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LA
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CONFESSIONE
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OPUSCOLO N° 23
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PICCOLA COLLANA
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"I TESTIMONI DI GEOVA"
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Per ricevere gli opuscoli rivolgersi:
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Padre Nicola Tornese
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Viale S. Ignazio,
4
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80131 NAPOLI
tel. 081.545.70.44
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- Nozione di Confessione
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1 - Per Confessione, nel
linguaggio cattolico, si intende comunemente l'accusa dei propri
peccati fatta al sacerdote per averne l'assoluzione, cioè il perdono
da parte di Dio. In modo più appropriato è detta Sacramento
della Penitenza. La confessione, strettamente parlando, è solo
parte o componente del Sacramento della Penitenza, è cioè la
manifestazione o accusa dei propri peccati al confessore.
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Nel Sacramento della Penitenza bisogna
valorizzare anche la dimensione della
Riconciliazione, che ne è un effetto o conseguenza nel senso che
“quelli che si accostano al Sacramento della Penitenza ricevono
dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a Lui e
insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una
ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità,
l'esempio e la preghiera”.
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Anche per questo il sacramento' della
confessione si può chiamare pure Sacramento della
Riconciliazione.
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Dalla Confessione sacramentale o
Sacramento della Penitenza va distinta la confessione della fede.
Questa consiste nella professione o dichiarazione pubblica della
propria fede, cioè nella manifestazione pubblica di ciò che uno
crede. E’ bene tener presente questa distinzione per evitare
confusioni ed equivoci, cosa che piace ai testimoni di Geova (tdG).
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2 - Qui noi trattiamo soprattutto, se
non unicamente, della Confessione sacramentale o Sacramento
della Penitenza. E prima di ogni altra cosa vogliamo accertarci
se il sacerdote cattolico ha il potere di rimettere i peccati
davanti a Dio.
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E’ chiaro che noi cerchiamo la
risposta nella Bibbia, cioè nella Parola di Dio. Ma aggiungiamo
subito che qui per Bibbia intendiamo soprattutto l'insegnamento di
Gesù, il Figlio di Dio, che è Sapienza e Potenza divina (cf.
Giovanni 1, 1.14-18; 1 Corinzi 1, 24). Dice infatti la Bibbia:
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“Dio, che aveva già parlato nei tempi
antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti,
ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio”
(Ebrei 1, 1-2).
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- PARTE PRIMA
- GIUSTIFICAZIONE BIBLICA
- Un testo biblico significativo
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A quanto diremo in questa prima parte
può servire d'introduzione un testo biblico molto significativo. E’
il racconto della guarigione miracolosa del paralitico. Lo
riportiamo dal vangelo di Matteo.
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“Ed ecco, gli (a Gesù) portarono un
paralitico steso su un letto. Gesù, vista la loro fede, disse al
paralitico: "Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati".
Allora alcuni scribi cominciarono a pensare: " Costui bestemmia". Ma
Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: "Perché mai pensate cose
malvagie nel vostro cuore? Che cosa dunque è più facile, dire: Ti
sono rimessi i peccati, o dire: Alzati e cammina? Ora, perché
sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere in terra di rimettere
i peccati: Alzati, disse allora al paralitico, prendi il tuo letto e
va' a casa tua". Ed egli si alzò e andò a casa sua. A quella vista,
la folla fu presa da timore e rese gloria a Dio che aveva dato tale
potere agli, uomini” (Matteo 9, 218; cf. Marco 2, 1-12; Luca 5,
17-26).
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Osservazioni:
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Una Bibbia
interconfessionale, opera comune di cattolici, ortodossi e
protestanti, fa notare che la conclusione del testo di Matteo qui
riportato è sorprendente. Abbiamo il plurale invece del singolare:
resero gloria a Dio che aveva dato un tale
potere agli uomini”. Poi spiega:
-
Questa sorprendente conclusione
(agli uomini anziché a un uomo) richiama
forse l'ambiente ecclesiale in cui Matteo è stato composto: il
potere di rimettere i peccati (nella Chiesa) viene in questo modo
collegato alla stessa autorità di Gesù” (cf. Matteo 16, 19; 18, 18).
-
In altre parole, il modo di esprimersi
di Matteo vuol fare intendere che nelle comunità o chiese dei
primissimi tempi del Cristianesimo c'era la convinzione,
accompagnata dalla prassi, che degli uomini potevano
rimettere i peccati perché Dio aveva dato loro questo potere.
-
Un altro biblista commenta:
-
“In Matteo, che sembra aver
trasportato la scena del paralitico in seno ad un'assemblea della
comunità cristiana, la "folla", che glorifica Dio, ha ceduto il
posto alla folla dei fedeli che sperimentano in sé il beneficio
della remissione dei peccati quale, frutto dello stesso potere dato
da Dio "agli uomini", cioè ai continuatori dell'opera salvifica di
Gesù, messa in risalto in modo del tutto particolare anche da Matteo,
col conferimento a Pietro e gli Apostoli dello stesso potere divino
di sciogliere e legare "sulla terra" (cf. Matteo 16, 19; 18, 18,
infra), cioè "di rimettere" agli uomini i loro peccati
o "di ritenerli"” (cf. Giovanni 20, 23).
-
E un altro osserva:
-
“Matteo (9, 8) dice che la folla "rese
gloria a Dio che aveva dato agli uomini un tale potere". Questa
formula sembra sia stata aggiunta da Matteo (infatti
manca sia in Marco 2, 12 sia in Luca 5, 26) con l'evidente
preoccupazione ecclesiale di rimarcare elle Gesù aveva concesso il
suo potere di perdonare alla comunità ecclesiale, la quale è
invitata dall'evangelista a lodare Dio per averle concesso un tale
dono. Di questa concessione parlerà lo stesso Matteo un po' più
avanti nei capitoli 16 e 18”.
-
Quando dunque Matteo scrisse il suo
vangelo, mise cioè per iscritto gli insegnamenti di Gesù tra- smessi
dagli Apostoli, verso l'anno 70 d.C., vi erano degli uomini
nelle comunità cristiane, che rimettevano i peccati e i fedeli
lodavano Dio per aver concesso questo dono alla sua Chiesa.
- Significato di "legare" e "sciogliere"
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Prendiamo ora in esame i due testi di
Matteo, ai quali rimandano gli studiosi citati: Matteo 16, 19 e 18,
18.
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In Matteo 16, 19 Gesù dice a Pietro (Kefa):
“Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto
ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.
-
In Matteo 18, 18 è ancora Gesù che
parla ed usa un identico linguaggio:
-
“In verità vi dico: tutto quello che
legherete sulla terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che
scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo”.
-
La prima cosa da precisare è il
significato di legare e sciogliere.
-
1 - Nel Nuovo Testamento il verbo
legare (greco dèo) può avere un significato materiale
oppure traslato.
-
Nel senso materiale significa
incatenare o fermare qualcuno o qualcosa. In Matteo 22, 13 il re
ordina di legare mani e piedi al commensale, che non ha l'abito
nuziale. In Marco 5, 3-4 l'uomo posseduto dallo spirito immondo è
legato con ceppi e catene.
-
In senso traslato lo stesso verbo può
indicare un vincolo o legame morale, giuridico, disciplinare e
simili. Indica, per esempio, il vincolo che lega gli sposi (cf.
Romani 7, 2; 1 Corinzi 7, 27; ecc.). Ed anche in senso traslato "legare"
è detto di satana che lega (Cf .Luca 13, 16) o è legato (Cf.
Apocalisse 20, 2).
-
In modo analogo il verbo "sciogliere"
(greco luo) è usato nel N.T. in
senso materiale e in senso traslato. Nel primo significato vuol dire
liberare qualcuno o qualcosa da un legame materiale, ad
esempio da una corda, da una catena e simili (Cf. Matteo 1, 2; Marco
11, 2-4; Luca 13, 15; Atti 22,30).
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In senso traslato indica l'opposto di
legare come, per esempio, liberare dal
vincolo matrimoniale (Cf. 1 (corinzi 7, 27), da satana (Cf. Luca 13,
16).
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2 - In Matteo 16, 19 e 18, 18 i due
verbi non possono avere un significato materiale. Nell'uno e
nell'altro testo Gesù parla dei legami che devono, regolare la vita
dei suoi discepoli sia in rapporto a Dio sia tra di loro, in quanto
membri d'una comunità di fede, che è la Chiesa (cf. Matteo 16, 18;
18, 17).
-
Tali legami non possono essere che di
ordine spirituale o morale o anche magisteriale, giuridico,
disciplinare.
-
Per precisare ora quale o quali di
questi significati hanno i verbi legare e sciogliere
bisogna tener presente che presso gli Ebrei con tali parole era
indicato il potere o autorità riconosciuta ai rabbini o maestri
della Legge di dichiarare proibito (= legare) oppure
lecito (= sciogliere) un comportamento religioso,
morale o disciplinare ". I verbi quindi legare e sciogliere
hanno primariamente un significato magisteriale, indicano cioè
l'autorità d'insegnare una dottrina oppure condannarla.
-
Tuttavia come conseguenza pratica o
disciplinare, il legare o sciogliere indicava pure il
potere di dichiarare esclusi dalla comunità i disubbidienti o
colpevoli (= legare), oppure di riammetterli nuovamente in essa se
avessero ritrattato il loro errore sciogliere).
-
3 - Tenendo presenti queste
spiegazioni, come pure il contesto di Matteo 16, 19 e 18, 18,
cerchiamo di cogliere il vero significato di legare e sciogliere
nei due testi che stiamo analizzando. Cominciamo da Matteo 18, 18.
-
Gesù dà alcuni precetti o norme da
tenere riguardo al fratello che “commette una colpa” (Matteo 18,
15). E’ un cammino da fare, una via da seguire. Anzitutto il
fratello colpevole o peccatore deve essere corretto in privato (cf.
