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APPELLO
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A
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CESARE
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OPUSCOLO N° 15
- PICCOLA COLLANA
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"I TESTIMONI DI GEOVA"
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Per ricevere gli opuscoli rivolgersi:
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Padre Nicola Tornese
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Viale S. Ignazio,
4
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80131 NAPOLI
tel. 081.545.70.44
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PARTE PRIMA
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TESTIMONIANZE BIBLICHE
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1 -
GESU' CRISTO
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Rendete a Cesare ciò che è di
Cesare (Mc. 12,17)
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Il pensiero di Gesù sui rapporti tra i
suoi discepoli e le autorità civili ci è abbastanza noto da ciò che
egli ha detto. Significativa a questo riguardo è la risposta di Gesù
circa il tributo a Cesare. L'episodio è narrato da tutti e tre i
sinottici.
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“Gli mandarono alcuni farisei ed erodiani per coglierlo in fallo nel
discorso. E venuti, quelli gli dissero: "Maestro, sappiamo che sei
veritiero e non ti curi di nessuno; infatti non guardi in faccia
agli uomini, ma secondo verità insegni la via di Dio. E' lecito o no
dare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no?". Ma egli,
conoscendo la loro ipocrisia, disse: "Perché mi tentate? Portatemi
un denaro perché io lo veda". Ed essi glielo portarono. Allora disse
loro: "Di chi è questa immagine e l'iscrizione?". Gli risposero: "Di
Cesare". Gesù disse loro: "Rendete a Cesare
ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio". E rimasero ammirati
di lui”. (Marco 12,13-17; cf. Matteo 22,15-22; Luca 20,20-26).
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Spiegazione:
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1. - La domanda: “E'
lecito o no dare il tributo a Cesare?” mirava a mettere Gesù in una
situazione
pericolosa. Se avesse risposto di no, avrebbe attirato su di sé
l'ostilità dei Romani, la potenza straniera d'occupazione. Se avesse
detto di sì, si sarebbe reso odioso al popolo e in
particolare agli zeloti, il partito armato contro Roma.
Gesù disarma gli uni e gli altri, ed esprime con chiarezza il suo
pensiero sui rapporti tra i suoi discepoli e le autorità civili.
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Qual è questo pensiero?
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2. - Va rigettata anzitutto
l'interpretazione di alcuni che spiegano le parole di Gesù come se
egli avesse messo sullo stesso piano Dio e Cesare. Gesù non poteva
assolutamente pensare come un pagano, esaltare cioè un uomo al rango
di Dio. Egli sapeva ed insegnava che Jahvè è il Signore (cf. Marco
12,29). Nessuno merita uguale amore e servizio. Uno Stato
laico ad oltranza, che vuol essere arbitro assoluto del destino
dei sudditi, esula dall'insegnamento di Gesù.
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3. - Al contrario, il Maestro
ammonisce che, anche nell'ambito della convivenza civile, il primato
spetta a Dio. Il cristiano deve amare e servire Dio “con tutto il
cuore, con tutta la mente e con tutta la forza” (Marco 12,30) senza
anteporre la volontà degli uomini a quella di Dio (cf. Atti 4,19;
5,29).
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- 4. – Entro questi limiti Gesù non
condanna la cooperazione con lo Stato, anche se pagano. Il tributo,
di cui fa obbligo, è il simbolo d’una cooperazione attiva, perché
assicura allo Stato i mezzi necessari a compiere la sua funzione,
che è quella di garantire ai sudditi “una vita calma e tranquilla
con tutta pietà e dignità”.(1 Timoteo 2,2).Col tributo dei cittadini
lo Stato finanzia i servizi sociali, non ultimo quello della tutela
dei buoni contro i malvagi, mediante funzionari bene addestrati ed
equipaggiati (cf. Romani 13, 3-4; infra).
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- 5. – Alla luce di questo
insegnamento appare chiaro che Gesù Cristo, anche se si mostrò
neutrale verso le contese politiche del giorno, non considerò lo
Stato come il governo e il potere di satana; altrimenti, facendo
obbligo di pagare il tributo, avrebbe cooperato col maligno. La sua
neutralità non fu assoluta, ma relativa in vista del bene comune,
salvi sempre i diritti di Dio.
