PADRE NICOLA TORNESE
PICCOLA COLLANA
"I TESTIMONI DI GEOVA"
 
 
Uomini di serie B Vivi o morti? Geova chi era costui? E' prossima la fine.. E voi chi dite che...
Bibbia sangue e medicina La croce E  le croci La Madonna contestata Trinità Amore o falsità? Pietro e la Pietra
Bibbie a confronto Immagini e Santi Il Natale festa pagana... Regno di Dio o... .? Appello a Cesare
Battesimi e Battesimo Inferno La Cena del Signore Purgatorio Paradiso
Con quale autorità? Risurrezzione La Crocifissione   INDEX
 
PIETRO
E LA
PIETRA
 
OPUSCOLO   N° 10
PICCOLA COLLANA
 
"I TESTIMONI DI GEOVA"
 
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Padre Nicola Tornese
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Esaminate ogni cosa (1 Tess. 5, 21)
I testimoni di Geova (tdG) hanno un'avversione particolare contro la Chiesa Cattolica.
Perché?
Perché vedono in essa l'ostacolo maggiore alla diffusione dei loro gravissimi errori, la colonna e il sostegno della verità (cf. 1 Timoteo 3, 15).
Inoltre i geovisti non ignorano l'immensa autorità morale, di cui gode il Papa, successore di san Pietro,, il Primo degli Apostoli (cf. Matteo 10, 2). Uno dei principali obiettivi dei loro strali velenosi è perciò il Romano Pontefice, la roccia, su cui il Signore Gesù assicurò dì voler costruire la sua vera Chiesa (cf. Matteo 16, 18, infra).
Nel vano tentativo di distruggere il Papato, i tdG, com'è, loro abitudine, fanno un uso fazioso della Bibbia, mettono cioè in evidenza e spiegano arbitrariamente solo alcuni testi biblici, tralasciando numerosi altri, che smascherano inesorabilmente i loro errori e i loro sofismi.
Il metodo seguito dal geovisti ha un unico scopo, quello cioè di creare dubbi e confusione in chi non è capace d'intendere, non di far conoscere la verità oggettivamente e onestamente. Ostentatamente dicono di seguire la Bibbia; in realtà i loro discorsi “sono ragionamenti falsi e maliziosi. Sono frutto di una mentalità umana o vengono da spiriti che dominano questo mondo. Non sono pensieri che vengono da Cristo” (Colossesi 2, 8; La Bibbia in lingua corrente)
Bisogna dubitare sempre delle loro affermazioni. Bisogna consultare sempre le fonti, soprattutto la vera Bibbia, non quella falsa venduta dai tdG.
Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono! (1 Tessalonicesi 5, 21).
Su questa base di sincero amore per la verità e docili all'esortazione dell'Apostolo ai cristiani di Tessalonica, noi vogliamo esaminare coscienziosamente tutti i testi biblici riguardanti il Primato di Pietro e dei suoi successori, i Romani Pontefici, contro la strumentalizzazione che della Bibbia fanno i tdG.
 
PARTE 1
IL PRIMATO DI PIETRO
L'errore
Fedeli al loro metodo equivoco e ingannevole i tdG, nel problema di cui ci occupiamo, insistono unilateralmente, cioè faziosamente, su quei testi biblici dov'è detto che Cristo è la pietra o roccia e fondamento della Chiesa, ma ignorano o mettono in penombra o sorpassano con disinvoltura gli altri testi biblici dove l'appellativo di pietra o roccia e di fondamento è dato anche ad altri, specialmente a Simone, il figlio di Giovanni, cioè al Primo degli Apostoli di Cristo.
Come prova riportiamo un pezzo di propaganda geovista, che è un capolavoro del metodo ingannevole nell'uso della Bibbia seguito dai tdG:
“Chi è il fondamento della vera chiesa? Gesù Cristo rese chiaro che egli stesso è tal fondamento. Egli applicò a se stesso la profezia di Salmo 118:22, dicendo: "La pietra che gli edifìcatori hanno rigettata è divenuta la principale pietra angolare" (Matteo 21:42-44). L'apostolo Paolo aggiunge la sua testimonianza che Gesù è "la principale pietra angolare", scrivendo ai cristiani di Efeso: "Siete concittadini dei santi e membri della casa di Dio, sopraedifìcati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, con lo stesso Cristo Gesù quale pietra angolare" (Efesini 2: 19, 20, Ga). L'apostolo fu molto esplicito al riguardo, dicendo di nuovo: "Perché nessuno può porre altro fondamento oltre quello che già vi sta; e questo è Gesù Cristo" (1 Corinzi 3:11, Ga). Non potrebbe esserci per la vera chiesa un fondamento più eccellente e più sicuro di Cristo Gesù, non è vero?
La verità
Per scoprire l'inganno geovista bisogna tener presente che nella Bibbia vi è un uso molteplice della metafora sia della pietra o roccia sia del fondamento, con differenti applicazioni. Di questa ricchezza biblica bisogna tener debito conto e precisare di volta in volta il significato della metafora. Questo i geovisti non lo fanno, ma presentano della Bibbia una conoscenza volutamente parziale,  oscurando così la verità di Dio.
Al contrario di ciò che fanno gli eretici, noi vogliamo precisare i vari significati di pietra o roccia e di fondamento, che è la via sicura per giustificare le verità biblica del Primato di Pietro e dei suoi successori.
 