Matteo 18, 15). Se questo primo passo o tentativo fallisce, bisogna
che “ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni” (Matteo
18, 16). E se anche questo secondo passo risulta infruttuoso, il
peccatore deve essere deferito alla comunità (Ekklesìa)
(cf. Matteo 18, 17). E se non ascoltasse neppure la
Ekklesìa, va considerato come un escluso dalla comunità e dai
rapporti con gli altri: come un pagano o pubblicano, come un
pubblico peccatore (cf. Matteo 18, 17). E' implicito che qualora il
fratello colpevole desse prova di ravvedimento, sarà riammesso nella
piena comunione con gli altri.
-
Non si tratta solo di dichiarare vera
o falsa una dottrina, ma di prendere una decisione, emettere un
giudizio sul comportamento morale di un membro della comunità:
escluderlo dalla o riammetterlo nella comunità dei salvati. Certo
alla base di questo giudizio c'è una scelta o convinzione o
insegnamento dottrinale. Ma qui siamo in presenza di qualcosa di più:
dell'esercizio di un potere salvifico nei riguardi di chi dà segni
di pentimento. Dio dà la salvezza a chi si pente del suo peccato e
la dà mediante il ministero o servizio di altri membri della stessa
comunità, cioè di uomini. Le parole: “sarà sciolto anche in cielo
(Matteo 18, 18b) fanno pensare a un effetto al di là del
visibile o terreno.
- 4 -
Alquanto diverso è il contesto di Matteo 16, 19. Qui non si parla
direttamente di escludere o riammettere un peccatore nella comunità
dei salvati. Le parole legare e sciogliere sono rivolte,
a Pietro (Kefa), che ha professato la sua fede in Gesù, il Cristo
“il Figlio del Dio vivente” (Matteo 16, 16). In virtù di questa sua
testimonianza Pietro (Kefa) è costituito fondamento (pietra o roccia)
visibile della Ekklesìa, ossia dell'intera comunità dei
discepoli di Cristo. Ora ciò che lega alla Ekklesìa o
esclude da essa (scioglie) è in primo luogo la sana dottrina, il
riconoscere o meno in Gesù il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
Pietro, che ha fatto questa professione di fede, è costituito
garante sulla terra della stessa fede. La sua testimonianza e
insegnamento è norma di appartenenza o meno alla vera Chiesa di
Cristo ". Il potere qui indicato è soprattutto un potere magistrale.
-
Tuttavia non va escluso quello salvifico-penitenziale. Pietro
infatti, quale garante della vera fede in Cristo, può e deve
decidere anche sul comportamento morale dei membri della comunità
ecclesiale. A lui quindi spetta pure il potere di ammettere o
escludere da tale comunità in base all'accettazione o al rifiuto
dell'autentica norma di vita morale di quanti si professano e
vogliono essere veri discepoli di Cristo.
- A chi il potere di "legare" e "sciogliere"?
-
E' l'altro interrogativo che pongono i
testi di Matteo 16, 19 e 18, 18 e a cui bisogna dare una risposta
mediante l'analisi accurata degli stessi testi.
-
a)
Per Matteo 16, 19 la risposta non crea problemi
perché è chiara e sicura. Le parole “legare e sciogliere” sono
rivolte a Pietro: “A te darò le chiavi del regno dei
cieli e tutto ciò che (tu) legherai... e tutto ciò che (tu)
scioglierai” (Matteo 16, 18). A principio del verso Gesù dice “E io
ti dico”. A Pietro (Kefa) dunque Gesù conferisce il potere
magisteriale e indirettamente quello salvifico-penitenziale. Non vi
può essere dubbio a questo riguardo.
-
b) Non così chiaro appare chi sia il
soggetto del potere di legare e sciogliere, di cui in
Matteo 18, 18. A prima vista sembrerebbe che il soggetto di tale
potere sia qualunque membro della comunità: “Se il tuo fratello
commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti
ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello” (Matteo 18, 15).
-
Tuttavia va notato che l'effetto
dell'ammonizione solo a solo è quello di “guadagnare il fratello”,
cioè adoperarsi che egli si ravveda e non lasci la comunità né venga
escluso ". Qui non c'entra nessun esercizio di potere, di legare o
di sciogliere. E’ un approccio, un tentativo privato, personale,
fraterno.
-
c) Lo stesso significato può essere
attribuito al secondo tentativo, che è di risolvere la questione.
Sulla parola o davanti a due testimoni (Matteo 18, 16). Il tentativo
è ancora privato, anche se con la partecipazione di più persone, ed
ha pure lo scopo di indurre il peccatore a un ripensamento prima di.
ricorrere alla Ekklesìa. Solo a questa spetta la
decisione finale. “E se non ascolterà neanche l'assemblea (Ekklesìa),
sia per te come un pagano e un pubblicano - (Matteo 18, 17).
Come per dire: tu non sei più responsabile. Spetta ai responsabili
della comunità (Ekklesìa) risolvere il caso in modo definitivo.
-
A questo punto sono inserite le
parole: “In verità vi dico: tutto quello che
legherete sopra la terra sarà legato anche nei cieli e tutto quello
che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo” (Matteo
18, 18). Sono come il punto di arrivo di un cammino, che si conclude
con una dichiarazione autorevole e ufficiale circa la riammissione
nella o la esclusione dalla comunità dei salvati del fratello
peccatore.
-
d)
In questo contesto è logico, anzi d'obbligo, pensare
che Gesù avesse in mente la Ekklesìa, cioè la comunità
dei suoi discepoli, che gode di una struttura voluta da lui stesso.
In questa comunità vi sono delle guide o ministri qualificati, posti
dallo Spirito Santo “a pascere la Chiesa di Dio” (Atti 20, 28). Le
parole di Gesù: “tutto quello che legherete ecc.”, contengono un
chiaro riferimento ai pastori della Ekklesìa, al quali
spetta il potere decisionale nei riguardi del fratello peccatore.
Quelle parole non sono dirette alla massa indeterminata - a tutti e
a nessuno - ma a coloro che, certo col contributo della comunità,
hanno il dovere e il potere di legare e di sciogliere,
riammettere o escludere i peccatori dalla comunità ecclesiale.
-
e) Gli studiosi della Bibbia
concordano nell'affermare che le parole di Gesù in Matteo 18, 18
sono parallele a quelle che il Risorto dirà ai Dodici, nella sua
apparizione la sera di quello stesso giorno, in cui risuscitò da
morte (cf. infra, p. 16). A loro avviso, Matteo 18, 18
presenta la vita della comunità ecclesiale dopo la Pentecoste e
appare chiaro che fin d'allora le guide costituite dal divin
Fondatore della Chiesa vigilavano sul comportamento dei membri della
comunità ed esercitavano il potere di legare e di
sciogliere.
-
Concludendo
possiamo dire o ripetere che al fratello peccatore
era ed è, offerto nella Chiesa un cammino penitenziale. Anzitutto
egli deve essere corretto in privato (cf. Matteo 18, 15); poi alla
presenza di testimoni (cf. Matteo 18, 16), affinché si ravveda. Ma
il giudizio definitivo e salvifico spetta alla comunità strutturata,
dove le guide poste dallo Spirito Santo diranno la parola autorevole,
valida davanti alla comunità e davanti a Dio, “sopra la terra e in
cielo”. A queste guide Dio ha affidato il potere di legare
e di sciogliere.
- La consegna del Risorto (Giovanni
20, 21-23)
-
Nel vangelo di Giovanni il
conferimento del potere di rimettere i peccati è collegato con
l'apparizione del Risorto agli Apostoli la sera di quello stesso
giorno, il primo dopo il sabato, che oggi è la domenica di Pasqua.
Racconta Giovanni:
-
“La sera di quello stesso giorno, il
primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si
trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in
mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Detto questo, mostrò loro le
mani ed il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: "Pace a: voi! Come il Padre ha mandato me,
anche io mando voi!". Dopo aver detto questo, alitò su di loro e
disse: "Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati
saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”
(Giovanni 20, 19-23).
-
Spiegazione:
-
a)
Al numero ristretto dei Dodici e senza
dubbio a quanti nel tempo prima della fine avrebbero continuato il
loro specifico ministero (ai loro successori) il Risorto affida una
missione che continua quella che Egli ha ricevuto dal Padre: “Come
il Padre ha mandato me, così io mando voi” (Giovanni 20, 21). Gli
Apostoli, in qualità di mandati (apostolo vuol dire
mandato) devono raccogliere i frutti della redenzione operata dal
Figlio di Dio. Egli è venuto a redimere dal peccato, a salvare tutti
(cf. Giovanni 12, 32), non a condannare (cf. Giovanni 3, 17).
-
La missione affidata agli Apostoli è
un dono dello Spirito Santo: “Ricevete lo Spirito Santo” (Giovanni
20, 22). Certo, i doni dello Spirito Santo sono dati a tutti i
discepoli di Cristo (cf. Atti 2, 4.17-21; 10, 44). Ma vi è diversità
di doni o carismi, benché uno sia lo Spirito che li dà (cf. I
Corinzi 12, 4-11). Tra questi doni vi è quello del governo (cf.
Corinzi 12, 28; Atti 20, 28) ossia di guidare la comunità dei fedeli
lungo la via della salvezza come maestri e giudici (cf. 1 Corinzi 5,
4). Nel caso presente il dono dello Spirito Santo è la sua virtù o
potenza salvifica, che abilita gli Apostoli (e i loro successori) a
rimettere, cioè a perdonare i peccati davanti a Dio.
