PADRE NICOLA TORNESE
PICCOLA COLLANA
"I TESTIMONI DI GEOVA"
 
 
Uomini di serie B Vivi o morti? Geova chi era costui? E' prossima la fine.. E voi chi dite che...
Bibbia sangue e medicina La croce E  le croci La Madonna contestata Trinità Amore o falsità? Pietro e la Pietra
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PARADISO
 
 
OPUSCOLO   N° 20
PICCOLA COLLANA
 
 
"I TESTIMONI DI GEOVA"
 
 
 
 
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Padre Nicola Tornese
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CAP. 1
IL PARADISO DI ADAMO
Il giardino dell'Eden
Appena il discorso cade sul paradiso il pensiero corre istintivamente al secondo capitolo della Genesi. Riportiamo almeno in parte il testo biblico:
“Poi Jahve -Dio piantò un giardino (paradiso) nell'Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva modellato. Jahve Dio fece spuntare dal suolo ogni sorta di alberi piacevoli a vedersi e buoni a mangiare, l'albero della vita in mezzo al giardino (paradiso) e l'albero della conoscenza del bene e del male. C'era un fiume che usciva ad irrigare il giardino (paradiso), poi si divideva e veniva a formare quattro bracci...” (Genesi 2, 8-10, Garofalo).
 
Osservazioni:
1 - La parola “paradiso”, che nel testo riportato ricorre tre volte e altre due nel resto del capitolo, corrisponde all'ebraico “gan”. Nella Bibbia greca dei Settanta “gan” fu tradotto col termine “paradèisos” (greco), che deriva dal persiano pari-daiza o paridezza. In italiano diventa “paradiso” e voci analoghe in altre lingue moderne.
Letteralmente “paradèisos” significa “muro di cinta” di un parco o giardino. Poi venne a significare lo stesso parco o giardino. Stando dunque alla lettera, l'autore sacro afferma che Jahve pose la prima coppia umana in un pezzo di terra recintata, con più esattezza in una “villa”, provvista di tutti i conforti, di cui godevano le ville dei re e dei nobili orientali al tempo in cui l'autore sacro mise in iscritto il racconto delle origini dell'uomo.
 
2 - La villa-paradiso era collocata nell'Eden. Che cosa bisogna intendere per Eden?
a) Il grande biblista san Girolamo (347-420 d.C.) definiva l'Eden “orto di delizie” (hortus voluptatum), una terra cioè amenissima, che poteva rendere felice l'uomo. L'ubicazione geografica passava in second'ordine. L'autore sacro intendeva mettere in evidenza la piena felicità dell'uomo e della donna ai primordi dell'umanità, prima del peccato. La determinazione esatta del luogo contava poco o nulla. L'essenziale era far sapere che Adamo ed Eva vivevano un'esistenza esente da qualsiasi dolore e colma di felicità.
b) Tuttavia non pochi autori moderni pensano che Eden indichi una località. I pareri sono molti e diversi. Alcuni hanno voluto identificarla con l'antica Bit Adini, ricordata in 2 Re 19, 12 e in Ezechiele 27, 23. Altri hanno collocato l'Eden a sud della celebre Babilonia, dove l'Eufrate si dirama in vari fiumi o canali. Altri a nord di Babilonia, vicino all'odierna città di Bagdad, nell'Irak. Vi sono alcuni che vanno più a nord, nella regione dell'Armenia, verso l'Ararat. Per questi ultimi il gran fiume, di cui in Genesi 2, 10, indicherebbe la gran massa d'acqua che dai monti dell'Armenia si riversa nella pianura dando origine a molti fiumi. Tra questi l'Eufrate e il Tigri erano i meglio conosciuti.
c) Oggi sono molti gli studiosi della Bibbia che ritengono impossibile (e anche inutile) localizzare l'Eden e il paradiso di Adamo. La preistoria non ha potuto finora stabilire in quale parte del nostro pianeta l'uomo abbia iniziata la sua avventura terrena.
 
3 - Per la maggior parte dei biblisti la spiegazione che più s'impone è la seguente:
a) L'agiografo non ha voluto né potuto indicare  con esattezza il luogo o regione del paradiso primordiale. Si può ritenere che al tempo in cui scriveva, il sito esatto era sconosciuto. Egli prese il suo racconto dalla tradizione popolare e lo trasmise come quella tradizione lo immaginava. Da alcune caratteristiche proprie del racconto.
b) Per la fertilità d'un giardino, specie nel vicino Oriente, c'è bisogno di molta acqua. Questo spiega la presenza di un grande fiume, che nella immaginazione popolare del tempo doveva avere rapporto coi grandi fiumi allora meglio conosciuti, quali erano il Tigri e l'Eufrate, ed altri ancora.
Per abbellire un giardino, oltre all'abbondanza d'acqua, sono necessari molti alberi, che diano ombra e fresco e frutti da rendere amena la vita degli abitanti. Tutto questo costituiva l'ideale della felicità per gli antichi popoli del vicino Oriente.
c) Si può perciò ritenere che la descrizione del giardino-paradiso e delle sue delizie non sia reale e storica, ma piuttosto ideale conforme alla mentalità e alla immaginazione del popolo del tempo. Più che dati storici e geografici nel senso come noi oggi l'intendiamo, l'autore sacro ha voluto trasmettere un insegnamento, ha voluto farci conoscere lo stato di felicità dei nostri progenitori. Questa è certamente storia, ma non nel senso oggi comunemente inteso.
Riassumendo possiamo dire che, a parere della maggior parte degli studiosi moderni, la descrizione del giardino-paradiso, di cui in Genesi 2, 8-10, non ha come scopo indicare una regione geografica determinata, una parte o anche tutto il nostro pianeta. L'autore sacro voleva dare un'idea esatta della condizione o stato di vita di Adamo ed Eva prima del peccato. La localizzazione geografica aveva ed ha un'importanza molto relativa, anche se è fuor di dubbio che la vita dei nostri progenitori, prima del peccato, fosse in perfetta sintonia col nostro pianeta, anzi con tutto il creato (cf. Genesi 1, 28; 2, 19-20; Romani 8, 19-22).
Eden come simbolo di felicità
Una conferma che la descrizione dell'Eden è simbolica e non reale, ci viene da non pochi testi biblici. Sempre che gli autori sacri parlano dell'Eden, pensano meno o affatto a qualche regione del nostro pianeta o a tutta la terra, quanto piuttosto a uno stato di felicità.
I - Già lo stesso autore della Genesi, per dare un'idea della bellezza della valle del Giordano e quindi della felicità di Lot, che l'aveva scelto come sua dimora, paragona quella valle al “giardino di Dio”, ossia al paradiso di Adamo.
“Allora Lot alzò gli occhi e vide la valle del Giordano, ma quale, prima che Jahve distruggesse Sodoma e Gomorra, era tutta un luogo irrigato, fin verso Zoar, come il giardino di Jahve, come la terra d'Egitto” (Genesi 13, 10 Garofalo).
E' scontato che la valle del Giordano non era stata la dimora della prima coppia umana. Ma la sua bellezza con abbondanza d'acqua, d'ombra, di fresco, d'alberi da frutta... richiamava alla immaginazione il “giardino di Dio”, che nessuno aveva mai visto.
2 - Identico linguaggio simbolico in Ezechiele. Per descrivere la condizione felice del re di Tiro prima che fosse colpito dal castigo di Dio, il profeta così si esprime:
“Tu eri un suggello di perfezione, pieno di saggezza e di perfetta bellezza. Tu eri nell'Eden, giardino di Dio, ricoperto d'ogni specie di pietre preziose, rubino, topazio, diaspro...” (Ezechiele 28, 12, Garofalo).
In modo simile è descritta la condizione del faraone prima della sua caduta:
“Lo avevo formato maestoso per il numero dei suoi rami; lo invidiavano perfino tutti gli alberi dell'Eden, che erano nel giardino di Dio (...). A chi, dunque, sei simile? Per splendore e grandezza sei in tutto come uno degli alberi dell'Eden! Ebbene sei precipitato con gli alberi dell'Eden nella regione sotterranea” (Ezechiele 31, 9.16, Garofalo).
L'albero della vita e della conoscenza
Nella descrizione della villa-paradiso, di cui in Genesi 2, 8-10, si fa menzione esplicita dell'albero della vita in mezzo al giardino e dell'albero della conoscenza del bene e del male (cf. Genesi 2, 9). Qual è il significato di queste parole?
1 - Alcuni biblisti ritengono che l'autore sacro avesse in mente due alberi reali. Jahve Dio avrebbe dato ai loro frutti il potere di assicurare una vita senza fine e la conoscenza del bene e del male a chi se ne fosse cibato. Altri, invece, con più ragione, sono del parere che si tratti di alberi simbolici.
a) L'albero della vita serve a indicare il potere di vivere per sempre. L'uomo infatti è, per sua natura, mortale (cf. Genesi 3, 19 e 22). Ma Dio gli aveva dato il dono dell'immortalità, ossia l'esenzione dalla morte quale noi la sperimentiamo. Qui non c'entra il problema della sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte, ossia dell'immortalità dell'anima. L'autore sacro non sì pone questo problema. Sarà risolto in seguito, alla luce di tutta la rivelazione cristiana.
“I progenitori erano sottratti all'impero della morte, non nel senso che già possedessero l'immortalità per costituzione, com'è proprio dei puri spiriti, ma nel senso che avevano la possibilità di non morire.
E quale sarebbe stata la sorte finale loro e dei discendenti, in caso che la fedeltà a Dio li avesse preservati dal tremendo castigo? Possiamo pensare, per analogia con la dottrina della risurrezione (1 Corinzi 15, 35-38), che, dopo un certo numero di anni, il corpo di ogni singolo uomo sarebbe stato sottratto alte leggi biologiche mediante una trasformazione, e trasferito in un mondo migliore”.
b) L'albero della conoscenza del bene e del male è simbolo della facoltà o potere di decidere da se stessi ciò che è bene e ciò che è male. Dio solo ha questo potere E' un attributo divino. Con la sua disubbidienza Adamo ha tentato di usurpare questa prerogativa divina. Il suo peccato fu perciò un attentato alla sovranità di Dio, un peccato di orgoglio .
 
