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PIETRO
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E LA
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PIETRA
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OPUSCOLO N° 10
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PICCOLA COLLANA
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"I TESTIMONI DI GEOVA"
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Per ricevere gli opuscoli rivolgersi:
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Padre Nicola Tornese
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Viale S. Ignazio,
4
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80131 NAPOLI
tel. 081.545.70.44
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- Esaminate ogni cosa (1 Tess. 5,
21)
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I testimoni di Geova (tdG) hanno
un'avversione particolare contro la Chiesa Cattolica.
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Perché?
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Perché vedono in essa l'ostacolo
maggiore alla diffusione dei loro gravissimi errori, la colonna e il
sostegno della verità (cf. 1 Timoteo 3, 15).
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Inoltre i geovisti non ignorano
l'immensa autorità morale, di cui gode il Papa, successore di san
Pietro,, il Primo degli Apostoli (cf. Matteo 10, 2). Uno dei
principali obiettivi dei loro strali velenosi è perciò il Romano
Pontefice, la roccia, su cui il Signore Gesù assicurò
dì voler costruire la sua vera Chiesa (cf. Matteo 16, 18,
infra).
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Nel vano tentativo di distruggere il
Papato, i tdG, com'è, loro abitudine, fanno un uso
fazioso della Bibbia, mettono cioè in evidenza e spiegano
arbitrariamente solo alcuni testi biblici, tralasciando numerosi
altri, che smascherano inesorabilmente i loro errori e i loro
sofismi.
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Il metodo seguito dal geovisti ha un
unico scopo, quello cioè di creare dubbi e confusione in chi non è
capace d'intendere, non di far conoscere la verità oggettivamente e
onestamente. Ostentatamente dicono di seguire la Bibbia; in realtà i
loro discorsi “sono ragionamenti falsi e maliziosi. Sono frutto di
una mentalità umana o vengono da spiriti che dominano questo mondo.
Non sono pensieri che vengono da Cristo” (Colossesi 2, 8;
La Bibbia in lingua corrente)
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Bisogna dubitare sempre
delle loro affermazioni. Bisogna consultare sempre le fonti,
soprattutto la vera Bibbia, non quella falsa venduta dai tdG.
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Esaminate ogni cosa,
tenete ciò che è buono! (1 Tessalonicesi
5, 21).
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Su questa base di sincero amore per la
verità e docili all'esortazione dell'Apostolo ai cristiani di
Tessalonica, noi vogliamo esaminare coscienziosamente tutti
i testi biblici riguardanti il Primato di Pietro e
dei suoi successori, i Romani Pontefici, contro la
strumentalizzazione che della Bibbia fanno i tdG.
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PARTE 1
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IL PRIMATO DI PIETRO
- L'errore
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Fedeli al loro metodo equivoco e
ingannevole i tdG, nel problema di cui ci occupiamo, insistono
unilateralmente, cioè faziosamente, su quei testi
biblici dov'è detto che Cristo è la pietra o roccia e fondamento
della Chiesa, ma ignorano o mettono in penombra o sorpassano con
disinvoltura gli altri testi biblici dove l'appellativo di pietra o
roccia e di fondamento è dato anche ad altri, specialmente a Simone,
il figlio di Giovanni, cioè al Primo degli Apostoli di
Cristo.
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Come prova riportiamo un pezzo di
propaganda geovista, che è un capolavoro del metodo ingannevole
nell'uso della Bibbia seguito dai tdG:
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“Chi è il fondamento della vera chiesa?
Gesù Cristo rese chiaro che egli stesso è tal fondamento. Egli
applicò a se stesso la profezia di Salmo 118:22, dicendo: "La pietra
che gli edifìcatori hanno rigettata è divenuta la principale pietra
angolare" (Matteo 21:42-44). L'apostolo Paolo aggiunge la sua
testimonianza che Gesù è "la principale pietra angolare", scrivendo
ai cristiani di Efeso: "Siete concittadini dei santi e membri della
casa di Dio, sopraedifìcati sul fondamento degli apostoli e dei
profeti, con lo stesso Cristo Gesù quale pietra angolare" (Efesini
2: 19, 20, Ga). L'apostolo fu molto esplicito al
riguardo, dicendo di nuovo: "Perché nessuno può porre altro
fondamento oltre quello che già vi sta; e questo è Gesù Cristo" (1
Corinzi 3:11, Ga). Non potrebbe esserci per la vera
chiesa un fondamento più eccellente e più sicuro di Cristo Gesù, non
è vero?
- La verità
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Per scoprire l'inganno geovista
bisogna tener presente che nella Bibbia vi è un uso
molteplice della metafora sia della pietra o roccia
sia del fondamento, con differenti applicazioni. Di
questa ricchezza biblica bisogna tener debito conto e precisare di
volta in volta il significato della metafora. Questo i geovisti non
lo fanno, ma presentano della Bibbia una conoscenza volutamente
parziale, oscurando così la verità
di Dio.
-
Al contrario di ciò che fanno gli
eretici, noi vogliamo precisare i vari significati di
pietra o roccia e di fondamento, che è la via
sicura per giustificare le verità biblica del Primato
di Pietro e dei suoi successori.
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I. - La pietra o roccia.
La metafora della pietra o roccia ha nella Bibbia
soprattutto i quattro se- guentì significati ed applicazioni:
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a)
Viene applicata anzitutto a Jahve, come
appare dalle seguenti citazioni. “Jahve è la Roccia del
mio rifugio”, ripeteva Davide in circostanze difficili della sua
vita (2 Samuele 22, 2). Diceva pure: “Jahve è la Roccia
di Israele” (2 Samuele 23, 3).
-
Prima di Davide Mosé aveva detto:
“Jahve è Roccia” (Deuteronomio 32, 4). E più tardi
Isaia additava Jahve come Roccia dei popolo eletto (cf.
Isaia 17, 10; 44, 8). Infine il salmista pregava: “Benedetto Jahve,
mia Roccia” (Salmo 144, 1; 95, 1 ecc.).
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b) Nel Nuovo Testamento Gesù si è
qualificato come “la pietra d'angolo” (Matteo 21, 42), ossia come la
pietra principale nella edificazione del nuovo Israele,
applicando a se stesso le parole del Salmo 118, 22-23 (cf. Efesìni
2, 19-20).
-
E’ chiaro che l'essere Pietra
di Cristo non vanifica l'essere Roccia di Jahve né
viceversa l'essere Roccia di Jahve svuota l'essere
Pietra di Cristo. Solo bisogna sapere e volere
conciliare le due esplicite testimonianze della Bibbia senza
detrimento né dell'una né dell'altra.
-
c) Anche Simone, il figlio di
Giovanni, è qualificato come Pietra nella Bibbia del
Nuovo Testamento. Fu Gesù stesso a imporgli questo nuovo nome come
leggiamo in san Giovanni:
-
“Andrea incontrò per primo suo
fratello Simone e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia" (...) e lo
condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui Gesù disse: "Tu sei
Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire
Pietro)"” (Giovanni 1, 41-42; cf. Marco 3, 16).
-
E’ chiaro anche qui che l'essere
Cefa o Roccia di Simone non vanifica l'essere Pietra
o Roccia di Cristo, né viceversa. Le due cose si
possono e si devono conciliare per essere fedeli a tutto
ciò che dice la Scrittura con onestà e coraggio, senza
ridimensionare la Parola di Dio a nostro piacimento.
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d) Ricordiamo infine che
tutti i credenti in Cristo sono detti nella Bibbia pietre
vive. San Pie- tro applica anche ad essi la metafora della
pietra (cf. 1 Pietro 2, 4-5).
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2. - Il fondamento. Anche
la metafora di fondamento ricorre nella Bibbia più
d'una volta e naturalmente con diversi significati ed applicazioni.
Ricordiamone alcune.
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a) Fondamento,
prima di tutti, è detto Gesù Cristo, secondo la
vigorosa precisazione di san Paolo. Scrive l'Apostolo: “Ma ciascuno
stia attento come costruisce. infatti nessuno può porre un
fondamento diverso.da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo”
(1 Corinzi 3, 10-1 1).
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b) Ma oltre che per Cristo, Paolo usa
la metafora di fondamento anche per gli Apostoli e i profeti.
Riportiamo le sue parole:
-
“Voi (= i pagani divenuti cristiani)
non siete più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e
familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli
Apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso
Cristo” (Efesini 2, 19-20).
-
San Giovanni poi nell'Apocalisse 21,
14 ci fa sapere che:
-
“Le mura della città (= della Chiesa)
poggiano su dodici basamenti, su cui sono i nomi dei
dodici Apostoli”.
-
c) Infine la Chiesa tutta in terra,
ancora da san Paolo, è detta fondamento:
-
“Voglio che tu (= Timoteo) sappia come
comportarti nella casa di Dio che è la Chiesa del Dio Vivente,
colonna e sostegno (= fondamento) della verità” (1
Timoteo 3, 15)
- Ricchezza e povertà
-
Contrariamente a ciò che fanno i tdG
che, per scopi settari, omettono tanti testi biblici e impoveriscono
la Parola di Dio, fedeltà alla Sacra Scrittura esige che
tutte le metafore della roccia o pietra e fondamento
siano tenute in debito conto senza far torto allo Spirito Santo
che le ha suggerite. Ciascuna infatti indica a suo modo
la funzione di pietra-fondamento senza vanificare le
altre. Indichiamo brevemente le singole funzioni:
-
a) Jahve è la Roccia in quanto
costituiva il primo fondamento dell'antico Israele,
tipo e figura della Chiesa. In Lui, ossia nella sua bontà e fedeltà,
poggiavano la fede e la speranza degli Israeliti; in Lui poggiano la
fede e la speranza del nuovo Israele (cf. Galati 6, 18), ossia di
tutti i veri discepoli di Cristo.