I. - La pietra o roccia. La metafora della pietra o roccia ha nella Bibbia soprattutto i quattro se- guentì significati ed applicazioni:
a) Viene applicata anzitutto a Jahve, come appare dalle seguenti citazioni. “Jahve è la Roccia del mio rifugio”, ripeteva Davide in circostanze difficili della sua vita (2 Samuele 22, 2). Diceva pure: “Jahve è la Roccia di Israele” (2 Samuele 23, 3).
Prima di Davide Mosé aveva detto: “Jahve è Roccia” (Deuteronomio 32, 4). E più tardi Isaia additava Jahve come Roccia dei popolo eletto (cf. Isaia 17, 10; 44, 8). Infine il salmista pregava: “Benedetto Jahve, mia Roccia” (Salmo 144, 1; 95, 1 ecc.).
b) Nel Nuovo Testamento Gesù si è qualificato come “la pietra d'angolo” (Matteo 21, 42), ossia come la pietra principale nella edificazione del nuovo Israele, applicando a se stesso le parole del Salmo 118, 22-23 (cf. Efesìni 2, 19-20).
E’ chiaro che l'essere Pietra di Cristo non vanifica l'essere Roccia di Jahve né viceversa l'essere Roccia di Jahve svuota l'essere Pietra di Cristo. Solo bisogna sapere e volere conciliare le due esplicite testimonianze della Bibbia senza detrimento né dell'una né dell'altra.
c) Anche Simone, il figlio di Giovanni, è qualificato come Pietra nella Bibbia del Nuovo Testamento. Fu Gesù stesso a imporgli questo nuovo nome come leggiamo in san Giovanni:
“Andrea incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia" (...) e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui Gesù disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)"” (Giovanni 1, 41-42; cf. Marco 3, 16).
E’ chiaro anche qui che l'essere Cefa o Roccia di Simone non vanifica l'essere Pietra o Roccia di Cristo, né viceversa. Le due cose si possono e si devono conciliare per essere fedeli a tutto ciò che dice la Scrittura con onestà e coraggio, senza ridimensionare la Parola di Dio a nostro piacimento.
d) Ricordiamo infine che tutti i credenti in Cristo sono detti nella Bibbia pietre vive. San Pie- tro applica anche ad essi la metafora della pietra (cf. 1 Pietro 2, 4-5).
2. - Il fondamento. Anche la metafora di fondamento ricorre nella Bibbia più d'una volta e naturalmente con diversi significati ed applicazioni. Ricordiamone alcune.
a) Fondamento, prima di tutti, è detto Gesù Cristo, secondo la vigorosa precisazione di san Paolo. Scrive l'Apostolo: “Ma ciascuno stia attento come costruisce. infatti nessuno può porre un fondamento diverso.da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” (1 Corinzi 3, 10-1 1).
b) Ma oltre che per Cristo, Paolo usa la metafora di fondamento anche per gli Apostoli e i profeti. Riportiamo le sue parole:
“Voi (= i pagani divenuti cristiani) non siete più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli Apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo” (Efesini 2, 19-20).
San Giovanni poi nell'Apocalisse 21, 14 ci fa sapere che:
“Le mura della città (= della Chiesa) poggiano su dodici basamenti, su cui sono i nomi dei dodici Apostoli”.
c) Infine la Chiesa tutta in terra, ancora da san Paolo, è detta fondamento:
“Voglio che tu (= Timoteo) sappia come comportarti nella casa di Dio che è la Chiesa del Dio Vivente, colonna e sostegno (= fondamento) della verità” (1 Timoteo 3, 15)
Ricchezza e povertà
Contrariamente a ciò che fanno i tdG che, per scopi settari, omettono tanti testi biblici e impoveriscono la Parola di Dio, fedeltà alla Sacra Scrittura esige che tutte le metafore della roccia o pietra e fondamento siano tenute in debito conto senza far torto allo Spirito Santo che le ha suggerite. Ciascuna infatti indica a suo modo la funzione di pietra-fondamento senza vanificare le altre. Indichiamo brevemente le singole funzioni:
a) Jahve è la Roccia in quanto costituiva il primo fondamento dell'antico Israele, tipo e figura della Chiesa. In Lui, ossia nella sua bontà e fedeltà, poggiavano la fede e la speranza degli Israeliti; in Lui poggiano la fede e la speranza del nuovo Israele (cf. Galati 6, 18), ossia di tutti i veri discepoli di Cristo.
b) Cristo è la Roccia, ossia la pietra principale e fondamentale della comunità dei salvati (della Chiesa), perché in Lui la bontà e la fedeltà di Jahve sono apparse all'uomo per salvarlo (cf. Tito 3, 4). Poggiando su di Lui, che è l'Emmanuele, che significa Dio-con-noi (cf. Matteo 1, 23; Isaia 7, 14), siamo sicuri di poggiare sull'unico e vero Dio. Il monito di san Paolo vale sempre e per tutti: “Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” (1 Corinzi 3, 11).
c) Gli Apostoli e i profeti sono fondamento perché la loro testimonianza sui fatti e i detti di Gesù, trasmessa sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, rimane la norma definitiva (cf. Giuda 3) di fede e di vita per chiunque voglia aderire a Cristo e per mezzo suo all'unico e vero Dio. Poggiando sulla testimonianza apostolica, siamo certi di poggiare su Cristo, fondamento o pietra principale della vera Chiesa, e in definitiva su Dio.
d) Tutti i credenti in Cristo sono pietre vive nel senso che formano il materiale con cui Cristo edifica la sua Chiesa, “vengono edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito.” (Efesini 2, 20-22). La Chiesa di Cristo è formata da creature umane che, trasformate dalla fede e dall'amore, diventano elementi preziosi con cui viene edificata la dimora di Dio con gli uomini (cf. Apocalisse 21, 2-3), la città santa, la Nuova Gerusalemme.
Simone, la roccia (Giov. 1, 42)
Senza nessun detrimento né di Dio né di Cristo né degli Apostoli né dei credenti in Cristo, il Divino Fondatore della Chiesa ha voluto che Simone, il figlio di Giovanni, esercitasse una funzione specifica di roccia.Quale?
a) Simone, il figlio di Giovanni, deve certamente dirsi fondamento della Chiesa in quanto Apostolo, anzi il Primo degli Apostoli (cf. Matteo 10, 2) aí sensi della testimonianza di san Paolo già ricordata (cf. Efesini 2, 19). A lui pure si applica la metafora della pietra viva in quanto credente in Cristo, che con la fede e con l'amore fino al martirio è divenuto una componente di primo piano nella costruzione della dimora di Dio con gli uomini.
b) Ma nei suoi riguardi la Bibbia dice qualcosa di più, di particolare, di specifico.
Nel primo incontro con lui Gesù gli cambiò nome e volle che si chiamasse Cefa, che vuol dire Pietro (Giovanni 1, 42). Il vangelo di Marco conferma questa volontà di Cristo. Dopo una notte di preghiera, solo, in luogo appartato, Gesù costituì il gruppo dei Dodici. Al primo posto è collocato Simone, “al quale impose il nome di Pietro” (Mar- co 3, 16; cf. Luca 6, 12-16). Il gesto di Cristo non fu un gesto improvvisato, ma meditato nella lunga preghiera.
c) Per chi legge la Bibbia con intelligenza ed amore questo gesto di Cristo non può non provocare delle domande, a cui bisogna rispondere in modo convincente, non superficiale, avendo sempre la Bibbia come guida:
-      Se Simone doveva essere fondamento come gli altri Apostoli e pietra viva come tutti i credenti in Cristo, perché solo a lui il Maestro volle imporre il nome di Cefa (= uomo-roccia)? Perché proprio quel nome e non un altro?
-     - Se Cristo voleva essere lui la Roccia o Pietra in modo esclusivo, perché chiamò roccia o pietra anche il Primo degli Apostoli? E’ possibile conciliare le due cose senza detrarre nulla dalla gran- dezza di Cristo e dalla funzione di Simone?
d) La risposta adeguata alle domande sopra formulate si ha solo se si ammette che il gesto di Cristo aveva un significato preciso e sicuro: Cristo volle che Simone, divenuto Pietro o Cefa, fosse l'uomo-roccia, in vista dell'opera che egli - il Maestro - stava per attuare, ossia la fondazione e la edificazione della nuova comunità la Chiesa. Dando a Simone il nome di Roccia (Pietro) Gesù voleva indicare che Simone avrebbe dovuto esercitare una funzione fondamentale nella Chiesa.
Quale? Pietro, poggiando se stesso su Cristo, il principale e insostituibile fondamento della Chiesa, confermerà nella verità tutti i suoi fratelli (cf. Luca 22,32). La funzione specifica di Pietro, a livello visibile, sarà sempre garanzia che la fede della Chiesa manterrà piena fedeltà alla Parola di Dio.
Dov'è Pietro ivi è la Chiesa; dov'è la Chiesa ivi è Cristo; dov'è Cristo ivi è la salvezza (S. Ambrogío).
La promessa del Primato
In due tempi della sua vita Gesù Cristo ha manifestato chiaramente la sua volontà di affidare a Simone la funzione specifica di fondamento della Chiesa. Il primo è conosciuto come il tempo della promessa del Primato. Il secondo come quello del conferimento effettivo.
La promessa del Primato si trova in Matteo 16, 16-18:
“Disse loro Gesù: "Voi chi dite che io sia?". Rispose Simon Pietro. "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". E Gesù: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. Ed io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli ìnferi non prevarranno contro di essa"”.
 
Spiegazione:
a) Degno di nota è, prima di tutto, il fatto che Pietro, rispondendo a nome degli altri Apostoli e illuminato dall'alto, professa Gesù “il Cristo, il Figlio del Dio Vivente”. Pietro riconosce nel suo Maestro non “qualcuno dei profeti”, né un figlio di Dio, ma Il Figlio di Dio, unico nei suoi rapporti di figliolanza col Padre (cf. Romani 8, 32).
b) A Pietro, che crede e professa la figliolanza divina di Cristo, che dichiara cioè chi veramente sia il Cristo, vien detto dal Figlio di Dio chi veramente debba essere Simone nella comunità dei discepoli di Cristo. Egli sarà l'uo,mo-roccia su cui il Figlio di Dio edificherà la sua Chiesa. Appare così chiaro che fondamento della Chiesa sarà l'eterna e immutabile professione di fede in Cristo, il Figlio dei Dio Vivente, la fede cioè nella sua uguaglianza di natura coi Padre. Pietro, l'uomo-roccia, sarà garante di questa immutabile fede.
c) In effetti, la promessa di Cristo a Pietro è accompagnata da una garanzia che solo Dio poteva fare: Gesù, il Figlio del Dio Vivente, assicura che la sua Chiesa, arroccata su Pietro, non sarà mai sopraffatta dalle forze avverse (Ades o Morte), non vedrà mai la morte. Rimarrà sempre viva e portatrice di vita. Ma solo arroccata su Pietro.
Un grosso errore dei tdG
In base alla conoscenza oggettiva della Bibbia, senza pregiudizi confessionali, oggi tutti gli studiosi si accordano sempre più che la pietra (roccia), su cui Cristo ha promesso di edificare la sua Chiesa, è Pietro professante la fede nella divinità di Cristo. Fanno eccezione i seguaci di alcune sette, rimasti ancora su posizioni vecchie e irrazionali, soprattutto i tdG, secondo cui le parole “su questa pietra” (Matteo 16, 18), andrebbero riferite a Cristo, non a Pietro. Hanno scritto:
“Quando Gesù disse a Pietro: "Su questa pietra edificherò la mia chiesa", egli si riferiva a se medesimo come la grande Rocca sulla quale la sua "chiesa" sarebbe edificata. Secondo il manoscritto siriaco Gesù disse: "Tu sei Cefa: e su questa pietra (cefa) edificherò la mia chiesa". Nel manoscritto siriaco il tu è maschile ed indica che il primo Cefa è di genere maschile e si riferisce quindi allo apostolo Pietro, ma l'aggettivo questa è femminile; ciò dimostra che il secondo cefa è di genere femminile e non si riferisce a Pietro, ma a qualcun altro. Si riferisce infatti a Cristo Gesù, il quale costituisce la petra (greco” o grande Rocca”.
 
