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PARADISO
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OPUSCOLO N° 20
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PICCOLA COLLANA
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"I TESTIMONI DI GEOVA"
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Per ricevere gli opuscoli rivolgersi:
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Padre Nicola Tornese
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Viale S. Ignazio,
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CAP. 1
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IL PARADISO DI ADAMO
- Il giardino dell'Eden
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Appena il discorso cade sul
paradiso il pensiero corre istintivamente al secondo capitolo
della Genesi. Riportiamo almeno in parte il testo biblico:
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“Poi Jahve -Dio piantò un giardino (paradiso)
nell'Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva modellato. Jahve
Dio fece spuntare dal suolo ogni sorta di alberi piacevoli a vedersi
e buoni a mangiare, l'albero della vita in mezzo al giardino (paradiso)
e l'albero della conoscenza del bene e del male. C'era un fiume che
usciva ad irrigare il giardino (paradiso), poi si divideva e veniva
a formare quattro bracci...” (Genesi 2, 8-10, Garofalo).
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Osservazioni:
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1 - La parola “paradiso”,
che nel testo riportato ricorre tre volte e altre due nel resto del
capitolo, corrisponde all'ebraico “gan”. Nella Bibbia greca dei
Settanta “gan” fu tradotto col termine
“paradèisos” (greco), che deriva dal persiano pari-daiza o
paridezza. In italiano diventa “paradiso” e voci analoghe in
altre lingue moderne.
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Letteralmente “paradèisos” significa
“muro di cinta” di un parco o giardino. Poi venne a significare lo
stesso parco o giardino. Stando dunque alla lettera, l'autore sacro
afferma che Jahve pose la prima coppia umana in un pezzo di terra
recintata, con più esattezza in una “villa”, provvista di tutti i
conforti, di cui godevano le ville dei re e dei nobili orientali al
tempo in cui l'autore sacro mise in iscritto il racconto delle
origini dell'uomo.
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2 - La villa-paradiso era collocata
nell'Eden. Che cosa bisogna intendere per Eden?
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a) Il grande biblista san
Girolamo (347-420 d.C.) definiva l'Eden “orto di delizie” (hortus
voluptatum), una terra cioè amenissima, che poteva rendere felice
l'uomo. L'ubicazione geografica passava in second'ordine. L'autore
sacro intendeva mettere in evidenza la piena felicità dell'uomo e
della donna ai primordi dell'umanità, prima del peccato. La
determinazione esatta del luogo contava poco o nulla. L'essenziale
era far sapere che Adamo ed Eva vivevano un'esistenza esente da
qualsiasi dolore e colma di felicità.
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b) Tuttavia non pochi autori moderni
pensano che Eden indichi una località. I pareri sono molti e diversi.
Alcuni hanno voluto identificarla con l'antica Bit Adini, ricordata
in 2 Re 19, 12 e in Ezechiele 27, 23. Altri hanno collocato l'Eden a
sud della celebre Babilonia, dove l'Eufrate si dirama in vari fiumi
o canali. Altri a nord di Babilonia, vicino all'odierna città di
Bagdad, nell'Irak. Vi sono alcuni che vanno più a nord, nella
regione dell'Armenia, verso l'Ararat. Per questi ultimi il gran
fiume, di cui in Genesi 2, 10, indicherebbe la gran massa d'acqua
che dai monti dell'Armenia si riversa nella pianura dando origine a
molti fiumi. Tra questi l'Eufrate e il Tigri erano i meglio
conosciuti.
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c) Oggi sono molti gli
studiosi della Bibbia che ritengono impossibile (e anche inutile)
localizzare l'Eden e il paradiso di Adamo. La preistoria non ha
potuto finora stabilire in quale parte del nostro pianeta l'uomo
abbia iniziata la sua avventura terrena.
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3 - Per la maggior parte dei biblisti
la spiegazione che più s'impone è la seguente:
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a)
L'agiografo non ha voluto né potuto indicare
con esattezza il luogo o regione del paradiso primordiale. Si
può ritenere che al tempo in cui scriveva, il sito esatto era
sconosciuto. Egli prese il suo racconto dalla tradizione popolare e
lo trasmise come quella tradizione lo immaginava. Da alcune
caratteristiche proprie del racconto.
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b) Per la fertilità d'un giardino,
specie nel vicino Oriente, c'è bisogno di molta acqua. Questo spiega
la presenza di un grande fiume, che nella immaginazione popolare del
tempo doveva avere rapporto coi grandi fiumi allora meglio
conosciuti, quali erano il Tigri e l'Eufrate, ed altri ancora.
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Per abbellire un giardino, oltre
all'abbondanza d'acqua, sono necessari molti alberi, che diano ombra
e fresco e frutti da rendere amena la vita degli abitanti. Tutto
questo costituiva l'ideale della felicità per gli antichi popoli del
vicino Oriente.
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c)
Si può perciò ritenere che la descrizione del
giardino-paradiso e delle sue delizie non sia reale e storica, ma
piuttosto ideale conforme alla mentalità e alla immaginazione del
popolo del tempo. Più che dati storici e geografici nel senso come
noi oggi l'intendiamo, l'autore sacro ha voluto trasmettere un
insegnamento, ha voluto farci conoscere lo stato di
felicità dei nostri progenitori. Questa è certamente storia, ma non
nel senso oggi comunemente inteso.
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Riassumendo possiamo dire che, a
parere della maggior parte degli studiosi moderni, la descrizione
del giardino-paradiso, di cui in Genesi 2, 8-10, non ha come scopo
indicare una regione geografica determinata, una parte o anche tutto
il nostro pianeta. L'autore sacro voleva dare un'idea esatta della
condizione o stato di vita di Adamo ed Eva prima del
peccato. La localizzazione geografica aveva ed ha un'importanza
molto relativa, anche se è fuor di dubbio che la vita dei nostri
progenitori, prima del peccato, fosse in perfetta sintonia col
nostro pianeta, anzi con tutto il creato (cf. Genesi 1, 28; 2,
19-20; Romani 8, 19-22).
- Eden come simbolo di felicità
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Una conferma che la descrizione
dell'Eden è simbolica e non reale, ci viene da non pochi testi
biblici. Sempre che gli autori sacri parlano dell'Eden, pensano meno
o affatto a qualche regione del nostro pianeta o a tutta la terra,
quanto piuttosto a uno stato di felicità.
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I - Già lo stesso autore della
Genesi, per dare un'idea della bellezza della valle del
Giordano e quindi della felicità di Lot, che l'aveva scelto come sua
dimora, paragona quella valle al “giardino di Dio”, ossia al
paradiso di Adamo.
-
“Allora Lot alzò gli occhi e vide la
valle del Giordano, ma quale, prima che Jahve distruggesse Sodoma e
Gomorra, era tutta un luogo irrigato, fin verso Zoar, come
il giardino di Jahve, come la terra d'Egitto” (Genesi 13,
10 Garofalo).
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E' scontato che la valle del Giordano
non era stata la dimora della prima coppia umana. Ma la sua bellezza
con abbondanza d'acqua, d'ombra, di fresco, d'alberi da frutta...
richiamava alla immaginazione il “giardino di Dio”, che nessuno
aveva mai visto.
-
2 - Identico linguaggio simbolico in
Ezechiele. Per descrivere la condizione felice del re di Tiro prima
che fosse colpito dal castigo di Dio, il profeta così si esprime:
-
“Tu eri un suggello di perfezione,
pieno di saggezza e di perfetta bellezza. Tu eri nell'Eden, giardino
di Dio, ricoperto d'ogni specie di pietre preziose, rubino, topazio,
diaspro...” (Ezechiele 28, 12, Garofalo).
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In modo simile è descritta la
condizione del faraone prima della sua caduta:
-
“Lo avevo formato maestoso per il
numero dei suoi rami; lo invidiavano perfino tutti gli alberi
dell'Eden, che erano nel giardino di Dio (...). A chi, dunque, sei
simile? Per splendore e grandezza sei in tutto come uno degli alberi
dell'Eden! Ebbene sei precipitato con gli alberi dell'Eden nella
regione sotterranea” (Ezechiele 31, 9.16, Garofalo).
- L'albero della vita e della
conoscenza
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Nella descrizione della villa-paradiso,
di cui in Genesi 2, 8-10, si fa menzione esplicita dell'albero della
vita in mezzo al giardino e dell'albero della conoscenza del bene e
del male (cf. Genesi 2, 9). Qual è il significato di queste parole?
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1 - Alcuni biblisti ritengono che
l'autore sacro avesse in mente due alberi reali. Jahve Dio avrebbe
dato ai loro frutti il potere di assicurare una vita senza fine e la
conoscenza del bene e del male a chi se ne fosse cibato. Altri,
invece, con più ragione, sono del parere che si tratti di alberi
simbolici.
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a)
L'albero della vita
serve a indicare il potere di vivere per sempre.
L'uomo infatti è, per sua natura, mortale (cf. Genesi 3, 19 e 22).
Ma Dio gli aveva dato il dono dell'immortalità, ossia l'esenzione
dalla morte quale noi la sperimentiamo. Qui non c'entra il problema
della sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte, ossia
dell'immortalità dell'anima. L'autore sacro non sì pone questo
problema. Sarà risolto in seguito, alla luce di tutta
la rivelazione cristiana.
-
“I progenitori erano sottratti
all'impero della morte, non nel senso che già possedessero
l'immortalità per costituzione, com'è proprio dei puri spiriti, ma
nel senso che avevano la possibilità di non morire.
-
E quale sarebbe stata la sorte finale
loro e dei discendenti, in caso che la fedeltà a Dio li avesse
preservati dal tremendo castigo? Possiamo pensare, per
analogia con la dottrina della risurrezione (1 Corinzi 15,
35-38), che, dopo un certo numero di anni, il corpo di ogni
singolo uomo sarebbe stato sottratto alte leggi biologiche mediante
una trasformazione, e trasferito in un mondo migliore”.
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b) L'albero della
conoscenza del bene e del male è simbolo
della facoltà o potere di decidere da se stessi ciò che è bene e ciò
che è male. Dio solo ha questo potere E' un attributo divino. Con la
sua disubbidienza Adamo ha tentato di usurpare questa prerogativa
divina. Il suo peccato fu perciò un attentato alla sovranità di Dio,
un peccato di orgoglio .