-
b) Cristo è la Roccia, ossia la pietra
principale e fondamentale della comunità dei salvati (della Chiesa),
perché in Lui la bontà e la fedeltà di Jahve sono apparse all'uomo
per salvarlo (cf. Tito 3, 4). Poggiando su di Lui, che è l'Emmanuele,
che significa Dio-con-noi (cf. Matteo 1, 23; Isaia 7, 14), siamo
sicuri di poggiare sull'unico e vero Dio. Il monito di san Paolo
vale sempre e per tutti: “Nessuno può porre un fondamento
diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” (1
Corinzi 3, 11).
-
c) Gli Apostoli e i profeti sono
fondamento perché la loro testimonianza sui fatti e i detti di Gesù,
trasmessa sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, rimane la norma
definitiva (cf. Giuda 3) di fede e di vita per chiunque voglia
aderire a Cristo e per mezzo suo all'unico e vero Dio. Poggiando
sulla testimonianza apostolica, siamo certi di poggiare su Cristo,
fondamento o pietra principale della vera Chiesa, e in definitiva su
Dio.
-
d) Tutti i credenti in
Cristo sono pietre vive nel senso che formano il materiale con cui
Cristo edifica la sua Chiesa, “vengono edificati per diventare
dimora di Dio per mezzo dello Spirito.” (Efesini 2, 20-22). La
Chiesa di Cristo è formata da creature umane che, trasformate dalla
fede e dall'amore, diventano elementi preziosi con cui viene
edificata la dimora di Dio con gli uomini (cf. Apocalisse 21, 2-3),
la città santa, la Nuova Gerusalemme.
- Simone, la roccia (Giov. 1, 42)
-
Senza nessun detrimento né di Dio né
di Cristo né degli Apostoli né dei credenti in Cristo, il Divino
Fondatore della Chiesa ha voluto che Simone, il figlio di Giovanni,
esercitasse una funzione specifica di roccia.Quale?
-
a) Simone,
il figlio di Giovanni, deve certamente
dirsi fondamento della Chiesa in quanto Apostolo, anzi il Primo
degli Apostoli (cf. Matteo 10, 2) aí sensi della testimonianza di
san Paolo già ricordata (cf. Efesini 2, 19). A lui pure si applica
la metafora della pietra viva in quanto credente in Cristo, che con
la fede e con l'amore fino al martirio è divenuto una componente di
primo piano nella costruzione della dimora di Dio con gli uomini.
-
b) Ma nei suoi riguardi
la Bibbia dice qualcosa di più, di particolare, di specifico.
-
Nel primo incontro con lui Gesù gli
cambiò nome e volle che si chiamasse Cefa, che vuol dire Pietro
(Giovanni 1, 42). Il vangelo di Marco conferma questa volontà di
Cristo. Dopo una notte di preghiera, solo, in luogo appartato, Gesù
costituì il gruppo dei Dodici. Al primo posto è collocato Simone,
“al quale impose il nome di Pietro” (Mar- co 3, 16; cf. Luca 6,
12-16). Il gesto di Cristo non fu un gesto improvvisato, ma meditato
nella lunga preghiera.
-
c) Per chi legge la Bibbia con
intelligenza ed amore questo gesto di Cristo non può non provocare
delle domande, a cui bisogna rispondere in modo convincente, non
superficiale, avendo sempre la Bibbia come guida:
-
-
Se Simone doveva essere
fondamento come gli altri Apostoli e pietra viva come tutti i
credenti in Cristo, perché solo a lui il Maestro volle
imporre il nome di Cefa (= uomo-roccia)? Perché proprio
quel nome e non un altro?
-
-
- Se Cristo voleva essere lui
la Roccia o Pietra in modo esclusivo, perché chiamò
roccia o pietra anche il Primo degli Apostoli? E’
possibile conciliare le due cose senza detrarre nulla dalla gran-
dezza di Cristo e dalla funzione di Simone?
-
d) La risposta adeguata
alle domande sopra formulate si ha solo se si ammette che il gesto
di Cristo aveva un significato preciso e sicuro: Cristo volle che
Simone, divenuto Pietro o Cefa, fosse
l'uomo-roccia, in vista dell'opera che egli - il Maestro - stava
per attuare, ossia la fondazione e la edificazione della nuova
comunità la Chiesa. Dando a Simone il nome di Roccia (Pietro)
Gesù voleva indicare che Simone avrebbe dovuto esercitare una
funzione fondamentale nella Chiesa.
-
Quale? Pietro, poggiando se stesso su
Cristo, il principale e insostituibile fondamento della Chiesa,
confermerà nella verità tutti i suoi fratelli (cf. Luca 22,32). La
funzione specifica di Pietro, a livello visibile, sarà
sempre garanzia che la fede della Chiesa manterrà piena fedeltà alla
Parola di Dio.
-
Dov'è Pietro ivi è la Chiesa; dov'è la
Chiesa ivi è Cristo; dov'è Cristo ivi è la salvezza (S. Ambrogío).
- La promessa del Primato
-
In due tempi della sua vita Gesù
Cristo ha manifestato chiaramente la sua volontà di affidare a
Simone la funzione specifica di fondamento della Chiesa. Il primo è
conosciuto come il tempo della promessa del Primato. Il
secondo come quello del conferimento effettivo.
-
La promessa
del Primato si trova in Matteo 16, 16-18:
-
“Disse loro Gesù: "Voi chi dite che io
sia?". Rispose Simon Pietro. "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio
vivente". E Gesù: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la
carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei
cieli. Ed io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la
mia Chiesa e le porte degli ìnferi non prevarranno contro di essa"”.
-
-
Spiegazione:
-
a) Degno di nota è, prima
di tutto, il fatto che Pietro, rispondendo a nome degli altri
Apostoli e illuminato dall'alto, professa Gesù “il Cristo, il Figlio
del Dio Vivente”. Pietro riconosce nel suo Maestro non “qualcuno dei
profeti”, né un figlio di Dio, ma Il Figlio di
Dio, unico nei suoi rapporti di figliolanza col Padre (cf.
Romani 8, 32).
-
b)
A Pietro, che crede e professa la figliolanza divina
di Cristo, che dichiara cioè chi veramente sia il Cristo, vien detto
dal Figlio di Dio chi veramente debba essere Simone nella comunità
dei discepoli di Cristo. Egli sarà l'uo,mo-roccia su
cui il Figlio di Dio edificherà la sua Chiesa. Appare così chiaro
che fondamento della Chiesa sarà l'eterna e immutabile professione
di fede in Cristo, il Figlio dei Dio Vivente, la fede cioè nella sua
uguaglianza di natura coi Padre. Pietro, l'uomo-roccia, sarà garante
di questa immutabile fede.
-
c) In effetti, la promessa di Cristo a
Pietro è accompagnata da una garanzia che solo Dio poteva fare: Gesù,
il Figlio del Dio Vivente, assicura che la sua Chiesa, arroccata su
Pietro, non sarà mai sopraffatta dalle forze avverse (Ades o Morte),
non vedrà mai la morte. Rimarrà sempre viva e portatrice di vita. Ma
solo arroccata su Pietro.
- Un grosso errore dei tdG
-
In base alla conoscenza oggettiva
della Bibbia, senza pregiudizi confessionali, oggi tutti gli
studiosi si accordano sempre più che la pietra (roccia), su cui
Cristo ha promesso di edificare la sua Chiesa, è Pietro professante
la fede nella divinità di Cristo. Fanno eccezione i seguaci di
alcune sette, rimasti ancora su posizioni vecchie e irrazionali,
soprattutto i tdG, secondo cui le parole “su questa pietra” (Matteo
16, 18), andrebbero riferite a Cristo, non a Pietro. Hanno scritto:
-
“Quando Gesù disse a Pietro: "Su
questa pietra edificherò la mia chiesa", egli si riferiva a se
medesimo come la grande Rocca sulla quale la sua "chiesa" sarebbe
edificata. Secondo il manoscritto siriaco Gesù disse: "Tu sei Cefa:
e su questa pietra (cefa) edificherò la mia chiesa". Nel manoscritto
siriaco il tu è maschile ed indica che il primo Cefa
è di genere maschile e si riferisce quindi allo
apostolo Pietro, ma l'aggettivo questa è femminile; ciò
dimostra che il secondo cefa è di genere femminile e
non si riferisce a Pietro, ma a qualcun altro. Si riferisce infatti
a Cristo Gesù, il quale costituisce la petra (greco” o grande Rocca”.
-
-
Osservazioni:
-
a)
Ponderate bene le parole dei geovisti là dove dicono.
“il secondo cefa è di genere femminile e non si
riferisce a Pietro, ma a qualcun altro”. La logica e anche la
grammatica esigerebbero che il secondo cela, essendo di
genere femminile, si riferisse a qualcun'altra, a una
persona cioè di genere femminile, come per esempio alla suocera di
Pietro o a Petronilla, sua legittima figlia.
-
Ma non è questa né logica né la
grammatica dei tdG! A loro avviso, il secondo cefa,
essendo di genere femminile, non si riferisce a Pietro perché uomo,
ma a... Gesù Cristo! Gesù Cristo dunque, nel vocabolario geovista, è
di genere femminile! Tali idiozie si trovano solo negli scritti dei
tdG e sono molto adatte per coloro che frequentano le sale del regno.
-
b)
La verità è che la differenza di genere è dovuta a
esigenze di lingua sia nella traduzione siriaca che in quella greca,
latina, italiana ecc. Ma queste esigenze di lingua non cambiano il
pensiero di Cristo secondo cui le parole su questa pietra
vanno riferite sicuramente a Simon Pietro.
-
In aramaico, la lingua parlata da Gesù,
Pietro e pietra corrispondono a un unico termine, cioè
cefa, che è di genere maschile. Volendo conservare il
genere in tutti e due casi, si potrebbe dire in italiano: “Tu sei il
fondamento roccioso e su questo fondamento roccioso ecc.”.
