli iscritti ai loro corsi ha un'età compresa tra i 18 e i 35 anni.
Cosa è possibile fare per frenare questa corsa al caro vino? Come può essere difeso il nome e la qualità di un vino insidiato dal recente regolamento europeo ? Lo abbiamo chiesto ai produttori ( Ricasoli e Contucci ) ma anche al Ministro delle Politiche agricole Alemanno .
Il problema è reale, abbiamo verificato: un vino toscano, venduto dal produttore a 13 euro è stato prezzato 40 euro in una enoteca fiorentina. Tutta colpa dell'enotecario? Non proprio. Il mercato del vino è particolarmente complesso. La vendita avviene principalmente attraverso due canali: gli agenti e i distributori . Mentre nel primo caso gli agenti lavorano a percentuale sul venduto, sulla base di un listino fornito dal produttore di vino, nel secondo il vino viene acquistato dal distribuitore che a sua volta lo rivende al prezzo che vuole. A fronte di questo primo ricarico il ristoratore e l'enotecario devono farne un secondo, il loro. In questo caso il produttore riesce con difficoltà a controllare il prezzo al dettaglio del suo prodotto. La differenza di prezzo tra ristoratori e enotecari (i primi sono più cari) è inoltre giustificata, entro certi limiti, almeno da un paio di motivi. Primo: il ristoratore offre il servizio del vino a tavola che per lui ha un costo. Secondo: il suo rischio è maggiore rispetto a quello di un'enotecario: in caso di una partita scadente di vino (che sa di tappo, per esempio) deve necessariamente sostituirlo al cliente a tavola visto il rapporto diretto. Cosa che non avviene puntualmente in enoteca.
Secondo questo ragionamento, dunque, l'unico modo per mantenere stabile o diminuire il prezzo del vino è quello di farlo alla produzione . I produttori però sostengono di avere prezzi invariati dal 2003. Chi ha ragione? Quello che è certo è che bere due bottiglie di vino al ristorante attualmente costa un capitale. Che il vino fosse il nettare degli Dei lo sapevamo da tempo. Che fosse come l'oro lo stiamo apprendendo in questi giorni.
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