La fede della Chiesa Cattolica
1 - Basandosi su una conoscenza corretta della Bibbia, la Chiesa Cattolica ritiene e insegna che lo stato di felicità originale della creatura umana appartiene alla storia. Ci fu veramente il paradiso di Adamo. Alla sua origine l'uomo fu realmente costituito da Dio in uno stato di giustizia e di integrità anche corporale. Ci fu un tempo in cui l'uomo era libero dal dolore, dalla malattia, dalla morte.
In quel tempo i rapporti tra Dio e l'uomo erano fondati su una comunione filiale. Questa è la fonte della vera felicità per la creatura umana. E i rapporti tra l'uomo e la natura tutta - la terra e il cosmo - erano assai diversi di come lo divennero in seguito al peccato (cf. Romani 8, 19-22). L'uomo era veramente re del creato.
2 - Si può tuttavia ritenere che il modo in cui quella storia è raccontata è diverso da quello con cui oggi si scrive la storia, non è cioè basata su documenti scritti, scoperte geologiche e archeologiche, ricordi personali e simili. Si può ammettere che, nel raccontare quella storia, l'autore sacro abbia usato un linguaggio simbolico, uno stile figurato e popolare.
Il linguaggio figurato riguarda espressioni come Eden, giardino di Dio, albero della vita ecc. Queste immagini figurate fanno parte del linguaggio abituale della Bibbia, appartengono allo stile biblico, e servono a descrivere la felicità dell'uomo alle sue origini.
 
3 - Se così non fosse, ne seguirebbe più d'un assurdo.
- Dovremmo pensare che se Adamo non avesse peccato, tutta l'umanità (miliardi!) doveva essere collocata in uno spazio di terra relativamente piccolo, in un giardino ben recintato!
- Altro assurdo: se si trattasse d'un linguaggio letterale, anche oggi quel giardino di Dio potrebbe essere rintracciato sul nostro pianeta. La Bibbia, infatti, dice che non fu distrutto, ma che Dio, cacciato fuori l'uomo peccatore, “fece dimorare i Cherubini e la fiamma della spada sfolgorante, per custodire la via dell'albero della vita” (Genesi 3, 24, Garofalo).
- E ancora: se si trattasse di senso letterale e quindi di una località geografica ben determinata, dopo la restaurazione operata dal Figlio di Dio l'umanità dovrebbe essere riportata in un piccolo spazio di terra a oriente della Palestina!
Con quale diritto dunque i testimoni di Geova assicurano i loro creduli i seguaci che potranno avere una vita paradisiaca su tutta la terra?
 
CAP. Il
IL PARADISO DEGLI ISRAELITI
L'attesa dei paradiso
Il regno di David  segnò l'epoca del più grande splendore per l'antico Israele. Nella travagliata sto- ria degli Israeliti quell'epoca assurse a simbolo d'una futura età dell'oro, perché Jahve aveva promesso a David un regno stabile per sempre: “Stabile sarà la tua casa e il tuo regno per sempre al mio cospetto. Perciò il tuo trono resterà saldo per sempre” (2 Samuele 7, 16).
E' merito dei profeti, posteriori a David, aver tenuta viva questa speranza, specie durante le grandi catastrofi che si abbatterono sugli Israeliti. Alcune volte, per qualificare questo futuro glorioso, i profeti ricordano il giardino dell'Eden.
Scrive Isaia:
Ebbene Jahve ha pietà di Sion, ha pietà di tutte le rovine; renderà il suo deserto come l'Eden, la sua steppa come il giardino di Jahve. Giubilo e gioia si trovano in essa, inni di lode e melodie musicali!” 1(51, 3, Garofalo; cf. Ezechiele 36, 3-'1,35).
E' evidente che l'Eden o giardino di Dio serve da modello della promessa restaurazione futura, ma la localizzazione del futuro paradiso non è mai situata in Oriente, a nord o a sud di Babilonia, e neppure alle falde del Caucaso, lungo i fiumi dell'Ararat, come forse immaginava l'autore di Genesi 2, 8-10. Tanto meno è estesa a tutta la terra.
Lo sfondo geografico, è sempre la Palestina, l'antico regno di David; anzi alcune volte si restringe alla sola Gerusalemme o al solo monte Sion.
Quale paradiso?
Dall'abbondante letteratura specie dei profeti è facile cogliere gli aspetti fondamentali o caratteristiche del paradiso atteso dagli antichi Israeliti.
- Ricchezza di beni spirituali
a) Una grande comunione con Dio molto simile a quella della prima coppia umana.
“E avverrà in quel giorno - oracolo di Jahve mi chiamerai: “Mio consorte!” ... Allora ti farò mia sposa per sempre: ti farò mia sposa nella giustizia e nel giudizio, nell'amore e nella compassione...” (Osea 2, 18.21, Garofalo).
Nell'approssimarsi della grande tragedia, che fu la distruzione del regno di Giuda (587 a.C.), Geremia consola il popolo dicendo:
“Ecco, verranno giorni - oracolo di Jahve - nei quali con la casa di Israele io concluderò una nuova alleanza. Non conte l'alleanza che conclusi coi loro padri (...). Questa sarà l'alleanza che lo concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni - oracolo di Jahve -. Porrò la mia legge nel loro intimo, la scriverò sul loro cuore; sarò loro Dio ed essi il mio popolo” (31, 31-33, Garofalo, cf. Ezechiele 37, 23-27; Isaia 60, 19-20).
b) Comunione coi propri simili.
“Non agiranno più iniquamente né deprederanno in tutto il mio santo monte perché la conoscenza di Jahve riempirà il paese come le acque riempiono il mare” (Isaia 11, 9, Garofalo; cf. Isaia 32, 16-17).
Effetto di questa fratellanza sarà una pace perenne:
“Arco, spada e guerra  manderò in pezzi via dal paese dove li farò risiedere in tranquillità” (Osea 2, 20). “Forgeranno le spade in vomeri, le lance in falci; un popolo non alzerà la spada contro un altro popolo; non impareranno più l'arte della guerra” (Isaia 2, 4, Garofalo; cf. Michea 4, 3-4).
E la pace regnerà anche tra e con gli animali  “Stringerò per essi un patto in quel giorno con le bestie selvatiche, con gli uccelli del cielo e con i rettili della terra” (Osea 2, 20). “Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto (... ). il leone, come il bue, si ciberà di paglia. Il lattante si divertirà sul nascondiglio dell'aspide; un bambino metterà la mano nel covo dei serpenti velenosi” (Isaia, 11, 6-8, Garofalo).
 
