PADRE NICOLA TORNESE
PICCOLA COLLANA
"I TESTIMONI DI GEOVA"
 
 
Uomini di serie B Vivi o morti? Geova chi era costui? E' prossima la fine.. E voi chi dite che...
Bibbia sangue e medicina La croce E  le croci La Madonna contestata Trinità Amore o falsità? Pietro e la Pietra
Bibbie a confronto Immagini e Santi Il Natale festa pagana... Regno di Dio o... .? Appello a Cesare
Battesimi e Battesimo Inferno La Cena del Signore Purgatorio Paradiso
Con quale autorità? Risurrezzione La Crocifissione   INDEX
 
LA
CONFESSIONE
 
 
 
OPUSCOLO   N° 23
PICCOLA COLLANA
 
"I TESTIMONI DI GEOVA"
 
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Padre Nicola Tornese
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Nozione di Confessione
1 - Per Confessione, nel linguaggio cattolico, si intende comunemente l'accusa dei propri peccati fatta al sacerdote per averne l'assoluzione, cioè il perdono da parte di Dio. In modo più appropriato è detta Sacramento della Penitenza. La confessione, strettamente parlando, è solo parte o componente del Sacramento della Penitenza, è cioè la manifestazione o accusa dei propri peccati al confessore.
Nel Sacramento della Penitenza bisogna valorizzare  anche la dimensione della Riconciliazione, che ne è un effetto o conseguenza nel senso che “quelli che si accostano al Sacramento della Penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a Lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l'esempio e la preghiera”.
Anche per questo il sacramento' della confessione si può chiamare pure Sacramento della Riconciliazione.
Dalla Confessione sacramentale o Sacramento della Penitenza va distinta la confessione della fede. Questa consiste nella professione o dichiarazione pubblica della propria fede, cioè nella manifestazione pubblica di ciò che uno crede. E’ bene tener presente questa distinzione per evitare confusioni ed equivoci, cosa che piace ai testimoni di Geova (tdG).
2 - Qui noi trattiamo soprattutto, se non unicamente, della Confessione sacramentale o Sacramento della Penitenza. E prima di ogni altra cosa vogliamo accertarci se il sacerdote cattolico ha il potere di rimettere i peccati davanti a Dio.
E’ chiaro che noi cerchiamo la risposta nella Bibbia, cioè nella Parola di Dio. Ma aggiungiamo subito che qui per Bibbia intendiamo soprattutto l'insegnamento di Gesù, il Figlio di Dio, che è Sapienza e Potenza divina (cf. Giovanni 1, 1.14-18; 1 Corinzi 1, 24). Dice infatti la Bibbia:
“Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Ebrei 1, 1-2).
 
PARTE PRIMA
GIUSTIFICAZIONE BIBLICA
Un testo biblico significativo
A quanto diremo in questa prima parte può servire d'introduzione un testo biblico molto significativo. E’ il racconto della guarigione miracolosa del paralitico. Lo riportiamo dal vangelo di Matteo.
“Ed ecco, gli (a Gesù) portarono un paralitico steso su un letto. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: "Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati". Allora alcuni scribi cominciarono a pensare: " Costui bestemmia". Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: "Perché mai pensate cose malvagie nel vostro cuore? Che cosa dunque è più facile, dire: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati: Alzati, disse allora al paralitico, prendi il tuo letto e va' a casa tua". Ed egli si alzò e andò a casa sua. A quella vista, la folla fu presa da timore e rese gloria a Dio che aveva dato tale potere agli, uomini” (Matteo 9, 218; cf. Marco 2, 1-12; Luca 5, 17-26).
 Osservazioni:
Una Bibbia interconfessionale, opera comune di cattolici, ortodossi e protestanti, fa notare che la conclusione del testo di Matteo qui riportato è sorprendente. Abbiamo il plurale invece del singolare: resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini”. Poi spiega:
Questa sorprendente conclusione (agli uomini anziché a un uomo) richiama forse l'ambiente ecclesiale in cui Matteo è stato composto: il potere di rimettere i peccati (nella Chiesa) viene in questo modo collegato alla stessa autorità di Gesù” (cf. Matteo 16, 19; 18, 18).
In altre parole, il modo di esprimersi di Matteo vuol fare intendere che nelle comunità o chiese dei primissimi tempi del Cristianesimo c'era la convinzione, accompagnata dalla prassi, che degli uomini potevano rimettere i peccati perché Dio aveva dato loro questo potere.
Un altro biblista commenta:
“In Matteo, che sembra aver trasportato la scena del paralitico in seno ad un'assemblea della comunità cristiana, la "folla", che glorifica Dio, ha ceduto il posto alla folla dei fedeli che sperimentano in sé il beneficio della remissione dei peccati quale, frutto dello stesso potere dato da Dio "agli uomini", cioè ai continuatori dell'opera salvifica di Gesù, messa in risalto in modo del tutto particolare anche da Matteo, col conferimento a Pietro e gli Apostoli dello stesso potere divino di sciogliere e legare "sulla terra" (cf. Matteo 16, 19; 18, 18, infra), cioè "di rimettere" agli uomini i loro peccati o "di ritenerli"” (cf. Giovanni 20, 23).
E un altro osserva:
“Matteo (9, 8) dice che la folla "rese gloria a Dio che aveva dato agli uomini un tale potere". Questa formula sembra sia stata aggiunta  da Matteo (infatti manca sia in Marco 2, 12 sia in Luca 5, 26) con l'evidente preoccupazione ecclesiale di rimarcare elle Gesù aveva concesso il suo potere di perdonare alla comunità ecclesiale, la quale è invitata dall'evangelista a lodare Dio per averle concesso un tale dono. Di questa concessione parlerà lo stesso Matteo un po' più avanti nei capitoli 16 e 18”.
Quando dunque Matteo scrisse il suo vangelo, mise cioè per iscritto gli insegnamenti di Gesù tra- smessi dagli Apostoli, verso l'anno 70 d.C., vi erano degli uomini nelle comunità cristiane, che rimettevano i peccati e i fedeli lodavano Dio per aver concesso questo dono alla sua Chiesa.
Significato di "legare" e "sciogliere"
Prendiamo ora in esame i due testi di Matteo, ai quali rimandano gli studiosi citati: Matteo 16, 19 e 18, 18.
In Matteo 16, 19 Gesù dice a Pietro (Kefa): “Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.
In Matteo 18, 18 è ancora Gesù che parla ed usa un identico linguaggio:
“In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo”.
La prima cosa da precisare è il significato di legare e sciogliere.
1 - Nel Nuovo Testamento il verbo legare (greco dèo) può avere un significato materiale oppure traslato.
Nel senso materiale significa incatenare o fermare qualcuno o qualcosa. In Matteo 22, 13 il re ordina di legare mani e piedi al commensale, che non ha l'abito nuziale. In Marco 5, 3-4 l'uomo posseduto dallo spirito immondo è legato con ceppi e catene.
In senso traslato lo stesso verbo può indicare un vincolo o legame morale, giuridico, disciplinare e simili. Indica, per esempio, il vincolo che lega gli sposi (cf. Romani 7, 2; 1 Corinzi 7, 27; ecc.). Ed anche in senso traslato "legare" è detto di satana che lega (Cf .Luca 13, 16) o è legato (Cf. Apocalisse 20, 2).
In modo analogo il verbo "sciogliere" (greco luo) è usato  nel N.T. in senso materiale e in senso traslato. Nel primo significato vuol dire liberare qualcuno o qualcosa da un legame materiale, ad esempio da una corda, da una catena e simili (Cf. Matteo 1, 2; Marco 11, 2-4; Luca 13, 15; Atti 22,30).
In senso traslato indica l'opposto di legare come, per esempio, liberare dal vincolo matrimoniale (Cf. 1 (corinzi 7, 27), da satana (Cf. Luca 13, 16).
2 - In Matteo 16, 19 e 18, 18 i due verbi non possono avere un significato materiale. Nell'uno e nell'altro testo Gesù parla dei legami che devono, regolare la vita dei suoi discepoli sia in rapporto a Dio sia tra di loro, in quanto membri d'una comunità di fede, che è la Chiesa (cf. Matteo 16, 18; 18, 17).
Tali legami non possono essere che di ordine spirituale o morale o anche magisteriale, giuridico, disciplinare.
Per precisare ora quale o quali di questi significati hanno i verbi legare e sciogliere bisogna tener presente che presso gli Ebrei con tali parole era indicato il potere o autorità riconosciuta ai rabbini o maestri della Legge di dichiarare proibito (= legare) oppure lecito (= sciogliere) un comportamento religioso, morale o disciplinare ". I verbi quindi legare e sciogliere hanno primariamente un significato magisteriale, indicano cioè l'autorità d'insegnare una dottrina oppure condannarla.
Tuttavia come conseguenza pratica o disciplinare, il legare o sciogliere indicava pure il potere di dichiarare esclusi dalla comunità i disubbidienti o colpevoli (= legare), oppure di riammetterli nuovamente in essa se avessero ritrattato il loro errore sciogliere).
3 - Tenendo presenti queste spiegazioni, come pure il contesto di Matteo 16, 19 e 18, 18, cerchiamo di cogliere il vero significato di legare e sciogliere nei due testi che stiamo analizzando. Cominciamo da Matteo 18, 18.