-
Nelle traduzioni (greca, siriaca,
latina, italiana ecc.) il primo cela (tu sei
Cefa) diventa Petròs (cf. Giovanni 1, 42), ossia nome di uomo e
rimane maschile come nell'originale aramaico. Ma il secondo
cefa (su questa pietra), continuando ad essere nome comune,
cambia genere (da maschile in femminile), perché la parola greca (siriaca,
latina, italiana ecc.) corrispondente è di genere femminile. Ma ciò
è dovuto a esigenze linguistiche, come già si è detto, senza che la
metafora cambi significato.
-
-
c) Altre considerazioni: - Se le
parole “su questa pietra” si riferissero a Cristo e non a Pietro,
avremmo un linguaggio contorto e confuso. Gesù avrebbe iniziato il
suo dire rivolgendosi a Pietro: “Beato te Simone (...). Tu sei
Pietro”. A questo punto, dimenticando bruscàmente il suo
interlocutore, si sarebbe rivolto a se stesso. Poi di nuovo a Pietro:
“A te darò le chiavi...”. Pietro con la sua solita franchezza
avrebbe potuto chiedere: “Perché dici che sono Cefa,
proprio ora, se poi intendi parlare di te stesso come Cefa?”.
-
- Il discorso invece diventa logico e
chiaro se si ammette, come di fatto è, che tra “tu sei Cefa” e “su
questa pietra (cefa)” vi sia corrispondenza.
-
Gesù ha spiegato a Pietro che cosa
comportava il suo nuovo nome, qual' era cioè la
natura della sua missione e il suo destino nella Chiesa.
- Un'opinione di sant'Agostino
-
A questo punto i tdG fanno entrare in
scena Agostino, “cui - dicono - si fa dì solito riferimento come a
sant'Agostino”. Scrivono:
-
“Benché una volta considerasse Pietro
come la "roccia", in un tempo successivo Agostino espose in modo
diverso il suo pensiero, dicendo nelle sue Retractatìones:
"Da allora ho frequentemente spiegato le parole del nostro
Signore: 'Tu sei Pietro e su questa roccia edificherò la mia chiesa',
nel senso che si dovrebbero intendere come rivolte a colui che
Pietro confessò quando disse: 'Tu sei il Cristo, il Figlio
dell'Iddio vivente'... Poiché ciò che fu detto (a Pietro) non fu 'Tu
sei la roccia', ma 'Tu sei Pietro'. Ma la roccia era Cristo”.
-
-
Osservazioni:
-
Com'è
loro abitudine, i tdG riferiscono solo in parte
ciò che scrisse sant'Agostino, in una forma cioè
faziosa e ingannevole. Non è difficile scoprire l'inganno sia
ricordando la dottrina di Agostino sulla funzione di Pietro nella
Chiesa sia analizzando il testo strumentalizzato dai tdG.
-
a)
Ricordiamo anzitutto che sant' Agostino non negò mai
la dottrina del Primato di Pietro. Al contrario,
l'ammise esplicitamente provandola soprattutto dalle parole di
Cristo a Simon Pietro dopo la risurrezione: “Pasci le mie pecore”
(Giovanni 21, 16-17, infra). Il Dottore
della Chiesa Cattolica sant'Agostino insegna che con queste parole
Cristo costituì Pietro quale capo del corpo della
Chiesa'. Capo, s'intende, non come Cristo, ma a livello visibile, su
questa terra, durante il tempo della storia. Questa dottrina
Agostino non l'ha mai ritrattata! .
-
b)
Ciò che sant'Agostino ritrattò, fu solo la
sua interpretazione di Matteo 16, 18. In un primo tempo egli
aveva ritenuto che le parole “su questa pietra” si dovessero
riferire a Pietro. Poi cambiò idea e preferì l'opinione secondo cui
quelle parole andrebbero riferite a Cristo. Ma affermò
esplicitamente che l'altra spiegazione, da lui prima seguita, era
accettata da molti, tra i quali il beatissimo Ambrogio. Agostino mai
contestò ad Ambrogio l'interpretazione di Matteo16, 18 come errata
benché diversa dalla propria .
-
c)
Sant'Agostino dunque professò sempre la dottrina
biblica del Primato di Pietro. Ma seguì o preferì
un'opinione sua personale nella interpretazione di Matteo 16, 18,
delle parole cioè “su questa pietra”. Era libero di farlo perché
nella Chiesa Cattolica vi è libertà di opinioni a riguardo di
esegesi o interpretazione di singoli testi biblici, salva sempre la
sostanza della fede. li grande Dottore Agostino ebbe comunque
l'onestà di dire che altri, cioè molti la pensavano
diversamente. Egli non li condannò come eretici. Questo particolare
così importante i tdG l'hanno nascosto ai loro lettori!
- A Pietro le chiavi del Regno
-
Con due immagini bibliche, quella
delle chiavi e quella del legare e sciogliere,
Gesù ha reso più chiare il suo pensiero, vale a dire ha fatto
capire bene che cosa egli intendeva affidare a Pietro, costituendolo
roccia o pietra della sua Chiesa. Sempre rivolto a
Pietro Gesù continua dicendo:
-
“A te darò le chiavi del Regno dei
cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato
nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei
cieli” (Matteo 16, 19).
-
-
Spiegazione:
-
I. - La prima immagine -
quella della chiave o delle chiavi - era stata usata dal profeta
Isaia. Parlando a nome di Jahve, il profeta aveva detto:
-
“Metterò il tuo (di Sebna) potere
nelle sue (di Eliakim) mani (...). Gli porrò sulla spalla la chiave
della casa di Davide; se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude,
nessuno potrà aprire” (Isaia 22, 21-22).
-
Sebna era stato un ministro infedele
del re Ezechia. Fu rimosso dal suo ufficio e il potere fu dato ad
Eliakim: sulla sua spalla fu posta la chiave della casa reale (di
David). In stile biblica dare la chiave equivale a costituire
qualcuno in autorità. Usare la chiave per aprire e chiudere
significa esercitare il potere legislativo ed esecutivo.
-
Nel Regno di Dio chi tiene la chiave è
il Signore Gesù, “quando egli apre nessuno chiude, e quando chiude
nessuno apre” (Apocalisse 2, 7). Qui si parla d'una sola chiave come
in Isaia 22, 22. Altro- ve, nell'Apocalisse, lo stesso Gesù dice: “E
ho le chiavi della morte e dell'ade
(Apocalisse 1, 18). Qui si parla di più chiavi, ma il significato
non cambia: “Ho il potere sopra la morte e sopra gli ìnferi”.
-
E’ dunque fuor di dubbio che con
l'immagine biblica delle chiavi Gesù ha voluto conferire a Pietro
una specifica autorità nella Sua Chiesa, vale a dire il ministero
autorevole d'interpretare la Parola di Dio e curare che sia accolta
e vissuta dai veri discepoli del Signore. L'esercizio di questo
ministero si ha sulla terra, ma le conseguenze si hanno anche in
cielo. Questo significa che i giudizi di Pietro sono ratificati da
Dio.
-
-
2. - La seconda immagine - quella del
legare e sciogliere - conferma ed esplicita il
contenuto dell'immagine o simbolo delle chiavi. Nel linguaggio
corrente al tempo di Gesù, specie in quello degli scribi e dottori
della Legge, legare aveva il significato di condannare con
autorità, oppure proibire o dichiarare vietata una
cosa, un'azione, un comportamento. Al contrario, sciogliere
voleva dire permettere o assolvere o dichiarare lecita
una cosa.
-
Pietro dunque, costituito maggiordomo
nella Chiesa di Dio, ha il potere sulla terra di dichiarare con
autorità ciò che è contrario e quindi esclude dal Regno di Dio; e
ciò che ad esso è conforme e rende lecito l'accesso. In altre
parole, a Pietro qui sulla terra spetta il giudizio determinante in
materia di fede e di morale sempre in rapporto al Regno di Dio. E’
chiaro che egli può fare tutto questo in nome di Cristo,
vale a dire ha la funzione di interpretare autorevolmente ciò che
Cristo ha insegnato, senza che nulla sia detratto o aggiunto al
deposito della fede. La fede di Pietro è, norma sicura di fede per
tutti i veri discepoli di Cristo.
- Una spiegazione sbagliata
-
Anche la metafora delle chiavi è
spiegata dai geovisti in modo arbitrario e confuso col solo fine di
oscurare l'insegnamento del Vangelo. Il loro errore o piuttosto il
cumulo dei loro errori è espresso nel modo seguente:
-
“Le chiavi - essi dicono - sono
simbolo della conoscenza come leggiamo in Luca 11,52. Pietro usò la
prima chiave il giorno di Pentecoste del 33 E.V. per aprire agli
Ebrei l'opportunità di entrare nel regno celeste. Usò poi la seconda
chiave tre anni dopo, nel 36 E.V., a favore dei non-giudei
incirconcisi Gentili. Non c'era più nessun bisogno che Pietro usasse
ulteriormente le chiavi del regno dei Cieli”.
-
Nel 1980, vale a dire quindici anni
dopo aver scritto e stampato il pezzo sopra citato, il Corpo
Direttivo di Brooklyn, N. Y. cambiò parere: le chiavi consegnate a
Pietro sarebbero tre, non più due! Pietro avrebbe
adoperato la terza chiave in occasione del suo sopralluogo nella
regione dei samaritani, un po' a nord di Gerusalemme .
- La spiegazione esatta
-
a)
In san Luca 11, 52, che i geovisti citano, Gesù, in
disputa coi dottori della Legge , disse:
-
“Guai a voi, dottori della Legge, che
avete tolto la chiave della scienza”.