Osservazioni:
a) Ponderate bene le parole dei geovisti là dove dicono. “il secondo cefa è di genere femminile e non si riferisce a Pietro, ma a qualcun altro”. La logica e anche la grammatica esigerebbero che il secondo cela, essendo di genere femminile, si riferisse a qualcun'altra, a una persona cioè di genere femminile, come per esempio alla suocera di Pietro o a Petronilla, sua legittima figlia.
Ma non è questa né logica né la grammatica dei tdG! A loro avviso, il secondo cefa, essendo di genere femminile, non si riferisce a Pietro perché uomo, ma a... Gesù Cristo! Gesù Cristo dunque, nel vocabolario geovista, è di genere femminile! Tali idiozie si trovano solo negli scritti dei tdG e sono molto adatte per coloro che frequentano le sale del regno.
b) La verità è che la differenza di genere è dovuta a esigenze di lingua sia nella traduzione siriaca che in quella greca, latina, italiana ecc. Ma queste esigenze di lingua non cambiano il pensiero di Cristo secondo cui le parole su questa pietra vanno riferite sicuramente a Simon Pietro.
In aramaico, la lingua parlata da Gesù, Pietro e pietra corrispondono a un unico termine, cioè cefa, che è di genere maschile. Volendo conservare il genere in tutti e due casi, si potrebbe dire in italiano: “Tu sei il fondamento roccioso e su questo fondamento roccioso ecc.”.
Nelle traduzioni (greca, siriaca, latina, italiana ecc.) il primo cela (tu sei Cefa) diventa Petròs (cf. Giovanni 1, 42), ossia nome di uomo e rimane maschile come nell'originale aramaico. Ma il secondo cefa (su questa pietra), continuando ad essere nome comune, cambia genere (da maschile in femminile), perché la parola greca (siriaca, latina, italiana ecc.) corrispondente è di genere femminile. Ma ciò è dovuto a esigenze linguistiche, come già si è detto, senza che la metafora cambi significato.
 
c) Altre considerazioni: - Se le parole “su questa pietra” si riferissero a Cristo e non a Pietro, avremmo un linguaggio contorto e confuso. Gesù avrebbe iniziato il suo dire rivolgendosi a Pietro: “Beato te Simone (...). Tu sei Pietro”. A questo punto, dimenticando bruscàmente il suo interlocutore, si sarebbe rivolto a se stesso. Poi di nuovo a Pietro: “A te darò le chiavi...”. Pietro con la sua solita franchezza avrebbe potuto chiedere: “Perché dici che sono Cefa, proprio ora, se poi intendi parlare di te stesso come Cefa?”.
- Il discorso invece diventa logico e chiaro se si ammette, come di fatto è, che tra “tu sei Cefa” e “su questa pietra (cefa)” vi sia corrispondenza.
Gesù ha spiegato a Pietro che cosa comportava il suo nuovo nome,  qual' era cioè la natura della sua missione e il suo destino nella Chiesa.
Un'opinione di sant'Agostino
A questo punto i tdG fanno entrare in scena Agostino, “cui - dicono - si fa dì solito riferimento come a sant'Agostino”. Scrivono:
“Benché una volta considerasse Pietro come la "roccia", in un tempo successivo Agostino espose in modo diverso il suo pensiero, dicendo nelle sue Retractatìones: "Da allora ho frequentemente spiegato le parole del nostro Signore: 'Tu sei Pietro e su questa roccia edificherò la mia chiesa', nel senso che si dovrebbero intendere come rivolte a colui che Pietro confessò quando disse: 'Tu sei il Cristo, il Figlio dell'Iddio vivente'... Poiché ciò che fu detto (a Pietro) non fu 'Tu sei la roccia', ma 'Tu sei Pietro'. Ma la roccia era Cristo”.
 
Osservazioni:
 Com'è loro abitudine, i tdG riferiscono solo in parte ciò che scrisse sant'Agostino, in una forma cioè faziosa e ingannevole. Non è difficile scoprire l'inganno sia ricordando la dottrina di Agostino sulla funzione di Pietro nella Chiesa sia analizzando il testo strumentalizzato dai tdG.
a) Ricordiamo anzitutto che sant' Agostino non negò mai la dottrina del Primato di Pietro. Al contrario, l'ammise esplicitamente provandola soprattutto dalle parole di Cristo a Simon Pietro dopo la risurrezione: “Pasci le mie pecore” (Giovanni 21, 16-17, infra). Il Dottore della Chiesa Cattolica sant'Agostino insegna che con queste parole Cristo costituì Pietro quale capo del corpo della Chiesa'. Capo, s'intende, non come Cristo, ma a livello visibile, su questa terra, durante il tempo della storia. Questa dottrina Agostino non l'ha mai ritrattata! .
b) Ciò che sant'Agostino ritrattò, fu solo la sua interpretazione di Matteo 16, 18. In un primo tempo egli aveva ritenuto che le parole “su questa pietra” si dovessero riferire a Pietro. Poi cambiò idea e preferì l'opinione secondo cui quelle parole andrebbero riferite a Cristo. Ma affermò esplicitamente che l'altra spiegazione, da lui prima seguita, era accettata da molti, tra i quali il beatissimo Ambrogio. Agostino mai contestò ad Ambrogio l'interpretazione di Matteo16, 18 come errata benché diversa dalla propria .
c) Sant'Agostino dunque professò sempre la dottrina biblica del Primato di Pietro. Ma seguì o preferì un'opinione sua personale nella interpretazione di Matteo 16, 18, delle parole cioè “su questa pietra”. Era libero di farlo perché nella Chiesa Cattolica vi è libertà di opinioni a riguardo di esegesi o interpretazione di singoli testi biblici, salva sempre la sostanza della fede. li grande Dottore Agostino ebbe comunque l'onestà di dire che altri, cioè molti la pensavano diversamente. Egli non li condannò come eretici. Questo particolare così importante i tdG l'hanno nascosto ai loro lettori!
A Pietro le chiavi del Regno
Con due immagini bibliche, quella delle chiavi e quella del legare e sciogliere, Gesù ha reso più chiare il suo pensiero, vale a dire ha fatto capire bene che cosa egli intendeva affidare a Pietro, costituendolo roccia o pietra della sua Chiesa. Sempre rivolto a Pietro Gesù continua dicendo:
“A te darò le chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Matteo 16, 19).
 
Spiegazione:
I. - La prima immagine - quella della chiave o delle chiavi - era stata usata dal profeta Isaia. Parlando a nome di Jahve, il profeta aveva detto:
“Metterò il tuo (di Sebna) potere nelle sue (di Eliakim) mani (...). Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide; se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire” (Isaia 22, 21-22).
Sebna era stato un ministro infedele del re Ezechia. Fu rimosso dal suo ufficio e il potere fu dato ad Eliakim: sulla sua spalla fu posta la chiave della casa reale (di David). In stile biblica dare la chiave equivale a costituire qualcuno in autorità. Usare la chiave per aprire e chiudere significa esercitare il potere legislativo ed esecutivo.
Nel Regno di Dio chi tiene la chiave è il Signore Gesù, “quando egli apre nessuno chiude, e quando chiude nessuno apre” (Apocalisse 2, 7). Qui si parla d'una sola chiave come in Isaia 22, 22. Altro- ve, nell'Apocalisse, lo stesso Gesù dice: “E ho le chiavi della morte e dell'ade  (Apocalisse 1, 18). Qui si parla di più chiavi, ma il significato non cambia: “Ho il potere sopra la morte e sopra gli ìnferi”.
E’ dunque fuor di dubbio che con l'immagine biblica delle chiavi Gesù ha voluto conferire a Pietro una specifica autorità nella Sua Chiesa, vale a dire il ministero autorevole d'interpretare la Parola di Dio e curare che sia accolta e vissuta dai veri discepoli del Signore. L'esercizio di questo ministero si ha sulla terra, ma le conseguenze si hanno anche in cielo. Questo significa che i giudizi di Pietro sono ratificati da Dio.
 