Gesù dà alcuni precetti o norme da tenere riguardo al fratello che “commette una colpa” (Matteo 18, 15). E’ un cammino da fare, una via da seguire. Anzitutto il fratello colpevole o peccatore deve essere corretto in privato (cf. Matteo 18, 15). Se questo primo passo o tentativo fallisce, bisogna che “ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni” (Matteo 18, 16). E se anche questo secondo passo risulta infruttuoso, il peccatore deve essere deferito alla comunità (Ekklesìa) (cf. Matteo 18, 17). E se non ascoltasse neppure la Ekklesìa, va considerato come un escluso dalla comunità e dai rapporti con gli altri: come un pagano o pubblicano, come un pubblico peccatore (cf. Matteo 18, 17). E' implicito che qualora il fratello colpevole desse prova di ravvedimento, sarà riammesso nella piena comunione con gli altri.
Non si tratta solo di dichiarare vera o falsa una dottrina, ma di prendere una decisione, emettere un giudizio sul comportamento morale di un membro della comunità: escluderlo dalla o riammetterlo nella comunità dei salvati. Certo alla base di questo giudizio c'è una scelta o convinzione o insegnamento dottrinale. Ma qui siamo in presenza di qualcosa di più: dell'esercizio di un potere salvifico nei riguardi di chi dà segni di pentimento. Dio dà la salvezza a chi si pente del suo peccato e la dà mediante il ministero o servizio di altri membri della stessa comunità, cioè di uomini. Le parole: “sarà sciolto anche in cielo  (Matteo 18, 18b) fanno pensare a un effetto al di là del visibile o terreno.
4 - Alquanto diverso è il contesto di Matteo 16, 19. Qui non si parla direttamente di escludere o riammettere un peccatore nella comunità dei salvati. Le parole legare e sciogliere sono rivolte, a Pietro (Kefa), che ha professato la sua fede in Gesù, il Cristo “il Figlio del Dio vivente” (Matteo 16, 16). In virtù di questa sua testimonianza Pietro (Kefa) è costituito fondamento (pietra o roccia) visibile della Ekklesìa, ossia dell'intera comunità dei discepoli di Cristo. Ora ciò che lega alla Ekklesìa o esclude da essa (scioglie) è in primo luogo la sana dottrina, il riconoscere o meno in Gesù il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Pietro, che ha fatto questa professione di fede, è costituito garante sulla terra della stessa fede. La sua testimonianza e insegnamento è norma di appartenenza o meno alla vera Chiesa di Cristo ". Il potere qui indicato è soprattutto un potere magistrale.
Tuttavia non va escluso quello salvifico-penitenziale. Pietro infatti, quale garante della vera fede in Cristo, può e deve decidere anche sul comportamento morale dei membri della comunità ecclesiale. A lui quindi spetta pure il potere di ammettere o escludere da tale comunità in base all'accettazione o al rifiuto dell'autentica norma di vita morale di quanti si professano e vogliono essere veri discepoli di Cristo.
A chi il potere di "legare" e "sciogliere"?
E' l'altro interrogativo che pongono i testi di Matteo 16, 19 e 18, 18 e a cui bisogna dare una risposta mediante l'analisi accurata degli stessi testi.
a) Per Matteo 16, 19 la risposta non crea problemi perché è chiara e sicura. Le parole “legare e sciogliere” sono rivolte a Pietro: “A te darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che (tu) legherai... e tutto ciò che (tu) scioglierai” (Matteo 16, 18). A principio del verso Gesù dice “E io ti dico”. A Pietro (Kefa) dunque Gesù conferisce il potere magisteriale e indirettamente quello salvifico-penitenziale. Non vi può essere dubbio a questo riguardo.
b) Non così chiaro appare chi sia il soggetto del potere di legare e sciogliere, di cui in Matteo 18, 18. A prima vista sembrerebbe che il soggetto di tale potere sia qualunque membro della comunità: “Se il tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello” (Matteo 18, 15).
Tuttavia va notato che l'effetto dell'ammonizione solo a solo è quello di “guadagnare il fratello”, cioè adoperarsi che egli si ravveda e non lasci la comunità né venga escluso ". Qui non c'entra nessun esercizio di potere, di legare o di sciogliere. E’ un approccio, un tentativo privato, personale, fraterno.
c) Lo stesso significato può essere attribuito al secondo tentativo, che è di risolvere la questione. Sulla parola o davanti a due testimoni (Matteo 18, 16). Il tentativo è ancora privato, anche se con la partecipazione di più persone, ed ha pure lo scopo di indurre il peccatore a un ripensamento prima di. ricorrere alla Ekklesìa. Solo a questa spetta la decisione finale. “E se non ascolterà neanche l'assemblea (Ekklesìa), sia per te come un pagano e un pubblicano - (Matteo 18, 17). Come per dire: tu non sei più responsabile. Spetta ai responsabili della comunità (Ekklesìa) risolvere il caso in modo definitivo.
A questo punto sono inserite le parole: “In verità vi dico:  tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche nei cieli e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo” (Matteo 18, 18). Sono come il punto di arrivo di un cammino, che si conclude con una dichiarazione autorevole e ufficiale circa la riammissione nella o la esclusione dalla comunità dei salvati del fratello peccatore.
d) In questo contesto è logico, anzi d'obbligo, pensare che Gesù avesse in mente la Ekklesìa, cioè la comunità dei suoi discepoli, che gode di una struttura voluta da lui stesso. In questa comunità vi sono delle guide o ministri qualificati, posti dallo Spirito Santo “a pascere la Chiesa di Dio” (Atti 20, 28). Le parole di Gesù: “tutto quello che legherete ecc.”, contengono un chiaro riferimento ai pastori della Ekklesìa, al quali spetta il potere decisionale nei riguardi del fratello peccatore. Quelle parole non sono dirette alla massa indeterminata - a tutti e a nessuno - ma a coloro che, certo col contributo della comunità, hanno il dovere e il potere di legare e di sciogliere, riammettere o escludere i peccatori dalla comunità ecclesiale.
e) Gli studiosi della Bibbia concordano nell'affermare che le parole di Gesù in Matteo 18, 18 sono parallele a quelle che il Risorto dirà ai Dodici, nella sua apparizione la sera di quello stesso giorno, in cui risuscitò da morte (cf. infra, p. 16). A loro avviso, Matteo 18, 18 presenta la vita della comunità ecclesiale dopo la Pentecoste e appare chiaro che fin d'allora le guide costituite dal divin Fondatore della Chiesa vigilavano sul comportamento dei membri della comunità ed esercitavano il potere di legare e di sciogliere.
Concludendo possiamo dire o ripetere che al fratello peccatore era ed è, offerto nella Chiesa un cammino penitenziale. Anzitutto egli deve essere corretto in privato (cf. Matteo 18, 15); poi alla presenza di testimoni (cf. Matteo 18, 16), affinché si ravveda. Ma il giudizio definitivo e salvifico spetta alla comunità strutturata, dove le guide poste dallo Spirito Santo diranno la parola autorevole, valida davanti alla comunità e davanti a Dio, “sopra la terra e in cielo”. A queste guide Dio ha affidato il potere di legare e di sciogliere.
La consegna del Risorto (Giovanni 20, 21-23)
Nel vangelo di Giovanni il conferimento del potere di rimettere i peccati è collegato con l'apparizione del Risorto agli Apostoli la sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, che oggi è la domenica di Pasqua. Racconta Giovanni:
“La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Detto questo, mostrò loro le mani ed il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: "Pace a: voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi!". Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Giovanni 20, 19-23).
Spiegazione:
 a) Al numero ristretto dei Dodici e senza dubbio a quanti nel tempo prima della fine avrebbero continuato il loro specifico ministero (ai loro successori) il Risorto affida una missione che continua quella che Egli ha ricevuto dal Padre: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (Giovanni 20, 21). Gli Apostoli, in qualità di mandati (apostolo vuol dire mandato) devono raccogliere i frutti della redenzione operata dal Figlio di Dio. Egli è venuto a redimere dal peccato, a salvare tutti (cf. Giovanni 12, 32), non a condannare (cf. Giovanni 3, 17).
La missione affidata agli Apostoli è un dono dello Spirito Santo: “Ricevete lo Spirito Santo” (Giovanni 20, 22). Certo, i doni dello Spirito Santo sono dati a tutti i discepoli di Cristo (cf. Atti 2, 4.17-21; 10, 44). Ma vi è diversità di doni o carismi, benché uno sia lo Spirito che li dà (cf. I Corinzi 12, 4-11). Tra questi doni vi è quello del governo (cf. Corinzi 12, 28; Atti 20, 28) ossia di guidare la comunità dei fedeli lungo la via della salvezza come maestri e giudici (cf. 1 Corinzi 5, 4). Nel caso presente il dono dello Spirito Santo è la sua virtù o potenza salvifica, che abilita gli Apostoli (e i loro successori) a rimettere, cioè a perdonare i peccati davanti a Dio.
b) Per un'esatta comprensione del dono dello Spirito Santo, di cui in Giovanni 20, 21-23, bisogna ,precisare il significato delle parole rimettere e ritenere, come è stato fatto per legare e sciogliere. Questa precisazione è necessaria perché alcuni non cattolici sono del parere che il Risorto, in quella apparizione, abbia conferito il mandato di predicare il Vangelo e di battezzare, senza riferimento al perdono dei peccati commessi dopo il battesimo. Vedremo che non è così .