-
Per l'esatta conoscenza del pensiero
di Gesù bisogna ricordare che i dottori della Legge presso gli Ebrei
si consideravano ed erano considerati come gli autorevoli
interpreti della Legge, ossia della Bibbia. Togliere la chiave
della scienza equivale a interpretare male la Scrittura.
Al contrario avere la chiave della scienza vuol dire essere
interpreti autorevoli della Scrittura.
-
Gesù rimprovera ai dottori della Legge
di interpretare male la Scrittura con l'aggravante che, pretendendo
di essere i soli a saperla interpretare, impedivano a se stessi e
agli altri di conoscere ed accettare il messaggio di salvezza
annunziato da Cristo.
-
b)
Alla luce di questo chiaro insegnamento biblico
appare evidente il simbolismo della chiave o delle chiavi.
Consegnando a Pietro le chiavi del Regno dei cieli, Gesù intendeva
costituirlo interprete autorevole delle Scritture.
Pietro ha avuto da Cristo la chiave della scienza, ossia della vera
conoscenza del pensiero e della volontà di Cristo per insegnarla
autorevolmente. Appare pure evidente come questa funzione
di Pietro, vale a dire l'uso delle chiavi, non può essere limitato a
due o tre casi. La pretesa dei dottori della legge non si limitava
ad alcuni casi: essi interpretavano autorevolmente la legge sempre e
dovunque ci fosse bisogno. Così la funzione di Pietro non può essere
limitata a due o tre circostanze, come fanno erroneamente i geovisti.
Egli è stato costituito da Cristo per dare autorevolmente la retta
conoscenza della legge di Dio sempre e dovunque finché vi
saranno sulla terra creature umane bisognose e desiderose di essere
illuminate con la conoscenza della verità che ci salva (cf . 1
Timoteo 2, 4; Luca 22, 32))
-
c)
E’ perciò errato e contro il chiaro insegnamento della Scrittura far
consistere il simbolismo nel numero delle chiavi, e non piuttosto
nell'uso che della chiave o delle chiavi vien fatto. L'uso è quello
di aprire o chiudere, vale a dire dare la conoscenza della legge in
ciò che essa dichiara buono e giusto (aprire) e in ciò che essa
dichiara ingiusto e illecito (chiudere). Si può aprire
o chiudere con una sola chiave o con più chiavi! Si deve
aprire o chiudere sempre che le circostanze lo esigono. In
effetti si ha lo stesso simbolismo sia in Isaia 22, 22; Luca 11, 52;
Apocalisse 3, 7, dove si parla d'una sola chiave, sia in Matteo 16,
18, dove si parla di più chiavi .
-
d)
Deve perciò dirsi artificiosa e faziosa la
spiegazione dei tdG, che limitano l'uso a tre sole circostanze nella
vita di Pietro, insistendo unicamente sul numero delle
chiavi e non sul loro simbolismo, come insegna chiaramente la Bibbia.
-
Nelle tre circostanze, di cui parlano
i geovisti, Pietro ha dichiarato autorevolmente sia ai Giudei che ai
non-Giudei non già che la porta del Vangelo era aperta anche per
loro, ma piuttosto ha spiegato autorevolmente sia agli uni che agli
altri che cosa dovevano credere (= aprire) e che cosa dovevano
rifiutare (= chiudere) per entrare nel Regno di Dio (cf. Atti 2,
37-41; 15, 7-12) . La Bibbia non dice che Pietro
ha fatto uso d'una sola chiave, ma fa
chiaramente capire che ha esercitato la funzione, che la chiave o le
chiavi nel loro simbolismo significano.
-
Anche in seguito san Pietro continuò a
usare le simboliche chiavi, annunciando con autorità il Vangelo sia
ai Giudei (cf. Galati 1, 18) sia ai non-Giudei (cf. 1 Corinzi 1, 12;
9, 5) a viva voce e anche per iscritto (cf. Prima e Seconda
Lettera di Pietro) dando precise istruzioni su ciò che i
cristiani devono credere e su ciò che devono rifiutare.
- Il conferimento del Primato
-
Nell'ultimo capitolo del quarto
vangelo abbiamo il racconto particolareggiato di come avvenne
l'effettivo conferimento del Primato a san Pietro, dopo
la promessa di cui in Matteo 16, 16-18. Racconta san Giovanni:
-
“Questa era la terza volta che Gesù si
manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti.
Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: "Simone di
Giovanni, mi vuoi bene più di costoro?". Gli rispose: "Certo,
Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pasci i miei
agnelli. Gli disse di nuovo: "Simone di Giovanni, mi vuoi bene?".
Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli
disse: "Pasci le mie pecorelle". Gli disse per la terza volta:
"Simone di Giovanni, mi vuoi bene?". Pietro rimase addolorato che
per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene? e gli disse: "Signore,
tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene". Gli rispose: "Pasci le mie
pecorelle"” (Giovanni 21, 14-17).
-
Spiegazione:
-
a) Per far capire bene il suo
pensiero Gesù sì serve della metafora del pastore e delle pecore,
che esprime simbolicamente l'autorità esercitata sugli uomini
mediante un governo capace non solo di dare ai sudditi i mezzi
necessari alla vita, ma anche di difenderli contro i nemici. E’ la
parabola del buon pastore (Cf. Giovanni 10, 1-6).
-
b) Anche questa metafora è assai
comune nella Bibbia. In Isaia Jahve è descritto “simile a un pa-
store che conduce al pascolo il suo gregge, raccoglie nelle sue
braccia gli agnelli ( ... ), conduce al riposo
le pecore madri” (40, 11; Cf. Ezechiele 34, 10-14). Jahve ha pure
voluto affidare le sue pecore ad alcuni suoi servi le guida per mano
di Mosè (Cf. Salmo 77, 21), e dopo di lui designa Giosuè come capo
(Cf. Numeri 27, 15-20).
-
c) A imitazione del Padre anche
l'Unigenito Figlio si presenta come il Buon Pastore che dà la vita
per le sue pecore (Cf. Giovanni 10, 11-15); e come il Padre, dispone
che il suo gregge abbia una guida in uomini fidati, pieni di amore
per lui.
-
A tale compito sceglie Pietro,
malgrado la sua negazione, seguita da un sincero pentimento (cf.
Marco 14, 72). Gesù lo ha riabilitato apparendo a lui singolarmente
dopo la sua risurrezione (cf. 1 Corinzi 15, 5; Luca 24, 34) e anche
assieme agli altri (cf. Giovanni 20, 19-23; Luca 24, 36-53). Ciò che
racconta san Giovanni (21, 15-17) non è altro che la conferma e il
compimento della promessa fatta a Pietro in Matteo 16, 16-18.
-
d)
Anche altri discepoli di Cristo hanno l'incarico di
vigilare sulle singole comunità (cf. Atti 20, 28) come pastori,
presbiteri ed episcopi (cf. Efesini 4, 11; 1 Pietro 5, 1 ss.). Ma
Simone, il figlio di Giovanni, che ha avuto dal Maestro il nuovo
nome di Pietro (= la roccia), ha il compito di vigilare su
tutto il gregge di Cristo, sugli agnelli e sulle pecore Egli è
il maggiordomo della Casa del Signore, il vicario di
Cristo. La missione di Pietro è universale.
-
Sotto la sua guida il gregge di Cristo
sarà condotto a buoni pascoli. Fuor di metafora, questo
vuol dire che Pietro assicurerà la sana dottrina in tutta la Chiesa.
Arroccata su questa pietra la comunità di Cristo non sarà mai
sopraffatta dall'errore e dalle potenze del male (cf. Matteo 16,
18).
- La contestazione geovista
-
Per contestare la verità biblica del
Primato di Pietro i tdG strumentalizzano, com'è loro
uso, alcuni testi della Scrittura, strappandoli dal loro contesto e
dando ad essi un significato che non hanno. Tra questi vi sono le
parole di Gesù, di cui in Matteo 20, 20-28 (cf. Marco 10, 35-45):
-
“Allora gli si avvicinò la madre dei
fìgli di Zebedeo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli
qualcosa. Egli disse: "Che cosa vuoi?". Gli rispose: "Di' che questi
miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel
tuo regno". Rispose Gesù: "Voi non sapete quello che chiedete.
Potete bere il calice che io sto per bere?". Gli dicono: "Lo
possiamo". Ed egli soggiunse: "Il mio calice lo berrete; però non
sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia
sinistra, ma è per coloro per i quali è stato. preparato dal Padre
mio".
-
Gli altri dieci, udito questo, si
sdegnarono con i due fratelli; ma Gesù, chiamatili a sé, disse: "I
capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi
esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma
colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostra schiavo"”.
-
Inoltre i tdG strumentalizzano le
parole di Luca 22, 24-27.
-
“Sorse anche una discussione, chi di
loro poteva essere considerato il più grande. Egli disse: (... ) "Ma
chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi
governa come colui che serve"”.
-
Basandosi erroneamente su questi due
testi biblici i tdG sono d'avviso che gli altri Apostoli di Cristo
non considerarono Simon Pietro come “il masso di Roccia”, su cui
Cristo disse di voler edificare la sua congregazione ".
- La verità
-
a) Chiunque abbia conoscenza dei
vangeli e li legga senza una mentalità settaria ricorderà che non
sempre i discepoli di Gesù capivano subito e bene ciò che il loro
Maestro aveva detto o fatto (cf. Matteo 15, 16; 13, 36 ecc.). Più
d'una volta Gesù spiega pazientemente il suo pensiero e infine li
assicura che lo Spirito Santo chiamerà alla loro memoria ciò che
egli aveva detto e insegnerà ogni cosa (cf. Giovanni 14, 26; 16,
12-14).