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- La fede della Chiesa Cattolica
-
1 - Basandosi su una
conoscenza corretta della Bibbia, la Chiesa Cattolica ritiene e
insegna che lo stato di felicità originale della creatura umana
appartiene alla storia. Ci fu veramente il paradiso di
Adamo. Alla sua origine l'uomo fu realmente costituito da Dio in uno
stato di giustizia e di integrità anche corporale. Ci fu un tempo in
cui l'uomo era libero dal dolore, dalla malattia, dalla morte.
-
In quel tempo i rapporti tra Dio e
l'uomo erano fondati su una comunione filiale. Questa è la fonte
della vera felicità per la creatura umana. E i rapporti tra l'uomo e
la natura tutta - la terra e il cosmo - erano assai diversi di come
lo divennero in seguito al peccato (cf. Romani 8, 19-22). L'uomo era
veramente re del creato.
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2 - Si può tuttavia ritenere che il
modo in cui quella storia è raccontata è diverso da quello con cui
oggi si scrive la storia, non è cioè basata su documenti scritti,
scoperte geologiche e archeologiche, ricordi personali e simili. Si
può ammettere che, nel raccontare quella storia, l'autore sacro
abbia usato un linguaggio simbolico, uno stile figurato e popolare.
-
Il linguaggio figurato riguarda
espressioni come Eden, giardino di Dio, albero della vita
ecc. Queste immagini figurate fanno parte del linguaggio
abituale della Bibbia, appartengono allo stile biblico, e servono a
descrivere la felicità dell'uomo alle sue origini.
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3 - Se così non fosse, ne seguirebbe
più d'un assurdo.
-
- Dovremmo pensare che se Adamo non
avesse peccato, tutta l'umanità (miliardi!) doveva essere collocata
in uno spazio di terra relativamente piccolo, in un giardino ben
recintato!
-
- Altro assurdo: se si trattasse d'un
linguaggio letterale, anche oggi quel giardino di Dio potrebbe
essere rintracciato sul nostro pianeta. La Bibbia, infatti, dice che
non fu distrutto, ma che Dio, cacciato fuori l'uomo peccatore, “fece
dimorare i Cherubini e la fiamma della spada sfolgorante, per
custodire la via dell'albero della vita” (Genesi 3, 24,
Garofalo).
-
- E ancora: se si trattasse di senso
letterale e quindi di una località geografica ben determinata, dopo
la restaurazione operata dal Figlio di Dio l'umanità dovrebbe essere
riportata in un piccolo spazio di terra a oriente della Palestina!
-
Con quale diritto dunque i testimoni
di Geova assicurano i loro creduli i seguaci che potranno avere una
vita paradisiaca su tutta la terra?
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CAP. Il
-
IL PARADISO DEGLI ISRAELITI
- L'attesa dei paradiso
-
Il regno di David
segnò l'epoca del più grande splendore per l'antico Israele. Nella
travagliata sto- ria degli Israeliti quell'epoca assurse a simbolo
d'una futura età dell'oro, perché Jahve aveva promesso a David un
regno stabile per sempre: “Stabile sarà la tua casa e il tuo regno
per sempre al mio cospetto. Perciò il tuo trono resterà saldo per
sempre” (2 Samuele 7, 16).
-
E' merito dei profeti, posteriori a
David, aver tenuta viva questa speranza, specie durante le grandi
catastrofi che si abbatterono sugli Israeliti. Alcune volte, per
qualificare questo futuro glorioso, i profeti ricordano il giardino
dell'Eden.
-
Scrive Isaia:
-
“Ebbene
Jahve ha pietà di Sion, ha pietà di tutte le rovine; renderà il suo
deserto come l'Eden, la sua steppa come il giardino di
Jahve. Giubilo e gioia si trovano in essa, inni di lode e
melodie musicali!” 1(51, 3, Garofalo; cf. Ezechiele 36,
3-'1,35).
-
E' evidente che l'Eden o giardino di
Dio serve da modello della promessa restaurazione futura, ma la
localizzazione del futuro paradiso non è mai situata in Oriente, a
nord o a sud di Babilonia, e neppure alle falde del Caucaso, lungo i
fiumi dell'Ararat, come forse immaginava l'autore di Genesi 2, 8-10.
Tanto meno è estesa a tutta la terra.
-
Lo sfondo geografico, è sempre la
Palestina, l'antico regno di David; anzi alcune volte si restringe
alla sola Gerusalemme o al solo monte Sion.
- Quale paradiso?
-
Dall'abbondante letteratura specie dei
profeti è facile cogliere gli aspetti fondamentali o caratteristiche
del paradiso atteso dagli antichi Israeliti.
-
- Ricchezza di beni
spirituali
-
a)
Una grande comunione con Dio molto simile a quella
della prima coppia umana.
-
“E avverrà in quel giorno - oracolo di
Jahve mi chiamerai: “Mio consorte!” ... Allora ti farò mia sposa per
sempre: ti farò mia sposa nella giustizia e nel giudizio, nell'amore
e nella compassione...” (Osea 2, 18.21, Garofalo).
-
Nell'approssimarsi della grande
tragedia, che fu la distruzione del regno di Giuda (587 a.C.),
Geremia consola il popolo dicendo:
-
“Ecco, verranno giorni - oracolo di
Jahve - nei quali con la casa di Israele io concluderò una nuova
alleanza. Non conte l'alleanza che conclusi coi loro padri (...).
Questa sarà l'alleanza che lo concluderò con la casa di Israele dopo
quei giorni - oracolo di Jahve -. Porrò la mia legge nel loro intimo,
la scriverò sul loro cuore; sarò loro Dio ed essi il mio popolo”
(31, 31-33, Garofalo, cf. Ezechiele 37, 23-27; Isaia
60, 19-20).
-
b) Comunione
coi propri simili.
-
“Non agiranno più iniquamente né
deprederanno in tutto il mio santo monte perché la conoscenza di
Jahve riempirà il paese come le acque riempiono il mare” (Isaia 11,
9, Garofalo; cf. Isaia 32, 16-17).
-
Effetto di questa fratellanza sarà una
pace perenne:
-
“Arco, spada e guerra
manderò in pezzi via dal paese dove li farò risiedere in
tranquillità” (Osea 2, 20). “Forgeranno le spade in vomeri, le lance
in falci; un popolo non alzerà la spada contro un altro popolo; non
impareranno più l'arte della guerra” (Isaia 2, 4, Garofalo;
cf. Michea 4, 3-4).
-
E la pace regnerà anche tra e con gli
animali “Stringerò per essi un patto in quel
giorno con le bestie selvatiche, con gli uccelli del cielo e con i
rettili della terra” (Osea 2, 20). “Il lupo dimorerà insieme con
l'agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto (... ). il
leone, come il bue, si ciberà di paglia. Il lattante si divertirà
sul nascondiglio dell'aspide; un bambino metterà la mano nel covo
dei serpenti velenosi” (Isaia, 11, 6-8, Garofalo).
-
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2 - Abbondanza di beni
materiali
-
Una lettura affrettata e superficiale
di non poche pagine della Bibbia potrebbe dare l'idea che l'aspetto
materialistico e terreno del futuro regno messianico o paradiso
prevalga su quello spirituale e morale. Vedremo che non è così.
Rimane tuttavia il fatto che questo secondo aspetto è prevalso
nell'attesa di molti Israeliti e prevale oggi nella propaganda
settaria dei tdG.
-
a)
Straordinaria fertilità della terra.
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Fin dall'ottavo secolo a.C. Amos
profeta si esprimeva nei termini seguenti:
-
“Ecco, viene un tempo - oracolo del
Signore - in cui chi ara seguirà il mietitore
e colui che pigia l'uva seguirà chi rilancia il seme: le montagne
gronderanno mosto ... Ricostruiranno le città
distrutte, vi abiteranno, pianteranno vigne e ne berranno il vino
...” (9, 13-14, Garofalo; cf. Levitico 26, 5).
-
Secoli più tardi Gioele ripeteva:
-
“Avverrà in quel giorno.- i monti
stilleranno mosto, per i colli stillerà latte, per tutti i ruscelli
di Giuda scorrerà acqua, una fonte uscirà dal tempio di Jahve e
irrigherà la valle di Shittim” (4, 18, Garofalo).
-
Per Ezechiele:
-
“Queste acque, scorrendo verso la
regione orientale, discendono nell'Araba per finire nel mare, nelle
acque salate, e le acque ne sono risanate” (47, 8, Garofalo).
-
In modo alquanto diverso si esprime
Zaccaria:
-
“E avverrà: in quel giorno scorreranno
da Gerusalemme acque vive; una metà di esse al mare Orientale e
un'altra metà al mare Occidentale. Ce ne sarà nell'estate e
nell'inverno” 1(14, 8, Garofalo; cf. Isaia 30, 23-25;
35, 1-2).
-
Durante l'esilio babilonese (,587-549
a.C.), Ezechiele consolava i deportati assicurando loro un avvenire
radioso:
-
“Benedirò loro e le regioni intorno al
mio colle, mandando a tempo opportuno la pioggia, acque apportatrici
d'ogni bene, perché l'albero della campagna darà frutto e la terra
prodotti (...). Susciterò loro una florida vegetazione e consunti
più non saranno dalla fame nel paese” (34, 26-29, Garofalo).
-
Molto più pittoresco è Isaia che
scrive:
-
“Preparerà Jahve degli eserciti per
tutti i popoli su questo monte un convito di carni grasse, un
convito di vini grevi, di midolli grassi, di vini raffinati” (25, 6,
Garofalo).
-
E non meno generoso è Geremia:
-
“Verranno e inneggeranno sull'altura
di Sion, affluiranno verso i beni di Jahve, verso il frumento, il
mosto e l'olio, verso il frutto del bestiame minuto e del bestiame
grosso Sazierò di grasso l'anima dei sacerdoti,
il mio popolo si sazierà dei miei beni” (31, 12-14,
Garofalo).
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b) Le ricchezze dei popoli affluiranno
verso la Città Santa.
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“Così dice Jahve: "Il patrimonio
d'Egitto e il guadagno di Cush (... ) passeranno a te, saranno tuoi"”
(Isaia 45, 14, Garofalo; cf. Isaia 60, 5-11).