Circa il significato di rimettere (greco a-fiemi) va notato che in non pochi testi biblici del Nuovo Testamento questo verbo indica la remissione o perdono dei peccati personali senza riferimento al battesimo. Così, per esempio, in Matteo 9, 2-6 le parole di Gesù: “ti sono rimessi i peccati” (greco a-lientai sou ai amartiai) sono intese dagli scribi e farisei come l'esercizio (o usurpazione) di un potere proprio di Dio, cioè, cancellare i peccati personali o attuali. Gesù non corregge questa interpretazione. Lo stesso linguaggio in Marco 2, 8 e Luca 5, 21-26. Dicendo “ti sono rimessi i peccati” o “le sono perdonati i suoi peccati” (Luca 7, 47) Gesù intende perdonare i peccati personali del paralitico e della donna adultera indipendentemente di qualsiasi battesimo.
Il dono dunque o carisma concesso agli Apostoli dal Risorto comporta il potere o autorità di perdonare i peccati senza riferimento al rito battesimale. Questo potere deve essere esercitato in seno alla comunità dei battezzati come risulta da Matteo 18, 18, a favore del fratello, cioè di un battezzato caduto in peccato (cf. 1 Corinzi 5, 4). La conclusione è che con la parola "rimettere" è detto chiaramente che il Risorto ha dato agli Apostoli, cioè alle guide della sua comunità di ogni tempo, il potere di perdonare i peccati commessi dopo il battesimo.
c) Alla stessa conclusione fa arrivare l'analisi del verbo ritenere (greco kratèo). Etimologicamente kratèo (= ritenere) vuol dire “esercitare un potere” oppure “obbligare a fare qualcosa (come il legare in Matteo 18, 18). Un esempio si ha in Marco 12, 12. Le autorità religiose di Gerusalemme vogliono "catturare" (kratèsai) Gesù, cioè esercitare su di lui la loro autorità. Gesù apparteneva alla loro comunità religiosa, era giuridicamente un loro suddito.
Alla luce di questa precisazione, in Giovanni 20, 23 ritenere (kratèo) non significa semplicemente “non rimettere” i peccati, o “non assolvere”, ma anche esercitare un potere sul peccatore non ancora pentito, e che quindi non si trova nelle disposizioni adatte per essere perdonato. In questo caso l'esercizio del potere serve a spingerlo a fare qualcosa che lo renda degno dell'assoluzione.
A questo livello, quindi, ritenere equivale a "vincolare", "legare" il peccatore, "obbligarlo" ad adempiere certe condizioni che lo portino alla conversione e al perdono. Non si tratta quindi di “non voler perdonare”, dal momento che il Signore vuole salvare tutti e invita a perdonare “settanta volte sette” (Matteo 18, 22), cioè sempre. Ma si rinvia il perdono fino a quando il fratello non riconosce di aver sbagliato, si pente, ed è pronto a cambiare vita. Se non fa nessuna di queste cose, i suoi peccati vengono "ritenuti", cioè non vengono perdonati.
Tutto questo indica che gli Apostoli, cioè le guide della comunità cristiana, possono esercitare un'autorità, hanno cioè un certo potere sul fratello che ha peccato. Questi è un membro della comunità dei santi ricaduto in peccato. Ciò non sarebbe possibile se si trattasse di uno non ancora battezzato, ossia non ancora incorporato alla Ekklesìa.Su i non battezzati le guide della Chiesa non hanno alcun potere (cf. 1 Corinzi 5, 12), non possono imporre obblighi come a coloro che, col battesimo, hanno accettato una determinata forma di vita.
A chi il potere di "rimettere" o "ritenere"?
1 - Dal contesto di Giovanni 20, 19-23 appare ,abbastanza chiaro che i "discepoli", ai quali il Risorto affida il potere di rimettere o ritenere i peccati, sono il numero limitato e qualificato dei Dodici ". Infatti nella apparizione successiva, in circostanze analoghe, Giovanni richiama la precedente apparizione e dice: “Tommaso, uno dei Dodici, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore” (Giovanni 20, 24-25).
A stretto rigor di termini, Giovanni avrebbe dovuto dire: “Tommaso, uno degli Undici”, perché Giuda, il traditore, non era certamente con loro. Dicendo “uno dei Dodici”, fa chiaramente capire che la precedente apparizione col mandato di rimettere i peccati era stata fatta al gruppo qualificato degli Apostoli, detto comunemente “I Dodici”.
D'altra parte, se il mandato fosse stato conferito a tutti indistintamente i seguaci di Gesù, Giovanni avrebbe dovuto dire: “Tommaso, uno dei discepoli”, e non già “uno dei Dodici”. Inoltre, quando precisa: “gli dissero allora gli altri discepoli”, è implicito che Tommaso fosse uno del gruppo ristretto, ai quali era apparso il Risorto. Gli altri qui non suppone tutti gli altri, ma il gruppo qualificato di cui faceva parte Tommaso. Ecco ciò che scrive Giovanni:
“Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù.Gli dissero allora gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore! "” (Giovanni 20, 24-25).
2 - Ancora. Sembra del tutto inverosimile che tutti i discepoli fossero in quel luogo a porte chiuse, dove apparve il Risorto (cf. Giovanni 20, 19). L'autore degli Atti degli Apostoli, riferendosi agli avvenimenti di quei giorni, c'informa che tutti i discepoli, uomini e donne, erano circa 120 (cf. Atti 1, 15), ed erano tutti a Gerusalemme. Considerando come erano le abitazioni al tempo di Gesù, non sembra possibile che 120 persone fossero riunite “a piano superiore” (cf. Atti 1, 13) e stessero lì fino a tarda sera, ora in cui Gesù apparve ai "discepoli", assente Tommaso (cf. Giovanni 20, 19).
Sempre con riferimento ai quei giorni e a quei fatti Luca precisa che “al piano superiore” c'erano solo undici persone, e cioè gli Apostoli, di cui dà i nomi (cf Atti 1, 13).Non vi può essere dubbio che si tratta dello stesso luogo dove il Risorto era apparso “ai discepoli”, la sera del giorno dopo il sabato, cioè del giorno della Risurrezione. Era certamente quella stessa sala messa a disposizione da un amico del Maestro per celebrare la Cena pasquale coi suoi discepoli, cioè coi Dodici (cf. Luca 22, 12), e per alloggiarvi durante la loro permanenza a Gerusalemme. Sala spaziosa quanto si voglia, ma sempre inadeguata per una folla di 120 persone.
3 - Ancora più inverosimile è che in quella sala, al piano superiore, vi fossero donne e per di più fino a tarda sera a porte chiuse. Non ve ne erano state durante la Cena pasquale (cf. Luca 22, 10-11) e non ve ne furono certamente nei giorni che seguirono.
Non vi era neppure Maria, la Madre di Gesù, perché la stessa sera del venerdì, che noi ora diciamo santo, dopo che Gesù dalla croce l'affidò a Giovanni, questi precisa: “Da quel momento il discepolo la prese a casa sua” (Giovanni 19, 27). Non si può escludere che Giovanni avesse a Gerusalemme delle conoscenze (cf. Giovanni 18, 15-16), dove poteva alloggiare come a casa sua quando si recava a Gerusalemme, specie in occasione della Pasqua ebraica.
4 - Per quanto riguarda le altre donne, tutti e quattro gli evangelisti sono pienamente d'accordo nel riferire che i loro movimenti, agitati e frettolosi, ebbero luogo durante le ore antimeridiane. La sera le donne non compaiono sulla scena. all'ora della preghiera. Voler dedurre da questi testi che anche le donne abbiano avuto il potere di rimettere i peccati è semplicemente ridicolo ".
Il racconto di Luca
1 - Per sostenere il loro punto di vista che Gesù avrebbe dato il potere di rimettere i peccati a tutti i suoi discepoli, donne comprese, alcuni sfruttano il racconto di Luca e precisamente Luca 24, 33-36.  Luca racconta come i due discepoli di Emmaus, dopo che riconobbero il Risorto, partirono precipitosamente e fecero ritorno a Gerusalemme dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro. “Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: "Pace a voi" (Luca 24, 36)”. A loro avviso, Luca qui riferisce l'apparizione, di cui in Giovanni 20, 19-23, e poiché erano presenti altri discepoli, oltre agli Undici, il conferimento del potere di rimettere i peccati sarebbe stato dato anche ad altri I. Dov'è la verità?
2 - Bisogna notare prima di tutto che Luca, nel racconto o racconti delle apparizioni del Risorto, fa solo un cenno implicito al conferimento del potere di rimettere i peccati. A leggere la Bibbia superficialmente la logica conseguenza sarebbe che Gesù non conferì a nessuno tale potere. Ma non è così. A parere dei biblisti, Luca ha una sua presentazione di alcune apparizioni del Risorto, avente come scopo di far sapere ai lettori che Gesù ha dato segni concreti e convincenti della sua risurrezione tanto da trionfare sulla incredulità dei discepoli, dei Dodici in particolare".