-
b) Stando così le cose, può darsi che
le parole di Gesù a Pietro, di cui in Matteo 16' 16-18, abbiano
forse causato qualche animosità tra i discepoli e qualche ambizione
anche nei loro parenti, ancora incapaci di entrare nel nuovo ordine
di idee e di cose prospettato da Gesù. Fino alla vigilia della sua
passione Cristo ha detto proprio a Pietro: “Quello che io faccio, tu
ora non lo capisci, ma lo capirai dopo” (Giovanni 13, 7).
-
c) Nella risposta che Gesù dà ai fìgli
di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, Gesù non nega che nella sua comunità
vi debba essere chi governa e chi è governato, e ammette pure che vi
possa esser qualcuno che si senta portato al governo. Ammonisce
tuttavia che tra i suoi discepoli, ossia nella comunità dei credenti,
chi sta a capo deve comportarsi come uno che serve (cf. Luca 22,
26).
-
In questa medesima risposta vi è una
cosa degna di nota. Gesù ricorda che nella Chiesa la funzione o le
funzioni di governo non sono conseguite mediante l'ambizione, ma
sono un dono di Dio, effetto di una disposizione dall'alto. Questo è
il significato della parola di Gesù: “Non sta a me concedere, che vi
sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i
quali è stato preparato dal Padre mio” (Matteo 20, 23). Il Regno di
Dio è governato dalla volontà del Padre che si manifesta mediante
l'opera del Figlio. Tra Padre e Figlio vi è perfetta armonia perché
il Padre è nel Figlio come il Figlio è nel Padre (cf. Giovanni 14,
10). Tutto ciò che il Padre ha è suo, dei Figlio (cf. Giovanni 16,
15).
-
d) Dopo il conferimento effettivo del
Primato (cf. Giovanni 21, 15-17), soprattutto dopo che
lo Spirito Santo diede agli Apostoli la conoscenza esatta della
verità e la forza per professarla (cf. Giovanni 14, 26; Atti 1, 8)
Pietro è riconosciuto come guida indiscussa di tutta la comunità e
di fatto esercita la sua funzione. La vita dell'intera Chiesa
gravita intorno a lui. Tutti guardano a Pietro come alla
Roccia, su cui Cristo intendeva edificare la sua Chiesa.
- La verifica
-
Ecco alcuni fatti comprovanti: -
Pietro è sempre il primo negli elenchi degli Apostoli
(cf. Matteo 10, 2-4, Marco 3, 16-19; Luca 6, 13-16; Atti 1, 13).
-
- Pietro propone e dirige l'elezione
di uno che prenda il posto di Giuda, il traditore (cf Atti 1, 15).
-
- Pietro è il portavoce ufficiale di
tutta la comunità il giorno di Pentecoste. Tutti avevano ricevuto la
forza dello Spirito Santo, ma Pietro parla a nome di tutti ai Giudei
convenuti a Gerusalemme (cf. Atti 2, 14).
-
- Pietro risponde ai capi del popolo e
agli anziani per giustificare il suo operato e quello degli altri
Apostoli (cf. Atti 4, 8).
-
- Pietro vigila sul corretto
comportamento dei nuovi discepoli e punisce severamente Anania e sua
moglie perché avevano mentito allo Spirito Santo (cf. Atti 5, 1-11).
-
- Pietro è messo in carcere e la
preghiera di tutta la Chiesa sale incessante a Dio per la sua
liberazione (cf. Atti 12, 5).
-
- Pietro in modo particolare ha il
potere di fare miracoli: guarisce i paralitici (cf. Atti 3, 6; 9,
34); risuscita i morti (cf. Atti 9, 39-41). Perfino l'ombra della
sua persona opera meraviglie (cf Atti 5, 12-16).
-
- Pietro parla come capo al concilio
di Gerusalemme e quanto egli dice determina le decisioni prese da
quell'assemblea con l'assistenza dello Spirito Santo (cf. Atti cap.
15).
-
- Pietro, a preferenza degli altri
Apostoli, è consultato da Paolo che vuole assicurarsi
dell'autenticità del Vangelo (cf. Galati cc. 1 e 2).
-
Sapevate tutto questo? E ora che lo
sapete giudicate da voi stessi quanto sia inesatto e fazioso ciò che
di Pietro hanno scritto i tdG:
-
“Pietro ebbe eccellenti privilegi come
apostolo di Gesù Cristo, è vero. Ma in nessun luogo egli indica di
pensare che fosse il principale degli apostoli. Né leggiamo in
nessun luogo che gli altri apostoli e discepoli riconoscessero
Pietro come un "papa", rendendogli onore come tale”
-
La Bibbia dice tutto il contrario!
- L'episodio di Antiochia (Gal. 2,
11-14)
-
L'episodio di Antiochia (cf. Galati 2,
11-14) è il cavallo di battaglia di tutti i tradizionali avversari
del Primato di Pietro. I tdG non potevano non
sfruttarlo per creare sempre confusione ed oscurare la verità di Dio.
Hanno scritto:
-
“In un'occasione Paolo ritenne
necessario rimproverare Pietro (Cefa) perché aveva seguito una
condotta non in armonia con la vera fede cristiana. Il fatto che
Pietro sbagliava mostra che non era considerato un capo "infallibile"
degli apostoli e della chiesa”.
-
La risposta:
-
I. - Va detto anzitutto
che san Paolo ha sempre considerato san Pietro come una figura di
primo piano nella vita della Chiesa.
-
- Lo chiama abitualmente col nome di
Cefa, vale a dire col nome di una funzione primaria e
fondamentale affidata a Pietro da Cristo stesso, come già abbiamo
spiegato.
-
- Paolo si premura di visitare
Cefa a Gerusalemme per confrontare la propria dottrina
con quel- la del Primo tra gli Apostoli. Nota
espressamente che non vide altri Apostoli, eccetto una visita a
Giacomo, fratello del Signore, che guidava la comunità locale di
Gerusalemme (cf. Galati 1, 18-19).
-
- In seguito per Paolo. ciò che Pietro
fa o dice è normativo e determinante (cf. 1 Corinzi 9, 5). Alla
assemblea di Gerusalemme Paolo ascolta Pietro che parla per primo e
solo dopo riferisce le sue esperienze missionarie (cf. Atti 15,
6-12).
-
- Ai cristiani di Corinto Paolo
ricorda in particolare l'apparizione del Risorto a Cefa
come una prova sicura della fede da lui predicata (cf. 1 Corinzi 1
5, 5).
-
-
2. - Veniamo ora all'episodio di
Antiochia. Onestà esige che sia visto nella sua giusta luce e
riferito con la massima fedeltà alla Parola di Dio. Ed ecco come
sono andate le cose:
-
- Pietro si trovava ad Antiochia dove
c'erano state le prime conversioni dei pagani al Vangelo (cf. Atti
11, 19-24). Egli aveva sempre patrocinato la causa dei pagani (cf.
Atti cc. 10, 11, e 15). Ad Antiochia Pietro usava prendere i pasti
coi cristiani venuti dal paganesimo, non curante delle antiche
usanze giudaiche.
-
- Nel frattempo arrivarono ad
Antiochia alcuni cristiani d'origine giudaica, osservanti ancora di
alcune usanze legali. Pietro allora si astenne dalla comunanza di
mensa con gli ex pagani. Il suo comportamento indusse anche altri a
fare lo stesso.
-
- Perché lo fece? Certamente non
perché egli pensasse che la Legge mosaica fosse ancora necessaria
alla salvezza. Paolo glielo riconosce (cf. Ga- lati 2, 14-16). Per
Pietro come per Paolo le usanze legali non avevano valore. Solo la
fede in Cristo salva. in quanto a dottrina Pietro non
sbagliava. Non è perciò affatto vero che egli “aveva seguito una
condotta non in armonia con la vera fede cristiana”.
-
- Perché lo fece? Per motivi di
coscienza, “di coscienza non sua, ma degli altri” (cf. 1 Corinzi 10,
29). Pietro temeva di turbare la coscienza dei nuovi arrivati
giudeo-cristiani non ancora maturi nella fede e soggetti perciò a
crisi di coscienza.
-
- Paolo non vide un errore,
nel comportamento di Pietro, ma solo il pericolo che altri
potessero cadere in errore. Pietro infatti non aveva apostatato
dalla fede, ma solo simulava, agiva cioè in modo
diverso da ciò che pensava per rispetto della coscienza altrui. Era
in buona fede, ma il suo comportamento, a parere di Paolo, era
sbagliato, non il suo pensiero e la sua dottrina.
-
- L'intervento di Paolo non mirava
dunque a correggere un errore dottrinale di Pietro, ma solo a farlo
riflettere sulle conseguenze pericolose per gli altri della sua
troppa prudenza.
-
Qui non c'entra l'infallibilità.
Pietro non si pronunzia e non decide su un punto dottrinale in forma
definitiva e con tutto il peso della sua autorità.
-
Solo a queste condizioni vi può essere
insegnamento infallibile (cf. intra, Parte III)
-
-
3. - Ridotto alle sue giuste
proporzioni l'episodio di Antiochia prova proprio l'opposto di ciò
che dicono i tdG e tutti gli avversari del Primato di
Pietro.
-
Infatti:
-
- San Paolo vede in Cefa non una
comune pietra della Chiesa di Dio e neppure un Apostolo come gli
altri, ma Qualcuno, il cui comportamento è determinante
per la vita della Chiesa.
-
- La funzione di guida suprema non
esclude che altri aiutino Pietro con una critica costruttiva a
compiere bene la sua missione, a conoscere cioè sempre meglio quale
sia la mente e la volontà del Signore per la
edificazione della Chiesa.
-
- Sia ricordato infine che al tempo
dell'episodio di Antiochia l'idea del Primato di Pietro
non era ancora sufficientemente chiara neppure in san Paolo. Si
aspettava il ritorno del Signore e si pensava meno ad approfondire
le strutture della Chiesa.