2 - Abbondanza di beni materiali
Una lettura affrettata e superficiale di non poche pagine della Bibbia potrebbe dare l'idea che l'aspetto materialistico e terreno del futuro regno messianico o paradiso prevalga su quello spirituale e morale. Vedremo che non è così. Rimane tuttavia il fatto che questo secondo aspetto è prevalso nell'attesa di molti Israeliti e prevale oggi nella propaganda settaria dei tdG.
a) Straordinaria fertilità della terra.
Fin dall'ottavo secolo a.C. Amos profeta si esprimeva nei termini seguenti:
“Ecco, viene un tempo - oracolo del Signore - in cui chi ara seguirà    il mietitore e colui che pigia l'uva seguirà chi rilancia il seme: le montagne gronderanno mosto ...  Ricostruiranno le città distrutte, vi abiteranno, pianteranno vigne e ne berranno il vino    ...” (9, 13-14, Garofalo; cf. Levitico 26, 5).
Secoli più tardi Gioele ripeteva:
“Avverrà in quel giorno.- i monti stilleranno mosto, per i colli stillerà latte, per tutti i ruscelli di Giuda scorrerà acqua, una fonte uscirà dal tempio di Jahve e irrigherà la valle di Shittim” (4, 18, Garofalo).
Per Ezechiele:
“Queste acque, scorrendo verso la regione orientale, discendono nell'Araba per finire nel mare, nelle acque salate, e le acque ne sono risanate” (47, 8, Garofalo).
In modo alquanto diverso si esprime Zaccaria:
“E avverrà: in quel giorno scorreranno da Gerusalemme acque vive; una metà di esse al mare Orientale e un'altra metà al mare Occidentale. Ce ne sarà nell'estate e nell'inverno” 1(14, 8, Garofalo; cf. Isaia 30, 23-25; 35, 1-2).
Durante l'esilio babilonese (,587-549 a.C.), Ezechiele consolava i deportati assicurando loro un avvenire radioso:
“Benedirò loro e le regioni intorno al mio colle, mandando a tempo opportuno la pioggia, acque apportatrici d'ogni bene, perché l'albero della campagna darà frutto e la terra prodotti (...). Susciterò loro una florida vegetazione e consunti più non saranno dalla fame nel paese” (34, 26-29, Garofalo).
Molto più pittoresco è Isaia che scrive:
“Preparerà Jahve degli eserciti per tutti i popoli su questo monte un convito di carni grasse, un convito di vini grevi, di midolli grassi, di vini raffinati” (25, 6, Garofalo).
E non meno generoso è Geremia:
“Verranno e inneggeranno sull'altura di Sion, affluiranno verso i beni di Jahve, verso il frumento, il mosto e l'olio, verso il frutto del bestiame minuto e del bestiame grosso   Sazierò di grasso l'anima dei sacerdoti, il mio popolo si sazierà dei miei beni” (31, 12-14, Garofalo).
b) Le ricchezze dei popoli affluiranno verso la Città Santa.
“Così dice Jahve: "Il patrimonio d'Egitto e il guadagno di Cush (... ) passeranno a te, saranno tuoi"” (Isaia 45, 14, Garofalo; cf. Isaia 60, 5-11).
“Così dice Jahve degli eserciti: "Ancora un momento; poi scuoterò il cielo e la terra, il mare e il continente. Scuoterò tutte le genti; ricoprirò questa casa gloriosa " - dice Jahve degli eserciti -. " A me appartiene l'argento e a me l'oro"” (Aggeo 2, 6-8, Garofalo).
c) Ottimo stato di salute, lunghezza di vita.
“lo (Jahve) creo cieli nuovi e una nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente (... ). lo gioirò di Gerusalemme, godrò del mio popolo. Non si udranno più in essa voci di pianto né grida di angoscia. Non ci sarà più in essa un bimbo che viva solo pochi giorni né un vecchio che non compia i suoi giorni; il più giovane morirà a cento anni; chi non raggiungerà cento anni sarà maledetto” (Isaia 65, 17-20, Garofalo).
E la morte sarà eliminata:
“Egli (Jahve) strapperà in questo monte il velo che velava la faccia di tutti i popoli, e la coltre che copriva tutte le genti; quindi eliminerà la morte per sempre” (Isaia 25, 7-8, Garofalo).
Precisazioni
1 - Ricordiamo anzitutto che non pochi Israeliti, forse la maggior parte di essi, hanno preso alla lettera le promesse dei profeti. Essi si aspettavano un regno davidico o messianico, un paradiso su questa terra.
Quest'attesa divenne più sentita durante i tempi della dominazione straniera, greca o ellenistica prima, sotto Alessandro Magno e i suoi successori, dalla seconda metà del quarto secolo alla metà del primo secolo avanti Cristo. Poi vennero i Romani, che dominarono in Oriente per più di cinque secoli. Molti giudei sognavano l'avverarsi delle profezie messianiche con l'instaurazione d'un paradiso su questa terra, dove essi avrebbero avuto immensi vantaggi materiali, mentre i pagani sarebbero ridotti in schiavitù. Echi di questa attesa si riscontrano anche nei vangeli (cf. Matteo 20, 20-21, Atti 1, 6).
La storia ha seguito un corso diverso come tutti sanno. Il popolo giudaico cessò di essere nazione, prima parzialmente per opera di Tito nel 70 dopo Cristo; poi completamente sotto Adriano nel 134 d.C. Dopo circa due mila anni ha avuto una limitata restaurazione e tutti sanno con quante difficoltà, di cui non è facile vedere la fine.
I tdG, che si qualificano i moderni giudei, seguono anch'essi un'interpretazione fondamentali- sta, ossia materialista, delle profezie sul futuro regno di Dio. Mediante una propaganda bene orchestrata con immagini e fumetti riescono a persuadere - cioè a drogare - gente poco istruitale di limitata intelligenza che Geova darà loro a breve scadenza una terra paradisiaca com'è descritta letteralmente nelle Scritture Ebraiche, ossia nell'Antico Testamento.
 
2 - A giudizio della stragrande maggioranza dei biblisti il linguaggio dei profeti riguardante il futuro regno   di Dio non va preso alla. lettera. Le ragioni sono molteplici.
Anzitutto non bisogna dimenticare che è un linguaggio apocalittico ossia un annuncio di grandiosi eventi futuri, ed è proprio di questo linguaggio servirsi di immagini, di metafore, di simboli quasi sempre iperbolici, cioè non corrispondenti alle realtà oggettive.
Così, per esempio, è una forma iperbolica, e quindi non letterale, che ruscelli di mosto e vino stillino dai monti o che il latte scorra per le colline (cf. ioele 4, 118).
Altro esempio. Se si trattasse d'una descrizione o racconto letterale, dovremmo pensare che il monte Sion sarà trasformato nel futuro in un grande hotel, dove saranno serviti cibi succulenti e bevande squisite a tutti i popoli della terra per tutta l'eternità (cf. Isaia 25, 6).
Oltre a questi ed altri assurdi, vi sarebbero non poche contraddizioni.
Esempi. Mentre Osea (2, 20) assicura che arco e spada saranno ridotti in pezzi, per Isaia (2, 4) le spade diventeranno vomeri e le lance, falci. Secondo Ezechiele (47, 1-12) le acque sgorgano da sotto il tempio di Gerusalemme dirigendosi verso Oriente, verso il Mar Morto; per Zaccaria invece (14, 8) una metà va verso il mare orientale e un" altra metà verso quello occidentale, verso il Mediterraneo. Per altri profeti l'abbondanza di acqua viene direttamente dal cielo. Gli esempi potrebbero continuare.
Gesù Cristo, la Sapienza di Dio (cf. Giovanni 1, 1-3), ci ha aperto il senso delle Scritture (cf. Luca 24, 45) e ci ha fatto sapere che Dio ha preparato una patria celeste per tutti coloro che hanno avuto e hanno fede in Lui (cf. Ebrei 11, 15-16).
I giusti erediteranno la terra (Ps. 37, 11)
La speranza d'un futuro paradiso su questa terra faceva certamente parte della religiosità de- gli antichi Israeliti. Essa tuttavia non aiutava a dare una risposta soddisfacente a un interrogativo che agita l'uomo giusto d'ogni tempo: perché Dio permette che i buoni soffrano e i malvagi prosperino?
1 - Gli antichi Israeliti non avevano ancora l'idea d'una ricompensa ultraterrena. Al pio israelita, nella maggior parte dei casi, si prospettava una soluzione terrena. Egli sperava che con l'andare del tempo Jahve avrebbe fatto giustizia su questa terra.
Il Salmo 3,7 (3,6), attribuito a David, presenta questa soluzione:
Non irritarti per i maligni;
non invidiare coloro che operano iniquità. Perché appassiscono in fretta come fieno (...)
Confida in Jahve e opera il bene:
abiterai la terra e pascerai al sicuro. (Ps, 37, 1-3, Garofalo).
 
Il senso è che, a breve scadenza, Jahve punirà il malvagio privandolo della sua terra e premierà il giusto, che prenderà il suo posto:
Ancora un poco e non sarà più l'empio,
ma coloro che sperano in Jahve erediteranno la terra (Ps. 37, 10-11).
 
Ma se dovesse accadere che il malvagio rimanga in prosperità fino alla morte, a soffrire sarà la sua discendenza, mentre la prole del giusto sarà premiata:
Gli empi in eterno saranno puniti e il seme degli empi reciso. I giusti erediteranno la terra
e vivranno per sempre su di essa (Ps. 37, 28-29).
 
Il senso proprio ed immediato delle parole: “i giusti erediteranno la terra >, è che Jahve, con l'andare del tempo, darà al pio Israelita un bel pezzo di terra nella Palestina, nel paese di Canaan, bene sommo per l'antico ebreo, come premio della sua fedeltà a Dio. Questa promessa nel Salmo 37 viene ripetuta sette volte: 3.9.11.22.27.29.34.
 
2 - Tuttavia nelle parole del Salmo 37 si può scorgere una visuale più ampia, che riguarda cioè non il singolo individuo, ma la comunità intera degli Israeliti. Parlando a Israele Jahve dirà: “Il tuo popolo sarà un popolo di giusti, in eterno domineranno la terra” (Isaia 60, 21, Garofalo; cf. 65, 9,).
La terra, di cui qui si tratta, è la terra di Canaan, la futura Palestina, che Dio aveva dato al popolo ebraico (cf. Giosuè 18, 1-3).
In questa prospettiva più ampia le parole del Salmo “I giusti erediteranno la terra” significano che i pii Israeliti si stabiliranno nel paese di Canaan che Dio aveva dato al suo popolo e che né loro né i loro discendenti sarebbero scacciati da esso Sarà Gesù a fare piena luce sulle parole del Salmo. La terra promessa ai giusti rivelerà il suo pieno significato di “patria celeste” (cf. Ebrei 11, 14-16), di “nuovi cieli e nuova terra”. di “dimora di Dio con gli uomini” (Apocalisse 21, 1-3). Questo è l'autentico significato delle parole di Gesù in Matteo: “I miti possederanno la terra” (5,5). Qui come sempre valgono le belle parole del grande Agostino: “Il Nuovo Testamento è nascosto nell'Antico, e l'Antico si rivela nel Nuovo”.
Per queste ragioni e altre ancora, che saranno dette in seguito, quando i tdG spiegano Matteo 5, 5 come se Gesù avesse promesso a loro, e solo a loro, questa terra, questo nostro pianeta colmo di beni materiali, perché possano gozzovigliare per tutta l'eternità, fanno un uso aberrante della Parola di Dio con l'unico scopo di fare seguaci e col numero far denaro.
Speranza migliore
La speranza d'una ricompensa terrena per i giusti non apparve soddisfacente a tutti gli Israeliti. In effetti spesso il giusto soffre tutta la vita né diversa è la sorte dei suoi discendenti. Al contrario il malvagio trionfa e continua a trionfare nei suoi figli e nipoti. Davanti a tale amara esperienza il pio Israelita rimaneva sconcertato e quasi sull'orlo della disperazione:
Certo, Dio è buono per il giusto;
Ma a me per poco non si storpiavano i piedi,
per un nulla scivolavano i miei passi.
Infatti invidiai i millantatori,
vedendo la prosperità dei malvagi (Ps. 73, 1-3, Garofalo).
 