Questo appare chiaramente nel racconto dei due discepoli dubbiosi “in cammino per un villaggio distante circa sette 'miglia da Gerusalemme” (Luca 24, 13) Il Risorto trionfa sulla loro incredulità:
“Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista... E partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono gli Undici, e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone"” (Luca 24, 31.33-34).
Identica finalità nel racconto che segue:
“Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma... Gesù mostrò loro le mani e i piedi... Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro” (Luca 24, 40-43).
3 – E’ evidente che lo scopo di Luca nel riportare i racconti delle apparizioni del Risorto è quello di dimostrare come Gesù trionfa sulla incredulità de- gli Undici dando loro i segni della realtà della sua risurrezione.
Stando cosi le cose, il racconto di Luca non autorizza affatto a dire che il potere di rimettere i Peccati o di ritenerli sia stato conferito a tutti i discepoli indistintamente.
Una conferma
Sia Marco (16, 14) sia Paolo (1 Corinzi 15, 5) accennano a un'importante apparizione agli Undici. Paolo dice di averla appresa dalla tradizione, cioè dalla viva voce dei testimoni oculari, e la considera una prova convincente della sua fede. E’ dunque fuor di dubbio che l'apparizione ai Dodici occupava un posto di primaria importanza nella predicazione degli Apostoli.
Ora di questa apparizione ne parla solo Giovanni in modo chiaro ed esplicito, connettendola col conferimento del potere di rimettere i peccati (cf. Giovanni 20, 19-23). Ciò che racconta Giovanni riguarda solo il gruppo dei Dodici, e non tutti i discepoli indistintamente. Infatti proprio perché “Tommaso, uno dei Dodici” non era presente, Gesù appare di nuovo otto giorni dopo, cosi che tutti gli appartenenti al gruppo dei Dodici possono essere testimoni della Risurrezione e avere il potere dal Risorto.
Non bisogna dimenticare che Giovanni scrisse parecchi anni dopo Marco, Luca e Paolo. Col suo racconto particolareggiato dell'apparizione ai Dodici la sera del giorno della Risurrezione e il conferimento del potere di rimettere i peccati ha voluto forse chiarire qualche dubbio specie sul racconto di Luca ed esplicitare ciò che Marco e Paolo avevano detto succintamente.
In sintesi
1 - I testi biblici più significativi comprovanti il conferimento del potere di rimettere o ritenere i peccati dato dal Signore Gesù alla sua Chiesa si trovano in Matteo 16, 19 e 18, 18 e in Giovanni 20, 22-23. L'analisi accurata e oggettiva dei verbi usati dagli scrittori ispirati (legare - sciogliere; rimettere - ritenere) porta alla conclusione che il Signore Gesù ha dato alla sua Chiesa un effettivo potere di perdonare i peccati commessi dopo il battesimo.
2 - Soggetto di questo potere non è qualunque discepolo di Gesù, ma le guide qualificate della Chiesa, cioè gli Apostoli e i loro successori. A questa conclusione si arriva analizzando accuratamente e oggettivamente il contesto sia di Matteo 18, 18 che di Giovanni 20, 19-23. In Matteo la riconciliazione del fratello peccatore con Dio e la comunità deve ,avere il sigillo delle guide qualificate della Ekklesìa, ossia della comunità strutturata. In Giovanni 20, 19-23 l'apparizione del Risorto e il conferimento del potere di rimettere i peccati hanno come termine il gruppo degli Apostoli: i Dodici.
3 - Per quanto riguarda Giovanni 20, 19-23 e la sua retta comprensione è nel ricordare che nessuno degli evangelisti intende dirci tutto sulla Risurrezione del Signore (Cf. Giovanni 20, 30; 21, 25). I loro racconti sono selezionati secondo vari punti di vista. Luca insiste sulla oggettività o realtà della Risurrezione e la missione della Chiesa nascente, mentre Giovanni mette più in evidenza il conferimento del potere ai Dodici.
4 - Su quest'ultimo punto, mentre Marco non dice nulla, Luca ne parla in modo implicito (Cf. 24, 44-47), Giovanni è più particolareggiato. Egli racconta minuziosamente l'apparizione dei Risorto ai "discepoli", che poi specifica essere il gruppo degli Apostoli, e ricorda il conferimento del potere penitenziale, di rimettere cioè i peccati commessi dopo il battesimo.
5 - Nei racconti della Risurrezione del Signore le donne hanno un ruolo certamente non secondario: sono le prime messaggere del glorioso evento. Ma tutto quello che esse fanno è collocato nelle ore antimeridiane del primo giorno dopo il sabato, ossia del giorno della Risurrezione. Poi di esse si parla solo in riferimento alla vita comunitaria dei discepoli del Signore (cf. Atti 1, 14) e alla discesa dello Spirito Santo (cf. Atti 2, 1.17-18).
La fede della Chiesa Cattolica
La Chiesa Cattolica ha ribadito e precisato la sua dottrina sul Sacramento della Penitenza soprattutto al Concilio di Trento (1545-1563) in contrapposizione agli errori di Lutero e di Calvino.
Circa l'istituzione di questo sacramento il Tridentino ha definito:
“Il Signore (Gesù) ha istituito il sacramento della penitenza soprattutto quando, dopo la risurrezione, alitò sui suoi discepoli, dicendo: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Giovanni 20, 22-23). Con questo gesto così significativo e parole così chiare fu conferito agli Apostoli e ai loro legittimi successori il potere di rimettere e di ritenere i peccati per riconciliare i fedeli caduti in peccato dopo il battesimo... Condanna le artificiose interpretazioni di quelli che distorcono falsamente quelle parole contro la istituzione di questo sacramento come se si trattasse del potere di predicare la parola di Dio e di annunciare il Vangelo di Cristo”.
“Per quanto riguarda il ministro di questo sacramento il Santo Sinodo dichiara essere false e per nulla conformi alla verità del Vangelo tutti quegli insegnamenti, che con grave pericolo estendono a qualsiasi uomo oltre ai vescovi e ai sacerdoti il ministero delle chiavi, insegnando che quelle parole del Signore: “Tutto quello che legherete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo” (Matteo 18, 18) e: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Giovanni 20, 23) siano rivolte indifferentemente e promiscuamente a tutti i discepoli di Cristo, di modo che chiunque abbia il potere di rimettere i peccati”.
 
Riportiamo ora alcune affermazioni del Catechismo della Chiesa Cattolica:
“1441. “Dio solo perdona i peccati” (cf. Marco 2, 7). Poiché Gesù è il Figlio di Dio, egli dice di se stesso: “Il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati” (Marco 2, 10) ed esercita questo potere divino: “Ti sono rimessi i tuoi peccati !” (Marco 2, 5; Luca 7, 48). Ancor più: “In virtù della sua autorità divina dona tale potere agli uomini” (cf. Giovanni 20, 21-23) affinché lo esercitino nel suo nome”.
“1442. risto ha voluto che la sua Chiesa sia tutta intera, nella sua preghiera, nella sua vita e nelle sue attività, il segno e lo strumento del perdono e della riconciliazione che egli ha acquistato per mezzo del suo sangue. Ha tuttavia affidato l’esercizio del potere di assolvere i peccati al ministero apostolico. A questo ha affidato il “ministero della riconciliazione” (2 Corinzi 5, 18). L’apostolo è inviato “nel nome di Cristo”, ed è Dio stesso che, per mezzo di lui, esorta e supplica: “Lasciatevi riconciliare con Dio”” (2 Corinzi 5, 20).
“1445. Le parole legare e sciogliere significano: colui che voi escluderete dalla vostra comunione, sarà escluso dalla comunione con Dio; colui che voi accoglierete di nuovo nella vostra comunione, Dio lo accoglierà anche nella sua. La riconciliazione con la Chiesa è inseparabile dalla riconciliazione con Dio”.
“1461. Poiché Cristo ha affidato ai suoi Apostoli il ministero della riconciliazione (cf. Giovanni 20, 23; 2 Corinzi 5, 18), i vescovi, loro successori, e i presbiteri, collaboratori dei vescovi, continuano ad esercitare questo ministero. Infatti sono i vescovi e i presbiteri che hanno, in virtù del sacramento dell’Ordine, il potere di perdonare tutti i peccati “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo””.
 
PARTE SECONDA
LA FORMA DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA
Una legittima domanda
A questo punto del nostro discorso qualcuno dei lettori e forse più di uno potrebbe domandare: Dove erano e come erano i confessionali al tempo degli Apostoli? La domanda è legittima. E la risposta è pronta e molto semplice: al tempo degli Apostoli non vi erano confessionali come noi li conosciamo, e non ve ne furono per vari secoli anche dopo.
E allora non vi era la Confessione!  Questa illazione non è logica, e perciò è illegittima. Non ha né senso né valore come non ne hanno tante altre domande e soprattutto risposte che si leggono nei libri e nelle riviste dei tdG. E si leggono pure negli scritti e nella propaganda di gruppi più o meno settari sempre accaniti contro la Chiesa Cattolica.
Ma - ripetiamo - la domanda è legittima, anzi opportuna. E merita una risposta, che non mancheremo di dare in questa seconda parte del nostro opuscolo, trattando della forma del sacramento della Penitenza o Confessione.