-
b)
Per un'esatta comprensione del dono dello Spirito
Santo, di cui in Giovanni 20, 21-23, bisogna ,precisare il
significato delle parole rimettere e ritenere, come è
stato fatto per legare e sciogliere. Questa
precisazione è necessaria perché alcuni non cattolici sono del
parere che il Risorto, in quella apparizione, abbia conferito il
mandato di predicare il Vangelo e di battezzare, senza riferimento
al perdono dei peccati commessi dopo il battesimo. Vedremo che non è
così .
-
Circa il significato di
rimettere (greco a-fiemi) va notato che in non pochi testi
biblici del Nuovo Testamento questo verbo indica la remissione o
perdono dei peccati personali senza riferimento al battesimo. Così,
per esempio, in Matteo 9, 2-6 le parole di Gesù: “ti sono rimessi i
peccati” (greco a-lientai sou ai amartiai) sono intese
dagli scribi e farisei come l'esercizio (o usurpazione) di un potere
proprio di Dio, cioè, cancellare i peccati personali o attuali. Gesù
non corregge questa interpretazione. Lo stesso linguaggio in Marco
2, 8 e Luca 5, 21-26. Dicendo “ti sono rimessi i peccati” o “le sono
perdonati i suoi peccati” (Luca 7, 47) Gesù intende perdonare i
peccati personali del paralitico e della donna adultera
indipendentemente di qualsiasi battesimo.
-
Il dono dunque o carisma concesso agli
Apostoli dal Risorto comporta il potere o autorità di perdonare i
peccati senza riferimento al rito battesimale. Questo potere deve
essere esercitato in seno alla comunità dei battezzati come risulta
da Matteo 18, 18, a favore del fratello, cioè di un battezzato
caduto in peccato (cf. 1 Corinzi 5, 4). La conclusione è che con la
parola "rimettere" è detto chiaramente che il Risorto ha dato agli
Apostoli, cioè alle guide della sua comunità di ogni tempo, il
potere di perdonare i peccati commessi dopo il battesimo.
-
c) Alla stessa conclusione fa arrivare
l'analisi del verbo ritenere (greco kratèo).
Etimologicamente kratèo (= ritenere) vuol dire
“esercitare un potere” oppure “obbligare a fare qualcosa (come il
legare in Matteo 18, 18). Un esempio si ha in Marco 12,
12. Le autorità religiose di Gerusalemme vogliono "catturare" (kratèsai)
Gesù, cioè esercitare su di lui la loro autorità. Gesù apparteneva
alla loro comunità religiosa, era giuridicamente un loro suddito.
-
Alla luce di questa precisazione, in
Giovanni 20, 23 ritenere (kratèo) non significa
semplicemente “non rimettere” i peccati, o “non assolvere”, ma anche
esercitare un potere sul peccatore non ancora pentito, e che quindi
non si trova nelle disposizioni adatte per essere perdonato. In
questo caso l'esercizio del potere serve a spingerlo a fare qualcosa
che lo renda degno dell'assoluzione.
-
A questo livello, quindi, ritenere
equivale a "vincolare", "legare" il peccatore, "obbligarlo" ad
adempiere certe condizioni che lo portino alla conversione e al
perdono. Non si tratta quindi di “non voler perdonare”, dal momento
che il Signore vuole salvare tutti e invita a perdonare “settanta
volte sette” (Matteo 18, 22), cioè sempre. Ma si rinvia il perdono
fino a quando il fratello non riconosce di aver sbagliato, si pente,
ed è pronto a cambiare vita. Se non fa nessuna di queste cose, i
suoi peccati vengono "ritenuti", cioè non vengono perdonati.
-
Tutto questo indica che gli Apostoli,
cioè le guide della comunità cristiana, possono esercitare
un'autorità, hanno cioè un certo potere sul fratello che ha peccato.
Questi è un membro della comunità dei santi ricaduto in peccato. Ciò
non sarebbe possibile se si trattasse di uno non ancora battezzato,
ossia non ancora incorporato alla Ekklesìa.Su i non
battezzati le guide della Chiesa non hanno alcun potere (cf. 1
Corinzi 5, 12), non possono imporre obblighi come a coloro che, col
battesimo, hanno accettato una determinata forma di vita.
- A chi il potere di "rimettere" o "ritenere"?
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1 - Dal contesto di Giovanni 20, 19-23
appare ,abbastanza chiaro che i "discepoli", ai quali il Risorto
affida il potere di rimettere o ritenere i peccati, sono il numero
limitato e qualificato dei Dodici ". Infatti nella
apparizione successiva, in circostanze analoghe, Giovanni richiama
la precedente apparizione e dice: “Tommaso, uno dei Dodici,
non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri
discepoli: “Abbiamo visto il Signore” (Giovanni 20, 24-25).
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A stretto rigor di termini, Giovanni
avrebbe dovuto dire: “Tommaso, uno degli Undici”,
perché Giuda, il traditore, non era certamente con loro. Dicendo
“uno dei Dodici”, fa chiaramente capire che la
precedente apparizione col mandato di rimettere i peccati era stata
fatta al gruppo qualificato degli Apostoli, detto comunemente “I
Dodici”.
-
D'altra parte, se il mandato fosse
stato conferito a tutti indistintamente i seguaci di Gesù, Giovanni
avrebbe dovuto dire: “Tommaso, uno dei discepoli”, e non già “uno
dei Dodici”. Inoltre, quando precisa: “gli dissero
allora gli altri discepoli”, è implicito che Tommaso fosse uno del
gruppo ristretto, ai quali era apparso il Risorto. Gli
altri qui non suppone tutti gli altri, ma il gruppo
qualificato di cui faceva parte Tommaso. Ecco ciò che scrive
Giovanni:
-
“Tommaso, uno dei Dodici,
chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù.Gli dissero
allora gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore!
"” (Giovanni 20, 24-25).
-
2 - Ancora. Sembra del tutto
inverosimile che tutti i discepoli fossero in quel
luogo a porte chiuse, dove apparve il Risorto (cf. Giovanni 20, 19).
L'autore degli Atti degli Apostoli, riferendosi agli
avvenimenti di quei giorni, c'informa che tutti i discepoli, uomini
e donne, erano circa 120 (cf. Atti 1, 15), ed erano tutti a
Gerusalemme. Considerando come erano le abitazioni al tempo di Gesù,
non sembra possibile che 120 persone fossero riunite “a piano
superiore” (cf. Atti 1, 13) e stessero lì fino a tarda sera, ora in
cui Gesù apparve ai "discepoli", assente Tommaso (cf. Giovanni 20,
19).
-
Sempre con riferimento ai quei giorni
e a quei fatti Luca precisa che “al piano superiore” c'erano solo
undici persone, e cioè gli Apostoli, di cui dà i nomi (cf Atti 1,
13).Non vi può essere dubbio che si tratta dello stesso luogo dove
il Risorto era apparso “ai discepoli”, la sera del giorno dopo il
sabato, cioè del giorno della Risurrezione. Era certamente quella
stessa sala messa a disposizione da un amico del Maestro per
celebrare la Cena pasquale coi suoi discepoli, cioè coi
Dodici (cf. Luca 22, 12), e per alloggiarvi durante la loro
permanenza a Gerusalemme. Sala spaziosa quanto si voglia, ma sempre
inadeguata per una folla di 120 persone.
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3 - Ancora più inverosimile è che in
quella sala, al piano superiore, vi fossero donne e per di più fino
a tarda sera a porte chiuse. Non ve ne erano state durante la Cena
pasquale (cf. Luca 22, 10-11) e non ve ne furono certamente nei
giorni che seguirono.
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Non vi era neppure Maria, la Madre di
Gesù, perché la stessa sera del venerdì, che noi ora diciamo
santo, dopo che Gesù dalla croce l'affidò a Giovanni,
questi precisa: “Da quel momento il discepolo la prese a casa sua”
(Giovanni 19, 27). Non si può escludere che Giovanni avesse a
Gerusalemme delle conoscenze (cf. Giovanni 18, 15-16), dove poteva
alloggiare come a casa sua quando si recava a Gerusalemme, specie in
occasione della Pasqua ebraica.
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4 - Per quanto riguarda le altre donne,
tutti e quattro gli evangelisti sono pienamente d'accordo nel
riferire che i loro movimenti, agitati e frettolosi, ebbero luogo
durante le ore antimeridiane. La sera le donne non compaiono sulla
scena. all'ora della preghiera. Voler dedurre da questi testi che
anche le donne abbiano avuto il potere di rimettere i peccati è
semplicemente ridicolo ".
- Il racconto di Luca
-
1 -
Per sostenere il loro punto di vista che Gesù avrebbe
dato il potere di rimettere i peccati a tutti i suoi discepoli,
donne comprese, alcuni sfruttano il racconto di Luca e precisamente
Luca 24, 33-36. Luca racconta come i due
discepoli di Emmaus, dopo che riconobbero il Risorto, partirono
precipitosamente e fecero ritorno a Gerusalemme dove trovarono
riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro.
“Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in
mezzo a loro e disse: "Pace a voi" (Luca 24, 36)”. A loro avviso,
Luca qui riferisce l'apparizione, di cui in Giovanni 20, 19-23, e
poiché erano presenti altri discepoli, oltre agli Undici,
il conferimento del potere di rimettere i peccati sarebbe stato
dato anche ad altri I. Dov'è la verità?
-
2 - Bisogna notare prima di tutto che
Luca, nel racconto o racconti delle apparizioni del Risorto, fa solo
un cenno implicito al conferimento del potere di rimettere i peccati.
A leggere la Bibbia superficialmente la logica conseguenza sarebbe
che Gesù non conferì a nessuno tale potere. Ma non è così. A parere
dei biblisti, Luca ha una sua presentazione di alcune apparizioni
del Risorto, avente come scopo di far sapere ai lettori che Gesù ha
dato segni concreti e convincenti della sua risurrezione tanto da
trionfare sulla incredulità dei discepoli, dei Dodici in particolare".