2. - La seconda immagine - quella del legare e sciogliere - conferma ed esplicita il contenuto dell'immagine o simbolo delle chiavi. Nel linguaggio corrente al tempo di Gesù, specie in quello degli scribi e dottori della Legge, legare aveva il significato di condannare con autorità, oppure proibire o dichiarare vietata una cosa, un'azione, un comportamento. Al contrario, sciogliere voleva dire permettere o assolvere o dichiarare lecita una cosa.
Pietro dunque, costituito maggiordomo nella Chiesa di Dio, ha il potere sulla terra di dichiarare con autorità ciò che è contrario e quindi esclude dal Regno di Dio; e ciò che ad esso è conforme e rende lecito l'accesso. In altre parole, a Pietro qui sulla terra spetta il giudizio determinante in materia di fede e di morale sempre in rapporto al Regno di Dio. E’ chiaro che egli può fare tutto questo in nome di Cristo, vale a dire ha la funzione di interpretare autorevolmente ciò che Cristo ha insegnato, senza che nulla sia detratto o aggiunto al deposito della fede. La fede di Pietro è, norma sicura di fede per tutti i veri discepoli di Cristo.
Una spiegazione sbagliata
Anche la metafora delle chiavi è spiegata dai geovisti in modo arbitrario e confuso col solo fine di oscurare l'insegnamento del Vangelo. Il loro errore o piuttosto il cumulo dei loro errori è espresso nel modo seguente:
“Le chiavi - essi dicono - sono simbolo della conoscenza come leggiamo in Luca 11,52. Pietro usò la prima chiave il giorno di Pentecoste del 33 E.V. per aprire agli Ebrei l'opportunità di entrare nel regno celeste. Usò poi la seconda chiave tre anni dopo, nel 36 E.V., a favore dei non-giudei incirconcisi Gentili. Non c'era più nessun bisogno che Pietro usasse ulteriormente le chiavi del regno dei Cieli”.
Nel 1980, vale a dire quindici anni dopo aver scritto e stampato il pezzo sopra citato, il Corpo Direttivo di Brooklyn, N. Y. cambiò parere: le chiavi consegnate a Pietro sarebbero tre, non più due! Pietro avrebbe adoperato la terza chiave in occasione del suo sopralluogo nella regione dei samaritani, un po' a nord di Gerusalemme .
La spiegazione esatta
a) In san Luca 11, 52, che i geovisti citano, Gesù, in disputa coi dottori della Legge ,  disse:
“Guai a voi, dottori della Legge, che avete tolto la chiave della scienza”.
Per l'esatta conoscenza del pensiero di Gesù bisogna ricordare che i dottori della Legge presso gli Ebrei si consideravano ed erano considerati come gli autorevoli interpreti della Legge, ossia della Bibbia. Togliere la chiave della scienza equivale a interpretare male la Scrittura. Al contrario avere la chiave della scienza vuol dire essere interpreti autorevoli della Scrittura.
Gesù rimprovera ai dottori della Legge di interpretare male la Scrittura con l'aggravante che, pretendendo di essere i soli a saperla interpretare, impedivano a se stessi e agli altri di conoscere ed accettare il messaggio di salvezza annunziato da Cristo.
b) Alla luce di questo chiaro insegnamento biblico appare evidente il simbolismo della chiave o delle chiavi. Consegnando a Pietro le chiavi del Regno dei cieli, Gesù intendeva costituirlo interprete autorevole delle Scritture. Pietro ha avuto da Cristo la chiave della scienza, ossia della vera conoscenza del pensiero e della volontà di Cristo per insegnarla autorevolmente. Appare pure evidente come questa funzione di Pietro, vale a dire l'uso delle chiavi, non può essere limitato a due o tre casi. La pretesa dei dottori della legge non si limitava ad alcuni casi: essi interpretavano autorevolmente la legge sempre e dovunque ci fosse bisogno. Così la funzione di Pietro non può essere limitata a due o tre circostanze, come fanno erroneamente i geovisti. Egli è stato costituito da Cristo per dare autorevolmente la retta conoscenza della legge di Dio sempre e dovunque finché vi saranno sulla terra creature umane bisognose e desiderose di essere illuminate con la conoscenza della verità che ci salva (cf . 1 Timoteo 2, 4; Luca 22, 32))
c) E’ perciò errato e contro il chiaro insegnamento della Scrittura far consistere il simbolismo nel numero delle chiavi, e non piuttosto nell'uso che della chiave o delle chiavi vien fatto. L'uso è quello di aprire o chiudere, vale a dire dare la conoscenza della legge in ciò che essa dichiara buono e giusto (aprire) e in ciò che essa dichiara ingiusto e illecito (chiudere). Si può aprire o chiudere con una sola chiave o con più chiavi! Si deve aprire o chiudere sempre che le circostanze lo esigono. In effetti si ha lo stesso simbolismo sia in Isaia 22, 22; Luca 11, 52; Apocalisse 3, 7, dove si parla d'una sola chiave, sia in Matteo 16, 18, dove si parla di più chiavi .
d) Deve perciò dirsi artificiosa e faziosa la spiegazione dei tdG, che limitano l'uso a tre sole circostanze nella vita di Pietro, insistendo unicamente sul numero delle chiavi e non sul loro simbolismo, come insegna chiaramente la Bibbia.
Nelle tre circostanze, di cui parlano i geovisti, Pietro ha dichiarato autorevolmente sia ai Giudei che ai non-Giudei non già che la porta del Vangelo era aperta anche per loro, ma piuttosto ha spiegato autorevolmente sia agli uni che agli altri che cosa dovevano credere (= aprire) e che cosa dovevano rifiutare (= chiudere) per entrare nel Regno di Dio (cf. Atti 2, 37-41; 15, 7-12) .  La Bibbia non dice che Pietro ha fatto uso d'una sola  chiave, ma fa chiaramente capire che ha esercitato la funzione, che la chiave o le chiavi nel loro simbolismo significano.
Anche in seguito san Pietro continuò a usare le simboliche chiavi, annunciando con autorità il Vangelo sia ai Giudei (cf. Galati 1, 18) sia ai non-Giudei (cf. 1 Corinzi 1, 12; 9, 5) a viva voce e anche per iscritto (cf. Prima e Seconda Lettera di Pietro) dando precise istruzioni su ciò che i cristiani devono credere e su ciò che devono rifiutare.
Il conferimento del Primato
Nell'ultimo capitolo del quarto vangelo abbiamo il racconto particolareggiato di come avvenne l'effettivo conferimento del Primato a san Pietro, dopo la promessa di cui in Matteo 16, 16-18. Racconta san Giovanni:
“Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti. Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: "Simone di Giovanni, mi vuoi bene più di costoro?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pasci i miei agnelli. Gli disse di nuovo: "Simone di Giovanni, mi vuoi bene?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pasci le mie pecorelle". Gli disse per la terza volta: "Simone di Giovanni, mi vuoi bene?". Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene? e gli disse: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene". Gli rispose: "Pasci le mie pecorelle"” (Giovanni 21, 14-17).
Spiegazione:
a) Per far capire bene il suo pensiero Gesù sì serve della metafora del pastore e delle pecore, che esprime simbolicamente l'autorità esercitata sugli uomini mediante un governo capace non solo di dare ai sudditi i mezzi necessari alla vita, ma anche di difenderli contro i nemici. E’ la parabola del buon pastore (Cf. Giovanni 10, 1-6).
b) Anche questa metafora è assai comune nella Bibbia. In Isaia Jahve è descritto “simile a un pa- store che conduce al pascolo il suo gregge, raccoglie nelle sue braccia gli agnelli (  ... ), conduce al riposo le pecore madri” (40, 11; Cf. Ezechiele 34, 10-14). Jahve ha pure voluto affidare le sue pecore ad alcuni suoi servi le guida per mano di Mosè (Cf. Salmo 77, 21), e dopo di lui designa Giosuè come capo (Cf. Numeri 27, 15-20).
c) A imitazione del Padre anche l'Unigenito Figlio si presenta come il Buon Pastore che dà la vita per le sue pecore (Cf. Giovanni 10, 11-15); e come il Padre, dispone che il suo gregge abbia una guida in uomini fidati, pieni di amore per lui.
A tale compito sceglie Pietro, malgrado la sua negazione, seguita da un sincero pentimento (cf. Marco 14, 72). Gesù lo ha riabilitato apparendo a lui singolarmente dopo la sua risurrezione (cf. 1 Corinzi 15, 5; Luca 24, 34) e anche assieme agli altri (cf. Giovanni 20, 19-23; Luca 24, 36-53). Ciò che racconta san Giovanni (21, 15-17) non è altro che la conferma e il compimento della promessa fatta a Pietro in Matteo 16, 16-18.
d) Anche altri discepoli di Cristo hanno l'incarico di vigilare sulle singole comunità (cf. Atti 20, 28) come pastori, presbiteri ed episcopi (cf. Efesini 4, 11; 1 Pietro 5, 1 ss.). Ma Simone, il figlio di Giovanni, che ha avuto dal Maestro il nuovo nome di Pietro (= la roccia), ha il compito di vigilare su tutto il gregge di Cristo, sugli agnelli e sulle pecore Egli è il maggiordomo della Casa del Signore, il vicario di Cristo. La missione di Pietro è universale.
Sotto la sua guida il gregge di Cristo sarà condotto a buoni pascoli. Fuor di metafora, questo vuol dire che Pietro assicurerà la sana dottrina in tutta la Chiesa. Arroccata su questa pietra la comunità di Cristo non sarà mai sopraffatta dall'errore e dalle potenze del male (cf. Matteo 16, 18).
La contestazione geovista
Per contestare la verità biblica del Primato di Pietro i tdG strumentalizzano, com'è loro uso, alcuni testi della Scrittura, strappandoli dal loro contesto e dando ad essi un significato che non hanno. Tra questi vi sono le parole di Gesù, di cui in Matteo 20, 20-28 (cf. Marco 10, 35-45):
“Allora gli si avvicinò la madre dei fìgli di Zebedeo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli disse: "Che cosa vuoi?". Gli rispose: "Di' che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno". Rispose Gesù: "Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?". Gli dicono: "Lo possiamo". Ed egli soggiunse: "Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato. preparato dal Padre mio".
Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli; ma Gesù, chiamatili a sé, disse: "I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostra schiavo"”.
Inoltre i tdG strumentalizzano le parole di Luca 22, 24-27.
“Sorse anche una discussione, chi di loro poteva essere considerato il più grande. Egli disse: (... ) "Ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve"”.
Basandosi erroneamente su questi due testi biblici i tdG sono d'avviso che gli altri Apostoli di Cristo non considerarono Simon Pietro come “il masso di Roccia”, su cui Cristo disse di voler edificare la sua congregazione ".
La verità
a) Chiunque abbia conoscenza dei vangeli e li legga senza una mentalità settaria ricorderà che non sempre i discepoli di Gesù capivano subito e bene ciò che il loro Maestro aveva detto o fatto (cf. Matteo 15, 16; 13, 36 ecc.). Più d'una volta Gesù spiega pazientemente il suo pensiero e infine li assicura che lo Spirito Santo chiamerà alla loro memoria ciò che egli aveva detto e insegnerà ogni cosa (cf. Giovanni 14, 26; 16, 12-14).
b) Stando così le cose, può darsi che le parole di Gesù a Pietro, di cui in Matteo 16' 16-18, abbiano forse causato qualche animosità tra i discepoli e qualche ambizione anche nei loro parenti, ancora incapaci di entrare nel nuovo ordine di idee e di cose prospettato da Gesù. Fino alla vigilia della sua passione Cristo ha detto proprio a Pietro: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo” (Giovanni 13, 7).
c) Nella risposta che Gesù dà ai fìgli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, Gesù non nega che nella sua comunità vi debba essere chi governa e chi è governato, e ammette pure che vi possa esser qualcuno che si senta portato al governo. Ammonisce tuttavia che tra i suoi discepoli, ossia nella comunità dei credenti, chi sta a capo deve comportarsi come uno che serve (cf. Luca 22, 26).
In questa medesima risposta vi è una cosa degna di nota. Gesù ricorda che nella Chiesa la funzione o le funzioni di governo non sono conseguite mediante l'ambizione, ma sono un dono di Dio, effetto di una disposizione dall'alto. Questo è il significato della parola di Gesù: “Non sta a me concedere, che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio” (Matteo 20, 23). Il Regno di Dio è governato dalla volontà del Padre che si manifesta mediante l'opera del Figlio. Tra Padre e Figlio vi è perfetta armonia perché il Padre è nel Figlio come il Figlio è nel Padre (cf. Giovanni 14, 10). Tutto ciò che il Padre ha è suo, dei Figlio (cf. Giovanni 16, 15).
d) Dopo il conferimento effettivo del Primato (cf. Giovanni 21, 15-17), soprattutto dopo che lo Spirito Santo diede agli Apostoli la conoscenza esatta della verità e la forza per professarla (cf. Giovanni 14, 26; Atti 1, 8) Pietro è riconosciuto come guida indiscussa di tutta la comunità e di fatto esercita la sua funzione. La vita dell'intera Chiesa gravita intorno a lui. Tutti guardano a Pietro come alla Roccia, su cui Cristo intendeva edificare la sua Chiesa.
La verifica
Ecco alcuni fatti comprovanti: - Pietro è sempre il primo negli elenchi degli Apostoli (cf. Matteo 10, 2-4, Marco 3, 16-19; Luca 6, 13-16; Atti 1, 13).
- Pietro propone e dirige l'elezione di uno che prenda il posto di Giuda, il traditore (cf Atti 1, 15).
- Pietro è il portavoce ufficiale di tutta la comunità il giorno di Pentecoste. Tutti avevano ricevuto la forza dello Spirito Santo, ma Pietro parla a nome di tutti ai Giudei convenuti a Gerusalemme (cf. Atti 2, 14).
- Pietro risponde ai capi del popolo e agli anziani per giustificare il suo operato e quello degli altri Apostoli (cf. Atti 4, 8).
- Pietro vigila sul corretto comportamento dei nuovi discepoli e punisce severamente Anania e sua moglie perché avevano mentito allo Spirito Santo (cf. Atti 5, 1-11).
- Pietro è messo in carcere e la preghiera di tutta la Chiesa sale incessante a Dio per la sua liberazione (cf. Atti 12, 5).
- Pietro in modo particolare ha il potere di fare miracoli: guarisce i paralitici (cf. Atti 3, 6; 9, 34); risuscita i morti (cf. Atti 9, 39-41). Perfino l'ombra della sua persona opera meraviglie (cf Atti 5, 12-16).
- Pietro parla come capo al concilio di Gerusalemme e quanto egli dice determina le decisioni prese da quell'assemblea con l'assistenza dello Spirito Santo (cf. Atti cap. 15).
- Pietro, a preferenza degli altri Apostoli, è consultato da Paolo che vuole assicurarsi dell'autenticità del Vangelo (cf. Galati cc. 1 e 2).
Sapevate tutto questo? E ora che lo sapete giudicate da voi stessi quanto sia inesatto e fazioso ciò che di Pietro hanno scritto i tdG:
“Pietro ebbe eccellenti privilegi come apostolo di Gesù Cristo, è vero. Ma in nessun luogo egli indica di pensare che fosse il principale degli apostoli. Né leggiamo in nessun luogo che gli altri apostoli e discepoli riconoscessero Pietro come un "papa", rendendogli onore come tale”
La Bibbia dice tutto il contrario!
L'episodio di Antiochia (Gal. 2, 11-14)
L'episodio di Antiochia (cf. Galati 2, 11-14) è il cavallo di battaglia di tutti i tradizionali avversari del Primato di Pietro. I tdG non potevano non sfruttarlo per creare sempre confusione ed oscurare la verità di Dio. Hanno scritto:
“In un'occasione Paolo ritenne necessario rimproverare Pietro (Cefa) perché aveva seguito una condotta non in armonia con la vera fede cristiana. Il fatto che Pietro sbagliava mostra che non era considerato un capo "infallibile" degli apostoli e della chiesa”.
La risposta:
I. - Va detto anzitutto che san Paolo ha sempre considerato san Pietro come una figura di primo piano nella vita della Chiesa.
- Lo chiama abitualmente col nome di Cefa, vale a dire col nome di una funzione primaria e fondamentale affidata a Pietro da Cristo stesso, come già abbiamo spiegato.
- Paolo si premura di visitare Cefa a Gerusalemme per confrontare la propria dottrina con quel- la del Primo tra gli Apostoli. Nota espressamente che non vide altri Apostoli, eccetto una visita a Giacomo, fratello del Signore, che guidava la comunità locale di Gerusalemme (cf. Galati 1, 18-19).
- In seguito per Paolo. ciò che Pietro fa o dice è normativo e determinante (cf. 1 Corinzi 9, 5). Alla assemblea di Gerusalemme Paolo ascolta Pietro che parla per primo e solo dopo riferisce le sue esperienze missionarie (cf. Atti 15, 6-12).
- Ai cristiani di Corinto Paolo ricorda in particolare l'apparizione del Risorto a Cefa come una prova sicura della fede da lui predicata (cf. 1 Corinzi 1 5, 5).
 