Ripetiamo prima in che cosa consiste la sostanza di questo sacramento. Consiste nell'esercizio del potere spirituale o dono o carisma dello Spirito Santo di rimettere i peccati commessi dopo il battesimo. Il Signore Gesù ha conferito questo potere alla sua Chiesa nella persona degli Apostoli e dei loro successori, cioè i vescovi e i presbiteri, loro collaboratori. La Bibbia, spiegata senza preconcetti e ben capita, dà prove abbondanti e convincenti di questa verità. L'abbiamo esaminato nella Prima Parte.
La forma della Confessione o Sacramento della Penitenza è il modo in cui è stato ed è esercitato il potere di rimettere i peccati. Vi sono stati vari cambiamenti nella storia della Chiesa e forse ve ne saranno ancora a motivo di diverse circostanze sociali, ambientali, culturali. Ma questi cambiamenti non hanno intaccato né possono intaccare mai la sostanza.
Il caso dell'incestuoso (cf. 1 Corinzi 5, 1-5)
Anche se nella Bibbia non si parla di confessionali, non mancano indicazioni del modo tenuto dagli Apostoli nell'esercitare il potere di rimettere i peccati. Seguivano una forma per così dire comunitaria. Viene subito in mente il caso dell'incestuoso, ossia del cristiano (o fratello) della chiesa di Corinto, “che teneva con sé la moglie del proprio padre” (1 Corinzi 5, 1). Si tratta evidentemente di uno che ha già ricevuto il battesimo, ma è caduto in un peccato grave. Da tutto il contesto si deduce che egli non vuole abbandonare la comunità. Vuol riconciliarsi, essere perdonato, sottomettendosi anche a una penitenza in vista del perdono e della salvezza.
Paolo, fondatore e padre di quella chiesa (cf. Atti 18, 1-17; 2 Corinzi 6, 13; 12, 14) è messo al corrente dello scandalo ed interviene con uno scritto. Pur essendo lontano col corpo, si sente presente con lo spirito tra quei cristiani ed esercita il potere di salvare il peccatore.
Alla sua azione di giudizio e di riconciliazione l'apostolo associa la comunità di Corinto, che dobbiamo pensare strutturata, cioè guidata dagli anziani o presbiteri (cf. Atti 14, 23). I responsabili della chiesa di Corinto devono radunarsi e pronunciare la sentenza accompagnati da Paolo presente in spirito.
Nota un biblista:
“L'adunanza riguardava evidentemente i capi, più che i fedeli, essendo impossibile riunire in un sol luogo o in una sola piazza, dinanzi ai pagani, tutti i fedeli”.
Al colpevole, certamente pentito del suo peccato, viene inflitta una grave pena. Ma la pena ha un carattere medicinale e salvifico “affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore” (verso 5).
A noi interessa soprattutto il verso 4: “nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere del Signore Gesù...”. Segue la sentenza.
Due cose appaiono abbastanza chiare. La prima è la forma o modo di esercitare il potere dato dal Signore Gesù per la salvezza del peccatore.La forma - come si è detto - è comunitaria, Le guide di quella chiesa esercitano il potere di rimettere il peccato radunati quasi certamente in una sala, che era forse qualche stanza messa a disposizione da qualche famiglia della comunità per l'esercizio del culto come le riunioni di preghiera, lo studio della Bibbia, la celebrazione della Santa Cena ecc.
La seconda è la natura o effetto della sentenza. E’ evidente che Paolo con gli anziani o presbiteri sono convinti di aver ricevuto dal Signore il potere di giudicare un fratello peccatore. Nel nome del Signore Gesù essi rimettono il peccato e riammettono il peccatore nella comunità dei "santi", pur infliggendogli la dovuta penitenza.
Notiamo ancora che, pur essendo una forma pubblica, anche se limitata alle guide della comunità, il peccatore non è obbligato a confessare in pubblico il suo peccato. Pubblica vuol dire che il rito o celebrazione del Sacramento della Penitenza non era fatta al confessionale, a tu per tu col presbitero, come è poi invalso nei secoli seguenti. Ma quel rito pubblico comportava sempre l'esercizio del potere di perdonare i peccati commessi dopo il battesimo in virtù del dono speciale dato dal Risorto ai suoi Apostoli e ai loro successori.
La forma pubblica della Confessione
1 - Il caso del peccatore di Corinto e il modo com'è stato risolto ci danno un'idea di come era esercitato il potere di rimettere i peccati fin dai primi anni della Chiesa, ossia della forma del Sacramento della Penitenza. Non vi erano confessionali. Per diversi secoli rimase in uso la forma detta pubblica. Ma questa parola non deve trarre in inganno. L'abbiamo già accennato, ma vogliamo ancora precisare che cosa si intendeva per forma pubblica.
In effetti, l'aggettivo pubblica potrebbe far pensare che il peccatore fosse obbligato a dire in pubblico i suoi peccati davanti alla comunità al fine di ricevere il perdono. Non fu mai così. Mai il peccatore fu obbligato a fare pubblica accusa dei suoi peccati. E’  vero che alcune volte i peccati erano noti. E’ vero. che alcune volte erano resi pubblici spontaneamente. Ma mai il fratello peccatore era obbligato ad accusarsi pubblicamente dei propri peccati. Alcune volte ci furono degli abusi in questo senso. Ma le guide o pastori della Chiesa intervennero per correggerli.
2 - La forma pubblica della Confessione era un cammino penitenziale, che comprendeva varie tappe.
a) Il fratello peccatore generalmente si riconosceva tale davanti al vescovo o anche davanti ai presbiteri. Altre volte, specie quando i peccati erano noti, il vescovo invitava il peccatore a intraprendere il cammino penitenziale. In caso di rifiuto, veniva escluso dalla comunità, cioè era scomunicato.
b) I peccatori, sia quelli che si dichiaravano tali spontaneamente sia quelli invitati o richiamati dal vescovo o dai presbiteri, formavano un gruppo a parte in seno alla comunità: il gruppo dell'ordine penitenziale. All'ordine penitenziale si era ammessi mediante un rito o gesto, che poteva essere l'imposizione delle mani da (parte dei vescovo. Alcune volte e in alcune chiese ufficiali era d'obbligo qualcosa di più grave come portare il cilicio, radersi i capelli; oppure, in alcuni luoghi, proprio il contrario come lasciar crescere disordinatamente barba e capelli.
Ma vi erano penitenze ancora più dure come digiunare, pregare lungo tempo in ginocchio, seppellire i morti, astenersi da cariche pubbliche, da attività commerciali, dai rapporti coniugali ed altre ancora.
c) Anche la durata del cammino penitenziale poteva variare da luogo a luogo. Si andava da alcune settimane fino a tre e anche sette anni. A stabilire la durata era il vescovo secondo la gravità o meno dei peccati. Il vescovo tuttavia non poteva agire di testa propria. Doveva attenersi a delle norme stabilite dai Concili.
d) Alla fine del cammino penitenziale il cristiano peccatore veniva ammesso all'assoluzione dei peccati mediante un rito pubblico o meno solenne. Il vescovo imponeva le mani sul capo del peccatore accompagnando questo gesto con una preghiera. La cerimonia si svolgeva generalmente in chiesa con la partecipazione di tutta la comunità. In caso di necessità (malattia per esempio) e in pericolo di morte questa cerimonia poteva essere presieduta anche dal presbitero. Il cristiano riconciliato, dopo l'assoluzione, veniva ammesso alla comunione eucaristica e alla piena partecipazione della vita comunitaria.
Una forma nuova di Confessione
A partire dal sesto secolo una nuova forma di Confessione entra in vigore e si diffonde con una certa rapidità. Sembra che abbia avuto origine e sviluppo nei monasteri delle isole del Nord Europa, in Gran Bretagna e in Irlanda, dove non era conosciuto il sistema o forma penitenziale pubblica. In un primo tempo fu praticata solo dai monaci e dai chierici. Poi fu estesa anche ai laici.
Dalle isole del Nord Europa questa forma di Confessione fu esportata nel continente quando san Colombano (543-615) con altri monaci dall'Irlanda si trasferì nella Francia. La nuova forma si diffuse con una certa rapidità perché più semplice di quella pubblica. Non vi erano ancora confessionali. Ma neppure il cammino più o meno lungo della penitenza pubblica sopra descritto.
Il peccatore si presentava spontaneamente al sacerdote e accusava i propri peccati. Il sacerdote gli imponeva le opere di penitenza secondo la gravità dei peccati. Compiuta la penitenza il peccatore tornava dal sacerdote per avere l'assoluzione. Questa avveniva mediante l'imposizione delle mani del sacerdote accompagnata da una preghiera.
Normalmente non avveniva alla presenza del popolo eccetto in alcune solennità come, per esempio, il Giovedì Santo. Il ministro era quasi sempre il presbitero. Il vescovo si riservava la riconciliazione solenne a più penitenti in casi particolari, come nella forma pubblica.
In effetti, anche la forma pubblica di penitenza continuò a praticarsi ancora per parecchio tempo specie in ambienti più tradizionali o legati al passato. In pratica, fino al tardo Medioevo si ebbero due forme di Confessione: quella pubblica per i peccati più gravi pubblici e quella privata per i peccati occulti o meno gravi.