-
Alcuni decenni dopo si cominciò a
capire meglio il lungo cammino che doveva fare la Chiesa prima del
ritorno del Signore, e la dottrina del Primato di Pietro assieme
alla sua successione fu meglio capita e formulata. Ne fa fede il
racconto dell'ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni (cf. Giovanni
21, 15-17).
-
-
PARTE Il
-
PIETRO NON MUORE
- Verità da ricordare
-
I. - Capo della Chiesa è
Cristo. Questa è stata la perenne fede dei cattolici con piena
fedeltà alla Bibbia che dice. “Egli (Cristo) è il Capo del corpo,
cioè della Chiesa” (Colossesi, 1, 18). “Tutto infatti ha sottomesso
ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a
capo della Chiesa” (Efesini 1, 22; 4, 15; 5, 23). Recentemente
questa dottrina è stata riaffermata più volte dal Concilio Vaticano
II: “Capo di questo Corpo (= la Chiesa) è Cristo”.
-
Insinuare che secondo l'insegnamento
cattolico il Papa e non Cristo sia Capo della Chiesa, equi- vale a
insinuare l'errore, a ingannare la gente.
-
2. - Cristo non ha successori.
“Egli è, il Primo e l'ultimo, e il Vivente” (Apocalisse 1,
17-18; cf. 22, 13). Il Vivente non muore mai. E’ sempre presente.
Non lascia mai il posto vuoto perché sia occupato da altri. “Ecco io
sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Matteo 28,
20).
-
Il Papa non è successore
di Cristo, ma suo vicario o rappresentante.
-
3. - Cristo ha nella Chiesa
rappresentanti qualificati.
-
Dopo la sua Ascensione il Vivente è
invisibile. Un giorno riapparire (cf. Atti 1, 9-11). Nel tempo della
presenza invisibile, che è il tempo della Chiesa pellegrina sulla
terra, Cristo ha voluto che ci fossero suoi rappresentanti
qualificati. Non successori, ma rappresentanti.
-
A quest'ufficio Cristo ha destinato
uomini, non angeli. I primi furono scelti da lui direttamente perché
“stessero con lui e per mandarli a predicare e perché avessero il
potere di scacciare i demoni” (Marco 3, 14-15). Li chiamò
Apostoli (cf. Luca, 6, 13), cioè inviati.
-
Gli Apostoli sono perciò
rappresentanti qualificati di Cristo, Capo della Chiesa. San
Paolo li chiama “collaboratori di Dio” (I Corinzi 3, 9) e suoi
ambasciatori “Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio
esortasse per mezzo nostro” (2 Corinzi 5, 20).
- La successione apostolica
-
Si domanda:
-
La rappresentanza qualificata di
Cristo nella Chiesa doveva finire con la morte dei Dodici?
-
a)
Leggendo attentamente la Bibbia la risposta deve
essere negativa. San Paolo ci ricorda che Cri- sto,
“ascendendo in cielo (...) ha distribuito doni agli uomini (...).
E’- lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti,
altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere
idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il
corpo di Cristo (= la Chiesa)” (Efesini 4, 7-13). Questa struttura,
data alla Chiesa dal suo divin Fondatore, non può cambiare. Deve
durare fino alla fine dei tempi, fino cioè alla seconda venuta del
Signore.
-
b)
Gli apostoli capirono bene questa volontà del loro
Maestro. Non solo perciò si circondarono di
collaboratori, ai quali affidarono le loro responsabilità (cf. Atti
6, 2-6; 11, 30; 14, 23 ecc.), ma diedero disposizioni che alla loro
morte altri uomini qualificati prendessero il loro posto.
-
Le notizie più dettagliate le abbiamo
da san Paolo.
-
Dovendosi assestare dalle chiese da
lui fondate lascia alla loro guida persone ben provate e di fi-
ducia: Timoteo ad Efeso (Cf. 1 Timoteo 1, 2), Tito a Creta (Cf. Tito
1, 5). Egli vuole che le persone poste alla guida delle comunità
siano trattate con molto rispetto e
carità a motivo del loro lavoro
(Cf. 1 Tessalonicesi 5, 12-14).
-
Più tardi, prevedendo prossima la
morte (Cf. 2 Timoteo 4, 6-8), san Paolo dà chiare disposizioni
affinché il ministero qualificato continui ininterrottamente. Scrive
a Timoteo: “Tu dunque, figlio mio, attingi sempre forza nella grazia
che è in Cristo e le cose che hai udito da me trasmettile a persone
fidate, le quali siano in grado di ammaestrare altri a loro volta”
(2 Timoteo 2, 1-2).
-
c) Che le cose siano andate proprio
così ce l'assicura Clemente Romano, morto a Roma nel 95
d.C. durante la persecuzione di Traiano. Egli era stato alla scuola
dei santi Pietro e Paolo e verso la fine dei primo secolo scrisse
una Lettera alla Chiesa di Corinto dov'è detto tra
l'altro:
-
“Gli Apostoli furono mandati a portare
la Buona Novella dal Signore Gesù. Gesù Cristo fu
mandato da Dio. Ricevuto il loro mandato andarono ad annunziare la
Buona Novella. Predicando per le campagne e per le
città sceglievano ottime persone tra i primi convertiti e le
costituivano vescovi e diaconi (... ) e diedero ordine che quando
costoro fossero morti altri uomini provati succedessero nel loro
ministero”.
- La successione nel Primato
-
Anche Pietro ebbe i suoi successori
nella funzione di pascere tutto il gregge di Cristo
(cf. Giovanni 21, 15-17). Non poteva essere diversamente.
-
a) Cristo aveva promesso di edificare
la sua Chiesa sull'uomo-roccia, ossia su Pietro (cf. Matteo 16, 18).
Anche dopo la morte di Pietro, Cristo continua ad edificare la sua
Chiesa. Vi deve essere dunque qualcuno che continui la funzione di
fondamento visibile affidata a Simone, l'uomo-roccia.
-
Pietro come persona fisica è morto
(cf. Giovanni, 21, 19). Ma è volontà di Cristo che come
fondamento visibile della vera Chiesa Pietro continui a vivere
in coloro che hanno ereditato la sua funzione primaziale. Il
Primato di Pietro continua nei suoi successori.
-
b) Chi sono? La risposta è sicura.
Sono coloro i quali hanno raccolto il mantello di Pietro come Eliseo
quello di Elia (cf. 2 Re 2, 13), vale a dire i Vescovi di Roma, che
per divina disposizione hanno ereditato la missione e la funzione
qualificata di Pietro.
-
Cefa, il Primo degli
Apostoli, colui al quale Cristo affidò la cura di tutto il suo
gregge, finì i suoi giorni a Roma con un glorioso martirio. Fu Dio a
disporre che la vita della sua Chiesa prendesse questa svolta. Il
Vescovo di Roma dunque succede a Pietro anche nella guida di tutta
la Chiesa. Il Primato petrino si perpetua nel
Primato romano.
- Pietro a Roma
-
La venuta di Pietro a Roma e
soprattutto il suo martirio in quella città costituiscono le ragioni
del Primato romano. Se Pietro non fosse venuto a Roma e
non avesse finito lì i suoi giorni, avremmo avuto il Primato, ma non
il Primato romano.
-
Oggi nessuno studioso di qualche
valore mette in dubbio la storicità della venuta di Pietro a Roma e
del suo martirio sotto Nerone'. Fanno eccezione alcune minoranze
tenacemente legate ad antichi preconcetti. Tra questi i tdG.
-
-
La Bibbia.
-
a)
Si sente ancora dire da qualche accanito avversario
del Primato romano che la Bibbia ci parla solo del viaggio di Paolo
a Roma. Dunque Pietro non è stato a Roma.
-
Questo modo di ragionare è proprio di
alcuni settari, che vorrebbero trovare nella Bibbia la risposta a
ogni problema. No! La Bibbia non è un trattato di storia e tanto
meno di scienze naturali.
-
Per quanto riguarda la venuta di
Pietro a Roma, se nella Bibbia vi è un racconto particolareggiato ed
esplicito solo del viaggio di Paolo, è illogico dedurre che Pietro
non sia stato a Roma. Vi sono altri documenti, altre fonti per
accertarsi.
-
b) Tuttavia abbiamo nella Bibbia una
prova irrefragabile della presenza di Pietro a Roma, di cui sono
convinti la maggior parte degli studiosi biblici di diversa
estrazione e scuola. Tale prova è data dalle parole con cui lo
stesso Pietro chiude la sua Prima Lettera:
-
“Vi saluta la comunità che è stata
eletta come voi e dimora in Babilonia” (1 Pietro 5,
13).
-
Babilonia
indica la località dove Pietro scrisse la sua lettera.
Qual'è questa località?
-
Questa località è Roma perché il nome
di Babilonia sta al posto di quello di Roma. Questo modo di chiamare
Roma era corrente presso i Giudei al tempo in cui san Pietro scrisse
la sua Lettera. In effetti, dopo la conquista romana
della Palestina (63 a.C.), Roma era diventata per i Giudei il
simbolo della città che si erge contro Dio come l'antica Babilonia
di Nabucodonosor (2 Re, cap. 25). Allora nel mondo giudaico si
cominciò a chiamare Roma Babilonia. I cristiani
seguivano questa terminologia.
-
Una conferma ci è data dall'Apocalisse,
dove l'autore parla spesso di Babilonia la grande (cf.
14, 8;,16, 19; 17, 5; 18, 2), la città-donna “ebbra del sangue dei
santi e del sangue dei martiri di Gesù” (179 6), seduta sui sette
colli (cf. 17, 9). Tutti ammettono che col nome di
Babilonia Giovanni voglia indicare Roma “la città grande, che
regna su tutti i re della terra” (17, 18).
-
c) Né d'altra parte è possibile
pensare all'antica Babilonia di Nabucodonosor. E questo per due
motivi principalmente.