-
Questo appare chiaramente nel racconto
dei due discepoli dubbiosi “in cammino per un villaggio distante
circa sette 'miglia da Gerusalemme” (Luca 24, 13) Il Risorto trionfa
sulla loro incredulità:
-
“Ed ecco si aprirono loro gli occhi e
lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista... E partirono senza
indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono gli Undici, e
gli altri che erano con loro, i quali dicevano: "Davvero il Signore
è risorto ed è apparso a Simone"” (Luca 24, 31.33-34).
-
Identica finalità nel racconto che
segue:
-
“Stupiti e spaventati credevano di
vedere un fantasma... Gesù mostrò loro le mani e i piedi... Gli
offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò
davanti a loro” (Luca 24, 40-43).
-
3 – E’ evidente che lo scopo di Luca
nel riportare i racconti delle apparizioni del Risorto è quello di
dimostrare come Gesù trionfa sulla incredulità de- gli
Undici dando loro i segni della realtà della sua risurrezione.
-
Stando cosi le cose, il racconto di
Luca non autorizza affatto a dire che il potere di rimettere i
Peccati o di ritenerli sia stato conferito a tutti i discepoli
indistintamente.
- Una conferma
-
Sia Marco (16, 14) sia Paolo (1
Corinzi 15, 5) accennano a un'importante apparizione agli
Undici. Paolo dice di averla appresa dalla tradizione, cioè
dalla viva voce dei testimoni oculari, e la considera una prova
convincente della sua fede. E’ dunque fuor di dubbio che
l'apparizione ai Dodici occupava un posto di primaria importanza
nella predicazione degli Apostoli.
-
Ora di questa apparizione ne parla
solo Giovanni in modo chiaro ed esplicito, connettendola col
conferimento del potere di rimettere i peccati (cf. Giovanni 20,
19-23). Ciò che racconta Giovanni riguarda solo il gruppo dei
Dodici, e non tutti i discepoli indistintamente.
Infatti proprio perché “Tommaso, uno dei Dodici” non
era presente, Gesù appare di nuovo otto giorni dopo, cosi che tutti
gli appartenenti al gruppo dei Dodici possono essere
testimoni della Risurrezione e avere il potere dal Risorto.
-
Non bisogna dimenticare che Giovanni
scrisse parecchi anni dopo Marco, Luca e Paolo. Col suo racconto
particolareggiato dell'apparizione ai Dodici la sera
del giorno della Risurrezione e il conferimento del potere di
rimettere i peccati ha voluto forse chiarire qualche dubbio specie
sul racconto di Luca ed esplicitare ciò che Marco e Paolo avevano
detto succintamente.
- In sintesi
-
1 - I testi biblici più significativi
comprovanti il conferimento del potere di rimettere o ritenere i
peccati dato dal Signore Gesù alla sua Chiesa si trovano in Matteo
16, 19 e 18, 18 e in Giovanni 20, 22-23. L'analisi accurata e
oggettiva dei verbi usati dagli scrittori ispirati (legare -
sciogliere; rimettere - ritenere) porta alla conclusione che il
Signore Gesù ha dato alla sua Chiesa un effettivo potere di
perdonare i peccati commessi dopo il battesimo.
-
2 - Soggetto di questo potere non è
qualunque discepolo di Gesù, ma le guide qualificate della Chiesa,
cioè gli Apostoli e i loro successori. A questa conclusione si
arriva analizzando accuratamente e oggettivamente il contesto sia di
Matteo 18, 18 che di Giovanni 20, 19-23. In Matteo la
riconciliazione del fratello peccatore con Dio e la comunità deve ,avere
il sigillo delle guide qualificate della Ekklesìa,
ossia della comunità strutturata. In Giovanni 20, 19-23
l'apparizione del Risorto e il conferimento del potere di rimettere
i peccati hanno come termine il gruppo degli Apostoli: i
Dodici.
-
3 - Per quanto riguarda Giovanni 20,
19-23 e la sua retta comprensione è nel ricordare che nessuno degli
evangelisti intende dirci tutto sulla Risurrezione del Signore (Cf.
Giovanni 20, 30; 21, 25). I loro racconti sono selezionati secondo
vari punti di vista. Luca insiste sulla oggettività o realtà della
Risurrezione e la missione della Chiesa nascente, mentre Giovanni
mette più in evidenza il conferimento del potere ai Dodici.
-
4 - Su quest'ultimo punto, mentre
Marco non dice nulla, Luca ne parla in modo implicito (Cf. 24,
44-47), Giovanni è più particolareggiato. Egli racconta
minuziosamente l'apparizione dei Risorto ai "discepoli", che poi
specifica essere il gruppo degli Apostoli, e ricorda il conferimento
del potere penitenziale, di rimettere cioè i peccati commessi dopo
il battesimo.
-
5 - Nei racconti della Risurrezione
del Signore le donne hanno un ruolo certamente non secondario: sono
le prime messaggere del glorioso evento. Ma tutto quello che esse
fanno è collocato nelle ore antimeridiane del primo giorno dopo il
sabato, ossia del giorno della Risurrezione. Poi di esse si parla
solo in riferimento alla vita comunitaria dei discepoli del Signore
(cf. Atti 1, 14) e alla discesa dello Spirito Santo (cf. Atti 2,
1.17-18).
- La fede della Chiesa Cattolica
-
La Chiesa Cattolica ha ribadito e
precisato la sua dottrina sul Sacramento della Penitenza soprattutto
al Concilio di Trento (1545-1563) in contrapposizione agli errori di
Lutero e di Calvino.
-
Circa l'istituzione di questo
sacramento il Tridentino ha definito:
-
“Il Signore (Gesù) ha istituito il
sacramento della penitenza soprattutto quando, dopo la risurrezione,
alitò sui suoi discepoli, dicendo: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi
rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete,
resteranno non rimessi" (Giovanni 20, 22-23). Con questo gesto così
significativo e parole così chiare fu conferito agli Apostoli e ai
loro legittimi successori il potere di rimettere e di ritenere i
peccati per riconciliare i fedeli caduti in peccato dopo il
battesimo... Condanna le artificiose interpretazioni di quelli che
distorcono falsamente quelle parole contro la istituzione di questo
sacramento come se si trattasse del potere di predicare la parola di
Dio e di annunciare il Vangelo di Cristo”.
-
“Per
quanto riguarda il ministro di questo sacramento il Santo Sinodo
dichiara essere false e per nulla conformi alla verità del Vangelo
tutti quegli insegnamenti, che con grave pericolo estendono a
qualsiasi uomo oltre ai vescovi e ai sacerdoti il ministero delle
chiavi, insegnando che quelle parole del Signore: “Tutto quello che
legherete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo” (Matteo 18,
18) e: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li
rimetterete resteranno non rimessi” (Giovanni 20, 23) siano rivolte
indifferentemente e promiscuamente a tutti i discepoli di Cristo, di
modo che chiunque abbia il potere di rimettere i peccati”.
-
-
Riportiamo ora alcune affermazioni del
Catechismo della Chiesa Cattolica:
-
“1441. “Dio solo perdona i peccati”
(cf. Marco 2, 7). Poiché Gesù è il Figlio di Dio, egli dice di se
stesso: “Il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i
peccati” (Marco 2, 10) ed esercita questo potere divino: “Ti sono
rimessi i tuoi peccati !” (Marco 2, 5; Luca 7, 48). Ancor più: “In
virtù della sua autorità divina dona tale potere agli uomini” (cf.
Giovanni 20, 21-23) affinché lo esercitino nel suo nome”.
-
“1442. risto ha voluto che la sua
Chiesa sia tutta intera, nella sua preghiera, nella sua vita e nelle
sue attività, il segno e lo strumento del perdono e della
riconciliazione che egli ha acquistato per mezzo del suo sangue. Ha
tuttavia affidato l’esercizio del potere di assolvere i peccati al
ministero apostolico. A questo ha affidato il “ministero della
riconciliazione” (2 Corinzi 5, 18). L’apostolo è inviato “nel nome
di Cristo”, ed è Dio stesso che, per mezzo di lui, esorta e supplica:
“Lasciatevi riconciliare con Dio”” (2 Corinzi 5, 20).
-
“1445. Le parole legare e sciogliere
significano: colui che voi escluderete dalla vostra comunione, sarà
escluso dalla comunione con Dio; colui che voi accoglierete di nuovo
nella vostra comunione, Dio lo accoglierà anche nella sua. La
riconciliazione con la Chiesa è inseparabile dalla riconciliazione
con Dio”.
-
“1461. Poiché Cristo ha affidato ai
suoi Apostoli il ministero della riconciliazione (cf. Giovanni 20,
23; 2 Corinzi 5, 18), i vescovi, loro successori, e i presbiteri,
collaboratori dei vescovi, continuano ad esercitare questo ministero.
Infatti sono i vescovi e i presbiteri che hanno, in virtù del
sacramento dell’Ordine, il potere di perdonare tutti i peccati “nel
nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo””.
-
- PARTE SECONDA
- LA FORMA DEL SACRAMENTO
DELLA PENITENZA
- Una legittima domanda
-
A questo punto del nostro discorso
qualcuno dei lettori e forse più di uno potrebbe domandare: Dove
erano e come erano i confessionali al tempo degli Apostoli? La
domanda è legittima. E la risposta è pronta e molto semplice: al
tempo degli Apostoli non vi erano confessionali come noi li
conosciamo, e non ve ne furono per vari secoli anche dopo.
-
E allora non vi era la Confessione!
Questa illazione non è logica, e perciò è illegittima. Non ha
né senso né valore come non ne hanno tante altre domande e
soprattutto risposte che si leggono nei libri e nelle riviste dei
tdG. E si leggono pure negli scritti e nella propaganda di gruppi
più o meno settari sempre accaniti contro la Chiesa Cattolica.