Appare il confessionale
Con l'introduzione della forma privata della Confessione anche la sede o luogo della celebrazione subì delle mutazioni. All'inizio, i due momenti o tempi della Confessione - l'accusa dei peccati e spesso anche l'assoluzione dopo fatta la penitenza - avvenivano nell'abitazione del sacerdote. Di solito era il monastero. Ma già dagli inizi del secolo XI, tutto il rito si svolgeva abitualmente in chiesa davanti all'altare, col ministro seduto su una semplice sedia.
Verso la fine del Medioevo fu prescritta una sede chiusa, che divenne col tempo l'attuale confessionale. Questo era ed è quasi sempre costruito in legno, ma alcune volte anche in marmo o pietra, ricavato dall'interno delle mura dell'edificio.
Al tempo del Concilio Tridentino (1545 - 1563) la forma- privata col confessionale era quasi universalmente praticata. Il Concilio la suppone e si sofferma soprattutto sulla sostanza del Sacramento della Penitenza: istituzione, opera del peccatore, ministro ecc., in un contesto di errori che negavano la sostanza del Sacramento.
Circa la forma della Confessione il Tridentino ha fatto le seguenti precisazioni:
“Per quanto riguarda il modo di confessarsi è quello segreto al solo sacerdote, benché Cristo non abbia proibito che qualcuno possa confessare pubblicamente i propri peccati per suo castigo e umiliazione, come un esempio agli altri e ad edificazione della Chiesa che ha ricevuto l'offesa”.
Oggi questa forma è la più usata. I confessionali sono situati in chiesa oppure in qualche sala adiacente alla chiesa. Ma è pure in uso il solo inginocchiatele davanti al sacerdote seduto.
“Il luogo proprio per ricevere le confessioni sacramentali è la chiesa o l'oratorio. I vescovi d'una determinata regione (Conferenza Episcopale) garantiscano che si trovino in un luogo aperto i confessionali, provvisti di una grata fissa tra il penitente e il confessore, cosicché i fedeli che lo desiderano possano liberamente servirsene. Non si ricevano le confessioni fuori del confessionale, se non per una giusta causa”.
Il Nuovo Rito della Penitenza
In questi ultimi anni, dopo il Concilio Vaticano li, c'è stata una revisione per quanto riguarda la forma del Sacramento della Penitenza, ferma restando la sostanza. Questa è - ripetiamo - il potere dato da Cristo alla sua Chiesa di rimettere i peccati - tutti i peccati - commessi dal cristiano dopo il battesimo, se il peccatore è sinceramente pentito.
Questa revisione è contenuta nel Rito della Penitenza promulgato in latino il 2 dicembre 1973. La versione italiana del testo originale fu approvata il 7 marzo 1974 e il Nuovo Rito divenne normativo dal 21 aprile dello stesso anno 1974.
Sono prese in esame ed approvate tre forme del Sacramento della Penitenza.
La prima è la forma privata invalsa durante il Medioevo e divenuta la più comune dopo il Concilio Tridentino. E’ il rito di riconciliazione dei penitenti singolarmente. Il penitente confessa i suoi peccati al sacerdote dopo accurato esame di coscienza.
Quindi il confessore impone al penitente la soddisfazione, preghiere od opere buone soddisfattorie. Il rito si conclude con l'assoluzione. Tutto avviene in perfetto segreto.
La seconda è il rito di riconciliazione per più penitenti. Questa forma o rito si celebra quando più penitenti si riuniscono per celebrare la penitenza sacramentale. Si può chiamare la forma comunitaria. Ha vari momenti o tempi: lettura della Parola di Dio, omelia o spiegazione della Parola incentrata sulla misericordia di Dio e l'impegno del peccatore per una sincera conversione.
Dopo una pausa di riflessione, un accurato esame di coscienza e dopo opportune preghiere (il Confiteor, l'Atto di dolore, il Padre Nostro, che non si deve mai omettere), i singoli penitenti si recano dal sacerdote, confessano in segreto i loro peccati, accettano la penitenza o soddisfazione e ricevono l'assoluzione. Tutto avviene durante un'unica celebrazione.
Oggi è il rito o forma più raccomandata perché con la sua struttura induce meglio il peccatore a suscitare nel suo cuore sentimenti di pentimento e a fare propositi di vita rinnovata. L'ambiente comunitario aiuta a questo rinnovamento.
La terza forma presenta le caratteristiche della seconda, vale a dire di una celebrazione comunitaria, ma con l'assoluzione generale. E’ permesso usarla solo in casi determinati quando interviene una grave necessità. In qualche modo è un'eccezione alla regola. La regola consiste nel dire i peccati al sacerdote in vista dell'assoluzione individuale.
Coloro che usufruiscono di questa terza forma hanno l'obbligo di accostarsi alla confessione auricolare e confessare privatamente al sacerdote i peccati gravi, prima di ricevere nuovamente la comunione eucaristica. In ogni caso entro un anno.
Tuttavia “la confessione individuale e completa, con la relativa assoluzione, resta l'unico modo ordinario grazie al quale i fedeli si riconciliano con Dio e con la Chiesa a meno che un'impossibilità fisica o morale non li dispensi da una tale confessione. Ciò non è senza motivazioni profonde. Cristo agisce in ogni sacramento. Si rivolge personalmente a ciascun peccatore "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati" (Mc. 2, 5); è il medico che si china su ogni singolo ammalate che ha bisogno di lui (cf. Me. 2, 17) per guarirlo; lo rialza e lo reintegra nella comunione fraterna. La confessione personale è quindi la forma più significativa della riconciliazione con Dio e con la Chiesa”.
 
ERRORI E VERITA
1 , L'errore:
 I tdG sono del parere che la Chiesa Cattolica va contro la Bibbia quando insegna che “non c'è colpa per quanto grave ed empia, che non si cancelli grazie alla Penitenza; e non una sola volta, ma molte e molte volte”. Come prova citano Ebrei 10: 26, CEI: “Se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la piena conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati”. E ancora Mar. 3: 29, CEI: “Chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono in eterno”.
La verità:
a) Ricordiamo anzitutto che è sempre Dio che perdona i peccati. La Chiesa, tramite i suoi vescovi e presbiteri, esercita un potere datole da Dio. Sì, la Chiesa Cattolica insegna che non c'è colpa per quanto grave che non si cancelli con la Penitenza, e non una sola volta, ma molte e molte volte. Ciò dicendo e facendo la Chiesa Cattolica segue fedelmente la  Bibbia dov'è detto: “Egli (Dio) perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie” (Salmo 103 (102), 2). E altrove: “Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve” (Isaia 1, 18). E a Pietro che domandava., “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?”. Gesù rispose: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette” cioè sempre (Matteo 18, 22). E Dio sarà meno misericordioso dell'uomo? (cf. 2 Pietro 3, 9).
b) Questo dice la Bibbia. Questo insegna la Chiesa Cattolica. Ma sia la Bibbia sia la Chiesa Cattolica aggiungono: “Purché il peccatore si converta e condanni i suoi peccati” (cf. Ezechiele 18, 23; 33, 11; Luca 15, 7.11 ecc.). Da parte sua la Chiesa Cattolica insegna: “Tra gli atti del penitente, la contrizione occupa il primo posto. Essa è “il dolore dell'animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnato dal proposito di non peccare più in avvenire” -. E altrove: “Il penitente non creda di essere stato assolto per la sola fede, senza nessuna contrizione”.
c) Contro queste verità nulla provano i testi citati dai tdG. In quanto a Ebrei 10, 26 va notato che il testo dice: “Se pecchiamo volontariamente”. Questo indica chiaramente che qui si tratta di persone che persistono nella volontà di peccare. Non c'è in esse vera conversione, non c'è pentimento. In effetti, l'autore di Ebrei 10, 26 parla del peccato di apostasia, che è ribellione deliberata contro Dio (cf. Ebrei 6, 6). L'apostata rifiuta la Parola di Dio ed è sordo ad ogni richiamo di ripensamento. La stessa Lettera (cf. Ebrei 6, 6-8) dice che tali cristiani rinnegati crocifiggono di nuovo Gesù il Cristo e sono come la terra che, benché imbevuta da pioggia abbondante, produce pruni e spine. Certo, per costoro non vi può essere perdono di peccati perché non hanno la volontà di essere perdonati. La Chiesa Cattolica non assolve in tali situazioni.
d) Neppure Marco 3, 29 invalida la dottrina cattolica della Confessione. Dal contesto appare chiaro perché la bestemmia contro lo Spirito Santo non può essere perdonata. Gli scribi avevano accusato Gesù di scacciare i demoni per mezzo del principe dei demoni (cf. Marco 3, 22). Gesù fa notare che è impossibile che uno spirito maligno si metta contro altri spiriti maligni. Questo equivaleva a chiudere gli occhi davanti all'evidenza.