-
Non vi è anzitutto la minima traccia
nella Bibbia e nella storia che Pietro sia stato in Mesopotamia,
nell'antico impero di Nabucodonosor. Al contrario, abbiamo chiari
segni nella Bibbia dei suoi spostamenti verso Occidente (cf. 1
Corinzi 1, 12; 9, 5). Roma era il centro propulsore della vita del
mondo. Come Paolo (cf. Romani 1, 15-17), Pietro capiva che a Roma
bisognava consolidare il Vangelo .
-
In secondo luogo, quando Pietro
scriveva la sua Prima Lettera, la Babilonia di
Nabucodonosor non esisteva più. Nell'anno 275 avanti Cristo gli
abitanti dell'antica città erano stati trasferiti altrove, a
Seleucia, le mura e le fortezze di Babilonia smantellate, la sua
vita ridotta agli estremi. Un secolo e mezzo dopo si ebbe il colpo
di grazia. I resti di quella che era stata la grande Babilonia
furono rasi al suolo per opera di Parti nel 126 avanti Cristo. La
rovina fu completa.
-
Si era avverata la volontà di Jahve
che aveva preannunciata la rovina totale di quella città (cf.
Geremia 25, 12; Isaia 21, 9-10).
-
-
2. - La tradizione.
-
La prova biblica della presenza di
Pietro a Roma è più che convincente. Se dovesse rimanere qualche
dubbio, le numerose e chiare testimonianze della tradizione
valgono ad eliminarlo.
-
La tradizione! ? La pronuncia di
questa parola provoca un sorriso di scherno nei tdG. Essi accusano
altezzosamente la Chiesa Cattolica di aver sostituito la tradizione
cioè insegnamenti umani, alla Parola di Dio. Fate come i farisei -
ci dicono - contro i quali si scagliò Cristo perché seguivano le
loro tradizioni “an- nullando la Parola di Dio” (Marco 7, 13) .
-
L'accusa dei geovisti è superficiale e
settaria. Perciò, a beneficio di quanti vogliono conoscere la verità,
crediamo opportuno fare alcune precisazioni sulla
tradizione.
-
-
Che cos'è la tradizione?
-
a) Non è certamente quel che Cristo a
ragione rimproverava ad alcuni scribi e farisei
(cf. Matteo 15, 1-6; Marco 7, 1-13), sostituire cioè insegnamenti
umani alla Parola di Dio. Questa non è tradizione, ma
profanazione degli insegnamenti divini. Quando i tdG affermano che
la Chiesa Cattolica segue questo tipo di tradizione,
dicono una cosa non vera, faziosa, atta a creare pregiudizi e odio
contro i cattolici.
-
-
b) Tradizione vuol dire
trasmettere a viva voce parole e fatti, della cui storicità non
vi può essere un ragionevole dubbio. In questo senso, i
detti e i fatti di Gesù furono tradizione, furono cioè trasmessi
a viva voce prima di essere messi in iscritto e diventare Bibbia
(cf. 1 Corinzi 11, 23; 15, 3; Lúca 1, 1-2). In questo senso san
Paolo raccomandava ai cristiani di Tessalonica di mantenere “le
tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla
nostra lettera” (2 Tessalonicesi 2, 15). Nessuno oserebbe dire che
con la parola tradizione san Paolo intendesse riferirsi
a insegnamenti umani contrari alla Parola di Dio. Egli parlava di
detti e fatti trasmessi da lui prima a viva voce e poi
per iscritto.
-
c) Ciò che dice san Paolo ai
Tessalonicesi ci aiuta a capire meglio il concetto di
tradizione, che vuol dire trasmettere a viva voce per
un certo periodo di tempo e poi per iscritto. Sarebbe perciò
sbagliato pensare che tradizione equivalga a trasmissione orale.
Ciò che prima era trasmissione orale si fissa poi in documenti
scritti o dì altra natura diversa dalla viva voce (monumenti ecc.).
In questo modo la tradizione è diventata Scrittura, in questo modo
diventa pure storia.
-
Analizzando la tradizione che diventa
storia, abbiamo che alcuni fatti o detti a principio sono tra-
smessi a viva voce da testimoni oculari o auricolari degni di fede.
Poi, a distanza anche molto ravvicinata, sono fissati in qualche
altra forma non soggetta alla caducità della memoria (lettere
private, iscrizioni, monumenti ecc.). Verrà poi lo storico di
professione che vaglierà criticamente questi documenti occasionali e
farà della vera storia.
-
d) E’ questo il caso
della tradizione attestante la presenza di san Pietro a
Roma e il suo martirio sotto Nerone.
-
Certo noi non abbiamo il registro
anagrafico attestante l'arrivo e il domicilio d'un oscuro galileo
nella capitale dell'impero. E neppure abbiamo il verbale della sua
incarcerazione, processo, condanna a morte, esecuzione e sepoltura.
-
Ma è innegabile che non poche persone
- i cristiani di Roma - abbiano visto e udito Pietro nella città dei
Cesari. Alcuni certamente hanno potuto seguire le vicende della sua
gloriosa fine. Ne hanno curato la sepoltura come permetteva la legge
del tempo e venerata la tomba con amore e fedeltà.
-
Questi fatti con l'indicazione del
tempo (anni, mesi, giorni) dovettero senza dubbio rimanere vivi
nella memoria di quei testimoni. Certamente ne hanno parlato spesso
tra loro e con i cristiani di altre comunità vicine e lontane. Li
hanno narrato ai loro figli e ne scrissero anche nelle loro lettere.
-
Sono testimonianze occasionali, ma
degne di fede. Non c'è motivo di dubitare che quei cristiani non
dicessero la verità. Si può dire perciò che quel- la
tradizione, passata a breve distanza di tempo in
documenti scritti pervenuti fino a noi, ci dia la certezza
storica.
- I documenti della tradizione
-
Ricordiamo ora solo alcuni documenti
di quella tradizione.
-
1. - San Clemente Romano.
Fu vescovo di Roma, terzo successore di san Pietro, verso la fine
del primo secolo. Poco dopo il 90 Clemente scrisse una lettera ai
cristiani di Corinto per ristabilire l'ordine e la pace in quella
chiesa sconvolta dalla contestazione. Per quanto riguarda ciò che a
noi interessa Clemente scrive:
-
“Ma lasciando da parte gli esempi
dell'antichità, veniamo agli atleti che furono vicinissimi a noi
(...). Mettiamoci dinnanzi agli occhi i buoni Apostoli: Pietro, che
per una iniqua gelosia dovette sopportare non una o due, ma molti
travagli e, resa testimonianza, raggiunse il posto a lui dovuto
nella gloria. Per la gelosia e la discordia Paolo mostrò come si
consegua il premio della pazienza (...). A questi uomini che vissero
santamente s'aggiunse una grande moltitudine di eletti, i quali,
soffrendo a causa della gelosia molti oltraggi e tormenti, divennero
esempio bellissimo in mezzo a noi”.
-
Osservazione:
-
Contro questa testimonianza si obietta
da alcuni che Clemente non specifica la località; potrebbe perciò
non trattasi di Roma.
-
Si risponde. - Si noti, prima
di tutto, che Clemente unisce nella morte i due Apostoli Pietro e
Paolo. Ora nessuno dubita del martirio di Paolo a Roma. Non vi è
perciò motivo di dubitare di quello di Pietro nella stessa Roma e
nelle stesse circostanze.
-
- Ai due grandi atleti Clemente
associa una grande moltitudine, che soffrendo pure a causa del- la
gelosia “divenne esempio bellissimo in mezzo a noi”.
Qui lo scrittore della lettera si pone tra coloro che hanno sofferto,
come un testimone di questi eventi. E poiché Clemente visse e
scrisse a Roma, quel in mezzo a noi indica in modo
abbastanza chiaro che Roma era stato il teatro di quel bellissimo
esempio di cristiana testimonianza.
-
2. - Sant'Ignazio martire.
Quasi contemporaneo di Clemente sant'Ignazio fu vescovo di
Antiochia ìn Siria. In viaggio verso Roma per subirvi il martirio
Ignazio scrisse una lettera ai cristiani di questa città per
scongiurarli dì non impedirgli ìl martirio col loro interessamento
presso le autorità. Scrive Ignazio:
-
“lo non vi dò ordini come Pietro e
Paolo...”.
-
Dunque Pietro e Paolo avevano dato
ordini, avevano ammaestrato i cristiani di Roma.
-
Obiettano i geovisti:
-
“Ignazio non afferma che Pietro e
Paolo fossero stati a Roma; dice solo che avevano dato dei comandi a
quei cristiani. Comandi si possono dare anche per iscritto”.
-
La risposta:
-
Di Paolo sappiamo che
ha istruito i cristiani di Roma sia mediante uno scritto, che è
appunto la sua Lettera ai Romani, sia
a viva voce durante la sua prigionia a Roma (cf. Atti
28, 2-28). Ma di Pietro non esiste né mai è esistito alcuno scritto
indirizzato alla Chiesa di Roma. Al contrario, egli scrisse da Roma
una lettera ai cristiani delle province romane. Pietro ha dovuto
impartire ordini ai cristiani di Roma a viva voce, di
presenza, come testimonia esattamente il santo martire Ignazio.
-
3. - Sant'Ireneo. Nato
nel vicino Oriente, emigrò in Europa e divenne vescovo di Lione in
Francia. Era un uomo di virtù non comune e di grande amore per la
verità. Fu a Roma negli anni 177-178 d.C., dove poté accertarsi
delle cose che lasciò scritte. Nell'opera che ha per titolo
Contro le eresie Ireneo scrive:
-
“Per conoscere la norma apostolica noi
interrogheremo la chiesa grandissima e antichissima e conosciuta da
tutti, fondata e stabilita a Roma dai gloriosissimi apostoli Pietro
e Paolo ( ... ). Dopo aver fondato ed edifìcato quella chiesa, i
beati Apostoli ne trasmisero il governo episcopale a Lino”.