-
Ma - ripetiamo - la domanda è
legittima, anzi opportuna. E merita una risposta, che non mancheremo
di dare in questa seconda parte del nostro opuscolo, trattando della
forma del sacramento della Penitenza o Confessione.
-
Ripetiamo prima in che cosa consiste
la sostanza di questo sacramento. Consiste
nell'esercizio del potere spirituale o dono o carisma dello Spirito
Santo di rimettere i peccati commessi dopo il battesimo. Il Signore
Gesù ha conferito questo potere alla sua Chiesa nella persona degli
Apostoli e dei loro successori, cioè i vescovi e i presbiteri, loro
collaboratori. La Bibbia, spiegata senza preconcetti e ben capita,
dà prove abbondanti e convincenti di questa verità. L'abbiamo
esaminato nella Prima Parte.
-
La forma della
Confessione o Sacramento della Penitenza è il modo in
cui è stato ed è esercitato il potere di rimettere i peccati. Vi
sono stati vari cambiamenti nella storia della Chiesa e forse ve ne
saranno ancora a motivo di diverse circostanze sociali, ambientali,
culturali. Ma questi cambiamenti non hanno intaccato né possono
intaccare mai la sostanza.
- Il caso dell'incestuoso (cf. 1
Corinzi 5, 1-5)
-
Anche se nella Bibbia non si parla di
confessionali, non mancano indicazioni del modo tenuto dagli
Apostoli nell'esercitare il potere di rimettere i peccati. Seguivano
una forma per così dire comunitaria. Viene subito in mente il caso
dell'incestuoso, ossia del cristiano (o fratello) della chiesa di
Corinto, “che teneva con sé la moglie del proprio padre” (1 Corinzi
5, 1). Si tratta evidentemente di uno che ha già ricevuto il
battesimo, ma è caduto in un peccato grave. Da tutto il contesto si
deduce che egli non vuole abbandonare la comunità. Vuol
riconciliarsi, essere perdonato, sottomettendosi anche a una
penitenza in vista del perdono e della salvezza.
-
Paolo, fondatore e padre di quella
chiesa (cf. Atti 18, 1-17; 2 Corinzi 6, 13; 12, 14) è messo al
corrente dello scandalo ed interviene con uno scritto. Pur essendo
lontano col corpo, si sente presente con lo spirito tra quei
cristiani ed esercita il potere di salvare il peccatore.
-
Alla sua azione di giudizio e di
riconciliazione l'apostolo associa la comunità di Corinto, che
dobbiamo pensare strutturata, cioè guidata dagli anziani o
presbiteri (cf. Atti 14, 23). I responsabili della chiesa di Corinto
devono radunarsi e pronunciare la sentenza accompagnati da Paolo
presente in spirito.
-
Nota un biblista:
-
“L'adunanza riguardava evidentemente i
capi, più che i fedeli, essendo impossibile riunire in un sol luogo
o in una sola piazza, dinanzi ai pagani, tutti i fedeli”.
-
Al colpevole, certamente pentito del
suo peccato, viene inflitta una grave pena. Ma la pena ha un
carattere medicinale e salvifico “affinché il suo spirito possa
ottenere la salvezza nel giorno del Signore” (verso 5).
-
A noi interessa soprattutto il verso
4: “nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati insieme voi e
il mio spirito, con il potere del Signore Gesù...”. Segue la
sentenza.
-
Due cose appaiono abbastanza chiare.
La prima è la forma o modo di esercitare il potere dato dal Signore
Gesù per la salvezza del peccatore.La forma - come si è detto - è
comunitaria, Le guide di quella chiesa esercitano il potere di
rimettere il peccato radunati quasi certamente in una sala, che era
forse qualche stanza messa a disposizione da qualche famiglia della
comunità per l'esercizio del culto come le riunioni di preghiera, lo
studio della Bibbia, la celebrazione della Santa Cena ecc.
-
La seconda è la natura o effetto della
sentenza. E’ evidente che Paolo con gli anziani o presbiteri sono
convinti di aver ricevuto dal Signore il potere di giudicare un
fratello peccatore. Nel nome del Signore Gesù essi rimettono il
peccato e riammettono il peccatore nella comunità dei "santi", pur
infliggendogli la dovuta penitenza.
-
Notiamo ancora che, pur essendo una
forma pubblica, anche se limitata alle guide della comunità, il
peccatore non è obbligato a confessare in pubblico il suo peccato.
Pubblica vuol dire che il rito o celebrazione del
Sacramento della Penitenza non era fatta al confessionale, a tu per
tu col presbitero, come è poi invalso nei secoli seguenti. Ma quel
rito pubblico comportava sempre l'esercizio del potere di perdonare
i peccati commessi dopo il battesimo in virtù del dono speciale dato
dal Risorto ai suoi Apostoli e ai loro successori.
- La forma pubblica della
Confessione
-
1 - Il caso del peccatore
di Corinto e il modo com'è stato risolto ci danno un'idea di come
era esercitato il potere di rimettere i peccati fin dai primi anni
della Chiesa, ossia della forma del Sacramento della
Penitenza. Non vi erano confessionali. Per diversi secoli rimase in
uso la forma detta pubblica. Ma questa parola non deve
trarre in inganno. L'abbiamo già accennato, ma vogliamo ancora
precisare che cosa si intendeva per forma pubblica.
-
In effetti, l'aggettivo
pubblica potrebbe far pensare che il peccatore fosse obbligato a
dire in pubblico i suoi peccati davanti alla comunità al fine di
ricevere il perdono. Non fu mai così. Mai il peccatore fu obbligato
a fare pubblica accusa dei suoi peccati. E’ vero
che alcune volte i peccati erano noti. E’ vero. che alcune volte
erano resi pubblici spontaneamente. Ma mai il fratello peccatore era
obbligato ad accusarsi pubblicamente dei propri peccati. Alcune
volte ci furono degli abusi in questo senso. Ma le guide o pastori
della Chiesa intervennero per correggerli.
-
2 - La forma pubblica della
Confessione era un cammino penitenziale, che comprendeva varie tappe.
-
a) Il fratello peccatore generalmente
si riconosceva tale davanti al vescovo o anche davanti ai presbiteri.
Altre volte, specie quando i peccati erano noti, il vescovo invitava
il peccatore a intraprendere il cammino penitenziale. In caso di
rifiuto, veniva escluso dalla comunità, cioè era scomunicato.
-
b) I peccatori, sia quelli che si
dichiaravano tali spontaneamente sia quelli invitati o richiamati
dal vescovo o dai presbiteri, formavano un gruppo a parte in seno
alla comunità: il gruppo dell'ordine penitenziale.
All'ordine penitenziale si era ammessi mediante un rito o gesto, che
poteva essere l'imposizione delle mani da (parte dei vescovo. Alcune
volte e in alcune chiese ufficiali era d'obbligo qualcosa di più
grave come portare il cilicio, radersi i capelli; oppure, in alcuni
luoghi, proprio il contrario come lasciar crescere disordinatamente
barba e capelli.
-
Ma vi erano penitenze ancora più dure
come digiunare, pregare lungo tempo in ginocchio, seppellire i morti,
astenersi da cariche pubbliche, da attività commerciali, dai
rapporti coniugali ed altre ancora.
-
c) Anche la durata del cammino
penitenziale poteva variare da luogo a luogo. Si andava da alcune
settimane fino a tre e anche sette anni. A stabilire la durata era
il vescovo secondo la gravità o meno dei peccati. Il vescovo
tuttavia non poteva agire di testa propria. Doveva attenersi a delle
norme stabilite dai Concili.
-
d)
Alla fine del cammino penitenziale il cristiano
peccatore veniva ammesso all'assoluzione dei peccati mediante un
rito pubblico o meno solenne. Il vescovo imponeva le
mani sul capo del peccatore accompagnando questo gesto con una
preghiera. La cerimonia si svolgeva generalmente in chiesa con la
partecipazione di tutta la comunità. In caso di necessità (malattia
per esempio) e in pericolo di morte questa cerimonia poteva essere
presieduta anche dal presbitero. Il cristiano riconciliato, dopo
l'assoluzione, veniva ammesso alla comunione eucaristica e alla
piena partecipazione della vita comunitaria.
- Una forma nuova di Confessione
-
A partire dal sesto secolo una
nuova forma di Confessione entra in vigore e si
diffonde con una certa rapidità. Sembra che abbia avuto origine e
sviluppo nei monasteri delle isole del Nord Europa, in Gran Bretagna
e in Irlanda, dove non era conosciuto il sistema o forma
penitenziale pubblica. In un primo tempo fu praticata solo dai
monaci e dai chierici. Poi fu estesa anche ai laici.
-
Dalle isole del Nord Europa questa
forma di Confessione fu esportata nel continente quando san
Colombano (543-615) con altri monaci dall'Irlanda si trasferì nella
Francia. La nuova forma si diffuse con una certa rapidità perché più
semplice di quella pubblica. Non vi erano ancora confessionali. Ma
neppure il cammino più o meno lungo della penitenza pubblica sopra
descritto.
-
Il peccatore si presentava
spontaneamente al sacerdote e accusava i propri peccati. Il
sacerdote gli imponeva le opere di penitenza secondo la gravità dei
peccati. Compiuta la penitenza il peccatore tornava dal sacerdote
per avere l'assoluzione. Questa avveniva mediante l'imposizione
delle mani del sacerdote accompagnata da una preghiera.
-
Normalmente non avveniva alla presenza
del popolo eccetto in alcune solennità come, per esempio, il Giovedì
Santo. Il ministro era quasi sempre il presbitero. Il vescovo si
riservava la riconciliazione solenne a più penitenti in casi
particolari, come nella forma pubblica.
-
In effetti, anche la forma pubblica di
penitenza continuò a praticarsi ancora per parecchio tempo specie in
ambienti più tradizionali o legati al passato. In pratica, fino al
tardo Medioevo si ebbero due forme di Confessione: quella pubblica
per i peccati più gravi pubblici e quella privata per i peccati
occulti o meno gravi.