Gli scribi conoscevano la verità, ma non volevano metterla, e la negavano consapevolmente, sapendo quindi di dire una menzogna in modo esplicito e cosciente, per calunniare Gesù e allontanare il popolo dal suo insegnamento. Ed è appunto, questa la bestemmia contro lo Spirito Santo:
“In base al contesto immediato, questo peccato consiste nel rifiuto di riconoscere il potere che agisce tramite Gesù, attribuendo a satana le opere che egli compie mediante lo Spirito Santo. Un simile rifiuto di conversione si oppone al perdono (cf. Matteo 12, 23)”.
e) Il peccato di cui in Marco 3, 29 si rinnova anche dopo Cristo, e non mancano casi ai nostri giorni. La Chiesa Cattolica, anzi tutta la Cristianità, nella maggior parte dei loro membri, sono impegnate nella lotta contro il male, dovunque si annidi: nella vita pubblica e privata, nel mondo degli affari, nella famiglia ecc. Eppure i tdG, chiudendo gli occhi davanti a tanta luce, qualificano la Chiesa Cattolica, anzi tutta la Cristianità, come agenti di satana. Non è questa una bestemmia contro lo Spirito Santo.
2 - L'errore:
“Nella Bibbia non è riportato un solo caso in cui un apostolo abbia ascoltato una confessione segreta e concessa l'assoluzione. Comunque, i requisiti per essere perdonati da Dio sono esposti nella Bibbia. Gli apostoli, sotto la guida dello spirito santo, potevano discernere  se le persone soddisfacevano tali requisiti e, su questa base, potevano dichiarare se Dio le aveva perdonate o no. Come esempi, vedi Atti 5, 1-11, e anche 1 Corinzi 5: 1-5  e 2 Corinzi 2: 6-8”.
La verità:
a) Come spesso avviene i tdG usano due pesi e due misure secondo che loro conviene, per ingannare persone ingenue e ignoranti. Nel caso presente, da una parte contestano alla Chiesa Cattolica il potere di rimettere i peccati; dall'altra affermano che nella Bibbia sono esposti i requisiti per essere perdonati da Dio. E aggiungono che nella Chiesa Apostolica le guide autorizzate (gli Apostoli) potevano dichiarare se Dio aveva perdonato o no. Questo equivale a dire che Dio ha dato alla sua Chiesa il potere di rimettere i peccati a chi è disposto a essere perdonato da Dio. E’ sempre Dio che perdona. Nessuno ha mai detto il contrario, anche se la propaganda maligna dei tdG vorrebbe far credere che è il prete che perdona. Ma questa è solo calunnia, che convince gli ignoranti. Il confessore discerne se vi sono i requisiti secondo la Parola di Dio e concede il perdono in nome di Dio. Questo ha fatto Paolo e gli anziani di Corinto (cf. 1 Corinzi 5, 1-5, supra pp. 35-36). La forma di esercitare questo potere era pubblica, ma la sostanza era la stessa: ieri, oggi, sempre.
b) I tdG negano alla Chiesa Cattolica il potere di rimettere i peccati, ma essi se lo appropriano. Due pesi e due misure ipocritamente! Si sa che gli anziani delle loro congregazioni locali sono, spesso costituiti giudici e assolvono o condannano per la morte eterna quei loro seguaci che si fossero macchiati di qualche colpa, soprattutto del peccato di apostasia. Nel gergo geovista apostasia equivale a non voler pensare ed agire come impone il cervello della setta, anche se si è convinti, e si hanno ottime ragioni, che la Bibbia dice il contrario. In nome di chi assolvono e condannano?
c) Nulla prova dire che nella Bibbia non vi è un ,solo caso di Apostolo che abbia ascoltato la confessione segreta e concessa l'assoluzione. Infatti la Bibbia non dice tutto quello che hanno fatto Gesù e gli Apostoli (cf. Giovanni 21, 25). Comunque, la Bibbia dice chiaramente che il Risorto ha dato agli Apostoli il potere di rimettere i peccati. Questo è l'essenziale. Dice pure che in diversi casi gli Apostoli hanno esercitato questo potere. La forma in cui l'hanno esercitato non cambia la sostanza. Quella può cambiare ed è cambiata, questa - la sostanza - rimane sempre. (Cf. 1 Corinzi 5, 1-5; 2 Corinzi 5, 19-20).
3 - L'errore:
San Giacomo ha scritto ai cristiani del suo tempo: “Confessate i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti” (Giacomo 5, 16). L'insegnamento è chiaro: io per il mio fratello peccatore non posso fare altro che pregare, mai assolvere.
La verità:
a) Sì, l'insegnamento è chiaro. Qui san Giacomo non tratta della Confessione sacramentale e perciò non concede a tutti i discepoli di Gesù il potere di rimettere i peccati. Qui san Giacomo richiama e raccomanda una pia pratica in uso presso gli Ebrei e anche presso i primi cristiani (cf. Atti 19, 18) di confessare in pubblico i propri peccati. Era una dimostrazione pubblica di pentimento.
b) Parimenti era una pia pratica, e lo è anche adesso, il pregare gli uni per gli altri, specie quando si ha peccato e sì ha bisogno del perdono di Dio. E’ sempre Dio che perdona. Ma la preghiera, specie del giusto, vale molto per ricondurre “un peccatore dalla sua via di errore” (Giacomo 5, 20). Ma queste pie pratiche - quella di confessare in pubblico i propri peccati e pregare per gli altri, specie per i peccatori - non distrugge ciò che la Bibbia dice altrove molto chiaramente, vale a dire che Dio ha dato a degli uomini il potere di rimettere i peccati (cf . Matteo 9, 8).
4 - L'errore:
Quando si pecca contro Dio, bisogna chiedere perdono solo a Lui. Solo Dio perdona (cf. Matteo: 6, 12; Salmo 32, 5; 1 Giovanni 2, 1).
La verità:
 a) Nessun cattolico ha mai detto che è il papa o il vescovo o il presbitero che perdona i peccati, tutti i peccati, sia quelli contro Dio sia quelli contro il prossimo. E’ solo e sempre Dio che perdona sia i peccati direttamente contro di Lui sia quelli contro il prossimo, che sono anche contro di Lui. Ma Dio ha dato il potere agli uomini di perdonare i peccati in suo Nome, mediante l'assoluzione, perché voleva continuare la mediazione visibile di Cristo, attraverso la Chiesa. E così, attraverso le parole del sacerdote, il penitente può essere certo e sicuro che Dio lo ha veramente perdonato.
b) Nei testi citati di Matteo 6, 12; Salmo 32, 5; 1 Giovanni 2, 1 è affermata una sola verità. che solo Dio perdona. Ma nulla è detto contro quanto lo stesso Dio. ha voluto fare per assicurarci del suo perdono. A tale scopo egli ha istituito il sacramento della penitenza.
Aggiungiamo infine o ripetiamo che, se il perdono di Dio deve avvenire nel segreto, nella camera privata, a porte chiuse (cf. Matteo 6, 6-12) e se la confessione delle proprie colpe si fa direttamente a Dio (a Geova) (cf. Salmo 32, 5), perché gli anziani delle “sale del regno” costringono i fratelli della setta geovista a confessare i loro peccati (o supposti tali) davanti a tribunali di uomini costituiti da uomini? Non sarebbe più logico lasciare a Geova il processo e la sentenza? Ma è un'illusione trovare Iogica nei comportamenti della società Torre di Guardia!
5 - L'errore:
“Quando si fa un torto al prossimo, o lo si riceve, la riconciliazione, o perdono, avviene tra offensore ed offeso (cf. Matteo 5: 23, 24; 18, 15; Luca 17: 3; Efes. 4: 32)”.
La verità:
 a) In tutti i testi citati dai tdG si parla solo della riconciliazione tra due o più cristiani tra loro: si raccomanda di riconoscere il proprio torto, di chiedere perdono al fratello offeso, di perdonare, di essere benevoli ecc. Ma non è detto nulla contro il potere di rimettere i peccati dato da Dio alla sua Chiesa.
b) La strumentalizzazione, che ne fanno i tdG per negare la dottrina biblica del Sacramento della Penitenza, contiene un grosso errore di fondo, vale a dire che l'offesa fatta al fratello non riguarda Dio. Dio non c'entrerebbe. Sarebbe una cosa da aggiustarsi tra offeso e offensore. Ma questa è una eresia! Infatti l'offesa fatta al prossimo è sempre offesa fatta a Dio: è sempre peccato contro Dio. Dei dieci comandamenti dati da Dio a Mosè (cf. Esodo 20, 2-17) ben sette riguardano offese fatte al prossimo. Sarebbe assurdo dire che in tutti questi casi basta una riconciliazione tra offensore ed offeso per avere il perdono di Dio. I tdG scrivono questi grossolani errori pur di negare alla Chiesa Cattolica il potere di rimettere i peccati.
6 - L'errore:
“Simon Mago, di cui in Atti 8, 22, non è assolto da Pietro, ma da Dio”.
La verità:
a) Il mago non aveva né voleva avere le condizioni necessarie per essere assolto da Pietro. Questi infatti gli dice: “Ti vedo chiuso in fiele amaro e in lacci di iniquità” (Atti 8, 23). Scosso dal rimprovero di Pietro il mago ha solo paura di essere colpito dai castighi divini. Perciò dice a Pietro: “Pregate voi per me il Signore perché non mi accada nulla di ciò che avete detto” (Atti 8,1 24).
b) In tutto questo testo di Atti 8, 20-24 non è detto che Dio abbia assolto il mago. E tanto meno è detto che Pietro non l'abbia potuto assolvere in nome di Gesù, se avesse mostrato i segni di un vero pentimento.