-
Due cose Ireneo afferma in modo
inequivocabile. La prima è che i veri fondatori della
Chiesa di Roma furono i beati Apostoli Pietro e Paolo anche se al
loro arrivo a Roma vi abbiano trovato dei cristiani. La
Seconda è l'importanza dottrinale che Ireneo attribuisce alla
Chiesa di Roma per conoscere la norma apostolica bisogna interrogare
quella Chiesa.
- La tomba di Pietro
-
Ai nostri tempi si è avuta una
conferma del coro di voci dell'antichità attestante la presenza e il
mar- tirio di Pietro a Rorna. Sono i risultati positivi delle
esplorazioni riguardanti la sua tomba in Vaticano.
-
a) Da numerose testimonianze antiche
si sapeva che sul colle Vaticano era venerato un sepolcro: quello di
Pietro. Verso la fine del secondo secolo il presbitero Gaio, in
polemica con l'eretico Proclo, scriveva:
-
“Se tu vai al
Vaticano o sulla via di Ostia, io ti posso mostrare i trofei dei
fondatori di questa Chiesa”.
-
Si tratta di Pietro e di Paolo. Il
primo, sepolto sul colle Vaticano; il secondo, lungo la via ostiense
dove oggi sorge la grande basilica.
-
b) I cristiani, fin dal primo secolo,
conoscevano bene la tomba di san Pietro e per quanto era loro
possibile la decorarono e la fecero oggetto di grande venerazione.
San Girolamo c'informa che san Pietro fu sepolto in Vaticano dov'è
venerato da tutto il mondo. E san Paolino da Nola aveva l'abitudine
di recarsi ogni anno a Roma per venerare la tomba dei due Apostoli.
-
Quando Costantino - assai prima che
vivessero Girolamo e Paolìno - fece costruire l'antica Basilica in
Vaticano era ben risaputo che in quel sito era stato sepolto e
venerato da secoli l'apostolo Pietro.il problema del sepolcro di
Pietro non si poneva. La cosa era certa.
-
c) In questi ultimi anni si è voluto
fare un sondaggio, una verifica, se le cose stessero veramente così.
Le esplorazioni fatte sistematicamente negli anni quaranta
(1939-1949) hanno rivelato :
-
- che in quella località vi era stato
originariamente un cimitero;
-
- che una tomba era stata
particolarmente curata tanto da diventare tomba monumentale;
-
- che intorno a questa tomba
sono rimaste tracce numerosissime attestanti l'accorrere di
devoti fin dai tempi più antichi.
-
Quali tracce? Molti graffiti (invocazioni
scritte) e soprattutto un'ingente quantità di ex-voto: 1900 monete,
lasciate come obolo da pellegrini provenienti da ogni parte del
mondo. Sono state identificate 231 monete dell'impero romano e 27 di
quello bizantino, e tantissime altre di tempi posteriori.
-
-
d) Si domanda:
-
Perché proprio quel luogo è stato meta
di tanti pellegrinaggi e oggetto di tanta venerazione?
-
Perché tra le altre tombe fu decorata
una in modo particolare?
-
Perché questo fenomeno non si è
verificato in nessun'altra città dell'impero romano?
-
Perché solo a Roma sul colle Vaticano?
L'unica spiegazione fu e rimane la presenza di Pietro a Roma e il
suo martirio nella città e terna. Dio ha
privilegiato la Chiesa di Roma con la guida e la morte del Primo
Apostolo, mostrando così che a quella Chiesa spetta l'eredità della
funzione primiziale di Pietro, la Roccia.
-
-
PARTE III
-
L'INFALLIBILITA PONTIFICIA
- Che cosa è l'infallibilità
-
La dottrina cattolica
dell'infallibilità pontificia è insegnata dalla Bibbia come diremo
dopo è stata solo formulata, non inventata dai Concili. La prima
volta dal Concilio Vaticano I. In questi ultimi anni il Concilio
Vaticano Il l'ha confermata e riproposta .
-
Per un'esatta comprensione della
dottrina della infallibilità pontificia riteniamo opportuno fare al-
cune precisazioni:
-
I. - Infallibilità non
significa impeccabílità. La Chiesa Cattolica, basandosi
sulla Bibbia, ritiene che il Papa non può insegnare errori in
materia di fede e di morale, ma non ha mai detto che i Papi siano
assolutamente esenti da imperfezioni o debolezze morali. Se noi
cattolici usiamo chiamare il Papa Santo Padre,
l'aggettivo santo non intende attribuirgli uno stato di perfezione
morale, ma è un titolo di grande rispetto e stima, anche per le sue
doti morali, oltre che per l'altissima funzione di cui Dio l'ha
rivestito. Nella Bibbia tutti i cristiani sono detti santi.
Il titolo poi di padre è pienamente giustificato
dalla Scrittura".
-
Nella storia del Papato, vi sono stati
Romani Pontefici moralmente perfetti, veri modelli di bontà, di
carità e di zelo, fino a testimoniare col martirio la loro fedeltà a
Cristo. E ve ne sono ancora e ve ne saranno. Dio assiste la sua
Chiesa. Ma non sono mancati dei Papi con limiti morali qualche volta
anche gravi. Non sono stati certamente i più.
-
Stando così le cose, chi volesse
insinuare che i cattolici, professando la infallibilità del Papa,
in- tendono dire che egli sia impeccabile, o ignora la vera dottrina
biblico-cattolica oppure agisce in mala fede.
-
-
2. - Nella formula o definizione della
infallibilità sopra citata è degno di nota il verbo
sancisce, usato dal Vaticano Il per qualificare l'atto
dell'insegnamento infallibile del Papa. Nel vocabolario della lingua
italiana di Nicola Zingarelli il verbo sancire
significa “dare carattere stabile e decisivo”. Non vuol dire
inventare e imporre un'idea propria, bensì confermare
con la propria autorità- una dottrina, una decisione, una sentenza,
alla quale si è pervenuti mediante i debiti canali, per le vie
legittime.
-
-
Nel caso dell'infallibilità pontificia
il Papa sancisce, cioè dà carattere stabile e decisivo, a une
dottrina contenuta nella Bibbia e conosciuta mediante uno studio
accurato e coscienzioso, suo di altri, del Sacro Testo. In effetti,
il magistero infallibile del Papa non è superiore alla Parola d Dio,
ma ad essa serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, e
da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da
credere come rivelato da Dio.
-
-
3. Vi sono perciò condizioni ben
determinati che assicurano il credente sull'esercizio o meno de
magistero infallibile del Papa. Ordinariamente
riducono a quattro e sono contenute nella formulazione della
infallibilità pontificia del Concilio Vaticano I. Esse sono:
-
a) Che il Papa sancisca
non come maestro privato (biblista, teologo, giurìsta ecc.), o anche
come Vescovo di Roma, ma nell'esercizio del suo supremo
ministero o servizio ecclesiale, ossia come supreimo
pastore e maestro della Chiesa.
-
b) Che intenda insegnare a
tutta la Chiesa, non a una singola parte di
essa, escludendo altre come quando dà insegnamenti o emana
disposizioni, generalmente a carattere temporaneo, per il bene d'una
singola diocesi o nazione o anche continente.
-
c) Che faccia ben capire
che voglia far uso del carisma dell'infallibilità, ossia che intenda
sancire con atto definitivo una dottrina di fede e di
morale. Nello stile pontificio una tale evidenza risulta
ordinariamente dai termini usati come definire e simili.
-
d) Che sancisca sempre
verità riguardanti la fede e la morale, ossia
insegnamenti dati dallo Spirito Santo mediante i Profeti, Gesù
Cristo e gli Apostoli. L'infallibilità pontificia non è stata data
da Dio per sancire verità di carattere scientifico come la biologia,
l'astronomia, la fisica, la storia ecc..
- Prove bibliche dell'infallibilità
-
Si domanda:
-
Giustifica la Bibbia l'infallibilità
pontificia? La risposta deve essere affermativa.
-
a) Cristo ha promesso che
egli avrebbe edificato la sua Chiesa sulla fede di Pietro (cf.
Matteo 16, 18).
-
Cristo continua ad edificare la sua
Chiesa nel tempo sulla fede e l'insegnamento dei Romani Pontefici
che succedono a Pietro. Dunque la fede e l'insegnamento dei Romani
Pontefici non possono essere infetti d'errori, altrimenti Cristo
edificherebbe la sua Chiesa sull'errore.
-
b) Se l'uso delle chiavi (cf. Matteo
16, 19), ossia il potere d'interpretare autorevolmente le Scritture,
non sì è esaurito con l'opera di Pietro, ma è ereditato dai suoi
successori nel Primato, ossia dal Papi, ne segue che la loro
interpretazione delle Scritture sarà sempre corretta; altrimenti il
loro servizio di aprire o chiudere sarebbe nocivo alle esigenze del
Regno di Dio.
-
c) Parimenti se Cristo ha assicurato
Pietro che tutto ciò che avrebbe legato o sciolto sulla terra,
sarebbe stato legato o sciolto anche nei cieli cioè da Dio (cf.
Matteo 16, 19), ne segue che anche le decisioni del successore di
Pietro nella sua specifica funzione di Capo della Chiesa, avranno
una corrispondente sanzione da parte di Dio, e non possono perciò
essere decisioni errate.
-
d) Gesù ha affidato a
Pietro tutto il suo gregge affinché, in qualità di pastore legato a
Cristo da un grande amore, lo guidi a pascoli sicuri e lo difenda da
eventuali lupi rapaci (cf. Giovanni 21, 15-17). Anche i successori
di Pietro devono assicurare al gregge di Cristo pascoli sicuri e
difenderlo dai nemici. Questo sarebbe impossibile se il loro
insegnamento fosse infetto da errori: i Papi, nella funzione di
Pastori universali, non possono errare in materia di fede e di
morale.
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