2. - Veniamo ora all'episodio di Antiochia. Onestà esige che sia visto nella sua giusta luce e riferito con la massima fedeltà alla Parola di Dio. Ed ecco come sono andate le cose:
- Pietro si trovava ad Antiochia dove c'erano state le prime conversioni dei pagani al Vangelo (cf. Atti 11, 19-24). Egli aveva sempre patrocinato la causa dei pagani (cf. Atti cc. 10, 11, e 15). Ad Antiochia Pietro usava prendere i pasti coi cristiani venuti dal paganesimo, non curante delle antiche usanze giudaiche.
- Nel frattempo arrivarono ad Antiochia alcuni cristiani d'origine giudaica, osservanti ancora di alcune usanze legali. Pietro allora si astenne dalla comunanza di mensa con gli ex pagani. Il suo comportamento indusse anche altri a fare lo stesso.
- Perché lo fece? Certamente non perché egli pensasse che la Legge mosaica fosse ancora necessaria alla salvezza. Paolo glielo riconosce (cf. Ga- lati 2, 14-16). Per Pietro come per Paolo le usanze legali non avevano valore. Solo la fede in Cristo salva. in quanto a dottrina Pietro non sbagliava. Non è perciò affatto vero che egli “aveva seguito una condotta non in armonia con la vera fede cristiana”.
- Perché lo fece? Per motivi di coscienza, “di coscienza non sua, ma degli altri” (cf. 1 Corinzi 10, 29). Pietro temeva di turbare la coscienza dei nuovi arrivati giudeo-cristiani non ancora maturi nella fede e soggetti perciò a crisi di coscienza.
- Paolo non vide un errore, nel comportamento di Pietro, ma solo il pericolo che altri potessero cadere in errore. Pietro infatti non aveva apostatato dalla fede, ma solo simulava, agiva cioè in modo diverso da ciò che pensava per rispetto della coscienza altrui. Era in buona fede, ma il suo comportamento, a parere di Paolo, era sbagliato, non il suo pensiero e la sua dottrina.
- L'intervento di Paolo non mirava dunque a correggere un errore dottrinale di Pietro, ma solo a farlo riflettere sulle conseguenze pericolose per gli altri della sua troppa prudenza.
Qui non c'entra l'infallibilità. Pietro non si pronunzia e non decide su un punto dottrinale in forma definitiva e con tutto il peso della sua autorità.
Solo a queste condizioni vi può essere insegnamento infallibile (cf. intra, Parte III)
 
3. - Ridotto alle sue giuste proporzioni l'episodio di Antiochia prova proprio l'opposto di ciò che dicono i tdG e tutti gli avversari del Primato di Pietro.
Infatti:
- San Paolo vede in Cefa non una comune pietra della Chiesa di Dio e neppure un Apostolo come gli altri, ma Qualcuno, il cui comportamento è determinante per la vita della Chiesa.
- La funzione di guida suprema non esclude che altri aiutino Pietro con una critica costruttiva a compiere bene la sua missione, a conoscere cioè sempre meglio quale sia la mente e la volontà del Signore per  la edificazione della Chiesa.
- Sia ricordato infine che al tempo dell'episodio di Antiochia l'idea del Primato di Pietro non era ancora sufficientemente chiara neppure in san Paolo. Si aspettava il ritorno del Signore e si pensava meno ad approfondire le strutture della Chiesa.
Alcuni decenni dopo si cominciò a capire meglio il lungo cammino che doveva fare la Chiesa prima del ritorno del Signore, e la dottrina del Primato di Pietro assieme alla sua successione fu meglio capita e formulata. Ne fa fede il racconto dell'ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni (cf. Giovanni 21, 15-17).