-
“Così dice Jahve degli eserciti: "Ancora
un momento; poi scuoterò il cielo e la terra, il mare e il
continente. Scuoterò tutte le genti; ricoprirò questa casa gloriosa
" - dice Jahve degli eserciti -. " A me appartiene l'argento e a me
l'oro"” (Aggeo 2, 6-8, Garofalo).
-
c)
Ottimo stato di salute, lunghezza di vita.
-
“lo (Jahve) creo cieli nuovi e una
nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente
(... ). lo gioirò di Gerusalemme, godrò del mio popolo. Non si
udranno più in essa voci di pianto né grida di angoscia. Non ci sarà
più in essa un bimbo che viva solo pochi giorni né un vecchio che
non compia i suoi giorni; il più giovane morirà a cento anni; chi
non raggiungerà cento anni sarà maledetto” (Isaia 65, 17-20,
Garofalo).
-
E la morte sarà eliminata:
-
“Egli (Jahve) strapperà in questo
monte il velo che velava la faccia di tutti i popoli, e la coltre
che copriva tutte le genti; quindi eliminerà la morte per sempre” (Isaia
25, 7-8, Garofalo).
- Precisazioni
-
1 - Ricordiamo anzitutto che non pochi
Israeliti, forse la maggior parte di essi, hanno preso alla lettera
le promesse dei profeti. Essi si aspettavano un regno davidico o
messianico, un paradiso su questa terra.
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Quest'attesa divenne più sentita
durante i tempi della dominazione straniera, greca o ellenistica
prima, sotto Alessandro Magno e i suoi successori, dalla seconda
metà del quarto secolo alla metà del primo secolo avanti Cristo. Poi
vennero i Romani, che dominarono in Oriente per più di cinque secoli.
Molti giudei sognavano l'avverarsi delle profezie messianiche con
l'instaurazione d'un paradiso su questa terra, dove essi avrebbero
avuto immensi vantaggi materiali, mentre i pagani sarebbero ridotti
in schiavitù. Echi di questa attesa si riscontrano anche nei vangeli
(cf. Matteo 20, 20-21, Atti 1, 6).
-
La storia ha seguito un corso diverso
come tutti sanno. Il popolo giudaico cessò di essere nazione, prima
parzialmente per opera di Tito nel 70 dopo Cristo; poi completamente
sotto Adriano nel 134 d.C. Dopo circa due mila anni ha avuto una
limitata restaurazione e tutti sanno con quante difficoltà, di cui
non è facile vedere la fine.
-
I tdG, che si qualificano i moderni
giudei, seguono anch'essi un'interpretazione fondamentali- sta,
ossia materialista, delle profezie sul futuro regno di Dio. Mediante
una propaganda bene orchestrata con immagini e fumetti riescono a
persuadere - cioè a drogare - gente poco istruitale di limitata
intelligenza che Geova darà loro a breve scadenza una terra
paradisiaca com'è descritta letteralmente nelle
Scritture Ebraiche, ossia nell'Antico Testamento.
-
-
2 - A giudizio della stragrande
maggioranza dei biblisti il linguaggio dei profeti riguardante il
futuro regno di Dio non va preso alla. lettera.
Le ragioni sono molteplici.
-
Anzitutto non bisogna dimenticare che
è un linguaggio apocalittico ossia un annuncio di
grandiosi eventi futuri, ed è proprio di questo linguaggio servirsi
di immagini, di metafore, di simboli quasi sempre iperbolici, cioè
non corrispondenti alle realtà oggettive.
-
Così, per esempio, è una forma
iperbolica, e quindi non letterale, che ruscelli di mosto e vino
stillino dai monti o che il latte scorra per le colline (cf. ioele
4, 118).
-
Altro esempio. Se si trattasse d'una
descrizione o racconto letterale, dovremmo pensare che il monte Sion
sarà trasformato nel futuro in un grande hotel, dove saranno serviti
cibi succulenti e bevande squisite a tutti i popoli della terra per
tutta l'eternità (cf. Isaia 25, 6).
-
Oltre a questi ed altri assurdi, vi
sarebbero non poche contraddizioni.
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Esempi. Mentre Osea (2, 20) assicura
che arco e spada saranno ridotti in pezzi, per Isaia (2, 4) le spade
diventeranno vomeri e le lance, falci. Secondo Ezechiele (47, 1-12)
le acque sgorgano da sotto il tempio di Gerusalemme dirigendosi
verso Oriente, verso il Mar Morto; per Zaccaria invece (14, 8) una
metà va verso il mare orientale e un" altra metà verso quello
occidentale, verso il Mediterraneo. Per altri profeti l'abbondanza
di acqua viene direttamente dal cielo. Gli esempi potrebbero
continuare.
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Gesù Cristo, la Sapienza di Dio (cf.
Giovanni 1, 1-3), ci ha aperto il senso delle Scritture (cf. Luca
24, 45) e ci ha fatto sapere che Dio ha preparato una patria celeste
per tutti coloro che hanno avuto e hanno fede in Lui
(cf. Ebrei 11, 15-16).
- I giusti erediteranno la terra
(Ps. 37, 11)
-
La speranza d'un futuro paradiso su
questa terra faceva certamente parte della religiosità de- gli
antichi Israeliti. Essa tuttavia non aiutava a dare una risposta
soddisfacente a un interrogativo che agita l'uomo giusto d'ogni
tempo: perché Dio permette che i buoni soffrano e i malvagi
prosperino?
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1 - Gli antichi Israeliti non avevano
ancora l'idea d'una ricompensa ultraterrena. Al pio israelita, nella
maggior parte dei casi, si prospettava una soluzione terrena. Egli
sperava che con l'andare del tempo Jahve avrebbe fatto giustizia su
questa terra.
-
Il Salmo 3,7 (3,6), attribuito a
David, presenta questa soluzione:
-
Non irritarti per i maligni;
-
non invidiare coloro
che operano iniquità. Perché appassiscono in fretta come fieno
(...)
-
Confida in Jahve e opera il
bene:
-
abiterai la terra e
pascerai al sicuro. (Ps, 37,
1-3, Garofalo).
-
-
Il senso è che, a breve scadenza,
Jahve punirà il malvagio privandolo della sua terra e premierà il
giusto, che prenderà il suo posto:
-
Ancora un poco e non sarà più
l'empio,
-
ma coloro che sperano
in Jahve erediteranno la terra (Ps. 37,
10-11).
-
-
Ma se dovesse accadere che il malvagio
rimanga in prosperità fino alla morte, a soffrire sarà la sua
discendenza, mentre la prole del giusto sarà premiata:
-
Gli empi in eterno saranno
puniti e il seme degli empi reciso. I giusti erediteranno la terra
-
e vivranno per sempre
su di essa (Ps. 37, 28-29).
-
-
Il senso proprio ed immediato delle
parole: “i giusti erediteranno la terra >, è che Jahve, con l'andare
del tempo, darà al pio Israelita un bel pezzo di terra nella
Palestina, nel paese di Canaan, bene sommo per l'antico ebreo, come
premio della sua fedeltà a Dio. Questa promessa nel Salmo 37 viene
ripetuta sette volte: 3.9.11.22.27.29.34.
-
-
2 - Tuttavia nelle parole del Salmo 37
si può scorgere una visuale più ampia, che riguarda cioè non il
singolo individuo, ma la comunità intera degli Israeliti. Parlando a
Israele Jahve dirà: “Il tuo popolo sarà un popolo di giusti, in
eterno domineranno la terra” (Isaia 60, 21, Garofalo; cf.
65, 9,).
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La terra, di cui qui si tratta, è la
terra di Canaan, la futura Palestina, che Dio aveva dato al popolo
ebraico (cf. Giosuè 18, 1-3).
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In questa prospettiva più ampia le
parole del Salmo “I giusti erediteranno la terra” significano che i
pii Israeliti si stabiliranno nel paese di Canaan che Dio aveva dato
al suo popolo e che né loro né i loro discendenti sarebbero
scacciati da esso Sarà Gesù a fare piena luce sulle parole del Salmo.
La terra promessa ai giusti rivelerà il suo pieno significato di
“patria celeste” (cf. Ebrei 11, 14-16), di “nuovi cieli e nuova
terra”. di “dimora di Dio con gli uomini” (Apocalisse 21, 1-3).
Questo è l'autentico significato delle parole di Gesù in Matteo: “I
miti possederanno la terra” (5,5). Qui come sempre valgono le belle
parole del grande Agostino: “Il Nuovo Testamento è nascosto
nell'Antico, e l'Antico si rivela nel Nuovo”.
-
Per queste ragioni e altre ancora, che
saranno dette in seguito, quando i tdG spiegano Matteo 5, 5 come se
Gesù avesse promesso a loro, e solo a loro, questa
terra, questo nostro pianeta colmo di beni materiali, perché possano
gozzovigliare per tutta l'eternità, fanno un uso aberrante della
Parola di Dio con l'unico scopo di fare seguaci e col numero far
denaro.
- Speranza migliore
-
La speranza d'una ricompensa terrena
per i giusti non apparve soddisfacente a tutti gli Israeliti. In
effetti spesso il giusto soffre tutta la vita né diversa è la sorte
dei suoi discendenti. Al contrario il malvagio trionfa e continua a
trionfare nei suoi figli e nipoti. Davanti a tale amara esperienza
il pio Israelita rimaneva sconcertato e quasi sull'orlo della
disperazione:
-
Certo, Dio è buono per il
giusto;
-
Ma a me per poco non si
storpiavano i piedi,
-
per un nulla scivolavano i
miei passi.
-
Infatti invidiai i
millantatori,
-
vedendo la prosperità
dei malvagi (Ps. 73,
1-3, Garofalo).
-
-
In tale stato di angoscia il pio
Israelita ricorre a Dio per aiuto, per consiglio:
-
E stimavo di poter capire,
-
ma non fu che travaglio ai
miei occhi.
-
Finché venni ai santuari di
Dio
-
e penetrai la loro fine
(Ps. 73, 16-17,
Garofalo).
-
-
Quale frutto della sua preghiera il
giusto riceve dall'alto la luce e il conforto: egli comprende che,
oltre ai confini dell'esistenza terrena, lo attende una vita di
felicità nella gioiosa comunione con Dio.