- L’esempio di Gesù
- Ma vi
è di più. Gesù Cristo non si interessò direttamente di politica, ma
neppure si disinteressò , lasciando la vita pubblica in balia
delleforze del male. Nel Vangelo non mancano esempi di un positivo
intervento di Cristo presso le autorità costituite al fine di
redimerle dal male ed indirizzarle alla funzione assegnata loro da
Dio.
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1. - Con Erode Gesù prende un
atteggiamento quasi di sfida, anche se non violento. Lo chiama
“volpe” sia per mettere a nudo il suo gioco politico, che mirava al
proprio interesse più che a quello della nazione, sia anche per la
sua codardìa, che lo rendeva incapace di prendere una posizione nei
riguardi di Gesù di Nazareth (cf. Luca 13, 31-33).
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In un'altra circostanza, ossia durante
il processo che si concluderà con la sua condanna a morte, quando un
atteggiamento meno critico avrebbe potuto salvargli la vita, Gesù
non si mostra affatto arrendevole con l'indegno reuccio di provincia:
neppure una parola! Erode “lo interrogò con molte domande, ma Gesù
non gli rispose nulla” (Luca 23,9).
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2. - Più noto è il rapporto diretto di
Gesù con Pilato, il governatore romano della Giudea. Gesù riconosce
come data da Dio (non dal diavolo) l'autorità di cui Pilato era
rivestito, anche se rappresentante d'un governo straniero e pagano:
“Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato
dall'alto” (Giovanni 19, 11).
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Tuttavia anche in quella circostanza
tragica Gesù non rimane neutrale: benché in catene e a rischio di
peggiorare la propria posizione, rimprovera con coraggio l'abuso di
potere che il governatore romano stava per compiere: gli rinfaccia
la sua colpevolezza, anche se minore rispetto a quella dei Giudei:
“Chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande”
(Giovanni 19, 11).
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Con questo gesto Gesù mostra
chiaramente che i suoi fedeli discepoli devono uscire da una comoda
neutralità e rinfacciare a quelli che detengono il potere le loro
colpe, ossia la loro politica egoistica e crudele, anche a rischio
della propria vita.
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Il -
SAN PAOLO
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Ciascuno sia sottomesso alle autorità
(Rom. 13, 1)
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In un testo ben noto della
Lettera ai Romani san Paolo ha esposto il suo pensiero sui
rapporti tra cristiani e autorità costituite. Scrive l'apostolo:
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“Ciascuno sia sottomesso alle autorità
costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che
esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità,
si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si
attireranno addosso la condanna. I governanti infatti non sono da
temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver
da temere l'autorità? Fai il bene e ne avrai lode, poiché essa è al
servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi,
perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio
per la giusta condanna di chi opera il male. Perciò è necessario
stare sottomessi, non solo per il timore della punizione, ma anche
per ragioni di coscienza. Per questo dunque dovete pagare i tributi,
perché quelli che sono dediti a questa, compito sono funzionari di
Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il
tributo; a chi le tasse, le tasse; a chi il timore, il timore; a chi
il rispetto, il rispetto” (Romani 13,1-7; cf. Tito 3, 1).
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Osservazioni:
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l. - In modo esplicito san
Paolo afferma che il potere civile, anche se pagano, ha origine da
Dia, in piena armonia con l'insegnamento del Maestro (cf. Giovanni
19, 1 1). Non è dunque il diavolo il governatore dei popoli secondo
l'ordine stabilito da Dio.
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2. - Dio dà origine alle autorità
civili con lo scopo di far trionfare il bene e reprimere il male. Al
potere civile si deve perciò sottomissione non meramente esteriore,
ma per motivi di coscienza. Dio vuole che l'etica cristiana penetri
e trasformi la stessa vita sociale. Se fosse il diavolo a governare
il mondo, Dio esigerebbe sottomissione al maligno, a cui invece
bisogna resistere (cf. Giacomo 4,7).