In tale stato di angoscia il pio Israelita ricorre a Dio per aiuto, per consiglio:
E stimavo di poter capire,
ma non fu che travaglio ai miei occhi.
Finché venni ai santuari di Dio
e penetrai la loro fine (Ps. 73, 16-17, Garofalo).
 
Quale frutto della sua preghiera il giusto riceve dall'alto la luce e il conforto: egli comprende che, oltre ai confini dell'esistenza terrena, lo attende una vita di felicità nella gioiosa comunione con Dio.
Ma io fui sempre con te;
tu hai preso per mano la mia destra. Nel tuo consiglio mi guidi
e poi alla gloria mi prendi
Viene meno la mia carne e il mio cuore?
Rocca del mio cuore e mia porzione è Dio in eterno (,Ps. 73, 23-26).
 
Commenta La Sacra Bibbia di Salvatore Garofalo:
“La grande scoperta spirituale dei salmista è dunque che Dio stesso costituirà la felicità dei giusto, mentre il malvagio ha dinanzi a sé una prospettiva di morte (v. 19). Nel verso 26 viene meno la mia carne e il mio cuore?
Rocca del mio cuore e mia porzione è Dio in eterno, lo sguardo del poeta si spinge oltre la tomba e la consunzione del corpo, verso Dio, in cui la sua vita troverà eterna stabilità. Con questa apertura finale di orizzonte sulla eternità, il salmo raggiunge le più alte vette della spiritualità dell'Antico Testamento”.
“Sublime slancio di fede in una vita immortale, eccitato dalla vista perturbatrice delle ingiustizie di questa vita terrena. Perché prospera l'empio e il giusto soffre? si domanda il salmista. E dalla cruda ambascia che tormenta un tal pensiero si eleva alla confortante dottrina che la morte metterà fine all'apparente ingiustizia, segnando per i cattivi la fine d'ogni bene, per i buoni il principio d'una felicità imperitura”.
La giustizia è immortale (Sapienza 1, 15)
La speranza d'una vita felice in comunione con Dio subito dopo la morte, ossia d'un paradiso non materialistico, assume contorni assai precisi negli ultimi due secoli prima di Cristo. E' come l'aurora che precede il sorgere del sole (cf. Luca 1, 78). Fu durante questo tempo che alcuni saggi di Israele, guidati dallo Spirito Santo, approfondirono la dottrina della retribuzione dei giusti e colsero il vero significato delle promesse divine. Ecco alcuni sprazzi di questa luce.
“La giustizia è immortale” (Sapienza 1, 5, Garofalo), ossia “Chi fa quel che piace a Dio vive per sempre” (Interconfessionale).
“Chi si rende gradito a Dio, da lui è amato e, se vive in mezzo a gente cattiva, Dio do prende e lo fa vivere altrove” (Sapienza 4, 10, Interconfessionale).
“Ubbidire alla sapienza è garanzia di vivere per sempre e questa vita ti permette di stare vicino a Dio. Così, se desideri la sapienza puoi giungere fin sul trono” (Sapienza 6, 18-20, Interconfessionale).
“Le anime dei giusti sono al sicuro nelle mani di Dio, nessun tormento li colpirà. Agli occhi degli stolti la loro morte parve uno sfacelo, la loro scomparsa la fine di tutto (…), ma essi sono nella pace” (Sapienza 3, 1-3, Interconfessionale).
A proposito del libro della Sapienza è stato giustamente osservato da un grande biblista:
“La dottrina della vita subito dopo la morte contenuta nel libro della Sapienza va oltre a quanto avevano scritto e creduto i precedenti autori sacri. L'autore del libro della Sapienza potrà essere stato spinto da influenze esterne (ellenismo) a sviluppare i   precedenti insegnamenti biblici. Tuttavia nel suo cammino era guidato dalla divina Provvidenza, che voleva preparare i giudei della diaspora, e assieme a loro anche i pagani venuti a conoscenza della religione ebraica, alla Rivelazione che nella pienezza dei tempi sarebbe stata ben presto annunziata. Questa Rivelazione avrebbe gettato piena luce sulla dottrina della vita futura e dell'eterna ricompensa, cioè sul Paradiso dei veri discepoli di Cristo”.
 
CAP. III
IL PARADISO DEI VERI CRISTIANI
Nel libri del Nuovo Testamento la parola “paradiso” ricorre solo tre volte. Ma in numerosi altri testi biblici sia dei vangeli che in san Paolo, come pure nell'Apocalisse, è chiaramente contenuta la dottrina d'uno stato di felicità, che ha inizio subito dopo la morte.
Dall'analisi di queste testimonianze noi possiamo ricavare con certezza non solo l'esistenza di questo stato di felicità, ma anche conoscere in qualche modo la sua natura, possiamo cioè avere qualche idea di che cosa esso sia. La Bibbia ci autorizza a chiamare  “Paradiso” questo stato di felicità subito dopo la morte (cf. Luca 23, 43).
In questo terzo capitolo parleremo prima della esistenza del Paradiso e poi della sua natura, seguendo fedelmente la Bibbia.
 
1 - Esistenza del Paradiso
Oggi sarai con me in Paradiso (Luca 23, 43)
Nei vangeli la parola “Paradiso” si trova solo in san Luca, nella risposta che Gesù, prossimo a morire, dà al peccatore pentito:
“E diceva: " Gesù, ricordati di me quando verrai nella tua maestà regale". E Gesù gli disse: "In verità ti dico: oggi sarai con me in Paradiso "” (Luca 23, 43, Garofalo).
Spiegazione:
1 - Il peccatore pentito riconosce in Gesù il Messia promesso, l'atteso re di Israele. Da buon giudeo pensa che questo re inaugurerà il suo regno in un avvenire indeterminato. Egli chiede di essere ammesso in questo futuro regno messianico, benché peccatore.
 
2 - Rispondendo Gesù chiama il suo regno “Paradiso” e fa chiaramente capire che è una realtà imminente e non su questa terra. Infatti sia lui sia il buon ladrone stavano per lasciare questa vita terrena. Malgrado ciò, Gesù assicura che quello stesso giorno si sarebbero trovati insieme in Paradiso.
 
3 - In che modo? Certo non in virtù d'una immediata risurrezione del corpo per trovarsi su questa terra mutata in “giardino di Dio”. Questo non avvenne. Si può dunque dedurre che in quello stesso giorno avrebbero iniziato insieme uno stato di vita gioiosa. Gesù chiama Paradiso questo nuovo stato di vita.
“In tal modo Gesù offre più di quanto il. ladrone pentito gli avesse chiesto, poiché gli promette che in quello stesso giorno sarà con lui in Paradiso. In questo senso il Paradiso è il luogo in cui vengono raccolte dopo la morte le anime dei giusti, cioè il Paradiso presente, già esistente
Con la promessa del perdono il 'giorno futuro’diventa il ‘già oggi' dell'adempimento”.
Discese agi'ìnferi (Atti 2, 27.31)
La Bibbia giustifica queste affermazioni.
1 - Nel suo primo discorso il giorno di Pentecoste san Pietro afferma che Dio non abbandonò nell'Ade o inferi l'anima del suo Santo, cioè di Gesù né permise che il suo corpo andasse in corruzione (cf. Atti 2, 27.31). Qui l'apostolo Pietro afferma due cose ben distinte: una è che il corpo di Cristo non andò in corruzione; fu infatti risuscitato. L'altra, che la vita o anima di lui non rimase - nell'Ade o inferi. Da questo si deduce che subito dopo la morte Cristo, senza il suo corpo, andò con la sua vita o anima nel regno dei morti (Ade, inferi).
 
2 - Che cosa era l'Ade o inferi? Non era certamente il sepolcro. Era il regno dei morti. “Lasciamo da parte ogni localizzazione " sotterranea ", ogni immagine di voragine, d'abisso, di pozzo; ogni idea di tenebre, di ombre, di sonno, e diciamo solo che gli inferi (Ade, Sceol) erano l'incontro di tutti i defunti, lo stato (non il luogo) in cui ciascuno entrava, quando raggiungeva " i suoi padri ".
Sono questi gli inferi (Ade) in cui Cristo, appena spirato in croce, raggiunse gli spiriti, le anime dei milioni, dei miliardi di uomini e donne morti prima di lui fin dall'inizio della specie umana e che aspettavano la manifestazione della salvezza”
 
3 - E che cosa andò a fare Gesù Cristo nell'Ade? “San Pietro' nella sua prima Lettera, citando interamente un inno battesimale primitivo (3, 118-4, 6), ci dice la ragione di questa discesa. L'inizio e la fine dell'inno, infatti, si riferiscono alla discesa di Gesù negli inferi:
“Anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurci a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito andò ad annunziare ala salvezza agli spiriti che attendevano in prigione; essi avevano un tempo rifiutato di credere, quando la magnanimità di Dio pazientava nei giorno di Noè, mentre si fabbricava l'arca  Infatti è stata annunziata la buona novella anche ai morti, perché pur avendo subìto, perdendo la vita del corpo, la condanna comune a tutti gli uomini, vivano secondo Dio nello spirito”. Gesù irrompe in questo mondo dei morti (...). Trionfa sulle potenze sataniche (cf. Filippesi 2, 10), strappa loro l’umanità perduta, introducendola nella gloria dei cieli, in cui egli stesso entra alla testa di tante creature umane”.
In questo immenso corteo di anime redente c'era anche il buon ladrone. Quel peccatore pentito, morendo, non tornò nella non esistenza, come affermano i tdG, ma cambiò condizione o stato di vita, entrando nel Paradiso, come aveva assicurato Gesù.
 