-
Ma io fui sempre con te;
-
tu hai preso per mano la mia
destra. Nel tuo consiglio mi guidi
-
e poi alla gloria mi prendi
-
Viene meno la mia carne e il
mio cuore?
-
Rocca del mio cuore e
mia porzione è Dio in eterno (,Ps. 73,
23-26).
-
-
Commenta La Sacra Bibbia
di Salvatore Garofalo:
-
“La grande scoperta spirituale dei
salmista è dunque che Dio stesso costituirà la felicità dei giusto,
mentre il malvagio ha dinanzi a sé una prospettiva di morte (v. 19).
Nel verso 26 viene meno la mia carne e il mio cuore?
-
Rocca del mio cuore e mia porzione è
Dio in eterno, lo sguardo del poeta si spinge oltre la tomba e la
consunzione del corpo, verso Dio, in cui la sua vita troverà eterna
stabilità. Con questa apertura finale di orizzonte sulla eternità,
il salmo raggiunge le più alte vette della spiritualità dell'Antico
Testamento”.
-
“Sublime slancio di fede in una vita
immortale, eccitato dalla vista perturbatrice delle ingiustizie di
questa vita terrena. Perché prospera l'empio e il giusto soffre? si
domanda il salmista. E dalla cruda ambascia che tormenta un tal
pensiero si eleva alla confortante dottrina che la morte metterà
fine all'apparente ingiustizia, segnando per i cattivi la fine
d'ogni bene, per i buoni il principio d'una felicità imperitura”.
- La giustizia è immortale (Sapienza
1, 15)
-
La speranza d'una vita felice in
comunione con Dio subito dopo la morte, ossia d'un paradiso non
materialistico, assume contorni assai precisi negli ultimi due
secoli prima di Cristo. E' come l'aurora che precede il sorgere del
sole (cf. Luca 1, 78). Fu durante questo tempo che alcuni saggi di
Israele, guidati dallo Spirito Santo, approfondirono la dottrina
della retribuzione dei giusti e colsero il vero significato delle
promesse divine. Ecco alcuni sprazzi di questa luce.
-
“La giustizia è immortale” (Sapienza
1, 5, Garofalo), ossia “Chi fa quel che piace a Dio
vive per sempre” (Interconfessionale).
-
“Chi si rende gradito a Dio, da lui è
amato e, se vive in mezzo a gente cattiva, Dio do prende e lo fa
vivere altrove” (Sapienza 4, 10, Interconfessionale).
-
“Ubbidire alla sapienza è garanzia di
vivere per sempre e questa vita ti permette di stare vicino a Dio.
Così, se desideri la sapienza puoi giungere fin sul trono” (Sapienza
6, 18-20, Interconfessionale).
-
“Le anime dei giusti sono al sicuro
nelle mani di Dio, nessun tormento li colpirà. Agli occhi degli
stolti la loro morte parve uno sfacelo, la loro scomparsa la fine di
tutto (…), ma essi sono nella pace” (Sapienza 3, 1-3,
Interconfessionale).
-
A proposito del libro della
Sapienza è stato giustamente osservato da un grande biblista:
-
“La dottrina della vita subito dopo la
morte contenuta nel libro della Sapienza va oltre a
quanto avevano scritto e creduto i precedenti autori sacri. L'autore
del libro della Sapienza potrà essere stato spinto da
influenze esterne (ellenismo) a sviluppare i
precedenti insegnamenti biblici. Tuttavia nel suo cammino era
guidato dalla divina Provvidenza, che voleva preparare i giudei
della diaspora, e assieme a loro anche i pagani venuti a conoscenza
della religione ebraica, alla Rivelazione che nella pienezza dei
tempi sarebbe stata ben presto annunziata. Questa Rivelazione
avrebbe gettato piena luce sulla dottrina della vita futura e
dell'eterna ricompensa, cioè sul Paradiso dei veri discepoli di
Cristo”.
-
- CAP. III
- IL PARADISO DEI VERI
CRISTIANI
-
Nel libri del Nuovo Testamento la
parola “paradiso” ricorre solo tre volte. Ma in numerosi altri testi
biblici sia dei vangeli che in san Paolo, come pure nell'Apocalisse,
è chiaramente contenuta la dottrina d'uno stato di felicità, che ha
inizio subito dopo la morte.
-
Dall'analisi di queste testimonianze
noi possiamo ricavare con certezza non solo l'esistenza di
questo stato di felicità, ma anche conoscere in qualche modo la
sua natura, possiamo cioè avere qualche idea di che cosa esso sia.
La Bibbia ci autorizza a chiamare “Paradiso”
questo stato di felicità subito dopo la morte (cf. Luca 23, 43).
-
In questo terzo capitolo parleremo
prima della esistenza del Paradiso e poi della sua
natura, seguendo fedelmente la Bibbia.
-
-
1 - Esistenza del Paradiso
- Oggi sarai con me in Paradiso
(Luca 23, 43)
-
Nei vangeli la parola “Paradiso” si
trova solo in san Luca, nella risposta che Gesù, prossimo a morire,
dà al peccatore pentito:
-
“E diceva: " Gesù, ricordati di me
quando verrai nella tua maestà regale". E Gesù gli disse: "In verità
ti dico: oggi sarai con me in Paradiso "” (Luca 23, 43,
Garofalo).
-
Spiegazione:
-
1 - Il peccatore pentito
riconosce in Gesù il Messia promesso, l'atteso re di Israele. Da
buon giudeo pensa che questo re inaugurerà il suo regno in un
avvenire indeterminato. Egli chiede di essere ammesso in questo
futuro regno messianico, benché peccatore.
-
-
2 - Rispondendo Gesù chiama il suo
regno “Paradiso” e fa chiaramente capire che è una realtà imminente
e non su questa terra. Infatti sia lui sia il buon ladrone stavano
per lasciare questa vita terrena. Malgrado ciò, Gesù assicura che
quello stesso giorno si sarebbero trovati insieme in
Paradiso.
-
-
3 - In che modo? Certo non in virtù
d'una immediata risurrezione del corpo per trovarsi su questa terra
mutata in “giardino di Dio”. Questo non avvenne. Si può dunque
dedurre che in quello stesso giorno avrebbero iniziato insieme uno
stato di vita gioiosa. Gesù chiama Paradiso questo
nuovo stato di vita.
-
“In tal modo Gesù offre più di quanto
il. ladrone pentito gli avesse chiesto, poiché gli promette che in
quello stesso giorno sarà con lui in Paradiso. In questo senso il
Paradiso è il luogo in cui vengono raccolte dopo la morte le anime
dei giusti, cioè il Paradiso presente, già esistente
-
Con la promessa del perdono il 'giorno
futuro’diventa il ‘già oggi' dell'adempimento”.
- Discese agi'ìnferi (Atti 2, 27.31)
-
La Bibbia giustifica queste
affermazioni.
-
1 - Nel suo primo discorso il giorno
di Pentecoste san Pietro afferma che Dio non abbandonò nell'Ade o
inferi l'anima del suo Santo, cioè di Gesù né permise che il suo
corpo andasse in corruzione (cf. Atti 2, 27.31). Qui
l'apostolo Pietro afferma due cose ben distinte: una è che il corpo
di Cristo non andò in corruzione; fu infatti risuscitato. L'altra,
che la vita o anima di lui non rimase - nell'Ade o inferi. Da questo
si deduce che subito dopo la morte Cristo, senza il suo corpo, andò
con la sua vita o anima nel regno dei morti (Ade, inferi).
-
-
2 - Che cosa era l'Ade o inferi? Non
era certamente il sepolcro. Era il regno dei morti. “Lasciamo da
parte ogni localizzazione " sotterranea ", ogni immagine di voragine,
d'abisso, di pozzo; ogni idea di tenebre, di ombre, di sonno, e
diciamo solo che gli inferi (Ade, Sceol) erano l'incontro di tutti i
defunti, lo stato (non il luogo) in cui ciascuno
entrava, quando raggiungeva " i suoi padri ".
-
Sono questi gli inferi (Ade) in cui
Cristo, appena spirato in croce, raggiunse gli spiriti, le
anime dei milioni, dei miliardi di uomini e donne morti prima di
lui fin dall'inizio della specie umana e che aspettavano la
manifestazione della salvezza”
-
-
3 - E che cosa andò a fare Gesù Cristo
nell'Ade? “San Pietro' nella sua prima Lettera, citando interamente
un inno battesimale primitivo (3, 118-4, 6), ci dice la ragione di
questa discesa. L'inizio e la fine dell'inno, infatti, si
riferiscono alla discesa di Gesù negli inferi:
-
“Anche Cristo è morto una volta per
sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurci a Dio;
messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito
andò ad annunziare ala salvezza agli spiriti che attendevano in
prigione; essi avevano un tempo rifiutato di credere, quando la
magnanimità di Dio pazientava nei giorno di Noè, mentre si
fabbricava l'arca Infatti è stata annunziata la
buona novella anche ai morti, perché pur avendo subìto, perdendo la
vita del corpo, la condanna comune a tutti gli uomini, vivano
secondo Dio nello spirito”. Gesù irrompe in questo mondo dei morti
(...). Trionfa sulle potenze sataniche (cf. Filippesi 2, 10),
strappa loro l’umanità perduta, introducendola nella gloria dei
cieli, in cui egli stesso entra alla testa di tante creature umane”.
-
In questo immenso corteo di anime
redente c'era anche il buon ladrone. Quel peccatore pentito, morendo,
non tornò nella non esistenza, come affermano i tdG, ma cambiò
condizione o stato di vita, entrando nel Paradiso, come aveva
assicurato Gesù.
-
-
4 - Contro questa
spiegazione i tdG strumentalizzano Giovanni 20, 17 dove Gesù dice
alla Maddalena: “Non trattenermi perché non sono asceso ancora al
Padre mio”. Sarebbe perciò impossibile che quello stesso giorno sia
andato in Paradiso col buon ladrone.
-
La verità è che in Giovanni 20, 17
Gesù si riferisce al suo ritorno al Padre col suo corpo glorificato,
il giorno dell'Ascensione (cf. Atti 1, 11)., Il senso delle parole
dette alla Maddalena è che il Risorto si sarebbe fatto vedere ancora.
Non c'era motivo di preoccuparsi. La Maddalena doveva andare subito
dagli Apostoli ad annunziare la sua risurrezione.