 
PARTE Il
PIETRO NON MUORE
Verità da ricordare
I. - Capo della Chiesa è Cristo. Questa è stata la perenne fede dei cattolici con piena fedeltà alla Bibbia che dice. “Egli (Cristo) è il Capo del corpo, cioè della Chiesa” (Colossesi, 1, 18). “Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa” (Efesini 1, 22; 4, 15; 5, 23). Recentemente questa dottrina è stata riaffermata più volte dal Concilio Vaticano II: “Capo di questo Corpo (= la Chiesa) è Cristo”.
Insinuare che secondo l'insegnamento cattolico il Papa e non Cristo sia Capo della Chiesa, equi- vale a insinuare l'errore, a ingannare la gente.
2. - Cristo non ha successori. “Egli è, il Primo e l'ultimo, e il Vivente” (Apocalisse 1, 17-18; cf. 22, 13). Il Vivente non muore mai. E’ sempre presente. Non lascia mai il posto vuoto perché sia occupato da altri. “Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Matteo 28, 20).
Il Papa non è successore di Cristo, ma suo vicario o rappresentante.
3. - Cristo ha nella Chiesa rappresentanti qualificati.
Dopo la sua Ascensione il Vivente è invisibile. Un giorno riapparire (cf. Atti 1, 9-11). Nel tempo della presenza invisibile, che è il tempo della Chiesa pellegrina sulla terra, Cristo ha voluto che ci fossero suoi rappresentanti qualificati. Non successori, ma rappresentanti.
A quest'ufficio Cristo ha destinato uomini, non angeli. I primi furono scelti da lui direttamente perché “stessero con lui e per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Marco 3, 14-15). Li chiamò Apostoli (cf. Luca, 6, 13), cioè inviati.
Gli Apostoli sono perciò rappresentanti qualificati di Cristo, Capo della Chiesa. San Paolo li chiama “collaboratori di Dio” (I Corinzi 3, 9) e suoi ambasciatori “Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro” (2 Corinzi 5, 20).
La successione apostolica
Si domanda:
La rappresentanza qualificata di Cristo nella Chiesa doveva finire con la morte dei Dodici?
a) Leggendo attentamente la Bibbia la risposta deve essere negativa. San Paolo ci ricorda che Cri- sto, “ascendendo in cielo (...) ha distribuito doni agli uomini (...). E’- lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo (= la Chiesa)” (Efesini 4, 7-13). Questa struttura, data alla Chiesa dal suo divin Fondatore, non può cambiare. Deve durare fino alla fine dei tempi, fino cioè alla seconda venuta del Signore.
b) Gli apostoli capirono bene questa volontà del loro Maestro. Non solo perciò si circondarono di collaboratori, ai quali affidarono le loro responsabilità (cf. Atti 6, 2-6; 11, 30; 14, 23 ecc.), ma diedero disposizioni che alla loro morte altri uomini qualificati prendessero il loro posto.
Le notizie più dettagliate le abbiamo da san Paolo.
Dovendosi assestare dalle chiese da lui fondate lascia alla loro guida persone ben provate e di fi- ducia: Timoteo ad Efeso (Cf. 1 Timoteo 1, 2), Tito a Creta (Cf. Tito 1, 5). Egli vuole che le persone poste alla guida delle comunità  siano  trattate con molto rispetto e carità a motivo del loro lavoro                      (Cf. 1 Tessalonicesi 5, 12-14).
Più tardi, prevedendo prossima la morte (Cf. 2 Timoteo 4, 6-8), san Paolo dà chiare disposizioni affinché il ministero qualificato continui ininterrottamente. Scrive a Timoteo: “Tu dunque, figlio mio, attingi sempre forza nella grazia che è in Cristo e le cose che hai udito da me trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare altri a loro volta” (2 Timoteo 2, 1-2).
c) Che le cose siano andate proprio così ce l'assicura Clemente Romano, morto a Roma nel 95 d.C. durante la persecuzione di Traiano. Egli era stato alla scuola dei santi Pietro e Paolo e verso la fine dei primo secolo scrisse una Lettera alla Chiesa di Corinto dov'è detto tra l'altro:
“Gli Apostoli furono mandati a portare la Buona Novella dal Signore Gesù. Gesù Cristo fu mandato da Dio. Ricevuto il loro mandato andarono ad annunziare la Buona Novella. Predicando per le campagne e per le città sceglievano ottime persone tra i primi convertiti e le costituivano vescovi e diaconi (... ) e diedero ordine che quando costoro fossero morti altri uomini provati succedessero nel loro ministero”.
La successione nel Primato
Anche Pietro ebbe i suoi successori nella funzione di pascere tutto il gregge di Cristo (cf. Giovanni 21, 15-17). Non poteva essere diversamente.
a) Cristo aveva promesso di edificare la sua Chiesa sull'uomo-roccia, ossia su Pietro (cf. Matteo 16, 18). Anche dopo la morte di Pietro, Cristo continua ad edificare la sua Chiesa. Vi deve essere dunque qualcuno che continui la funzione di fondamento visibile affidata a Simone, l'uomo-roccia.
Pietro come persona fisica è morto (cf. Giovanni, 21, 19). Ma è volontà di Cristo che come fondamento visibile della vera Chiesa Pietro continui a vivere in coloro che hanno ereditato la sua funzione primaziale. Il Primato di Pietro continua nei suoi successori.
b) Chi sono? La risposta è sicura. Sono coloro i quali hanno raccolto il mantello di Pietro come Eliseo quello di Elia (cf. 2 Re 2, 13), vale a dire i Vescovi di Roma, che per divina disposizione hanno ereditato la missione e la funzione qualificata di Pietro.
Cefa, il Primo degli Apostoli, colui al quale Cristo affidò la cura di tutto il suo gregge, finì i suoi giorni a Roma con un glorioso martirio. Fu Dio a disporre che la vita della sua Chiesa prendesse questa svolta. Il Vescovo di Roma dunque succede a Pietro anche nella guida di tutta la Chiesa. Il Primato petrino si perpetua nel Primato romano.
Pietro a Roma
La venuta di Pietro a Roma e soprattutto il suo martirio in quella città costituiscono le ragioni del Primato romano. Se Pietro non fosse venuto a Roma e non avesse finito lì i suoi giorni, avremmo avuto il Primato, ma non il Primato romano.
Oggi nessuno studioso di qualche valore mette in dubbio la storicità della venuta di Pietro a Roma e del suo martirio sotto Nerone'. Fanno eccezione alcune minoranze tenacemente legate ad antichi preconcetti. Tra questi i tdG.
 
La Bibbia.
a) Si sente ancora dire da qualche accanito avversario del Primato romano che la Bibbia ci parla solo del viaggio di Paolo a Roma. Dunque Pietro non è stato a Roma.
Questo modo di ragionare è proprio di alcuni settari, che vorrebbero trovare nella Bibbia la risposta a ogni problema. No! La Bibbia non è un trattato di storia e tanto meno di scienze naturali.
Per quanto riguarda la venuta di Pietro a Roma, se nella Bibbia vi è un racconto particolareggiato ed esplicito solo del viaggio di Paolo, è illogico dedurre che Pietro non sia stato a Roma. Vi sono altri documenti, altre fonti per accertarsi.
b) Tuttavia abbiamo nella Bibbia una prova irrefragabile della presenza di Pietro a Roma, di cui sono convinti la maggior parte degli studiosi biblici di diversa estrazione e scuola. Tale prova è data dalle parole con cui lo stesso Pietro chiude la sua Prima Lettera:
“Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia” (1 Pietro 5, 13).
Babilonia indica la località dove Pietro scrisse la sua lettera. Qual'è questa località?
Questa località è Roma perché il nome di Babilonia sta al posto di quello di Roma. Questo modo di chiamare Roma era corrente presso i Giudei al tempo in cui san Pietro scrisse la sua Lettera. In effetti, dopo la conquista romana della Palestina (63 a.C.), Roma era diventata per i Giudei il simbolo della città che si erge contro Dio come l'antica Babilonia di Nabucodonosor (2 Re, cap. 25). Allora nel mondo giudaico si cominciò a chiamare Roma Babilonia. I cristiani seguivano questa terminologia.
Una conferma ci è data dall'Apocalisse, dove l'autore parla spesso di Babilonia la grande (cf. 14, 8;,16, 19; 17, 5; 18, 2), la città-donna “ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù” (179 6), seduta sui sette colli (cf. 17, 9). Tutti ammettono che col nome di Babilonia Giovanni voglia indicare Roma “la città grande, che regna su tutti i re della terra” (17, 18).
c) Né d'altra parte è possibile pensare all'antica Babilonia di Nabucodonosor. E questo per due motivi principalmente.
Non vi è anzitutto la minima traccia nella Bibbia e nella storia che Pietro sia stato in Mesopotamia, nell'antico impero di Nabucodonosor. Al contrario, abbiamo chiari segni nella Bibbia dei suoi spostamenti verso Occidente (cf. 1 Corinzi 1, 12; 9, 5). Roma era il centro propulsore della vita del mondo. Come Paolo (cf. Romani 1, 15-17), Pietro capiva che a Roma bisognava consolidare il Vangelo .
In secondo luogo, quando Pietro scriveva la sua Prima Lettera, la Babilonia di Nabucodonosor non esisteva più. Nell'anno 275 avanti Cristo gli abitanti dell'antica città erano stati trasferiti altrove, a Seleucia, le mura e le fortezze di Babilonia smantellate, la sua vita ridotta agli estremi. Un secolo e mezzo dopo si ebbe il colpo di grazia. I resti di quella che era stata la grande Babilonia furono rasi al suolo per opera di Parti nel 126 avanti Cristo. La rovina fu completa.
Si era avverata la volontà di Jahve che aveva preannunciata la rovina totale di quella città (cf. Geremia 25, 12; Isaia 21, 9-10).
 