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3. - La sottomissione va intesa nei
limiti delle competenze dello Stato: l'apostolo menziona tributi,
tasse, timore, rispetto. Certo Paolo non intende dire che il
discepolo di Cristo debba essere sempre, in tutto e per tutto,
succube al volere delle autorità civili. Al contrario, anche per
motivi di coscienza, il cristiano deve prendere un atteggiamento
critico di contestazione, non di neutralità, sempre che il potere
civile interferisce con le libertà cristiane. Non mancano esempi
anche nella vita di Paolo:
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- Contro la pretesa dell'imperatore
romano che voleva essere riconosciuto signore, Paolo afferma con
vigore che il cristiano riconosce ed adora un solo Signore, Gesù il
Cristo (Cf. Romani 10,9; 1 Corinzi 8, 5-6).
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- Paolo si sarebbe opposto
vigorosamente se il potere civile avesse voluto designare i titolari
dei vari servizi o ministeri in seno alla comunità cristiana. Questa
è opera dello Spirito Santo (Cf. I Corinzi 12, 4-1 1; Efesini 4, 1
1; Atti 14, 23; 20, 28).
- Due pesi e due misure
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I tdG abusano del testo di san Paolo
ai Romani 13,1-7 per accusare sdegnosamente “i sistemi
religiosi della cristianità perché sono stati vergognosamente
colpevoli d'aver violato ciò che l'ispirato apostolo Paolo qui ebbe
a dire”. A loro avviso, un esempio rimarchevole di questa vergognosa
violazione sarebbe stato dato da papa Gregorio VII, reo di aver
negata la dovuta sottomissione come ad autorità superiore, a Enrico
IV, imperatore di Germania.
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I geovisti c'informano che, avendo
Enrico IV usurpato il potere d'investire i vescovi dell'insegna
spirituale dell'incarico, papa Gregorio contestò questa usurpazione
e scomunicò Enrico, lo dichiarò cioè dissociato dalla Chiesa
Cattolica.
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E commentano:
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“Fu tale arrogante azione del capo
religioso della cristianità in armonia con la regola cristiana
stabilita dall'apostolo Paolo che i cristiani siano
sottomessi alle "autorità superiori?". No”.
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La nostra risposta:
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a)
Preghiamo i nostri lettori di consultare
il libro geovista Vita eterna nella libertà dei figli di Dio,
da noi già citato più d'una volta. Poche pagine
dopo l'altezzosa accusa di vergognosa colpevolezza contro papa
Gregorio, per essersi opposto a Enrico IV che voleva eleggere i
vescovi, ci vien detto proprio dai tdG che la sottomissione
cristiana alle “autorità superiori”, insegnata dall'ispìrato Paolo,
non è assoluta, ma relativa. E spiegano affermando che ““le autorità
.superiori" sono superiori fuori della
congregazione, perché dentro
la congregazione Dio
è supremo. I sorveglianti (episkopoi)
e i servitori di ministero (diàkonoi) dentro la congregazione
sarebbero quelli che Geova Dio, il grande Teocrate, vuole
nell'incarico, e non quelli che il dittatore politico o il
governatore politico comunista totalitario vuole nell'incarico come
ancelle dello Stato”.
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b) Stando così le cose, papa Gregorio
avrebbe violato vergognosamente la Parola ispirata perché non si
sottomise all'imperatore che voleva assegnare l'incarico di
epìskopoi nella Chiesa, ma i tdG, sempre in base alla stessa
Parola ispirata, cioè a Romani 13,1-7, non
tollererebbero che un dittatore politico stabilisse nell'incarico
epìskopoi e diàkonoì entro la loro congregazione
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Vi può essere contraddizione più
stridente e sfruttamento più settario della Parola di Dio? In
effetti, si verifica ciò che dice la Scrittura:
“Hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi (..) e non
intendere con il cuore e convertirsi” (Matteo 13, 15; cf. Giovanni
12,40; Isaia 6,9-10).
- L'uso della spada
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Nel testo paolino che stiamo
analizzando è detto dell'autorità costituita che “non invano porta
la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi
opera il male” (Romani 13,4).