-
Al contrario, in 1 Pietro 3, 18-4, 6
si parla di ciò che Cristo fece subito dopo la morte, quando in
spirito ,cioè senza corpo, andò ad annunciare la liberazione al
miliardi di anime che l'attendevano negli inferi. Dopo di che
risuscitò.
- L'esperienza di san Paolo (2
Corinzi 12, 1-4)
-
La parola Paradiso
ricorre pure in san Paolo (2 Corinzi 12, 1-4). L'Apostolo la usa nel
raccontare, con grande umiltà, una sua esperienza straordinaria, che
egli annovera tra le visioni e rivelazioni, di cui Dio l'aveva
gratificato.
-
“Bisogna dunque vantarsi! Veramente
non sarebbe conveniente; pure passerò alle
visioni e rivelazioni del Signore. So di un uomo in Cristo, il quale,
quattordici anni fa, fu rapito se col corpo o fuori del corpo non lo
so: lo sa Iddio fino al terzo cielo. E so che
tale uomo - fosse col corpo o senza corpo lo ignoro: lo sa Iddio -
fu rapito in paradiso e udì parole
ineffabili, che non è permesso a uomo ripetere” (2 Corinzi 12, 1-4,
Garofalo).
-
Spiegazione:
-
1
- Notiamo anzitutto che la parola Paradiso
usata da san Paolo deve avere lo stesso significato
che in san Luca 23, 43, e viceversa. San Luca infatti era compagno
di san Paolo nella diffusione del Vangelo. Tra i due vi sono
sicuramente somiglianze di linguaggio e identità di dottrina. Qual è
il significato della parola Paradiso in san Paolo?
-
-
2 - Paolo dice che fu rapito al “terzo
cielo”, e aggiunge subito che fu rapito in
paradiso. Paradiso dunque e terzo cielo indicano la stessa cosa. Ora
presso gli Ebrei al tempo di Paolo il terzo cielo o cielo empireo
era immaginato come la dimora di Dio. Il paradiso, dunque,
corrisponde a una regione del cielo, non alla terra. E così pure in
Luca 2.3, 43. Nel linguaggio biblico il Paradiso è la dimora di Dio
con gli uomini come dirà san Giovanni i(cf. Apocalisse 21, 3).
-
-
3 - Nel Paradiso san Paolo udì parole
ineffabili, che cioè non si possono ripetere con linguaggio umano.
Questa espressione “udire parole” è un ebraismo, ossia una proprietà
della lingua ebraica, dove per parole bisogna intendere
cose e per udire, vedere. San Paolo vuol dire che
nel Paradiso vide cose che è impossibile descrivere con
linguaggio umano. Sono al di là dell'esperienza di questa vita.
-
Se Paolo avesse visto giardini ricchi
di alberi e di frutta e di uccelli colorati e cinguettanti, avrebbe
potuto descriverli con parole umane. E così pure se avesse visto
tavole imbandite di pietanze succulente e di bevande inebrianti...
Nulla di tutto questo! E neppure vide gente banchettante e tutta
dedita al piaceri della gola e del ventre. Questo paradiso lo
immagina il Corpo Direttivo dei tdG a uso e consumo dei suoi avidi
seguaci. La Bibbia lo ignora.
- Apocalisse 2, 7
-
“Chi ha orecchio ascolti ciò che lo
spirito dice alle Chiese. "A colui che vince, gli darò a mangiare
dell'albero della vita, che è nel paradiso di Dio” (Apocalisse
2, 7, Garofalo).
-
Spiegazione:
-
1
- Il Paradiso, che appare qui la terza volta .nel Nuovo Testamento,
è presentato come il premio dei vittoriosi, di tutti
coloro che rimangono fedeli a Cristo fino alla morte
(cf. Apocalisse 2, 10.'17. 26; 3,5.12.21). Unica dunque sarà la
ricompensa di quanti seguiranno Cristo in questa vita. La Bibbia non
fa distinzione tra alcuni destinati al cielo e altri alla terra.
-
2 - Questo Paradiso consiste nel dono
di mangiare dell'albero della vita. Questa espressione ricorda
Genesi 2, 9, (cf. supra p. 9), dove l'albero della vita
è simbolo d'immortalità. Paradiso dunque significa uno stato
d'immortalità, una condizione opposta a tutto ciò che non è vita.
Chi ha la pienezza della vita, non ha bisogno di cibi succulenti e
di vini prelibati!
-
3 - Come nella visione di Paolo (cf. 2
Corinzi 12, 3-4), questo Paradiso non è limitato alla nostra terra.
E' detto infatti “paradiso di Dio”. E' la dimora di Dio con gli
uomini (cf. Apocalisse 21, 4). Dio si trova dovunque, ma la sua
dimora appropriata è nei cieli come sarà spiegato. Questo vuol dire
che il vero Paradiso consiste nella piena comunione con Dio, non
nell'abbondanza di beni materiali, come sperano i tdG.
- Felicità subito dopo la morte
-
Come già abbiamo accennato, vi sono
numerosi altri testi nel Nuovo Testamento dov'è contenuta la
dottrina del Paradiso dei veri cristiani, anche se non ricorre la
parola “paradiso”. Sono quei testi biblici dov'è affermato senza il
minimo dubbio che per i discepoli di Cristo subito dopo la
morte vi é uno stato di felicità. Ne esaminiamo solo alcuni.
-
1 - Nella parabola di Lazzaro povero e
buono, e del ricco egoista Gesù dice: “Or accadde che il mendìco
morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo” (Luca 16, 22).
-
L'espressione “seno di Abramo” ricorda
il banchetto celeste, che rappresenta la felicità dei giusti come
diremo. Abramo è presentato come il capotavola perché padre di tutti
i credenti (cf. Genesi 17, 1-8; Luca 19, 9; Romani 4, 11-12).
Partecipare al banchetto di Abramo significa godere della stessa
felicità di cui gode Abramo. A Lazzaro povero, ma virtuoso e giusto,
viene assegnato un posto d'onore, vicino al capotavola (cf. Giovanni
13, 23,).
-
In questa parabola Gesù
insegna chiaramente che ai giusti è riservato uno stato di felicità
subito dopo la morte. Nulla vieta di chiamare
Paradiso questo stato di felicità.
-
-
2 - Alla stessa conclusione si arriva
analizzando correttamente le parole di san Paolo ai Filippesi (1,
21-23):
-
“Per me, infatti, il vivere è Cristo,
e il morire un guadagno (...). Ho desiderio di andarmene per essere
con Cristo, che è cosa di gran lunga migliore” (Filippesi 1,
21-13, Garofalo).
-
Spiegazione:
-
a)
Qui san Paolo parla certamente di morte
(greco apothnesco = morire) Il ed afferma
che egli considera la sua morte come un guadagno, ossia come un modo
di essere migliore rispetto alla vita presente. Poi ribadisce e
spiega il suo pensiero dicendo che “desidera andarsene per essere
con Cristo”, “che è cosa assai migliore”, rispetto alla vita
presente (cf. 2 Timoteo 4, 6). La parola “andarsene” (greco
analysai) equivale a “essere disciolto dal corpo”, cioè “morire”
(cf. 2 Corinzi 5, 8).
-
“Il verbo greco analysai,
usato qui da san Paolo, nel Nuovo Testamento significa “andarsene” e
designa la morte, velandone delicatamente l'aspetto orribile; in
questo caso equivale a “decedere”, cioè morire. Lo stesso
significato ha in 2 Timoteo 4, 6, dove Paolo parla
della sua partenza verso il porto sospirato del cielo, cioè della
morte e riunione con Cristo”.
-
b)
Paolo sa che dopo la morte desiderata sarà con Cristo.
La morte infatti non potrà separarlo da Cristo (cf. Romani 8, 38).
Egli dunque afferma che quelli che muoiono nel Signore ottengono subito
dopo la morte un modo di essere che è un guadagno, cioè un
modo di essere assai migliore, rispetto a questa vita.
Subito dopo la morte il discepolo di Cristo ottiene una più intima e
più gioiosa comunione di vita col suo Maestro e Redentore (cf. Luca
213, 43). E' il Paradiso, di cui lo stesso Paolo ebbe un saggio
durante la sua vita terrena (cf. 2 Corinzi 12, 1-4).
-
c)
E' bene notare che qui Paolo non parla di
risurrezione. Egli parla solo di fine di questa vita, cioè della
sua morte. Tra la morte dunque e la futura risurrezione, in cui
Paolo credeva (cf. Atti 24, 1'5), vi è un modo di essere
preferibile alla vita presente. Questo insegna chiaramente san
Paolo in Filippesi 1, 21-25.
- La spiegazione settaria dei tdG
-
L'errore: Il
cervello della setta geovista è del parere che
“in nessun modo l'apostolo dice qui che alla pro- pria morte sarebbe
immediatamente mutato in spirito per essere eternamente con Cristo”.
In Filippesi 1, 21-25 Paolo farebbe riferimento al ritorno di Cristo
quando Paolo sarebbe liberato.
-
La verità.
Siamo in presenza d'una manipolazione aberrante o
farnetica della Parola di Dio ai fini di speculazioni prestamene
settarie. Ecco alcune ragioni:
-
a) Paolo parla espressamente di morte,
della sua morte, come abbiamo dimostrato. Ora è
dottrina biblica che al ritorno di Cristo i vivi non morranno. E'
Paolo stesso a dircelo (cf. 1 Tessalonicesi 4, 17). Con la sua
assurda spiegazione il cervello della setta geovista attribuisce a
Paolo una stridente contraddizione: morire e non morire al ritorno
di Cristo!
-
b) Se si trattasse del ritorno del
Signore, diventa incomprensibile quanto Paolo aggiunge subito dopo,
cioè “il rimanere nella carne è più necessario per riguardo a voi” (Filippesi
1, 24). Infatti, dopo il ritorno del Signore, non ci sarà più
bisogno che qualcuno, fosse pure l'apostolo Paolo, rimanga su questa
terra per aiutare gli altri a salvarsi. Infatti, dopo il ritorno del
Signore, tutti i discepoli di Cristo saranno con Lui
(cf. 1 Tessalonicesi 4, 17).