- Appare il confessionale
-
Con l'introduzione della forma privata
della Confessione anche la sede o luogo della celebrazione subì
delle mutazioni. All'inizio, i due momenti o tempi della Confessione
- l'accusa dei peccati e spesso anche l'assoluzione dopo fatta la
penitenza - avvenivano nell'abitazione del sacerdote. Di solito era
il monastero. Ma già dagli inizi del secolo XI, tutto il rito si
svolgeva abitualmente in chiesa davanti all'altare, col ministro
seduto su una semplice sedia.
-
Verso la fine del Medioevo fu
prescritta una sede chiusa, che divenne col tempo l'attuale
confessionale. Questo era ed è quasi sempre costruito in legno, ma
alcune volte anche in marmo o pietra, ricavato dall'interno delle
mura dell'edificio.
-
Al tempo del Concilio Tridentino (1545
- 1563) la forma- privata col confessionale era quasi universalmente
praticata. Il Concilio la suppone e si sofferma soprattutto sulla
sostanza del Sacramento della Penitenza: istituzione, opera del
peccatore, ministro ecc., in un contesto di errori che negavano la
sostanza del Sacramento.
-
Circa la forma della Confessione il
Tridentino ha fatto le seguenti precisazioni:
-
“Per quanto riguarda il modo di
confessarsi è quello segreto al solo sacerdote, benché Cristo non
abbia proibito che qualcuno possa confessare pubblicamente i propri
peccati per suo castigo e umiliazione, come un esempio agli altri e
ad edificazione della Chiesa che ha ricevuto l'offesa”.
-
Oggi questa forma è la più usata. I
confessionali sono situati in chiesa oppure in qualche sala
adiacente alla chiesa. Ma è pure in uso il solo inginocchiatele
davanti al sacerdote seduto.
-
“Il luogo proprio per ricevere le
confessioni sacramentali è la chiesa o l'oratorio. I vescovi d'una
determinata regione (Conferenza Episcopale) garantiscano che si
trovino in un luogo aperto i confessionali, provvisti di una grata
fissa tra il penitente e il confessore, cosicché i fedeli che lo
desiderano possano liberamente servirsene. Non si ricevano le
confessioni fuori del confessionale, se non per una giusta causa”.
- Il Nuovo Rito della Penitenza
-
In questi ultimi anni, dopo il
Concilio Vaticano li, c'è stata una revisione per quanto riguarda la
forma del Sacramento della Penitenza, ferma restando la sostanza.
Questa è - ripetiamo - il potere dato da Cristo alla sua Chiesa di
rimettere i peccati - tutti i peccati - commessi dal cristiano dopo
il battesimo, se il peccatore è sinceramente pentito.
-
Questa revisione è contenuta nel
Rito della Penitenza promulgato in latino il 2 dicembre
1973. La versione italiana del testo originale fu approvata il 7
marzo 1974 e il Nuovo Rito divenne normativo dal 21 aprile dello
stesso anno 1974.
-
Sono prese in esame ed approvate tre
forme del Sacramento della Penitenza.
-
La prima
è la forma privata invalsa durante il Medioevo e
divenuta la più comune dopo il Concilio Tridentino. E’ il rito di
riconciliazione dei penitenti singolarmente. Il penitente confessa i
suoi peccati al sacerdote dopo accurato esame di
coscienza.
-
Quindi il confessore impone al
penitente la soddisfazione, preghiere od opere buone soddisfattorie.
Il rito si conclude con l'assoluzione. Tutto avviene in perfetto
segreto.
-
La seconda è
il rito di riconciliazione per più penitenti.
Questa forma o rito si celebra quando più penitenti si riuniscono
per celebrare la penitenza sacramentale. Si può chiamare la
forma comunitaria. Ha vari momenti o tempi: lettura della Parola
di Dio, omelia o spiegazione della Parola incentrata sulla
misericordia di Dio e l'impegno del peccatore per una sincera
conversione.
-
Dopo una pausa di riflessione, un
accurato esame di coscienza e dopo opportune preghiere (il
Confiteor, l'Atto di dolore, il Padre Nostro, che
non si deve mai omettere), i singoli penitenti si recano dal
sacerdote, confessano in segreto i loro peccati, accettano la
penitenza o soddisfazione e ricevono l'assoluzione. Tutto avviene
durante un'unica celebrazione.
-
Oggi è il rito o forma più
raccomandata perché con la sua struttura induce meglio il peccatore
a suscitare nel suo cuore sentimenti di pentimento e a fare
propositi di vita rinnovata. L'ambiente comunitario aiuta a questo
rinnovamento.
-
La terza forma
presenta le caratteristiche della seconda, vale a
dire di una celebrazione comunitaria, ma con l'assoluzione
generale. E’ permesso usarla solo in casi determinati quando
interviene una grave necessità. In qualche modo è un'eccezione alla
regola. La regola consiste nel dire i peccati al sacerdote in vista
dell'assoluzione individuale.
-
Coloro che usufruiscono di questa
terza forma hanno l'obbligo di accostarsi alla confessione
auricolare e confessare privatamente al sacerdote i peccati gravi,
prima di ricevere nuovamente la comunione eucaristica. In ogni caso
entro un anno.
-
Tuttavia “la confessione individuale e
completa, con la relativa assoluzione, resta l'unico modo ordinario
grazie al quale i fedeli si riconciliano con Dio e con la Chiesa a
meno che un'impossibilità fisica o morale non li dispensi da una
tale confessione. Ciò non è senza motivazioni profonde. Cristo
agisce in ogni sacramento. Si rivolge personalmente a ciascun
peccatore "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati" (Mc. 2, 5); è
il medico che si china su ogni singolo ammalate che ha bisogno di
lui (cf. Me. 2, 17) per guarirlo; lo rialza e lo reintegra nella
comunione fraterna. La confessione personale è quindi la forma più
significativa della riconciliazione con Dio e con la Chiesa”.
-
- ERRORI E VERITA
-
1 , L'errore:
-
I
tdG sono del parere che la Chiesa Cattolica va contro la Bibbia
quando insegna che “non c'è colpa per quanto grave ed empia, che non
si cancelli grazie alla Penitenza; e non una sola volta, ma molte e
molte volte”. Come prova citano Ebrei 10: 26, CEI: “Se pecchiamo
volontariamente dopo aver ricevuto la piena conoscenza della verità,
non rimane più alcun sacrificio per i peccati”. E ancora Mar. 3: 29,
CEI: “Chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono
in eterno”.
-
La verità:
-
a)
Ricordiamo anzitutto che è sempre Dio che perdona i
peccati. La Chiesa, tramite i suoi vescovi e presbiteri, esercita un
potere datole da Dio. Sì, la Chiesa Cattolica insegna che non c'è
colpa per quanto grave che non si cancelli con la Penitenza, e non
una sola volta, ma molte e molte volte. Ciò dicendo e facendo la
Chiesa Cattolica segue fedelmente la Bibbia
dov'è detto: “Egli (Dio) perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte
le tue malattie” (Salmo 103 (102), 2). E altrove: “Anche se i vostri
peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve” (Isaia
1, 18). E a Pietro che domandava., “Signore, quante volte dovrò
perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?”.
Gesù rispose: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte
sette” cioè sempre (Matteo 18, 22). E Dio sarà meno misericordioso
dell'uomo? (cf. 2 Pietro 3, 9).
-
b) Questo dice la Bibbia. Questo
insegna la Chiesa Cattolica. Ma sia la Bibbia sia la Chiesa
Cattolica aggiungono: “Purché il peccatore si converta e condanni i
suoi peccati” (cf. Ezechiele 18, 23; 33, 11; Luca 15, 7.11 ecc.). Da
parte sua la Chiesa Cattolica insegna: “Tra gli atti del penitente,
la contrizione occupa il primo posto. Essa è “il dolore dell'animo e
la riprovazione del peccato commesso, accompagnato dal proposito di
non peccare più in avvenire” -. E altrove: “Il penitente non creda
di essere stato assolto per la sola fede, senza nessuna contrizione”.
-
c) Contro queste verità nulla provano
i testi citati dai tdG. In quanto a Ebrei 10, 26 va notato che il
testo dice: “Se pecchiamo volontariamente”. Questo indica
chiaramente che qui si tratta di persone che persistono nella
volontà di peccare. Non c'è in esse vera conversione, non c'è
pentimento. In effetti, l'autore di Ebrei 10, 26 parla del peccato
di apostasia, che è ribellione deliberata contro Dio (cf. Ebrei 6,
6). L'apostata rifiuta la Parola di Dio ed è sordo ad ogni richiamo
di ripensamento. La stessa Lettera (cf. Ebrei 6, 6-8) dice che tali
cristiani rinnegati crocifiggono di nuovo Gesù il Cristo e sono come
la terra che, benché imbevuta da pioggia abbondante, produce pruni e
spine. Certo, per costoro non vi può essere perdono di peccati
perché non hanno la volontà di essere perdonati. La Chiesa Cattolica
non assolve in tali situazioni.
-
d) Neppure Marco 3, 29 invalida la
dottrina cattolica della Confessione. Dal contesto appare chiaro
perché la bestemmia contro lo Spirito Santo non può essere perdonata.
Gli scribi avevano accusato Gesù di scacciare i demoni per mezzo del
principe dei demoni (cf. Marco 3, 22). Gesù fa notare che è
impossibile che uno spirito maligno si metta contro altri spiriti
maligni. Questo equivaleva a chiudere gli occhi davanti all'evidenza.