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Facciamo alcune precisazioni:
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a)
A parere degli esegeti, è da escludersi
che lo Apostolo conceda allo Stato l'uso della spada come strumento
di guerra. Se si pensa che al
tempo di san Paolo le guerre erano condotte con orribile scempio
della vita umana (morti, prigionieri = schiavi), non si può
ammettere che l'ambasciatore di Cristo (cf. Efesini 6, 20),
avallasse tanta barbarie. Piuttosto l'uso della spada, in mano alle
autorità superiori, deve essere concepito come strumento di
pace per la tutela della giustizia, il trionfo del bene, la
difesa dei buoni, la punizione dei malvagi.
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b)
Entro questi limiti e con tali finalità l'Apostolo
riconosce al potere civile il diritto di usare la forza, qualora
ogni altro mezzo risultasse inefficace per il conseguimento del bene
comune. A questo deve mirare lo Stato, anche se talvolta ciò può
essere in contrasto col bene privato. Anzi alcune volte il bene
comune può esigere dai singoli grandi sacrifici, perfino il rischio
e anche la per- dita della propria vita.
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c) E' perciò implicito nel pensiero di
San Paolo che lo Stato, per conseguire il bene comune, deve
addestrare convenientemente coloro i quali siano capaci di tutelare
il bene della comunità. I cittadini che si sottraggono a
quest'obbligo, violano la norma d'azione insegnata dall'autore
ispirato. San Paolo esorta alla sottomissione alle autorità
superiori proprio perché esse possano eseguire il compito assegnato
loro da Dio.
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d)
Il servizio militare (o come alternativa
quel- lo civile) e anche l'uso delle armi non devono qualificarsi
come qualcosa d'intrinsicamente cattivo, immorale e antiscritturale.
Al contrario, una neutralità ad oltranza è contro la volontà di Dio.
Chi si oppone alle autorità superiori, si oppone all'or- dine
stabilito da Dio.
-
Si obietta:
Gesù Cristo rimproverò severamente Pietro per aver
fatto uso della spada (cf. Matteo 26,51-52; Giovanni 18,10-11)
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Si risponde:
Gesù non condannò qualsiasi uso della spada: a
Pilato non contestò il potere di condannare a morte, anche se l'ha
rimproverato di usare male quel potere, facendo crocifiggere un
innocente. Nel caso specifico di Pietro, Gesù ha rimproverato
severamente il gesto del discepolo perché era un atto di violenza.
Gesù condanna ogni violenza.
- Esempio di san Paolo
-
Più volte san Paolo ebbe a che fare
coi poteri civili e i custodi dell'ordine. Come si è comportato? Un
episodio narrato nel libro degli Atti getta piena luce
su quest'aspetto della vita dell'Apostolo.
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I. - Accusato dai Giudei di aver
parlato contro la Legge e il Tempio, l'apostolo è sottratto dalla
loro violenza grazie a un tempestivo intervento del potere civile
(cf. Atti 22,22-30; 23, 1-35). Paolo si dichiarava innocente e il
magistrato romano da parte sua non era affatto convinto della
fondatezza delle accuse. Ma non voleva dispiacere ai Giudei ed
inimicarsi i loro capi.
-
In questa situazione di pericoloso
compromesso a danno della sua vita e della causa cristiana, Paolo,
quale cittadino romano, si sottrae al potere delle autorità locali e
si appella al supremo tribunale dell'impero, che era allora quello
di Nerone. La risposta di Festo, procuratore romano, dopo breve
consulto coi suoi consiglieri, è perentoria:
-
“Ti sei appellato a Cesare, a Cesare
andrai” (Atti 25,11-12). Festo tenne Paolo sotto buona guardia di
soldati fino al tempo propizio d'imbarcarlo per l'Italia (cf. Atti
27, 1). Infatti, i nemici di Paolo non cessavano di tramare contro
la sua vita.
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2. - Questi in breve i fatti. Da essi
possiamo trarre alcune conclusioni per la soluzione del nostro
problema:
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- Senza la minima esitazione san Paolo
riconosce la legittimità del potere civile, anche se pagano, e gli
attribuisce il diritto di giudicare la sua causa per il trionfo
della giustizia in difesa della sua innocenza.