2. - La tradizione.
La prova biblica della presenza di Pietro a Roma è più che convincente. Se dovesse rimanere qualche dubbio, le numerose e chiare testimonianze della tradizione valgono ad eliminarlo.
La tradizione! ? La pronuncia di questa parola provoca un sorriso di scherno nei tdG. Essi accusano altezzosamente la Chiesa Cattolica di aver sostituito la tradizione cioè insegnamenti umani, alla Parola di Dio. Fate come i farisei - ci dicono - contro i quali si scagliò Cristo perché seguivano le loro tradizioni “an- nullando la Parola di Dio” (Marco 7, 13) .
L'accusa dei geovisti è superficiale e settaria. Perciò, a beneficio di quanti vogliono conoscere la verità, crediamo opportuno fare alcune precisazioni sulla tradizione.
 
Che cos'è la tradizione?
a) Non è certamente quel che Cristo a ragione rimproverava ad alcuni scribi e farisei  (cf. Matteo 15, 1-6; Marco 7, 1-13), sostituire cioè insegnamenti umani alla Parola di Dio. Questa non è tradizione, ma profanazione degli insegnamenti divini. Quando i tdG affermano che la Chiesa Cattolica segue questo tipo di tradizione, dicono una cosa non vera, faziosa, atta a creare pregiudizi e odio contro i cattolici.
 
b) Tradizione vuol dire trasmettere a viva voce parole e fatti, della cui storicità non vi può essere un ragionevole dubbio. In questo senso, i detti e i fatti di Gesù furono tradizione, furono cioè trasmessi a viva voce prima di essere messi in iscritto e diventare Bibbia (cf. 1 Corinzi 11, 23; 15, 3; Lúca 1, 1-2). In questo senso san Paolo raccomandava ai cristiani di Tessalonica di mantenere “le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera” (2 Tessalonicesi 2, 15). Nessuno oserebbe dire che con la parola tradizione san Paolo intendesse riferirsi a insegnamenti umani contrari alla Parola di Dio. Egli parlava di detti e fatti trasmessi da lui prima a viva voce e poi per iscritto.
c) Ciò che dice san Paolo ai Tessalonicesi ci aiuta a capire meglio il concetto di tradizione, che vuol dire trasmettere a viva voce per un certo periodo di tempo e poi per iscritto. Sarebbe perciò sbagliato pensare che tradizione equivalga a trasmissione orale. Ciò che prima era trasmissione orale si fissa poi in documenti scritti o dì altra natura diversa dalla viva voce (monumenti ecc.). In questo modo la tradizione è diventata Scrittura, in questo modo diventa pure storia.
Analizzando la tradizione che diventa storia, abbiamo che alcuni fatti o detti a principio sono tra- smessi a viva voce da testimoni oculari o auricolari degni di fede. Poi, a distanza anche molto ravvicinata, sono fissati in qualche altra forma non soggetta alla caducità della memoria (lettere private, iscrizioni, monumenti ecc.). Verrà poi lo storico di professione che vaglierà criticamente questi documenti occasionali e farà della vera storia.
d) E questo il caso della tradizione attestante la presenza di san Pietro a Roma e il suo martirio sotto Nerone.
Certo noi non abbiamo il registro anagrafico attestante l'arrivo e il domicilio d'un oscuro galileo nella capitale dell'impero. E neppure abbiamo il verbale della sua incarcerazione, processo, condanna a morte, esecuzione e sepoltura.
Ma è innegabile che non poche persone - i cristiani di Roma - abbiano visto e udito Pietro nella città dei Cesari. Alcuni certamente hanno potuto seguire le vicende della sua gloriosa fine. Ne hanno curato la sepoltura come permetteva la legge del tempo e venerata la tomba con amore e fedeltà.
Questi fatti con l'indicazione del tempo (anni, mesi, giorni) dovettero senza dubbio rimanere vivi nella memoria di quei testimoni. Certamente ne hanno parlato spesso tra loro e con i cristiani di altre comunità vicine e lontane. Li hanno narrato ai loro figli e ne scrissero anche nelle loro lettere.
Sono testimonianze occasionali, ma degne di fede. Non c'è motivo di dubitare che quei cristiani non dicessero la verità. Si può dire perciò che quel- la tradizione, passata a breve distanza di tempo in documenti scritti pervenuti fino a noi, ci dia la certezza storica.
I documenti della tradizione
Ricordiamo ora solo alcuni documenti di quella tradizione.
1. - San Clemente Romano. Fu vescovo di Roma, terzo successore di san Pietro, verso la fine del primo secolo. Poco dopo il 90 Clemente scrisse una lettera ai cristiani di Corinto per ristabilire l'ordine e la pace in quella chiesa sconvolta dalla contestazione. Per quanto riguarda ciò che a noi interessa Clemente scrive:
“Ma lasciando da parte gli esempi dell'antichità, veniamo agli atleti che furono vicinissimi a noi (...). Mettiamoci dinnanzi agli occhi i buoni Apostoli: Pietro, che per una iniqua gelosia dovette sopportare non una o due, ma molti travagli e, resa testimonianza, raggiunse il posto a lui dovuto nella gloria. Per la gelosia e la discordia Paolo mostrò come si consegua il premio della pazienza (...). A questi uomini che vissero santamente s'aggiunse una grande moltitudine di eletti, i quali, soffrendo a causa della gelosia molti oltraggi e tormenti, divennero esempio bellissimo in mezzo a noi”.
Osservazione:
Contro questa testimonianza si obietta da alcuni che Clemente non specifica la località; potrebbe perciò non trattasi di Roma.
Si risponde. - Si noti, prima di tutto, che Clemente unisce nella morte i due Apostoli Pietro e Paolo. Ora nessuno dubita del martirio di Paolo a Roma. Non vi è perciò motivo di dubitare di quello di Pietro nella stessa Roma e nelle stesse circostanze.
- Ai due grandi atleti Clemente associa una grande moltitudine, che soffrendo pure a causa del- la gelosia “divenne esempio bellissimo in mezzo a noi”. Qui lo scrittore della lettera si pone tra coloro che hanno sofferto, come un testimone di questi eventi. E poiché Clemente visse e scrisse a Roma, quel in mezzo a noi indica in modo abbastanza chiaro che Roma era stato il teatro di quel bellissimo esempio di cristiana testimonianza.
2. - Sant'Ignazio martire. Quasi contemporaneo di Clemente sant'Ignazio fu vescovo di Antiochia ìn Siria. In viaggio verso Roma per subirvi il martirio Ignazio scrisse una lettera ai cristiani di questa città per scongiurarli dì non impedirgli ìl martirio col loro interessamento presso le autorità. Scrive Ignazio:
“lo non vi dò ordini come Pietro e Paolo...”.
Dunque Pietro e Paolo avevano dato ordini, avevano ammaestrato i cristiani di Roma.
Obiettano i geovisti:
“Ignazio non afferma che Pietro e Paolo fossero stati a Roma; dice solo che avevano dato dei comandi a quei cristiani. Comandi si possono dare anche per iscritto”.
La risposta:
Di Paolo sappiamo che ha istruito i cristiani di Roma sia mediante uno scritto, che è appunto la sua Lettera ai Romani, sia a viva voce durante la sua prigionia a Roma (cf. Atti 28, 2-28). Ma di Pietro non esiste né mai è esistito alcuno scritto indirizzato alla Chiesa di Roma. Al contrario, egli scrisse da Roma una lettera ai cristiani delle province romane. Pietro ha dovuto impartire ordini ai cristiani di Roma a viva voce, di presenza, come testimonia esattamente il santo martire Ignazio.
3. - Sant'Ireneo. Nato nel vicino Oriente, emigrò in Europa e divenne vescovo di Lione in Francia. Era un uomo di virtù non comune e di grande amore per la verità. Fu a Roma negli anni 177-178 d.C., dove poté accertarsi delle cose che lasciò scritte. Nell'opera che ha per titolo Contro le eresie Ireneo scrive:
“Per conoscere la norma apostolica noi interrogheremo la chiesa grandissima e antichissima e conosciuta da tutti, fondata e stabilita a Roma dai gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo ( ... ). Dopo aver fondato ed edifìcato quella chiesa, i beati Apostoli ne trasmisero il governo episcopale a Lino”.
Due cose Ireneo afferma in modo inequivocabile. La prima è che i veri fondatori della Chiesa di Roma furono i beati Apostoli Pietro e Paolo anche se al loro arrivo a Roma vi abbiano trovato dei cristiani. La Seconda è l'importanza dottrinale che Ireneo attribuisce alla Chiesa di Roma per conoscere la norma apostolica bisogna interrogare quella Chiesa.
La tomba di Pietro
Ai nostri tempi si è avuta una conferma del coro di voci dell'antichità attestante la presenza e il mar- tirio di Pietro a Rorna. Sono i risultati positivi delle esplorazioni riguardanti la sua tomba in Vaticano.
a) Da numerose testimonianze antiche si sapeva che sul colle Vaticano era venerato un sepolcro: quello di Pietro. Verso la fine del secondo secolo il presbitero Gaio, in polemica con l'eretico Proclo, scriveva:
“Se  tu vai al Vaticano o sulla via di Ostia, io ti posso mostrare i trofei dei fondatori di questa Chiesa”.
Si tratta di Pietro e di Paolo. Il primo, sepolto sul colle Vaticano; il secondo, lungo la via ostiense dove oggi sorge la grande basilica.
b) I cristiani, fin dal primo secolo, conoscevano bene la tomba di san Pietro e per quanto era loro possibile la decorarono e la fecero oggetto di grande venerazione. San Girolamo c'informa che san Pietro fu sepolto in Vaticano dov'è venerato da tutto il mondo. E san Paolino da Nola aveva l'abitudine di recarsi ogni anno a Roma per venerare la tomba dei due Apostoli.
Quando Costantino - assai prima che vivessero Girolamo e Paolìno - fece costruire l'antica Basilica in Vaticano era ben risaputo che in quel sito era stato sepolto e venerato da secoli l'apostolo Pietro.il problema del sepolcro di Pietro non si poneva. La cosa era certa.
c) In questi ultimi anni si è voluto fare un sondaggio, una verifica, se le cose stessero veramente così. Le esplorazioni fatte sistematicamente negli anni quaranta (1939-1949) hanno rivelato :
- che in quella località vi era stato originariamente un cimitero;
- che una tomba era stata particolarmente curata tanto da diventare tomba monumentale;
- che intorno a questa tomba sono rimaste tracce numerosissime attestanti l'accorrere di devoti fin dai tempi più antichi.
Quali tracce? Molti graffiti (invocazioni scritte) e soprattutto un'ingente quantità di ex-voto: 1900 monete, lasciate come obolo da pellegrini provenienti da ogni parte del mondo. Sono state identificate 231 monete dell'impero romano e 27 di quello bizantino, e tantissime altre di tempi posteriori.
 