4 - Contro  questa spiegazione i tdG strumentalizzano Giovanni 20, 17 dove Gesù dice alla Maddalena: “Non trattenermi perché non sono asceso ancora al Padre mio”. Sarebbe perciò impossibile che quello stesso giorno sia andato in Paradiso col buon ladrone.
La verità è che in Giovanni 20, 17 Gesù si riferisce al suo ritorno al Padre col suo corpo glorificato, il giorno dell'Ascensione (cf. Atti 1, 11)., Il senso delle parole dette alla Maddalena è che il Risorto si sarebbe fatto vedere ancora. Non c'era motivo di preoccuparsi. La Maddalena doveva andare subito dagli Apostoli ad annunziare la sua risurrezione.
Al contrario, in 1 Pietro 3, 18-4, 6 si parla di ciò che Cristo fece subito dopo la morte, quando in spirito ,cioè senza corpo, andò ad annunciare la liberazione al miliardi di anime che l'attendevano negli inferi. Dopo di che risuscitò.
L'esperienza di san Paolo (2 Corinzi 12, 1-4)
La parola Paradiso ricorre pure in san Paolo (2 Corinzi 12, 1-4). L'Apostolo la usa nel raccontare, con grande umiltà, una sua esperienza straordinaria, che egli annovera tra le visioni e rivelazioni, di cui Dio l'aveva gratificato.
“Bisogna dunque vantarsi! Veramente non sarebbe conveniente; pure   passerò alle visioni e rivelazioni del Signore. So di un uomo in Cristo, il quale, quattordici anni fa, fu rapito se col corpo o fuori del corpo non lo so: lo sa Iddio  fino al terzo cielo. E so che tale uomo - fosse col corpo o senza corpo lo ignoro: lo sa Iddio - fu rapito in paradiso e udì  parole ineffabili, che non è permesso a uomo ripetere” (2 Corinzi 12, 1-4, Garofalo).
Spiegazione:
 1 - Notiamo anzitutto che la parola Paradiso usata da san Paolo deve avere lo stesso significato che in san Luca 23, 43, e viceversa. San Luca infatti era compagno di san Paolo nella diffusione del Vangelo. Tra i due vi sono sicuramente somiglianze di linguaggio e identità di dottrina. Qual è il significato della parola Paradiso in san Paolo?
 
2 - Paolo dice che fu rapito al “terzo cielo”, e aggiunge subito che fu rapito in  paradiso. Paradiso dunque e terzo cielo indicano la stessa cosa. Ora presso gli Ebrei al tempo di Paolo il terzo cielo o cielo empireo era immaginato come la dimora di Dio. Il paradiso, dunque, corrisponde a una regione del cielo, non alla terra. E così pure in Luca 2.3, 43. Nel linguaggio biblico il Paradiso è la dimora di Dio con gli uomini come dirà san Giovanni i(cf. Apocalisse 21, 3).
 
3 - Nel Paradiso san Paolo udì parole ineffabili, che cioè non si possono ripetere con linguaggio umano. Questa espressione “udire parole” è un ebraismo, ossia una proprietà della lingua ebraica, dove per parole bisogna intendere cose e per udire, vedere. San Paolo vuol dire che nel Paradiso vide cose che è impossibile descrivere con linguaggio umano. Sono al di là dell'esperienza di questa vita.
Se Paolo avesse visto giardini ricchi di alberi e di frutta e di uccelli colorati e cinguettanti, avrebbe potuto descriverli con parole umane. E così pure se avesse visto tavole imbandite di pietanze succulente e di bevande inebrianti... Nulla di tutto questo! E neppure vide gente banchettante e tutta dedita al piaceri della gola e del ventre. Questo paradiso lo immagina il Corpo Direttivo dei tdG a uso e consumo dei suoi avidi seguaci. La Bibbia lo ignora.
Apocalisse 2, 7
“Chi ha orecchio ascolti ciò che lo spirito dice alle Chiese. "A colui che vince, gli darò a mangiare dell'albero della vita, che è nel paradiso di Dio” (Apocalisse 2, 7, Garofalo).
Spiegazione:
 1 - Il Paradiso, che appare qui la terza volta .nel Nuovo Testamento, è presentato come il premio dei vittoriosi, di tutti coloro che rimangono fedeli a Cristo fino alla morte (cf. Apocalisse 2, 10.'17. 26; 3,5.12.21). Unica dunque sarà la ricompensa di quanti seguiranno Cristo in questa vita. La Bibbia non fa distinzione tra alcuni destinati al cielo e altri alla terra.
2 - Questo Paradiso consiste nel dono di mangiare dell'albero della vita. Questa espressione ricorda Genesi 2, 9, (cf. supra p. 9), dove l'albero della vita è simbolo d'immortalità. Paradiso dunque significa uno stato d'immortalità, una condizione opposta a tutto ciò che non è vita. Chi ha la pienezza della vita, non ha bisogno di cibi succulenti e di vini prelibati!
3 - Come nella visione di Paolo (cf. 2 Corinzi 12, 3-4), questo Paradiso non è limitato alla nostra terra. E' detto infatti “paradiso di Dio”. E' la dimora di Dio con gli uomini (cf. Apocalisse 21, 4). Dio si trova dovunque, ma la sua dimora appropriata è nei cieli come sarà spiegato. Questo vuol dire che il vero Paradiso consiste nella piena comunione con Dio, non nell'abbondanza di beni materiali, come sperano i tdG.
Felicità subito dopo la morte
Come già abbiamo accennato, vi sono numerosi altri testi nel Nuovo Testamento dov'è contenuta la dottrina del Paradiso dei veri cristiani, anche se non ricorre la parola “paradiso”. Sono quei testi biblici dov'è affermato senza il minimo dubbio che per i discepoli di Cristo subito dopo la morte vi é uno stato di felicità. Ne esaminiamo solo alcuni.
1 - Nella parabola di Lazzaro povero e buono, e del ricco egoista Gesù dice: “Or accadde che il mendìco morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo” (Luca 16, 22).
L'espressione “seno di Abramo” ricorda il banchetto celeste, che rappresenta la felicità dei giusti come diremo. Abramo è presentato come il capotavola perché padre di tutti i credenti (cf. Genesi 17, 1-8; Luca 19, 9; Romani 4, 11-12). Partecipare al banchetto di Abramo significa godere della stessa felicità di cui gode Abramo. A Lazzaro povero, ma virtuoso e giusto, viene assegnato un posto d'onore, vicino al capotavola (cf. Giovanni 13, 23,).
In questa parabola Gesù insegna chiaramente che ai giusti è riservato uno stato di felicità subito dopo la morte. Nulla vieta di chiamare Paradiso questo stato di felicità.
 