-
c)
A conferma che Paolo parla della morte e non del
ritorno del Signore vale il fatto che mentre egli scrive è in
prigione e sotto processo, che poteva concludersi con una sentenza
di morte. Paolo è sereno perché sa che qualunque cosa succeda
“Cristo sarà glorificato nel mio corpo sia per la vita sia per la
morte” (Filippesi 1, 20). Egli dunque parla di morte, non di 'ritorno
del Signore.
-
d)
Concludiamo con tre testimonianze di grandi biblisti:
-
“L'essere con Cristo presuppone un
immediato congiungimento con Lui dopo la morte e ancora prima della
risurrezione dei corpi e del giudizio universale. Altrimenti non si
vede come Paolo avrebbe preferito morire subito”.
-
“Le
espressioni usate qui da san Paolo dimostrano chiaramente che il
cristiano morendo in Cristo non deve attendere il giudizio finale
per salire al Cielo.
-
“Questo testo prova chiaramente che
Paolo non considerava l'unione con Cristo nell'altra vita come
differita fino al tempo del ritorno di Cristo alla fine del mondo (fino
alla parusìa): le anime dei giusti, che muoiono prima
del glorioso ritorno del Signore, possono prendere presto possesso
della beatitudine. Identico insegnamento in 2 Corinzi 5, 6-8”.
- L'esilio e la patria
- Sì,
identico insegnamento in 2 Corinzi 5, 6-8:
-
“Facciamoci
dunque coraggio e, consci che, dimorando in questo corpo, siamo
esuli, .lontani dal Signore - camminiamo infatti al luce della fede
e non della visione - facciamoci coraggio e preferiamo piuttosto
sloggiare da questo corpo per andare nella patria, presso il
Signore”.
-
Spiegazione:
-
a)
San Paolo poco prima del testo riportato (versi 2 e
4) esprime il desiderio che il ritorno del Signore (la
parusìa) lo trovi ancora in questa vita. Tuttavia non esclude
che la parusìa sia ritardata ed egli morrà prima.
Questo pensiero in qualche modo lo rattrista perché la morte spoglia
l'uomo di qualcosa che lo completa, cioè della dimora o tenda
terrestre, che è il corpo (verso 4).
-
b) Ma che cosa avverrà se la morte
sopraggiunge prima della parusìa? Paolo afferma che la
morte, di per sé non desiderabile, pone tuttavia termine all'esilio
terreno e dà inizio alla nostra dimora presso il Signore (verso 8).
Per questo motivo la morte può essere anche desiderata: “Preferiamo
piuttosto sloggiare da questo corpo per andare nella patria, presso
il Signore”.
-
c)
Non vi può essere dubbio che qui san Paolo insegna in
modo chiaro che subito dopo la morte l'anima è
introdotta nella visione di Dio: vivrà di visione non più di fede.
Se così non fosse, sarebbe irrazionale il desiderio di Paolo di
esulare dal corpo, cioè morire. In effetti non si desidera mai uno
stato peggiore, ma sempre uno migliore.
-
“Il senso è che le anime dei giusti,
subito dopo la morte, senza aspettare la parusìa,
saranno ammesse alla presenza di Dio e alla sua visione, dalla quale
avranno una felicità totale. Questa concezione supera quella ebraica
dello Sceol, dove le anime sarebbero rimaste fino alla
risurrezione finale”.
-
E' questo il Paradiso dei veri
cristiani.
-
d)
Si noti infine che qui Paolo non parla solo di sé, ma
di tutti quelli che dimorano nel corpo, che sono ancora
esuli dal Signore, che camminano per fede. Raccomanda perciò a tutti
di vivere sempre in modo da essere bene accetti al Signore, “poiché
tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché
ciascuno raccolga, in ragione delle azioni compiute, ciò che ha
meritato quand'era nel corpo, o il bene o il male” (2 Corinzi 5,
10).
-
-
II - Natura del Paradiso
- Una patria migliore, quella
celeste
-
Nel Nuovo Testamento, alla scuola di
Gesù, che è la Sapienza divina (Giovanni 1,1), non si parla mai di
un paradiso su questa terra come promette con ossessiva pertinacia
il cervello della setta geovista. L'affascinante messaggio che
arriva da Brooklyn, N. Y., è che quanti seguono ciecamente gli
ordini del Corpo Direttivo “potranno vivere per sempre su una terra
paradisiaca”.
-
Ma la Bibbia non dice così. Il
Paradiso che Gesù promette ai suoi veri discepoli è di natura
immensamente più elevata, assai più degno dell'uomo fatto da Dio a
sua immagine e somiglianza.
-
Che cos'è il Paradiso dei credenti in
Cristo? Un'informazione abbastanza chiara l'abbiamo nella
Lettera agli Ebrei:
-
“Nella fede morirono tutti costoro,
senz'avere conseguite le cose promesse, ma avendole visto solo e
salutato da Iontano, e avendo riconosciuto d'essere pellegrini e
forestieri sulla terra. Coloro, infatti, che parlano così mostrano
chiaramente di cercare una patria. E, certo, se avessero fatta
menzione di quella onde erano usciti, avrebbero avuto opportunità di
ritornarvi.Ora, invece, essi aspirano a una migliore, cioè celeste:
per questo di loro non si vergogna Iddio, di chiamarsi loro Dio;
poiché ha preparato per essi una città” (Ebrei 11, 13-16,
Garofalo).
-
Spiegazione:
-
a)
Può darsi che al tempo in cui l'autore
ispirato scrisse la Lettera agli Ebrei vi fossero alcuni cristiani
provenienti dal Giudaismo, che aspettassero un paradiso su questa
terra. Ma l'autore ispirato scrisse proprio per correggere questo
errore. Non era stata questa la speranze nei fedeli credenti
-
In Jahve prima di Cristo. Erano stati
centinaia di migliaia!
-
b) Esaltando la fede di quei credenti,
l'autore ispirato afferma che essi avevano ben capito le promesse
divine. Dio non prometteva loro un futuro
migliore su questa terra, una patria terrena. Se questo era il
caso, avrebbero potuto averla. o riaverla. Ma essi non si
curarono di questo. Al contrario, capirono che Dio avrebbe dato loro
una patria ben diversa, assai migliore, quella celeste.
Vi credettero e con questa speranza morirono, affrontando anche il
martirio.
-
c)
Ciò che caratterizza questa patria celeste
non è l'abbondanza di beni materiali, cibi e bevande.. , ma
qualcosa di molto migliore. Perché la patria celeste è la città dove
Iddio non si vergogna di chiamarsi loro Dio. Questo vuol dire che la
felicità della patria celeste - del Paradiso dei veri cristiani -
consiste soprattutto nella comunione con Dio, col Padre celeste,
fonte di ogni gioia.
- Il Paradiso come Cielo
-
Non è dunque la terra il Paradiso dei
veri cristiani. Nella Bibbia è chiamato “patria celeste” o
semplicemente “cielo” o “cieli” (cf. Filippesi 3, 20; 2 Corinzi 12,
2). Su questa parola “cielo” o “cieli” bisogna fare una precisazione.
-
Nella Bibbia sia dell'Antico che del
Nuovo Testamento “cielo” o “cieli” può avere due significati. Uno è
quello spaziale e corrisponde alla volta celeste, ossia all'universo
stellato. L'altro è quello religioso o sacro, che qui c'interessa.
-
Nel significato sacro “cielo” o
“cieli” equivale alla “dimora” di Dio (cf. Salmi 2, 4.11, 4; 1 Re
22, 19; Matteo 5, 16; 6, 9 ecc.). Diciamo subito che la parola
“dimora” di Dio non va presa in senso letterale, come fanno i tdG ".
Se così fosse, non si capirebbe perché la Bibbia dica: “I cieli e i
cieli dei cieli non possono contenere Dio” (1 Re 8, 27; cf. Giovanni
4, 20-24).
-
“Cielo” come dimora di Dio indica la
trascendenza di Dio, ossia la diversità e superiorità del suo modo
di essere rispetto al modo di essere dell'uomo su questa terra, in
questa vita. In altre parole, “cielo” come dimora di Dio vuol dire
che Dio non è circoscritto da dimensioni spaziali. I suoi rapporti
con lo spazio non sono come quelli della creatura umana su questa
terra, in questa vita. Dio non è legato a spazio e a luogo. E' come
il pensiero che è dovunque, senza essere
circoscritto da un dove.
-
Alla luce di
queste considerazioni, possiamo intuire che cosa intenda la Bibbia
quando promette ai giusti - a tutti i giusti - il cielo
come futura dimora (cf. Filippesi 3, 20; Ebrei 11, 16 ecc.). Essa
vuol farci intendere che il nostro modo di essere in Paradiso non
sarà condizionato dallo spazio. Il Paradiso è un modo di
essere diverso e immensamente superiore al nostro modo di essere
su questa terra.
- Il Paradiso come Vita
-
Per darci qualche idea del nostro
futuro modo di essere in Paradiso la Bibbia del Nuovo Testamento si
serve di varie immagini. Una di esse è quella della vita.
“Questa è appunto la volontà del Padre mio che chiunque vede il
Figlio e crede in lui, abbia la vita eterna ed io lo risusciterò
nell'ultimo giorno” (Giovanni 6, 40; cf. 1 Giovanni 5, 11-12).
-
Riflettendo sul concetto di vita è
facile capire che, negativamente, esso comporta tutto
ciò che si oppone appunto alla vita. Il grande Agostino illustra
questo aspetto negativo della vita paradisiaca con una delle sue
magistrali pennellate: saremo liberi (latino vacàbimus).
Il Paradiso dei veri cristiani è una totale liberazione. Liberi
da tutto ciò che appesantisce questa nostra vita terrena e ci fa
soffrire nel fisico e nel morale. Liberi dalla malattia, dalla
vecchiaia, dalla morte. Liberi da tutto ciò che può appesantire il
nostro spirito: liberi dalle ingiustizie, dalle persecuzioni,
dall'odio, dalla vendetta ... Liberi dal vuoto
che spesso fa soffrire la parte più intima di noi
stessi: l'ansia, l'affanno, la paura, l'ignoranza
...
-
“E tergerà ogni lacrima dai loro occhi,
e la morte non sarà più, né lutto né grido né dolore saranno più;
perché le cose di prima sono passate” (Apocalisse 21, 4).