-
Gli scribi conoscevano la verità, ma
non volevano metterla, e la negavano consapevolmente, sapendo quindi
di dire una menzogna in modo esplicito e cosciente, per calunniare
Gesù e allontanare il popolo dal suo insegnamento. Ed è appunto,
questa la bestemmia contro lo Spirito Santo:
-
“In base al contesto immediato, questo
peccato consiste nel rifiuto di riconoscere il potere che agisce
tramite Gesù, attribuendo a satana le opere che egli compie mediante
lo Spirito Santo. Un simile rifiuto di conversione si oppone al
perdono (cf. Matteo 12, 23)”.
-
e) Il peccato di cui in Marco 3, 29 si
rinnova anche dopo Cristo, e non mancano casi ai nostri giorni. La
Chiesa Cattolica, anzi tutta la Cristianità, nella maggior parte dei
loro membri, sono impegnate nella lotta contro il male, dovunque si
annidi: nella vita pubblica e privata, nel mondo degli affari, nella
famiglia ecc. Eppure i tdG, chiudendo gli occhi davanti a tanta luce,
qualificano la Chiesa Cattolica, anzi tutta la Cristianità, come
agenti di satana. Non è questa una bestemmia contro lo Spirito
Santo.
-
2 - L'errore:
-
“Nella Bibbia non è riportato un solo
caso in cui un apostolo abbia ascoltato una confessione segreta e
concessa l'assoluzione. Comunque, i requisiti per essere perdonati
da Dio sono esposti nella Bibbia. Gli apostoli, sotto la guida dello
spirito santo, potevano discernere se le persone
soddisfacevano tali requisiti e, su questa base, potevano dichiarare
se Dio le aveva perdonate o no. Come esempi, vedi Atti 5, 1-11, e
anche 1 Corinzi 5: 1-5 e 2 Corinzi 2: 6-8”.
-
La verità:
-
a)
Come spesso avviene i tdG usano due pesi e due misure
secondo che loro conviene, per ingannare persone ingenue e ignoranti.
Nel caso presente, da una parte contestano alla Chiesa Cattolica il
potere di rimettere i peccati; dall'altra affermano che nella Bibbia
sono esposti i requisiti per essere perdonati da Dio. E aggiungono
che nella Chiesa Apostolica le guide autorizzate (gli Apostoli)
potevano dichiarare se Dio aveva perdonato o no. Questo equivale a
dire che Dio ha dato alla sua Chiesa il potere di rimettere i
peccati a chi è disposto a essere perdonato da Dio. E’ sempre Dio
che perdona. Nessuno ha mai detto il contrario, anche se la
propaganda maligna dei tdG vorrebbe far credere che è il prete che
perdona. Ma questa è solo calunnia, che convince gli ignoranti. Il
confessore discerne se vi sono i requisiti secondo la Parola di Dio
e concede il perdono in nome di Dio. Questo ha fatto Paolo e gli
anziani di Corinto (cf. 1 Corinzi 5, 1-5, supra pp. 35-36). La forma
di esercitare questo potere era pubblica, ma la sostanza era la
stessa: ieri, oggi, sempre.
-
b) I tdG negano alla Chiesa Cattolica
il potere di rimettere i peccati, ma essi se lo appropriano. Due
pesi e due misure ipocritamente! Si sa che gli anziani delle loro
congregazioni locali sono, spesso costituiti giudici e assolvono o
condannano per la morte eterna quei loro seguaci che si fossero
macchiati di qualche colpa, soprattutto del peccato di apostasia.
Nel gergo geovista apostasia equivale a non voler pensare
ed agire come impone il cervello della setta, anche se si è
convinti, e si hanno ottime ragioni, che la Bibbia dice il contrario.
In nome di chi assolvono e condannano?
-
c) Nulla prova dire che nella Bibbia
non vi è un ,solo caso di Apostolo che abbia ascoltato la
confessione segreta e concessa l'assoluzione. Infatti la Bibbia non
dice tutto quello che hanno fatto Gesù e gli Apostoli (cf. Giovanni
21, 25). Comunque, la Bibbia dice chiaramente che il Risorto ha dato
agli Apostoli il potere di rimettere i peccati. Questo è
l'essenziale. Dice pure che in diversi casi gli Apostoli hanno
esercitato questo potere. La forma in cui l'hanno esercitato non
cambia la sostanza. Quella può cambiare ed è cambiata, questa - la
sostanza - rimane sempre. (Cf. 1 Corinzi 5, 1-5; 2 Corinzi 5,
19-20).
-
3 - L'errore:
-
San Giacomo ha scritto ai cristiani
del suo tempo: “Confessate i vostri peccati gli uni agli altri e
pregate gli uni per gli altri per essere guariti” (Giacomo 5, 16).
L'insegnamento è chiaro: io per il mio fratello peccatore non posso
fare altro che pregare, mai assolvere.
-
La verità:
-
a)
Sì, l'insegnamento è chiaro. Qui san Giacomo non
tratta della Confessione sacramentale e perciò non concede a tutti i
discepoli di Gesù il potere di rimettere i peccati. Qui san Giacomo
richiama e raccomanda una pia pratica in uso presso gli Ebrei e
anche presso i primi cristiani (cf. Atti 19, 18) di confessare in
pubblico i propri peccati. Era una dimostrazione pubblica di
pentimento.
-
b)
Parimenti era una pia pratica, e lo è anche adesso,
il pregare gli uni per gli altri, specie quando si ha peccato e sì
ha bisogno del perdono di Dio. E’ sempre Dio che perdona. Ma la
preghiera, specie del giusto, vale molto per ricondurre “un
peccatore dalla sua via di errore” (Giacomo 5, 20). Ma queste pie
pratiche - quella di confessare in pubblico i propri peccati e
pregare per gli altri, specie per i peccatori - non distrugge ciò
che la Bibbia dice altrove molto chiaramente, vale a dire che Dio ha
dato a degli uomini il potere di rimettere i peccati (cf . Matteo 9,
8).
-
4 - L'errore:
-
Quando si pecca contro Dio, bisogna
chiedere perdono solo a Lui. Solo Dio perdona (cf. Matteo: 6, 12;
Salmo 32, 5; 1 Giovanni 2, 1).
-
La verità:
-
a)
Nessun cattolico ha mai detto che è il papa o il vescovo o il
presbitero che perdona i peccati, tutti i peccati, sia quelli contro
Dio sia quelli contro il prossimo. E’ solo e sempre Dio che perdona
sia i peccati direttamente contro di Lui sia quelli contro il
prossimo, che sono anche contro di Lui. Ma Dio ha dato il potere
agli uomini di perdonare i peccati in suo Nome, mediante
l'assoluzione, perché voleva continuare la mediazione visibile di
Cristo, attraverso la Chiesa. E così, attraverso le parole del
sacerdote, il penitente può essere certo e sicuro che Dio lo ha
veramente perdonato.
-
b) Nei testi citati di Matteo 6, 12;
Salmo 32, 5; 1 Giovanni 2, 1 è affermata una sola verità. che solo
Dio perdona. Ma nulla è detto contro quanto lo stesso Dio. ha voluto
fare per assicurarci del suo perdono. A tale scopo egli ha istituito
il sacramento della penitenza.
-
Aggiungiamo infine o ripetiamo che, se
il perdono di Dio deve avvenire nel segreto, nella camera privata, a
porte chiuse (cf. Matteo 6, 6-12) e se la confessione delle proprie
colpe si fa direttamente a Dio (a Geova) (cf. Salmo 32, 5), perché
gli anziani delle “sale del regno” costringono i fratelli della
setta geovista a confessare i loro peccati (o supposti tali) davanti
a tribunali di uomini costituiti da uomini? Non sarebbe più logico
lasciare a Geova il processo e la sentenza? Ma è un'illusione
trovare Iogica nei comportamenti della società Torre di Guardia!
-
5 - L'errore:
-
“Quando si fa un torto al prossimo, o
lo si riceve, la riconciliazione, o perdono, avviene tra offensore
ed offeso (cf. Matteo 5: 23, 24; 18, 15; Luca 17: 3; Efes. 4: 32)”.
-
La verità:
-
a)
In tutti i testi citati dai tdG si parla solo della
riconciliazione tra due o più cristiani tra loro: si raccomanda di
riconoscere il proprio torto, di chiedere perdono al fratello offeso,
di perdonare, di essere benevoli ecc. Ma non è detto nulla contro il
potere di rimettere i peccati dato da Dio alla sua Chiesa.
-
b) La strumentalizzazione, che ne
fanno i tdG per negare la dottrina biblica del Sacramento della
Penitenza, contiene un grosso errore di fondo, vale a dire che
l'offesa fatta al fratello non riguarda Dio. Dio non c'entrerebbe.
Sarebbe una cosa da aggiustarsi tra offeso e offensore. Ma questa è
una eresia! Infatti l'offesa fatta al prossimo è sempre offesa fatta
a Dio: è sempre peccato contro Dio. Dei dieci comandamenti dati da
Dio a Mosè (cf. Esodo 20, 2-17) ben sette riguardano offese fatte al
prossimo. Sarebbe assurdo dire che in tutti questi casi basta una
riconciliazione tra offensore ed offeso per avere il perdono di Dio.
I tdG scrivono questi grossolani errori pur di negare alla Chiesa
Cattolica il potere di rimettere i peccati.
-
6 - L'errore:
-
“Simon Mago, di cui in Atti 8, 22, non
è assolto da Pietro, ma da Dio”.
-
La verità:
-
a) Il
mago non aveva né voleva avere le condizioni
necessarie per essere assolto da Pietro. Questi infatti gli dice:
“Ti vedo chiuso in fiele amaro e in lacci di iniquità” (Atti 8, 23).
Scosso dal rimprovero di Pietro il mago ha solo paura di essere
colpito dai castighi divini. Perciò dice a Pietro: “Pregate voi per
me il Signore perché non mi accada nulla di ciò che avete detto” (Atti
8,1 24).