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- Non mostra il minimo dubbio, trova
anzi naturale, che le autorità costituite abbiano al loro servizio e
al servizio dei cittadini gente bene addestrata nelle armi. Né vi è
il minimo cenno, in tutto il racconto della prigionia, a una
qualsiasi parola di biasimo da parte di Paolo contro i soldati che
lo custodivano. Al contrario, i suoi rapporti con loro appaiono
improntati a grande umanità e rispetto (cf. Att. cc. 27-28).
L'Apostolo si preoccupa della loro salute e della loro vita come di
persone necessarie alla società.
- Il saluto dei cristiani della casa
di Cesare
-
Sempre in rapporto al problema che qui
trattiamo è significativo il saluto con cui Paolo chiude la
Lettera ai Filippesi: “Vi salutano i fratelli che sono con me
(...), soprattutto quelli della casa di Cesare” (Filippesi 4, 22).
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Spiegazione:
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a)
Quando Paolo scrisse questa Lettera era certamente in
prigione (cf. Filippesi 1, 7-18), non sappiamo se a Roma, come
vogliono alcuni, oppure a Cesarea di Palestina o ad Efeso,
nell'odierna Turchia, come pensano altri. Benché in prigione, Paolo
non cessava di predicare il Vangelo. Pieno di gioia confidava ai
Filippesi:
-
“Desidero che sappiate, fratelli, che
le mie vicende si sono volte piuttosto a vantaggio del Vangelo, al
punto che in tutto il pretorio e dovunque si sa che
sono in catene per Cristo; in tal modo la maggior parte dei fratelli
ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza
timore alcuno...”. (Filippesi 1, 12-14).
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b) Che cosa era il pretorio?
Se Paolo scriveva da Roma, si trattava della
guardia pretoriana che si accampava presso le mura dell'Urbe; se
invece scriveva da Cesarca o da Efeso, bisogna pensare al personale
addetto al servizio dei governatori romani. In ogni caso era un
ambiente militare o paramilitare.
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In questi ambienti la Parola di Dio si
diffondeva. Alcuni di quegli uomini (forse molti) addetti al
servizio e alla difesa dell'imperatore o dei suoi funzionari nelle
provincie, si erano convertiti al Vangelo. Ed erano tuttavia rimasti
al loro posto, senza deporre le armi, di cui certamente erano dotati.
Dobbiamo, comunque, pensare che la fede cristiana aveva
sensibilmente cambiato il loro modo di servire lo Stato e di usare
le armi.
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c) Scrivendo ai Filippesi Paolo porge
i saluti soprattutto da parte di questi cristiani o fratelli o santi.
L'espressione “casa di Cesare” comprende tutto il personale che
stava al servizio dell'imperatore (militari, funzionari, schiavi ed
affrancati), e se ne trovavano in ogni città dove risiedeva
l'imperatore o un governatore.
-
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III - SAN PIETRO
-
Scrivendo ai cristiani del suo tempo
(e di ogni tempo) san Pietro, il Primo dei Dodici (cf.
Matteo 10, 2) ha espresso il suo pensiero nel modo seguente
-
“Siate sottomessi ad ogni istituzione
umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai
governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare
i buoni. Perché questa è la volontà di Dio: che operando il bene,
voi chiudiate la bocca all'ignoranza degli stolti. Comportatevi come
uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per
coprire la malizia, ma come servitori di Dio. Onorate tutti, amate i
vostri fratelli, temete Dio, onorate il re” (1 Pietro 2,13-17).
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Osservazioni:
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a)
La lettera, scritta quasi certamente da
Roma, ricorda ai cristiani quali siano i loro doveri verso lo Stato
e in pari tempo contesta l'accusa dei pagani che qualificavano i
cristiani come cittadini sleali.
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Come aveva appreso alla scuola del
Maestro san Pietro afferma che all'origine del potere civile, anche
se pagano, vi è una volontà divina. Non è dunque il diavolo il
governatore di questo mondo, se non in quanto tenta, com’è sua
abitudine, d'intralciare l'opera di Dio.