d) Si domanda:
Perché proprio quel luogo è stato meta di tanti pellegrinaggi e oggetto di tanta venerazione?
Perché tra le altre tombe fu decorata una in modo particolare?
Perché questo fenomeno non si è verificato in nessun'altra città dell'impero romano?
Perché solo a Roma sul colle Vaticano? L'unica spiegazione fu e rimane la presenza di Pietro a Roma e il suo martirio nella città e  terna. Dio ha privilegiato la Chiesa di Roma con la guida e la morte del Primo Apostolo, mostrando così che a quella Chiesa spetta l'eredità della funzione primiziale di Pietro, la Roccia.

 
PARTE III
L'INFALLIBILITA PONTIFICIA
Che cosa è l'infallibilità
La dottrina cattolica dell'infallibilità pontificia è insegnata dalla Bibbia come diremo dopo è stata solo formulata, non inventata dai Concili. La prima volta dal Concilio Vaticano I. In questi ultimi anni il Concilio Vaticano Il l'ha confermata e riproposta .
Per un'esatta comprensione della dottrina della infallibilità pontificia riteniamo opportuno fare al- cune precisazioni:
I. - Infallibilità non significa impeccabílità. La Chiesa Cattolica, basandosi sulla Bibbia, ritiene che il Papa non può insegnare errori in materia di fede e di morale, ma non ha mai detto che i Papi siano assolutamente esenti da imperfezioni o debolezze morali. Se noi cattolici usiamo chiamare il Papa Santo Padre, l'aggettivo santo non intende attribuirgli uno stato di perfezione morale, ma è un titolo di grande rispetto e stima, anche per le sue doti morali, oltre che per l'altissima funzione di cui Dio l'ha rivestito. Nella Bibbia tutti i cristiani sono detti santi. Il titolo poi di padre è pienamente giustificato dalla Scrittura".
Nella storia del Papato, vi sono stati Romani Pontefici moralmente perfetti, veri modelli di bontà, di carità e di zelo, fino a testimoniare col martirio la loro fedeltà a Cristo. E ve ne sono ancora e ve ne saranno. Dio assiste la sua Chiesa. Ma non sono mancati dei Papi con limiti morali qualche volta anche gravi. Non sono stati certamente i più.
Stando così le cose, chi volesse insinuare che i cattolici, professando la infallibilità del Papa, in- tendono dire che egli sia impeccabile, o ignora la vera dottrina biblico-cattolica oppure agisce in mala fede.
 
2. - Nella formula o definizione della infallibilità sopra citata è degno di nota il verbo sancisce, usato dal Vaticano Il per qualificare l'atto dell'insegnamento infallibile del Papa. Nel vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli il verbo sancire significa “dare carattere stabile e decisivo”. Non vuol dire inventare e imporre un'idea propria, bensì confermare con la propria autorità- una dottrina, una decisione, una sentenza, alla quale si è pervenuti mediante i debiti canali, per le vie legittime.
 
Nel caso dell'infallibilità pontificia il Papa sancisce, cioè dà carattere stabile e decisivo, a une dottrina contenuta nella Bibbia e conosciuta mediante uno studio accurato e coscienzioso, suo di altri, del Sacro Testo. In effetti, il magistero infallibile del Papa non è superiore alla Parola d Dio, ma ad essa serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio.
 
3. Vi sono perciò condizioni ben determinati che assicurano il credente sull'esercizio o meno de magistero infallibile del Papa. Ordinariamente  riducono a quattro e sono contenute nella formulazione della infallibilità pontificia del Concilio Vaticano I. Esse sono:
a) Che il Papa sancisca non come maestro privato (biblista, teologo, giurìsta ecc.), o anche come Vescovo di Roma, ma nell'esercizio del suo supremo ministero o servizio ecclesiale, ossia come supreimo pastore e maestro della Chiesa.
b) Che intenda insegnare a tutta la Chiesa,  non a una singola parte di essa, escludendo altre come quando dà insegnamenti o emana disposizioni, generalmente a carattere temporaneo, per il bene d'una singola diocesi o nazione o anche continente.
c) Che faccia ben capire che voglia far uso del carisma dell'infallibilità, ossia che intenda sancire con atto definitivo una dottrina di fede e di morale. Nello stile pontificio una tale evidenza risulta ordinariamente dai termini usati come definire e simili.
d) Che sancisca sempre verità riguardanti la fede e la morale, ossia insegnamenti dati dallo Spirito Santo mediante i Profeti, Gesù Cristo e gli Apostoli. L'infallibilità pontificia non è stata data da Dio per sancire verità di carattere scientifico come la biologia, l'astronomia, la fisica, la storia ecc..
Prove bibliche dell'infallibilità
Si domanda:
Giustifica la Bibbia l'infallibilità pontificia? La risposta deve essere affermativa.
a) Cristo ha promesso che egli avrebbe edificato la sua Chiesa sulla fede di Pietro (cf. Matteo 16, 18).
Cristo continua ad edificare la sua Chiesa nel tempo sulla fede e l'insegnamento dei Romani Pontefici che succedono a Pietro. Dunque la fede e l'insegnamento dei Romani Pontefici non possono essere infetti d'errori, altrimenti Cristo edificherebbe la  sua Chiesa sull'errore.
b) Se l'uso delle chiavi (cf. Matteo 16, 19), ossia il potere d'interpretare autorevolmente le Scritture, non sì è esaurito con l'opera di Pietro, ma è ereditato dai suoi successori nel Primato, ossia dal Papi, ne segue che la loro interpretazione delle Scritture sarà sempre corretta; altrimenti il loro servizio di aprire o chiudere sarebbe nocivo alle esigenze del Regno di Dio.
c) Parimenti se Cristo ha assicurato Pietro che tutto ciò che avrebbe legato o sciolto sulla terra, sarebbe stato legato o sciolto anche nei cieli cioè da Dio (cf. Matteo 16, 19), ne segue che anche le decisioni del successore di Pietro nella sua specifica funzione di Capo della Chiesa, avranno una corrispondente sanzione da parte di Dio, e non possono perciò essere decisioni errate.
d) Gesù ha affidato a Pietro tutto il suo gregge affinché, in qualità di pastore legato a Cristo da un grande amore, lo guidi a pascoli sicuri e lo difenda da eventuali lupi rapaci (cf. Giovanni 21, 15-17). Anche i successori di Pietro devono assicurare al gregge di Cristo pascoli sicuri e difenderlo dai nemici. Questo sarebbe impossibile se il loro insegnamento fosse infetto da errori: i Papi, nella funzione di Pastori universali, non possono errare in materia di fede e di morale.