2 - Alla stessa conclusione si arriva analizzando correttamente le parole di san Paolo ai Filippesi (1, 21-23):
“Per me, infatti, il vivere è Cristo, e il morire un guadagno (...). Ho desiderio di andarmene per essere con Cristo, che è cosa di gran lunga migliore” (Filippesi 1, 21-13, Garofalo).
Spiegazione:
a) Qui san Paolo parla certamente di morte (greco apothnesco = morire) Il ed afferma che egli considera la sua morte come un guadagno, ossia come un modo di essere migliore rispetto alla vita presente. Poi ribadisce e spiega il suo pensiero dicendo che “desidera andarsene per essere con Cristo”, “che è cosa assai migliore”, rispetto alla vita presente (cf. 2 Timoteo 4, 6). La parola “andarsene” (greco analysai) equivale a “essere disciolto dal corpo”, cioè “morire” (cf. 2 Corinzi 5, 8).
“Il verbo greco analysai, usato qui da san Paolo, nel Nuovo Testamento significa “andarsene” e designa la morte, velandone delicatamente l'aspetto orribile; in questo caso equivale a “decedere”, cioè morire. Lo stesso significato ha in 2 Timoteo 4, 6, dove Paolo parla della sua partenza verso il porto sospirato del cielo, cioè della morte e riunione con Cristo”.
b) Paolo sa che dopo la morte desiderata sarà con Cristo. La morte infatti non potrà separarlo da Cristo (cf. Romani 8, 38). Egli dunque afferma che quelli che muoiono nel Signore ottengono subito dopo la morte un modo di essere che è un guadagno, cioè un modo di essere assai migliore, rispetto a questa vita. Subito dopo la morte il discepolo di Cristo ottiene una più intima e più gioiosa comunione di vita col suo Maestro e Redentore (cf. Luca 213, 43). E' il Paradiso, di cui lo stesso Paolo ebbe un saggio durante la sua vita terrena (cf. 2 Corinzi 12, 1-4).
c) E' bene notare che qui Paolo non parla di risurrezione. Egli parla solo di fine di questa vita, cioè della sua morte. Tra la morte dunque e la futura risurrezione, in cui Paolo credeva (cf. Atti 24, 1'5), vi è un modo di essere preferibile alla vita presente. Questo insegna chiaramente san Paolo in Filippesi 1, 21-25.
La spiegazione settaria dei tdG
L'errore: Il cervello della setta geovista è del parere che “in nessun modo l'apostolo dice qui che alla pro- pria morte sarebbe immediatamente mutato in spirito per essere eternamente con Cristo”. In Filippesi 1, 21-25 Paolo farebbe riferimento al ritorno di Cristo quando Paolo sarebbe liberato.
La verità. Siamo in presenza d'una manipolazione aberrante o farnetica della Parola di Dio ai fini di speculazioni prestamene settarie. Ecco alcune ragioni:
a) Paolo parla espressamente di morte, della sua morte, come abbiamo dimostrato. Ora è dottrina biblica che al ritorno di Cristo i vivi non morranno. E' Paolo stesso a dircelo (cf. 1 Tessalonicesi 4, 17). Con la sua assurda spiegazione il cervello della setta geovista attribuisce a Paolo una stridente contraddizione: morire e non morire al ritorno di Cristo!
b) Se si trattasse del ritorno del Signore, diventa incomprensibile quanto Paolo aggiunge subito dopo, cioè “il rimanere nella carne è più necessario per riguardo a voi” (Filippesi 1, 24). Infatti, dopo il ritorno del Signore, non ci sarà più bisogno che qualcuno, fosse pure l'apostolo Paolo, rimanga su questa terra per aiutare gli altri a salvarsi. Infatti, dopo il ritorno del Signore, tutti i discepoli di Cristo saranno con Lui (cf. 1 Tessalonicesi 4, 17).
c) A conferma che Paolo parla della morte e non del ritorno del Signore vale il fatto che mentre egli scrive è in prigione e sotto processo, che poteva concludersi con una sentenza di morte. Paolo è sereno perché sa che qualunque cosa succeda “Cristo sarà glorificato nel mio corpo sia per la vita sia per la morte” (Filippesi 1, 20). Egli dunque parla di morte, non di 'ritorno del Signore.
d) Concludiamo con tre testimonianze di grandi biblisti:
“L'essere con Cristo presuppone un immediato congiungimento con Lui dopo la morte e ancora prima della risurrezione dei corpi e del giudizio universale. Altrimenti non si vede come Paolo avrebbe preferito morire subito”.
Le espressioni usate qui da san Paolo dimostrano chiaramente che il cristiano morendo in Cristo non deve attendere il giudizio finale per salire al Cielo.
“Questo testo prova chiaramente che Paolo non considerava l'unione con Cristo nell'altra vita come differita fino al tempo del ritorno di Cristo alla fine del mondo (fino alla parusìa): le anime dei giusti, che muoiono prima del glorioso ritorno del Signore, possono prendere presto possesso della beatitudine. Identico insegnamento in 2 Corinzi 5, 6-8”.
L'esilio e la patria
Sì, identico insegnamento in 2 Corinzi 5, 6-8:
Facciamoci dunque coraggio e, consci che, dimorando in questo corpo, siamo esuli, .lontani dal Signore - camminiamo infatti al luce della fede e non della visione - facciamoci coraggio e preferiamo piuttosto sloggiare da questo corpo per andare nella patria, presso il Signore”.
Spiegazione:
a) San Paolo poco prima del testo riportato (versi 2 e 4) esprime il desiderio che il ritorno del Signore (la parusìa) lo trovi ancora in questa vita. Tuttavia non esclude che la parusìa sia ritardata ed egli morrà prima. Questo pensiero in qualche modo lo rattrista perché la morte spoglia l'uomo di qualcosa che lo completa, cioè della dimora o tenda terrestre, che è il corpo (verso 4).
b) Ma che cosa avverrà se la morte sopraggiunge prima della parusìa? Paolo afferma che la morte, di per sé non desiderabile, pone tuttavia termine all'esilio terreno e dà inizio alla nostra dimora presso il Signore (verso 8). Per questo motivo la morte può essere anche desiderata: “Preferiamo piuttosto sloggiare da questo corpo per andare nella patria, presso il Signore”.
c) Non vi può essere dubbio che qui san Paolo insegna in modo chiaro che subito dopo la morte l'anima è introdotta nella visione di Dio: vivrà di visione non più di fede. Se così non fosse, sarebbe irrazionale il desiderio di Paolo di esulare dal corpo, cioè morire. In effetti non si desidera mai uno stato peggiore, ma sempre uno migliore.
“Il senso è che le anime dei giusti, subito dopo la morte, senza aspettare la parusìa, saranno ammesse alla presenza di Dio e alla sua visione, dalla quale avranno una felicità totale. Questa concezione supera quella ebraica dello Sceol, dove le anime sarebbero rimaste fino alla risurrezione finale”.
E' questo il Paradiso dei veri cristiani.
d) Si noti infine che qui Paolo non parla solo di sé, ma di tutti quelli che dimorano nel corpo, che sono ancora esuli dal Signore, che camminano per fede. Raccomanda perciò a tutti di vivere sempre in modo da essere bene accetti al Signore, “poiché tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno raccolga, in ragione delle azioni compiute, ciò che ha meritato quand'era nel corpo, o il bene o il male” (2 Corinzi 5, 10).
 
II - Natura del Paradiso
Una patria migliore, quella celeste
Nel Nuovo Testamento, alla scuola di Gesù, che è la Sapienza divina (Giovanni 1,1), non si parla mai di un paradiso su questa terra come promette con ossessiva pertinacia il cervello della setta geovista. L'affascinante messaggio che arriva da Brooklyn, N. Y., è che quanti seguono ciecamente gli ordini del Corpo Direttivo “potranno vivere per sempre su una terra paradisiaca”.
Ma la Bibbia non dice così. Il Paradiso che Gesù promette ai suoi veri discepoli è di natura immensamente più elevata, assai più degno dell'uomo fatto da Dio a sua immagine e somiglianza.
Che cos'è il Paradiso dei credenti in Cristo? Un'informazione abbastanza chiara l'abbiamo nella Lettera agli Ebrei:
“Nella fede morirono tutti costoro, senz'avere conseguite le cose promesse, ma avendole visto solo e salutato da Iontano, e avendo riconosciuto d'essere pellegrini e forestieri sulla terra. Coloro, infatti, che parlano così mostrano chiaramente di cercare una patria. E, certo, se avessero fatta menzione di quella onde erano usciti, avrebbero avuto opportunità di ritornarvi.Ora, invece, essi aspirano a una migliore, cioè celeste: per questo di loro non si vergogna Iddio, di chiamarsi loro Dio; poiché ha preparato per essi una città” (Ebrei 11, 13-16, Garofalo).
Spiegazione:
a) Può darsi che al tempo in cui l'autore ispirato scrisse la Lettera agli Ebrei vi fossero alcuni cristiani provenienti dal Giudaismo, che aspettassero un paradiso su questa terra. Ma l'autore ispirato scrisse proprio per correggere questo errore. Non era stata questa la speranze nei fedeli credenti
In Jahve prima di Cristo. Erano stati centinaia di migliaia!
b) Esaltando la fede di quei credenti, l'autore ispirato afferma che essi avevano ben capito le promesse divine.   Dio non prometteva loro un futuro migliore su questa terra, una patria terrena. Se questo era il   caso, avrebbero potuto averla. o riaverla. Ma essi non si curarono di questo. Al contrario, capirono che Dio avrebbe dato loro una patria ben diversa, assai migliore, quella celeste. Vi credettero e con questa speranza morirono, affrontando anche il martirio.
c) Ciò che caratterizza questa patria celeste non è l'abbondanza di beni materiali, cibi e bevande.. , ma qualcosa di molto migliore. Perché la patria celeste è la città dove Iddio non si vergogna di chiamarsi loro Dio. Questo vuol dire che la felicità della patria celeste - del Paradiso dei veri cristiani - consiste soprattutto nella comunione con Dio, col Padre celeste, fonte di ogni gioia.
Il Paradiso come Cielo
Non è dunque la terra il Paradiso dei veri cristiani. Nella Bibbia è chiamato “patria celeste” o semplicemente “cielo” o “cieli” (cf. Filippesi 3, 20; 2 Corinzi 12, 2). Su questa parola “cielo” o “cieli” bisogna fare una precisazione.
Nella Bibbia sia dell'Antico che del Nuovo Testamento “cielo” o “cieli” può avere due significati. Uno è quello spaziale e corrisponde alla volta celeste, ossia all'universo stellato. L'altro è quello religioso o sacro, che qui c'interessa.
Nel significato sacro “cielo” o “cieli” equivale alla “dimora” di Dio (cf. Salmi 2, 4.11, 4; 1 Re 22, 19; Matteo 5, 16; 6, 9 ecc.). Diciamo subito che la parola “dimora” di Dio non va presa in senso letterale, come fanno i tdG ". Se così fosse, non si capirebbe perché la Bibbia dica: “I cieli e i cieli dei cieli non possono contenere Dio” (1 Re 8, 27; cf. Giovanni 4, 20-24).
“Cielo” come dimora di Dio indica la trascendenza di Dio, ossia la diversità e superiorità del suo modo di essere rispetto al modo di essere dell'uomo su questa terra, in questa vita. In altre parole, “cielo” come dimora di Dio vuol dire che Dio non è circoscritto da dimensioni spaziali. I suoi rapporti con lo spazio non sono come quelli della creatura umana su questa terra, in questa vita. Dio non è legato a spazio e a luogo. E' come il pensiero che  è dovunque, senza essere circoscritto da un dove.
Alla luce di  queste considerazioni, possiamo intuire che cosa intenda la Bibbia quando promette ai giusti - a tutti i giusti - il cielo come futura dimora (cf. Filippesi 3, 20; Ebrei 11, 16 ecc.). Essa vuol farci intendere che il nostro modo di essere in Paradiso non sarà condizionato dallo spazio. Il Paradiso è un modo di essere diverso e immensamente superiore al nostro modo di essere su questa terra.
Il Paradiso come Vita
Per darci qualche idea del nostro futuro modo di essere in Paradiso la Bibbia del Nuovo Testamento si serve di varie immagini. Una di esse è quella della vita. “Questa è appunto la volontà del Padre mio che chiunque vede il Figlio e crede in lui, abbia la vita eterna ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno” (Giovanni 6, 40; cf. 1 Giovanni 5, 11-12).
Riflettendo sul concetto di vita è facile capire che, negativamente, esso comporta tutto ciò che si oppone appunto alla vita. Il grande Agostino illustra questo aspetto negativo della vita paradisiaca con una delle sue magistrali pennellate: saremo liberi (latino vacàbimus). Il Paradiso dei veri cristiani è una totale liberazione. Liberi da tutto ciò che appesantisce questa nostra vita terrena e ci fa soffrire nel fisico e nel morale. Liberi dalla malattia, dalla vecchiaia, dalla morte. Liberi da tutto ciò che può appesantire il nostro spirito: liberi dalle ingiustizie, dalle persecuzioni, dall'odio, dalla vendetta  ... Liberi dal vuoto che spesso fa soffrire la parte più intima di noi stessi: l'ansia, l'affanno, la paura, l'ignoranza    ...
“E tergerà ogni lacrima dai loro occhi, e la morte non sarà più, né lutto né grido né dolore saranno più; perché le cose di prima sono passate” (Apocalisse 21, 4).
Il Paradiso come Banchetto
Ma la vita, positivamente, è soprattutto gioia, possesso di tutto ciò che rende l'uomo felice. L'immagine che la Bibbia usa spesso per farci intuire in qualche modo questa pienezza di vita è quella del banchetto, specialmente del banchetto nuziale. Gesù fa sua questa immagine usata già dai profeti.
“Voi, poi, mi siete rimasti fedeli nelle mie prove, e io dispongo per voi un regno, come il Padre ha disposto per me, affinché mangiate e beviate alla mia tavola, nel mio regno, e sediate sui troni per giudicare le dodici tribù d'Israele” (Luca 22, 28-30, Garofalo).
A questa mensa saranno invitati tutti i popoli della terra:
“Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno, e si adageranno a mensa nel regno di Dio” (Luca 13, 29, Garofalo).
Sempre con riferimento alla gioia dei giusti nel Paradiso leggiamo nell'Apocalisse:
“Scrivi: beati i chiamati al banchetto delle nozze dell'Agnello” (Apocalisse 19, 9).
 