- Il Paradiso come Banchetto
-
Ma la vita, positivamente,
è soprattutto gioia, possesso di tutto ciò che rende l'uomo
felice. L'immagine che la Bibbia usa spesso per farci intuire in
qualche modo questa pienezza di vita è quella del banchetto,
specialmente del banchetto nuziale. Gesù fa sua questa immagine
usata già dai profeti.
-
“Voi, poi, mi siete rimasti fedeli
nelle mie prove, e io dispongo per voi un regno, come il Padre ha
disposto per me, affinché mangiate e beviate alla mia tavola, nel
mio regno, e sediate sui troni per giudicare le dodici tribù
d'Israele” (Luca 22, 28-30, Garofalo).
-
A questa mensa saranno invitati tutti
i popoli della terra:
-
“Verranno da oriente e da occidente,
da settentrione e da mezzogiorno, e si adageranno a mensa nel regno
di Dio” (Luca 13, 29, Garofalo).
-
Sempre con riferimento alla gioia dei
giusti nel Paradiso leggiamo nell'Apocalisse:
-
“Scrivi: beati i chiamati al banchetto
delle nozze dell'Agnello” (Apocalisse 19, 9).
-
-
Spiegazione:
-
a)
E' chiaro anzitutto che qui è usato un linguaggio simbolico. Se
si trattasse d'un linguaggio letterale, dovremmo pensare a, un
interminabile festino nuziale per celebrare le nozze d'un agnello
con milioni e miliardi di creature umane (cf. Apocalisse 19, 7-'8).
-
b)
Il simbolo del banchetto ha lo scopo di
dare l’idea d'una immensa gioia comunitaria. Questo è conforme al
contesto culturale del popolo della Bibbia. Presso gli Ebrei era
fortemente sentito il senso della solidarietà. La gioia vera si
aveva nello stare insieme, nell'amicizia, nella comunione di vita.
Il banchetto, quello nuziale in modo particolare, esprime assai bene
questo senso di gioia piena e di felicità.
-
Lo stare insieme di persone che si
amano con tutto il cuore senza preoccupazione alcuna né limiti di
tempo costituisce il Paradiso dei veri cristiani:
“Hai messo più gioia nel mio cuore di quando abbondano vino e
frumento” (Ps. 4, 8).
-
Nel convito nuziale la gioia degli
sposi non è dovuta tanto alla abbondanza e
squisitezza di cibi e bevande, quanto piuttosto alla loro conseguita
unione.
-
c) Vale la pena ricordare l'invito del
Padrone al servo buono e fedele. Il Padrone non dice: “Vieni a
mangiare e a bere con me!” Egli esprime il suo invito dicendo:
“Entra nella gioia del tuo Padrone” (Matteo 25, 21). La gioia che il
Padrone offre è quella del banchetto nuziale (cf. Matteo 8, 11).
Gesù è lo sposo (,cf. Matteo 9, 15; Apocalisse 19, 7-9); i giusti,
cioè l'immensa folla dei suoi discepoli, sono simboleggiati nella
sposa (cf. Apocalisse 19, 7).
-
d)
Sì, la gioia del Paradiso dei veri cristiani consiste nella
compagnia dei giusti, di tutti i giusti, ossia delle creature umane
purificate dall'amore di Dio. Vedremo e staremo per sempre con le
persone a noi care: parenti, amici, conoscenti. Vedremo i nostri
genitori, la nostra cara mamma, i fratelli, le sorelle, lo sposo, la
sposa, i figli, riuniti tutti per sempre non tanto dal vincolo del
sangue, ma dall'amore, che scaturisce dall'amore di Dio. Vedremo
anche quelli che furono i nostri nemici, i nostri persecutori e
carnefici, purificati dal fuoco che emana dal Sangue di Cristo, per
sempre, perché l'odio e la vendetta e la crudeltà saranno cose
passate,
-
“Vidi poi un nuovo cielo e una nuova
terra, perché il cielo e la terra di, prima erano scomparsi e il
mare non c'era più” (Apocalisse 21, 1).
-
“Non si ricorderà più il passato, non
verrà più in mente, perché si godrà e si gioirà sempre di quello che
sto per creare, e farò di Gerusalemme una gioia, del suo popolo un
gaudio” (Isaia 65, 17).
-
Gioia di tutti,
riconciliati nell'amore, tutti cittadini della Gerusalemme celeste,
abitanti per sempre nella dimora di Dio:
-
“E udii una voce grande proveniente
dal trono che diceva: Ecco la dimora di Dio con gli uomini; e
dimorerà con essi, ed essi saranno i suoi popoli, e Dio stesso sarà
con essi” (Apocalisse 21, 3, Garofalo).
- Uguali agli angeli
-
Com'è possibile - dirà qualcuno -
essere pienamente felici senza i piaceri o le gioie del sesso?
-
1 - La risposta della Bibbia, nel
Nuovo Testamento. è chiara e non lascia alcun dubbio.
-
“Gesù rispose loro: I figli di questo
mondo prendono moglie e prendono marito, ma coloro che saranno
ritenuti degni dell'altro mondo e della risurrezione dei morti non
prendono moglie né marito; e nemmeno potranno più morire, perché
sono uguali agli angeli, e sono figli di Dio, essendo figli della
risurrezione” (Luca 20, 34-36; cf. Matteo 22, 29-30; Marco 12,
24-25).
-
- Gesù distingue una situazione
terrena, valida per i figli di questo mondo, con le esigenze e le
leggi volute da Dio Creatore, da una situazione valida per i figli
dell'altro mondo, voluta anch'essa dallo stesso Dio. Se quella è
fonte di legittimo piacere, anche questa sarà fonte di gioia. Non vi
sarà più sofferenza per il mancato appagamento d'un istinto che non
esiste più, che anzi è stato sublimato ed appagato da un amore
infinitamente superiore.
-
-
2 - Possiamo avere qualche idea di
come sarà possibile questo?
-
L'esperienza umana dice che l'uomo e
la donna possono essere pienamente felici anche senza i pia- ceri
del sesso. Il bambino e la bambina trovano la loro felicità
nell'amore dei genitori e forse anche nel giocattolo e nel dolce.
Sono felici senza attività sessuale.
-
A misura che passano gli anni e si
avanza nell'età adulta, anche per l'uomo e la donna i piaceri del
sesso non hanno più valore (cf. 1 Re 1, 1-4). Nell'età avanzata
l'uomo e la donna trovano la loro gioia nella compagnia e
nell'affetto di figli e nipoti, di parenti ed amici. Il sesso è cosa
del passato.
-
“Quando verrà ciò che è perfetto,
l'imperfetto sparirà. Quando ero bambino, parlavo da bambino e da
bambino pensavo e ragionavo; ma dacché son diventato uomo, mi sono
disfatto di ciò che era infantile” (1 Corinzi 13, 10-11,
Garofalo).
- Dov'è il Paradiso?
-
1 - Abitualmente noi diciamo che è
in cielo o nei cieli perché questo è il
linguaggio abituale della Bibbia. Parlando alle folle, e non solo a
un piccolo gregge, Gesù diceva: “Accumulatevi tesori nel
cielo, dove né tignola né ruggine consumano” (Matteo 6, 20; cf.
Marco 10, 21; Luca 1,2, 33). San Paolo esortava tutti i cristiani a
cercare le cose di lassù “Pensate alle cose di lassù, non a quella
della terra” (Colossesi 3, 1-2), perché in cielo è la
nostra patria (cf. Filippesi 3, 20).
-
Abbiamo già spiegato come “cielo” in
senso religioso equivale a modo di essere, diverso dal
modo di essere in questa vita. Tuttavia non si può
prescindere dall'idea che il modo di essere dei beati
in Paradiso debba pure avere una certa localizzazione. Tanto più che
in nessuna parte della Bibbia è detto che l'attuale cosmo, terra
compresa, sarà annientato, finirà nel nulla, in senso assoluto. La
Bibbia ripete sempre che cielo e terra saranno rinnovati, non
distrutti,(cf. lsaia 65, 17; 66, 22; 2 Pietro 3, 12-13; Apocalisse
21, 1). Come dunque pensare o immaginare la localizzazione dei beati
rispetto al cosmo che, benché rinnovato, sarà sempre una realtà?
-
E' utile precisare che la
localizzazione dei beati, di cui parliamo, è indipendente dalla idea
o immane che l'uomo qui sulla terra si possa fare del cosmo. Questa
immagine è mutata dal tempo in cui fu scritta la Bibbia e può ancora
mutare. La rotondità della terra fu scoperta solo nel secolo XVI
dopo Cristo; e l'immensità dell'universo e la sua mobilità è frutto
della scienza moderna e contemporanea. Gli Ebrei non avevano questa
conoscenza della terra e del cosmo.
-
Rimane comunque il fatto che il cosmo,
compresa la terra, può e deve essere pensato come dimora di Dio e
dei beati, qualunque possa essere la visione che ha o avrà la
scienza fisica ed astronomica. L'affermazione biblica conserva
sempre il suo valore.
-
-
2 - Alla luce di queste osservazioni
il dove dei beati in Paradiso deve essere pensato come
il loro rapporto col cosmo, terra compresa. Alcuni
testi biblici ci possono aiutare a farci qualche idea di questo
futuro rapporto della creatura umana rispetto al cosmo, cioè del
dove del Paradiso.
-
Analizziamo un testo di san Paolo
molto significativo:
-
“Ritengo, infatti, che le sofferenze
del tempo presente non reggono il confronto con la gloria che dovrà
manifestarsi in noi. La stessa intera creazione anela, in ansiosa
attesa, alla manifestazione gloriosa dei figli di Dio; quella
creazione che è stata sottomessa alla vanità non perché l'abbia
voluto lei, ma per volontà di colui che l'ha sottomessa sostenuta
tuttavia dalla speranza che essa pure, la creazione, verrà
affrancata dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla
libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo, infatti, che tutta
la creazione fino al momento presente geme e soffre i dolori del
parto” (Romani 8, 18-23, Garofalo).
-
Spiegazione:
-
a)
San Paolo descrive lo stato o condizione
di tutto il creato in seguito al peccato dell'uomo. E' uno stato di
frustrazione, di mancato raggiungimento del fine per cui Dio l'ha
creato, che è quello di essere dominato dall'uomo, re del creato.
-
Ora, invece, a causa del peccato,
l'uomo è condizionato dalla natura. Più che dominarla è spesso
dominato. Con la sua caduta morale o peccato l'uomo è stato ridotto
a una condizione contraria alla sua primitiva vocazione. E' uno
stato di schiavitù rispetto alla natura.