7 - L'errore:
“Nelle Lettere a Timoteo e a Tito non troviamo tra le mansioni dei vescovi e dei presbiteri quella di confessare. Non c'è una sola parola di Paolo che mostri che egli considerasse l'assolvere dai peccati come un ufficio del ministero cristiano”.
La verità:
a) Timoteo fu discepolo e compagno di Paolo nei suoi viaggi missionari (cf. Atti 17, 14ss.; 18, 5; 19, 22; 20, 4). Fu incaricato d'una speciale missione a Tessalonica (cf. 1 Tessalonicesi 3, 2-6) e Corinto (cf. 1 Corinzi 4, 17; 16, 10; 2 Corinzi 1, 9). Prima di ricevere questi incarichi era stato approvato da Paolo e dai presbiteri (cf. 1 Timoteo 1, 18; 4, 14; 2 Timoteo, 1, 6). Fu richiesto da Paolo di dirigere la chiesa di Efeso (cf. 1 Timoteo 1, 3). Questi particolari sono sufficienti per essere certi che Timoteo conosceva assai bene come guidare una comunità e non c'era bisogno che Paolo gli ripetesse tutta la dottrina cristiana in uno o due scritti aventi uno scopo piuttosto pastorale che dottrinale.
Anche Tito, benché in modo alquanto diverso, è discepolo e compagno di Paolo nel lavoro apostolico. Ebbe anche lui incarichi di responsabilità a Corinto (cf. 2 Corinzi 2, 13; 7, 6). Fu lasciato a Creta, dov'è indirizzata appunto la Lettera a Tito, con l'incarico di regolare ciò che rimaneva da fare (cf. Tito 1, 5). Possiamo affermare con certezza che anche Tito conosceva bene tutto l'insegnamento di Paolo, compreso quello riguardante la riconciliazione con Dio (cf. 2 Corinzi 5, 18-20), anche se Paolo nel breve scritto che è la Lettera a Tito, non parla di questo ministero>.
b) Notiamo pure che la difficoltà mossa dai negatori della Confessione poggia su un principio assai labile: a loro avviso in ogni scritto della Bibbia dovremmo avere tutta la dottrina predicata da Cristo e dagli Apostoli. Questo principio è falso. Se fosse vero, dovremmo negare tante verità che si trovano nei vangeli e non in san Paolo e viceversa. Oppure tante verità di cui Paolo parla in una Lettera, ma non ne parla in un'altra. Un esempio. Nelle Lettere a Timoteo e Tito, Paolo non parla della Cena del Signore e del comando di rinnovarla (cf. 1 Corinzi 11, 17-27). Dunque Gesù non celebrò la Cena Pasquale né diede ordine di fare lo stesso in sua memoria! Gli esempi sono molti. Questo dimostra come i contestatori della dottrina della Chiesa Cattolica sono spesso molto superficiali nelle loro affermazioni. “Accertatevi d'ogni cosa” ammonisce san Paolo (1 Tessalonicesi 5, 21).
c) Anche se nelle Lettere Pastorali non vi è esplicita menzione del potere di rimettere i peccati, non mancano tuttavia vive esortazioni a convertire, ossia riconciliare i peccatori con Dio (cf. 1 Timoteo 1, 15-16). Timoteo, in armonia con le profezie che sono state fatte a suo riguardo, fondato su di esse, deve combattere la buona battaglia, a fine di ricuperare i traviati (cf. 1 Timoteo 1, 18-19). Il modo Paolo non lo dice esplicitamente, ma si può supporre che Timoteo sapeva come comportarsi in simili casi, ricordando come si era comportato Paolo a Corinto (cf. 1 Corinzi 5, 1-5).
d) In 1 Timoteo 5, 20 Paolo scrive: “Quelli poi che risultino colpevoli riprendili alla presenza di tutti”. Anche se non si parla esplicitamente di “peccati perdonati”, si tratta pur sempre di mancanze, "colpe", che devono essere riparate, e Timoteo non deve restare passivo, ma deve intervenire per ristabilire il giusto modo di agire cristianamente. Naturalmente si suppone che i "colpevoli", si pentano, chiedano perdono, siano riconciliati e cambino vita, adottando un comportamento coerente con il Vangelo. E certamente Timoteo esercita un potere su coloro che si comportano male nella comunità.
8) L'errore:
Con riferimento a Matteo 18, 15-17 i tdG hanno scritto:
“In questioni che implicano gravi violazioni della legge, uomini responsabili nella congregazione avrebbero dovuto emettere un giudizio e decidere se un trasgressore doveva essere "legato" (considerato colpevole) oppure "sciolto" (assolto). Significa questo che il cielo avrebbe seguito le decisioni di esseri umani? No (...). In effetti, è irragionevole pensare che le decisioni di un essere umano imperfetto possano essere vincolanti per coloro che sono nei tribunali celesti. E’ molto più ragionevole dire che i rappresentanti nominati da Cristo avrebbero seguito le sue istruzioni per mantenere pura la sua congregazione. Avrebbero fatto questo prendendo decisioni basate su principi già stabiliti in cielo”.
La verità:
a) Prendiamo atto anzitutto che i tdG ammettono, con riferimento a Matteo 18, 15-17, che nella congregazione vi sono uomini responsabili che possono e devono emettere un giudizio e decidere se un trasgressore deve essere "legato" (considerato colpevole) oppure "sciolto". Questo è appunto quello che fanno gli uomini responsabili nella Chiesa Cattolica (vescovi, sacerdoti) applicando il comando del Signore di "legare" (considerare colpevoli) oppure di "sciogliere" (assolvere). Dunque Dio ha dato a degli uomini il potere di rimettere o di ritenere i peccati (cf. Matteo 9, 8; 18, 18; Giovanni 20, 22-23).
b) Fin qui nulla da dire in contrario. Ma quel che segue è solo un cumulo di stupidità. In effetti, mai nessun cattolico ha detto o pensato che gli uomini responsabili nelle congregazioni o rappresentanti nominati da Cristo emettono decisioni vincolanti per coloro che sono nei tribunali celesti. La Chiesa Cattolica ha sempre insegnato e insegna che i ministri della confessione seguono fedelmente e coscienziosamente le istruzioni ricevute da Cristo per mantenere pura la sua Chiesa. Dire il contrario, è solo ignoranza (nella base) e malafede (nei capi).
c) A conferma basta ricordare che la Chiesa Cattolica, prima di concedere a un suo ministro la facoltà di confessare (= emettere cioè un giudizio sul comportamento morale di un fratello), si assicura che il ministro abbia seguito i regolari corsi di studio delle varie discipline religiose per conoscere bene le istruzioni date da Cristo per la guida della sua Chiesa. Tali corsi durano quattro o cinque anni. Inoltre tali ministri sono obbligati ad aggiornarsi continuamente soprattutto nella scienza morale per conoscere sempre meglio, con fedeltà alla Bibbia, le istruzioni date da Cristo circa il rimettere o ritenere i peccati.
d) In virtù della loro preparazione scientifica i confessori interpretano nei singoli casi una decisione già presa nel cieli, vale a dire decidono caso per caso se è conforme alle istruzioni date da Cristo ritenere "legato" o "sciolto" un peccatore. Il giudizio o decisione emessa dal confessore - essere umano imperfetto - segue, non precede il giudizio emesso nei cieli; è vincolata, non vincolante, dai tribunali celesti, cioè da Dio, che ha parlato mediante il suo unico Figlio, Gesù Cristo, Dio-con-noi (cf. Matteo 1, 23), Potenza e Sapienza di Dio  (1 Corinzi 1, 24).
Ripetiamo: gli uomini responsabili nella vera Chiesa di Gesù Cristo, che è la Chiesa Cattolica, seguono nel ministero del Sacramento della Penitenza la direttiva proveniente dal cielo. Dire che essi impongono al cielo le loro decisioni equivale a dire e ripetere un'infame calunnia.
 
9) L'errore:
“La confessione non produce alcuna tendenza a cercare di evitare il peccato nel futuro”, dice Ramona, che come cattolica si è confessata da quando aveva sette anni”.
La verità:
a) E’ lecito domandare: Chi è questa Ramona? Potrebbe dirci l'anonimo scrittore della Torre di Guardia dove, quando,  come si confessava? Potrebbe dirci ancora se la testimonianza d'una persona ignota, sconosciuta, forse mai esistita, può servire di norma generale, valere per tutti i casi? E se è una pura invenzione a scopo di propaganda settaria ! ! !
b) L'autore di questo opuscolo amministra il Sacramento della Confessione da circa 30 anni in uno dei Santuari Mariani più frequentati d'Italia.
Viene gente da ogni parte del mondo appunto per fare una buona confessione. Posso dire che tra migliaia di casi non ho trovato nessuna Ramona. Ho ascoltato ed ascolto centinaia, migliaia di confessioni con la gioia di aver visto e di vedere tanti, tantissimi uomini e donne, giovani d'ambo i sessi tornare gioiosi alla Casa del Padre, a perseverare e crescere in essa. Tra questi anche non pochi reduci dall'amara esperienza fatta tra gli schiavi della società torre di Guardia.
Lode a Dio nel più alto dei cieli