Spiegazione:
 a) E' chiaro anzitutto che qui è usato un linguaggio simbolico. Se si trattasse d'un linguaggio letterale, dovremmo pensare a, un interminabile festino nuziale per celebrare le nozze d'un agnello con milioni e miliardi di creature umane (cf. Apocalisse 19, 7-'8).
b) Il simbolo del banchetto ha lo scopo di dare l’idea d'una immensa gioia comunitaria. Questo è conforme al contesto culturale del popolo della Bibbia. Presso gli Ebrei era fortemente sentito il senso della solidarietà. La gioia vera si aveva nello stare insieme, nell'amicizia, nella comunione di vita. Il banchetto, quello nuziale in modo particolare, esprime assai bene questo senso di gioia piena e di felicità.
Lo stare insieme di persone che si amano con tutto il cuore senza preoccupazione alcuna né limiti di tempo costituisce il Paradiso dei veri cristiani:  “Hai messo più gioia nel mio cuore di quando abbondano vino e frumento” (Ps. 4, 8).
Nel convito nuziale la gioia degli sposi non è dovuta   tanto alla abbondanza e squisitezza di cibi e bevande, quanto piuttosto alla loro conseguita unione.
c) Vale la pena ricordare l'invito del Padrone al servo buono e fedele. Il Padrone non dice: “Vieni a mangiare e a bere con me!” Egli esprime il suo invito dicendo: “Entra nella gioia del tuo Padrone” (Matteo 25, 21). La gioia che il Padrone offre è quella del banchetto nuziale (cf. Matteo 8, 11). Gesù è lo sposo (,cf. Matteo 9, 15; Apocalisse 19, 7-9); i giusti, cioè l'immensa folla dei suoi discepoli, sono simboleggiati nella sposa (cf. Apocalisse 19, 7).
d) Sì, la gioia del Paradiso dei veri cristiani consiste nella compagnia dei giusti, di tutti i giusti, ossia delle creature umane purificate dall'amore di Dio. Vedremo e staremo per sempre con le persone a noi care: parenti, amici, conoscenti. Vedremo i nostri genitori, la nostra cara mamma, i fratelli, le sorelle, lo sposo, la sposa, i figli, riuniti tutti per sempre non tanto dal vincolo del sangue, ma dall'amore, che scaturisce dall'amore di Dio. Vedremo anche quelli che furono i nostri nemici, i nostri persecutori e carnefici, purificati dal fuoco che emana dal Sangue di Cristo, per sempre, perché l'odio e la vendetta e la crudeltà saranno cose passate,
“Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di, prima erano scomparsi e il mare non c'era più” (Apocalisse 21, 1).
“Non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, perché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, e farò di Gerusalemme una gioia, del suo popolo un gaudio” (Isaia 65, 17).
Gioia  di tutti, riconciliati nell'amore, tutti cittadini della Gerusalemme celeste, abitanti per sempre nella dimora di Dio:
“E udii una voce grande proveniente dal trono che diceva: Ecco la dimora di Dio con gli uomini; e dimorerà con essi, ed essi saranno i suoi popoli, e Dio stesso sarà con essi” (Apocalisse 21, 3, Garofalo).
Uguali agli angeli
Com'è possibile - dirà qualcuno - essere pienamente felici senza i piaceri o le gioie del sesso?
1 - La risposta della Bibbia, nel Nuovo Testamento. è chiara e non lascia alcun dubbio.
“Gesù rispose loro: I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito, ma coloro che saranno ritenuti degni dell'altro mondo e della risurrezione dei morti non prendono moglie né marito; e nemmeno potranno più morire, perché sono uguali agli angeli, e sono figli di Dio, essendo figli della risurrezione” (Luca 20, 34-36; cf. Matteo 22, 29-30; Marco 12, 24-25).
- Gesù distingue una situazione terrena, valida per i figli di questo mondo, con le esigenze e le leggi volute da Dio Creatore, da una situazione valida per i figli dell'altro mondo, voluta anch'essa dallo stesso Dio. Se quella è fonte di legittimo piacere, anche questa sarà fonte di gioia. Non vi sarà più sofferenza per il mancato appagamento d'un istinto che non esiste più, che anzi è stato sublimato ed appagato da un amore infinitamente superiore.
 
2 - Possiamo avere qualche idea di come sarà possibile questo?
L'esperienza umana dice che l'uomo e la donna possono essere pienamente felici anche senza i pia- ceri del sesso. Il bambino e la bambina trovano la loro felicità nell'amore dei genitori e forse anche nel giocattolo e nel dolce. Sono felici senza attività sessuale.
A misura che passano gli anni e si avanza nell'età adulta, anche per l'uomo e la donna i piaceri del sesso non hanno più valore (cf. 1 Re 1, 1-4). Nell'età avanzata l'uomo e la donna trovano la loro gioia nella compagnia e nell'affetto di figli e nipoti, di parenti ed amici. Il sesso è cosa del passato.
“Quando verrà ciò che è perfetto, l'imperfetto sparirà. Quando ero bambino, parlavo da bambino e da bambino pensavo e ragionavo; ma dacché son diventato uomo, mi sono disfatto di ciò che era infantile” (1 Corinzi 13, 10-11, Garofalo).
Dov'è il Paradiso?
1 - Abitualmente noi diciamo che è in cielo o nei cieli perché questo è il linguaggio abituale della Bibbia. Parlando alle folle, e non solo a un piccolo gregge, Gesù diceva: “Accumulatevi tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano” (Matteo 6, 20; cf. Marco 10, 21; Luca 1,2, 33). San Paolo esortava tutti i cristiani a cercare le cose di lassù “Pensate alle cose di lassù, non a quella della terra” (Colossesi 3, 1-2), perché in cielo è la nostra patria (cf. Filippesi 3, 20).
Abbiamo già spiegato come “cielo” in senso religioso equivale a modo di essere, diverso dal modo di essere in questa vita. Tuttavia non si può prescindere dall'idea che il modo di essere dei beati in Paradiso debba pure avere una certa localizzazione. Tanto più che in nessuna parte della Bibbia è detto che l'attuale cosmo, terra compresa, sarà annientato, finirà nel nulla, in senso assoluto. La Bibbia ripete sempre che cielo e terra saranno rinnovati, non distrutti,(cf. lsaia 65, 17; 66, 22; 2 Pietro 3, 12-13; Apocalisse 21, 1). Come dunque pensare o immaginare la localizzazione dei beati rispetto al cosmo che, benché rinnovato, sarà sempre una realtà?
E' utile precisare che la localizzazione dei beati, di cui parliamo, è indipendente dalla idea o immane che l'uomo qui sulla terra si possa fare del cosmo. Questa immagine è mutata dal tempo in cui fu scritta la Bibbia e può ancora mutare. La rotondità della terra fu scoperta solo nel secolo XVI dopo Cristo; e l'immensità dell'universo e la sua mobilità è frutto della scienza moderna e contemporanea. Gli Ebrei non avevano questa conoscenza della terra e del cosmo.
Rimane comunque il fatto che il cosmo, compresa la terra, può e deve essere pensato come dimora di Dio e dei beati, qualunque possa essere la visione che ha o avrà la scienza fisica ed astronomica. L'affermazione biblica conserva sempre il suo valore.
 