-
b)
In tutto questo testo di Atti 8, 20-24 non è detto
che Dio abbia assolto il mago. E tanto meno è detto che Pietro non
l'abbia potuto assolvere in nome di Gesù, se avesse mostrato i segni
di un vero pentimento.
-
7 - L'errore:
-
“Nelle Lettere a Timoteo e a Tito non
troviamo tra le mansioni dei vescovi e dei presbiteri quella di
confessare. Non c'è una sola parola di Paolo che mostri che egli
considerasse l'assolvere dai peccati come un ufficio del ministero
cristiano”.
-
La verità:
-
a)
Timoteo fu discepolo e compagno di Paolo nei suoi
viaggi missionari (cf. Atti 17, 14ss.; 18, 5; 19, 22; 20, 4). Fu
incaricato d'una speciale missione a Tessalonica (cf. 1
Tessalonicesi 3, 2-6) e Corinto (cf. 1 Corinzi 4, 17; 16, 10; 2
Corinzi 1, 9). Prima di ricevere questi incarichi era stato
approvato da Paolo e dai presbiteri (cf. 1 Timoteo 1, 18; 4, 14; 2
Timoteo, 1, 6). Fu richiesto da Paolo di dirigere la chiesa di Efeso
(cf. 1 Timoteo 1, 3). Questi particolari sono sufficienti per essere
certi che Timoteo conosceva assai bene come guidare una comunità e
non c'era bisogno che Paolo gli ripetesse tutta la dottrina
cristiana in uno o due scritti aventi uno scopo piuttosto pastorale
che dottrinale.
-
Anche Tito, benché in modo alquanto
diverso, è discepolo e compagno di Paolo nel lavoro apostolico. Ebbe
anche lui incarichi di responsabilità a Corinto (cf. 2 Corinzi 2,
13; 7, 6). Fu lasciato a Creta, dov'è indirizzata appunto la Lettera
a Tito, con l'incarico di regolare ciò che rimaneva da fare (cf.
Tito 1, 5). Possiamo affermare con certezza che anche Tito conosceva
bene tutto l'insegnamento di Paolo, compreso quello riguardante la
riconciliazione con Dio (cf. 2 Corinzi 5, 18-20), anche se Paolo nel
breve scritto che è la Lettera a Tito, non parla di questo ministero>.
-
b) Notiamo pure che la
difficoltà mossa dai negatori della Confessione poggia su un
principio assai labile: a loro avviso in ogni scritto della Bibbia
dovremmo avere tutta la dottrina predicata da Cristo e dagli
Apostoli. Questo principio è falso. Se fosse vero, dovremmo negare
tante verità che si trovano nei vangeli e non in san Paolo e
viceversa. Oppure tante verità di cui Paolo parla in una Lettera, ma
non ne parla in un'altra. Un esempio. Nelle Lettere a Timoteo e
Tito, Paolo non parla della Cena del Signore e del comando di
rinnovarla (cf. 1 Corinzi 11, 17-27). Dunque Gesù non celebrò la
Cena Pasquale né diede ordine di fare lo stesso in sua
memoria! Gli esempi sono molti. Questo dimostra come i contestatori
della dottrina della Chiesa Cattolica sono spesso molto superficiali
nelle loro affermazioni. “Accertatevi d'ogni cosa” ammonisce san
Paolo (1 Tessalonicesi 5, 21).
-
c) Anche se nelle Lettere Pastorali
non vi è esplicita menzione del potere di rimettere i peccati, non
mancano tuttavia vive esortazioni a convertire, ossia riconciliare i
peccatori con Dio (cf. 1 Timoteo 1, 15-16). Timoteo, in armonia con
le profezie che sono state fatte a suo riguardo, fondato su di esse,
deve combattere la buona battaglia, a fine di ricuperare i traviati
(cf. 1 Timoteo 1, 18-19). Il modo Paolo non lo dice esplicitamente,
ma si può supporre che Timoteo sapeva come comportarsi in simili
casi, ricordando come si era comportato Paolo a Corinto (cf. 1
Corinzi 5, 1-5).
-
d)
In 1 Timoteo 5, 20 Paolo scrive: “Quelli poi che
risultino colpevoli riprendili alla presenza di tutti”. Anche se non
si parla esplicitamente di “peccati perdonati”, si tratta pur sempre
di mancanze, "colpe", che devono essere riparate, e Timoteo non deve
restare passivo, ma deve intervenire per ristabilire il giusto modo
di agire cristianamente. Naturalmente si suppone che i "colpevoli",
si pentano, chiedano perdono, siano riconciliati e cambino vita,
adottando un comportamento coerente con il Vangelo. E certamente
Timoteo esercita un potere su coloro che si comportano male nella
comunità.
-
8) L'errore:
-
Con riferimento a Matteo 18, 15-17 i
tdG hanno scritto:
-
“In questioni che implicano gravi
violazioni della legge, uomini responsabili nella congregazione
avrebbero dovuto emettere un giudizio e decidere se un trasgressore
doveva essere "legato" (considerato colpevole) oppure "sciolto" (assolto).
Significa questo che il cielo avrebbe seguito le decisioni di
esseri umani? No (...). In effetti, è irragionevole pensare che le
decisioni di un essere umano imperfetto possano essere vincolanti
per coloro che sono nei tribunali celesti. E’ molto più ragionevole
dire che i rappresentanti nominati da Cristo avrebbero seguito le
sue istruzioni per mantenere pura la sua congregazione. Avrebbero
fatto questo prendendo decisioni basate su principi già stabiliti in
cielo”.
-
La verità:
-
a)
Prendiamo atto anzitutto che i tdG ammettono, con
riferimento a Matteo 18, 15-17, che nella congregazione vi sono
uomini responsabili che possono e devono emettere un giudizio e
decidere se un trasgressore deve essere "legato" (considerato
colpevole) oppure "sciolto". Questo è appunto quello che fanno gli
uomini responsabili nella Chiesa Cattolica (vescovi, sacerdoti)
applicando il comando del Signore di "legare" (considerare colpevoli)
oppure di "sciogliere" (assolvere). Dunque Dio ha dato a degli
uomini il potere di rimettere o di ritenere i peccati (cf. Matteo 9,
8; 18, 18; Giovanni 20, 22-23).
-
b)
Fin qui nulla da dire in contrario. Ma quel che segue
è solo un cumulo di stupidità. In effetti, mai nessun cattolico ha
detto o pensato che gli uomini responsabili nelle congregazioni o
rappresentanti nominati da Cristo emettono decisioni vincolanti per
coloro che sono nei tribunali celesti. La Chiesa Cattolica ha sempre
insegnato e insegna che i ministri della confessione seguono
fedelmente e coscienziosamente le istruzioni ricevute da Cristo per
mantenere pura la sua Chiesa. Dire il contrario, è solo ignoranza (nella
base) e malafede (nei capi).
-
c) A conferma basta ricordare che la
Chiesa Cattolica, prima di concedere a un suo ministro la facoltà di
confessare (= emettere cioè un giudizio sul comportamento morale di
un fratello), si assicura che il ministro abbia seguito i regolari
corsi di studio delle varie discipline religiose per conoscere bene
le istruzioni date da Cristo per la guida della sua Chiesa. Tali
corsi durano quattro o cinque anni. Inoltre tali ministri sono
obbligati ad aggiornarsi continuamente soprattutto nella scienza
morale per conoscere sempre meglio, con fedeltà alla Bibbia, le
istruzioni date da Cristo circa il rimettere o ritenere i peccati.
-
d)
In virtù della loro preparazione scientifica i
confessori interpretano nei singoli casi una decisione già presa nel
cieli, vale a dire decidono caso per caso se è conforme alle
istruzioni date da Cristo ritenere "legato" o "sciolto" un peccatore.
Il giudizio o decisione emessa dal confessore - essere umano
imperfetto - segue, non precede il giudizio emesso nei cieli; è
vincolata, non vincolante, dai tribunali celesti, cioè da Dio, che
ha parlato mediante il suo unico Figlio, Gesù Cristo, Dio-con-noi
(cf. Matteo 1, 23), Potenza e Sapienza di Dio (1
Corinzi 1, 24).
-
Ripetiamo: gli uomini responsabili
nella vera Chiesa di Gesù Cristo, che è la Chiesa Cattolica, seguono
nel ministero del Sacramento della Penitenza la direttiva
proveniente dal cielo. Dire che essi impongono al cielo le loro
decisioni equivale a dire e ripetere un'infame calunnia.
-
-
9) L'errore:
-
“La confessione non produce alcuna
tendenza a cercare di evitare il peccato nel futuro”, dice Ramona,
che come cattolica si è confessata da quando aveva sette anni”.
-
La verità:
-
a) E’ lecito domandare: Chi è questa
Ramona? Potrebbe dirci l'anonimo scrittore della Torre di Guardia
dove, quando, come si confessava? Potrebbe dirci
ancora se la testimonianza d'una persona ignota, sconosciuta, forse
mai esistita, può servire di norma generale, valere per tutti i casi?
E se è una pura invenzione a scopo di propaganda settaria ! ! !
-
b)
L'autore di questo opuscolo amministra il Sacramento
della Confessione da circa 30 anni in uno dei Santuari Mariani più
frequentati d'Italia.
-
Viene gente da ogni parte del mondo
appunto per fare una buona confessione. Posso dire che tra migliaia
di casi non ho trovato nessuna Ramona. Ho ascoltato ed ascolto
centinaia, migliaia di confessioni con la gioia di aver visto e di
vedere tanti, tantissimi uomini e donne, giovani d'ambo i sessi
tornare gioiosi alla Casa del Padre, a perseverare e crescere in
essa. Tra questi anche non pochi reduci dall'amara esperienza fatta
tra gli schiavi della società torre di Guardia.
-
Lode a Dio nel più alto dei cieli
|