-
b)
Ma le cose cambieranno. La creazione tutta verrà
affrancata dal suo stato di corruzione per partecipare anch'essa
alla libertà della gloria dei figli di Dio. Questo vuol dire che, a
motivo della restaurazione operata da Cristo, il rapporto tra l'uomo
redento e l'intero cosmo sarà ristabilito secondo il primitivo
disegno di Dio. L'uomo sarà di nuovo, in una forma reale, il re del
creato, terra compresa. Non sarà più soggetto ai limiti e alle
impotenze in cui oggi si trova.
-
Il cosmo rimane. L'universo fisico -
cielo e terra - saranno la dimora di Dio e degli uomini salvati. Ma
muteranno i rapporti rispetto all'intero cosmo. L'uomo potrà
spaziare in tutto l'universo senza bisogno di motori e di fonti di
energia. Vale anche per l'uomo beato ciò che santa Teresa d'Avila
diceva di Dio: “Il cielo è là, dov'è Dio, e quindi può essere
dovunque”.
-
-
3 - Una conferma a queste nostre
osservazioni ci vien data dal modo di essere di Cristo
subito dopo la morte e dopo la sua risurrezione.
-
Appena spirato sulla croce, Cristo va
nell'Ade per annunciare la redenzione ai miliardi di
morti che l'attendevano. Né lui né loro appaiono condizionati dallo
spazio o dal tempo.
- Non
diversa è la condizione del Cristo Risorto. Scompare dalla vista dei
discepoli (cf. Luca 24, 21); entra a porte chiuse (cf. Giovanni 20,
19.26); è elevato in alto sotto lo sguardo attonito dei discepoli
(cf. Atti 1, 2.9).
-
Sì, veramente Cristo è primizia di
quelli che si sono addormentato nel sonno della morte (cf. 1 Corinzi
15, 20).
-
- CAP. IV
- IL PARADISO DEI
TESTIMONI DI GEOVA
- Premessa
-
“Sfortunatamente il mondo è pieno di
gente disposta a farsi turlupinare in cambio di un pezzettino di
paradiso artificiale e di quella droga a buon mercato che si chiama
illusione! E La Torre di Guardia ha degli stabilimenti
specializzati per produrla”.
-
lo condivido appieno (da anni!) questo
giudizio espresso di recente dal Dr. Sergio Pollina (Siracusa), un
ex testimone di Geova. Sì, la società geovista produce e inietta
incessantemente droga paradisiaca su gente disposta a farsi
turlupinare.
-
Che cosa dice? Strumentalizzando
settariamente alcuni testi biblici promette un prossimo paradiso a
quanti supinamente la seguono e informa con assoluta sicumera sul
dove, e sul come potranno vivere per sempre una vita
paradisiaca, a condizione di diventar schiavi della setta in questa
vita. Ma si tratta di droga a buon mercato, non di sano cibo
spirituale prodotto dalla Bibbia. Cerchiamo di vederci chiaro.
- Il “dove” dei paradiso geovista
-
1 - L'errore: Vi dicono
che il paradiso sarà su questa terra. Infatti “Gesù disse: Tu sarai
con me in paradiso - Luca 23: 43” 30.
-
La verità:
-
a) Notate, prima di tutto, che i tdG
citano Luca 23, 43 in una forma mutilata, cioè corrotta. Secondo il
testo critico originale Gesù disse: “In verità ti dico, oggi sarai
con me in paradiso”.
-
b) Nella Bibbia la parola “paradiso”
non significa MAI “terra”, cioè tutta la terra. In Genesi “paradiso”
vuol dire “giardino”, Al limite, Gesù prometteva al buon ladrone di
collocarlo nel “giardino” di Adamo, immaginato dallo scrittore sacro
in una regione del vicino Oriente (cf. supra, pp. 5-6).
-
c) Nel Nuovo Testamento paradiso vuol
dire “terzo cielo” come dimora di Dio (cf. 2 Corinzi 12, 2-3), ossia
una regione diversa dalla terra. Parimenti in Apocalisse 2, 7
“paradiso di Dio” non corrisponde alla terra, ma allo stato di
immortalità che Dio dà ai giusti.
- d)
Gesù dice al buon ladrone: “Oggi sarai con me in paradiso”. Il dono
che Gesù fa al buon ladrone è di “essere con lui”. Gesù non risiede
su questa terra, ma in cielo (cf. Apocalisse 5, 6. 13; Filippesi 3,
20; Atti 7, 55-5,6 ecc.). Stare con Gesù e risiedere su questa terra
sono due cose contraddittorie.
-
-
2 - L'errore: I tdG
prometono un paradiso su questa terra perché nel Salmo 371 27 è
detto: “I giusti stessi possederanno la terra, e risiederanno su di
essa per sempre.
-
La verità:
-
a) Leggendo il Salmo 37
tutto intero com'è doveroso, si deduce che la terra, di cui ivi si
parla, non è il paradiso, ma un pezzo di terra di Canaan, l'odierna
Palestina (cf. supra, p. 22). il senso è
che Jahve darà al giusto un pezzo di terra, donde potrà ricavare di
che vivere e vestirsi, mentre il malvagio sarà spogliato dei suoi
beni, cioè della sua proprietà terriera. Per la maggior parte degli
antichi Ebrei la proprietà terriera costituiva il bene SOMMO.
-
- Questa era l'attesa per gli antichi
Ebrei. Ma il Figlio di Dio ci ha aperto il senso delle Scritture
(cf. Luca 24, 45). Anche se ha usato le stesse espressioni del
Salmista (cf. Matteo 5, 5), ci ha rivelato il loro pieno significato.
La terra promessa ai giusti, a tutti i giusti, è la patria o città
celeste (cf. Ebrei 11, 14-16), la dimora di Dio con gli uomini (cf.
Apocalisse 21, 1-3). San Luca, nel testo parallelo a Matteo 5, 5,
non parla di terra (cf. Luca 6, 20).
-
-
3 - L'errore: I
tdG dicono che Gesù parla della terra come paradiso
quando “insegnò ai suoi discepoli a pregare: "Padre nostro che sei
nei cieli ( ... ). Si compia la tua volontà, come in cielo,
anche sulla terra Il” 32. Cf. Mat. 5 : 5: 6: 9,10.
-
La verità:
-
a) Nulla di vero in
tutto questo. La preghiera che Gesù insegna vale per i suoi
discepoli finché sono su questa terra, in questa vita. Solo in
questa vita l'uomo può non fare la volontà di Dio. Gesù fa chiedere
al Padre celeste che ciò non avvenga. Nel testo parallelo Luca non
parla di terra (,cf.Luca 11, 2-4).
-
b) Notate che Gesù dice: “Si compia la
tua volontà”, cioè ora, al presente. In effetti, nella nuova terra
tutti faranno la volontà di Dio, “ma per i vili e gl'increduli, gli
abietti e gli omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolatri e
per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di
zolfo” (Apocalisse 21, 8).
-
c) Notate pure come nella stessa
preghiera Gesù fa chiedere il pane quotidiano (Matteo 6, 11). Se la
terra di cui Gesù parla, fosse la terra paradisiaca, questa
preghiera non avrebbe senso. Infatti i tdG vi assicurano che in
quella terra vi sarà abbondanza di cibi e bevande, fiumi di latte e
di miele... Ancora una volta i geovisti si menano la zappa sul piedi!
-
-
4 - Aggiungono i geovisti: “In armonia
con ciò, Efesini 1: 9: 11 spiega il proposito di Dio " di radunare
di nuovo tutte le cose nel Cristo, le cose nei cieli e le
cose sulla terra”.
-
La verità:
-
a) Nel testo citato san Paolo
non parla affatto di una terra come paradiso. Il suo pensiero è che
Dio ci ha fatto conoscere che < sotto l'unico capo, Cristo, vengano
armonicamente riunite tutte le creature, comprese quelle che sono
nei cieli, cioè gli angeli”. Lo stesso insegnamento si ha in
Filippesi 2, 9-11.
-
b) A conferma vale il fatto che subito
dopo (versi 11-14) Paolo specifica che le cose sulla terra sono i
Giudei e i pagani. Sia gli uni che gli altri, avendo creduto in
Cristo, sono fatti credi e hanno la speranza del Regno futuro, ma
non si trovano ancora su una terra paradisiaca.
- Il “come” dei paradiso geovista
-
L'errore: Possiamo distinguere due
tempi.
-
a)
In un primo tempo “il re-sacerdote Gesù Cristo e i
regnanti sacerdotali con lui associati (i 144.000 unti o santi)
hanno il compito di portare tutto il genere umano nell'unità di
Geova Dio”. I governanti celesti impiegheranno anche rappresentanti
terrestri che saranno fermi nel sostenere la giustizia di Geova.
-
In parole più chiare, tutti dovranno
accettare supinamente la volontà del Corpo Direttivo anche a costo
della vita. Vi saranno perciò morti e feriti, vedove e orfani di
guerra, case e città ridotte in rovina. Qualunque oppositore sarà
stritolato.
-
b)
In un secondo tempo, il progresso di questa
giustizia, recherà anche benedizioni materiali. Ci sarà
l'adempimento letterale delle parole profetiche! di
Isaia 25, 6: “E Geova degli eserciti per certo farà per tutti i
popoli, su questo monte, un banchetto di piatti ben oleati”. E'
chiaro che, trattandosi di un adempimento letterale, tutti i popoli
andranno a banchettare a Gerusalemme, sul monte Sion!
-
La verità:
-
Contro questo aberrante abuso della
Parola di Dio ricordiamo alcune verità bibliche:
-
a) “Dio
non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché
il mondo si salvi per mezzo di Lui” i(Giovanni 3, 17).
-
“lo, quando sarò elevato da terra,
attirerò tutti a me” (Giovanni 12, 32).
-
“Dio, nostro salvatore, vuole che
tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della
verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e
gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto
per tutti” (1 Timoteo 2, 4-6).
-
b) “Il regno di Dio non è questione di
cibo o di bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Romani
14, 17).
-
“Sta scritto infatti: Quelle cose che occhio non
vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha
preparato Dio per coloro che lo amano” (1
Corinzi 2, 9).
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