2 - Alla luce di queste osservazioni il dove dei beati in Paradiso deve essere pensato come il loro rapporto col cosmo, terra compresa. Alcuni testi biblici ci possono aiutare a farci qualche idea di questo futuro rapporto della creatura umana rispetto al cosmo, cioè del dove del Paradiso.
Analizziamo un testo di san Paolo molto significativo:
“Ritengo, infatti, che le sofferenze del tempo presente non reggono il confronto con la gloria che dovrà manifestarsi in noi. La stessa intera creazione anela, in ansiosa attesa, alla manifestazione gloriosa dei figli di Dio; quella creazione che è stata sottomessa alla vanità non perché l'abbia voluto lei, ma per volontà di colui che l'ha sottomessa sostenuta tuttavia dalla speranza che essa pure, la creazione, verrà affrancata dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo, infatti, che tutta la creazione fino al momento presente geme e soffre i dolori del parto” (Romani 8, 18-23, Garofalo).
Spiegazione:
a) San Paolo descrive lo stato o condizione di tutto il creato in seguito al peccato dell'uomo. E' uno stato di frustrazione, di mancato raggiungimento del fine per cui Dio l'ha creato, che è quello di essere dominato dall'uomo, re del creato.
Ora, invece, a causa del peccato, l'uomo è condizionato dalla natura. Più che dominarla è spesso dominato. Con la sua caduta morale o peccato l'uomo è stato ridotto a una condizione contraria alla sua primitiva vocazione. E' uno stato di schiavitù rispetto alla natura.
b) Ma le cose cambieranno. La creazione tutta verrà affrancata dal suo stato di corruzione per partecipare anch'essa alla libertà della gloria dei figli di Dio. Questo vuol dire che, a motivo della restaurazione operata da Cristo, il rapporto tra l'uomo redento e l'intero cosmo sarà ristabilito secondo il primitivo disegno di Dio. L'uomo sarà di nuovo, in una forma reale, il re del creato, terra compresa. Non sarà più soggetto ai limiti e alle impotenze in cui oggi si trova.
Il cosmo rimane. L'universo fisico - cielo e terra - saranno la dimora di Dio e degli uomini salvati. Ma muteranno i rapporti rispetto all'intero cosmo. L'uomo potrà spaziare in tutto l'universo senza bisogno di motori e di fonti di energia. Vale anche per l'uomo beato ciò che santa Teresa d'Avila diceva di Dio: “Il cielo è là, dov'è Dio, e quindi può essere dovunque”.
 
3 - Una conferma a queste nostre osservazioni ci vien data dal modo di essere di Cristo subito dopo la morte e dopo la sua risurrezione.
Appena spirato sulla croce, Cristo va nell'Ade per annunciare la redenzione ai miliardi di morti che l'attendevano. Né lui né loro appaiono condizionati dallo spazio o dal tempo.
Non diversa è la condizione del Cristo Risorto. Scompare dalla vista dei discepoli (cf. Luca 24, 21); entra a porte chiuse (cf. Giovanni 20, 19.26); è elevato in alto sotto lo sguardo attonito dei discepoli (cf. Atti 1, 2.9).
Sì, veramente Cristo è primizia di quelli che si sono addormentato nel sonno della morte (cf. 1 Corinzi 15, 20).
 
CAP. IV
IL PARADISO DEI TESTIMONI DI GEOVA
Premessa
“Sfortunatamente il mondo è pieno di gente disposta a farsi turlupinare in cambio di un pezzettino di paradiso artificiale e di quella droga a buon mercato che si chiama illusione! E La Torre di Guardia ha degli stabilimenti specializzati per produrla”.
lo condivido appieno (da anni!) questo giudizio espresso di recente dal Dr. Sergio Pollina (Siracusa), un ex testimone di Geova. Sì, la società geovista produce e inietta incessantemente droga paradisiaca su gente disposta a farsi turlupinare.
Che cosa dice? Strumentalizzando settariamente alcuni testi biblici promette un prossimo paradiso a quanti supinamente la seguono e informa con assoluta sicumera sul dove, e sul come potranno vivere per sempre una vita paradisiaca, a condizione di diventar schiavi della setta in questa vita. Ma si tratta di droga a buon mercato, non di sano cibo spirituale prodotto dalla Bibbia. Cerchiamo di vederci chiaro.
Il “dove” dei paradiso geovista
1 - L'errore: Vi dicono che il paradiso sarà su questa terra. Infatti “Gesù disse: Tu sarai con me in paradiso - Luca 23: 43” 30.
La verità:
a) Notate, prima di tutto, che i tdG citano Luca 23, 43 in una forma mutilata, cioè corrotta. Secondo il testo critico originale Gesù disse: “In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso”.
b) Nella Bibbia la parola “paradiso” non significa MAI “terra”, cioè tutta la terra. In Genesi “paradiso” vuol dire “giardino”, Al limite, Gesù prometteva al buon ladrone di collocarlo nel “giardino” di Adamo, immaginato dallo scrittore sacro in una regione del vicino Oriente (cf. supra, pp. 5-6).
c) Nel Nuovo Testamento paradiso vuol dire “terzo cielo” come dimora di Dio (cf. 2 Corinzi 12, 2-3), ossia una regione diversa dalla terra. Parimenti in Apocalisse 2, 7 “paradiso di Dio” non corrisponde alla terra, ma allo stato di immortalità che Dio dà ai giusti.
d) Gesù dice al buon ladrone: “Oggi sarai con me in paradiso”. Il dono che Gesù fa al buon ladrone è di “essere con lui”. Gesù non risiede su questa terra, ma in cielo (cf. Apocalisse 5, 6. 13; Filippesi 3, 20; Atti 7, 55-5,6 ecc.). Stare con Gesù e risiedere su questa terra sono due cose contraddittorie.
 
2 - L'errore: I tdG prometono un paradiso su questa terra perché nel Salmo 371 27 è detto: “I giusti stessi possederanno la terra, e risiederanno su di essa per sempre.
La verità:
a) Leggendo il Salmo 37 tutto intero com'è doveroso, si deduce che la terra, di cui ivi si parla, non è il paradiso, ma un pezzo di terra di Canaan, l'odierna Palestina (cf. supra, p. 22). il senso è che Jahve darà al giusto un pezzo di terra, donde potrà ricavare di che vivere e vestirsi, mentre il malvagio sarà spogliato dei suoi beni, cioè della sua proprietà terriera. Per la maggior parte degli antichi Ebrei la proprietà terriera costituiva il bene SOMMO.
- Questa era l'attesa per gli antichi Ebrei. Ma il Figlio di Dio ci ha aperto il senso delle Scritture (cf. Luca 24, 45). Anche se ha usato le stesse espressioni del Salmista (cf. Matteo 5, 5), ci ha rivelato il loro pieno significato. La terra promessa ai giusti, a tutti i giusti, è la patria o città celeste (cf. Ebrei 11, 14-16), la dimora di Dio con gli uomini (cf. Apocalisse 21, 1-3). San Luca, nel testo parallelo a Matteo 5, 5, non parla di terra (cf. Luca 6, 20).
 
3 - L'errore: I  tdG dicono che Gesù parla della terra come paradiso quando “insegnò ai suoi discepoli a pregare: "Padre nostro che sei nei cieli ( ... ). Si compia la tua volontà, come in cielo, anche sulla terra Il” 32. Cf. Mat. 5 : 5: 6: 9,10.
La verità:
a) Nulla di vero in tutto questo. La preghiera che Gesù insegna vale per i suoi discepoli finché sono su questa terra, in questa vita. Solo in questa vita l'uomo può non fare la volontà di Dio. Gesù fa chiedere al Padre celeste che ciò non avvenga. Nel testo parallelo Luca non parla di terra (,cf.Luca 11, 2-4).
b) Notate che Gesù dice: “Si compia la tua volontà”, cioè ora, al presente. In effetti, nella nuova terra tutti faranno la volontà di Dio, “ma per i vili e gl'increduli, gli abietti e gli omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo” (Apocalisse 21, 8).
c) Notate pure come nella stessa preghiera Gesù fa chiedere il pane quotidiano (Matteo 6, 11). Se la terra di cui Gesù parla, fosse la terra paradisiaca, questa preghiera non avrebbe senso. Infatti i tdG vi assicurano che in quella terra vi sarà abbondanza di cibi e bevande, fiumi di latte e di miele... Ancora una volta i geovisti si menano la zappa sul piedi!
 
4 - Aggiungono i geovisti: “In armonia con ciò, Efesini 1: 9: 11 spiega il proposito di Dio " di radunare di nuovo tutte le cose nel Cristo, le cose nei cieli e le cose sulla terra”.
La verità:
a) Nel testo citato san Paolo non parla affatto di una terra come paradiso. Il suo pensiero è che Dio ci ha fatto conoscere che < sotto l'unico capo, Cristo, vengano armonicamente riunite tutte le creature, comprese quelle che sono nei cieli, cioè gli angeli”. Lo stesso insegnamento si ha in Filippesi 2, 9-11.
b) A conferma vale il fatto che subito dopo (versi 11-14) Paolo specifica che le cose sulla terra sono i Giudei e i pagani. Sia gli uni che gli altri, avendo creduto in Cristo, sono fatti credi e hanno la speranza del Regno futuro, ma non si trovano ancora su una terra paradisiaca.
Il “come” dei paradiso geovista
L'errore: Possiamo distinguere due tempi.
a) In un primo tempo “il re-sacerdote Gesù Cristo e i regnanti sacerdotali con lui associati (i 144.000 unti o santi) hanno il compito di portare tutto il genere umano nell'unità di Geova Dio”. I governanti celesti impiegheranno anche rappresentanti terrestri che saranno fermi nel sostenere la giustizia di Geova.
In parole più chiare, tutti dovranno accettare supinamente la volontà del Corpo Direttivo anche a costo della vita. Vi saranno perciò morti e feriti, vedove e orfani di guerra, case e città ridotte in rovina. Qualunque oppositore sarà stritolato.
b) In un secondo tempo, il progresso di questa giustizia, recherà anche benedizioni materiali. Ci sarà l'adempimento letterale delle parole profetiche! di Isaia 25, 6: “E Geova degli eserciti per certo farà per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di piatti ben oleati”. E' chiaro che, trattandosi di un adempimento letterale, tutti i popoli andranno a banchettare a Gerusalemme, sul monte Sion!
La verità:
Contro questo aberrante abuso della Parola di Dio ricordiamo alcune verità bibliche:
a) “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui” i(Giovanni 3, 17).
“lo, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Giovanni 12, 32).
“Dio, nostro salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Timoteo 2, 4-6).
b) “Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Romani 14, 17).
“Sta scritto infatti: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano” (1 Corinzi 2, 9).