-
b) La sottomissione che san Pietro
inculca alle istituzioni umane deve essere fatta “per amore dei
Signore”, ossia “per ragioni di coscienza” (Cf. Ro- mani 13, 5). La
libertà, di cui il cristiano si gloria (Cf. Galati 5, 1), non lo
esime da una coscienziosa cooperazione con lo Stato, perché siano
assicurate la giustizia e la pace, con la punizione dei malfattori e
la tutela dei buoni. E' implicito che i cittadini devono dare allo
Stato i mezzi necessari - tribuiti e uomini - affinché consegua lo
scopo assegnatogli da Dio. Lo Stato è una realtà umana, strutturata
di uomini e di cose.
-
c)
Rimane anche vero che l'impegno civile del cristiano
deve essere sempre guidato dal timore di Dio. In altre parole, a Dio
è dovuta una sottomissione assoluta, sempre; e dentro i limiti d'un
santo timore di Dio, va inserito l'onore verso il re e i suoi
rappresentanti.
-
La testimonianza di san Pietro è
identica a quella di san Paolo e originariamente a quella di Gesù.
-
Obiettano i tdG:
Pietro chiama i cristiani “forestieri”,
“residenti temporanei”, “stranieri” (Cf. 1 Pietro 1, 1; 2, 11).
Questo fatto obbligava i cristiani a non partecipare alle questioni
e controversie politiche di questo mondo.
-
Si risponde:
San Pietro chiama i cristiani “forestieri”, e
anche “pellegrini” non nel senso che debbano essere indifferenti e
tanto meno alienati dalle realtà terrene, comprese quelle politico-sociali.
Egli vuole solo dire che l'impegno del cri- stiano nella vita
presente deve essere relativo, tutto indirizzato a
trasformare il mondo col lievito del Vangelo (cf. Matteo 13, 13),
senza attaccare disordinatamente il cuore ai beni passeggeri. San
Paolo dice la stessa cosa quando ricorda ai cristiani di Corinto:
“Quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno” (1
Corinzi 7, 3 1).
- Apocalisse cap. 13
-
Una domanda:
Nelle pagine che precedono più d'una volta è
stato negato che satana sia il governante di questo mondo. Non si
deve dire che questa affermazione sia in contrasto col cap.
13 dell'Apocalisse, dove, sotto l'immagine della bestia che sale
dal mare (cf. Apocalisse 13, 1), satana è identificato coi
governanti di questo mondo?
-
La risposta:
-
1. - Nel cap. 13
dell'Apocalisse la bestia che sale dal mare raffigura l'impero
romano e, in genere, tutti gli Stati che usurpano i diritti di Dio.
Fa parte di questa usurpazíone la pretesa di un culto divino
dell'imperátore e l'arroganza di essere legislatori assoluti,
arbitri del bene e del male. Si tratta dell'auto-divinizzazione
dello Stato.
-
Effetti malefici di questa usurpazione
sono la guerra contro i santi (cf. Apocalisse 13,7) e l'uso
menzognero di un grande apparato propagandistico per trarre gli
uomini in inganno, “sedurre cioè gli abitanti della terra” (Apocalisse
13,14).
-
Sotto questo aspetto lo Stato è detto
giustamente una potenza diabolica che ha satana come governante; in
questi casi satana è veramente il dio di questo mondo (cf. 2 Corinzi
4,4) ed è esatto dire che il mondo giace sotto il potere del maligno
(cf. 1 Giovanni 5, 19).
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2. - Ma si tratta di un determinato
tipo di autorità superiori, che hanno tradito la funzione assegnata
loro da Dio e sono diventate schiave del nemico di Dio, cioè di
satana. Non si dimentichi che quando Giovanni scriveva l'Apocalisse
aveva in mente l'impero romano, che perseguitava a morte la Chiesa
ed esigeva il culto dell'imperatore. Non si dimentichi che per la
retta comprensione di un testo biblico bisogna tener presenti la
situazione e l'intenzione dell'autore ispirato per non correre il
rischio d'una spiegazione errata. I tdG cadono spesso e volentieri
in questo errore a motivo del loro settarismo.
-
Stando così le cose, ciò che Giovanni
dice in Apocálisse cap. 13 non contrasta affatto con
l'insegnamento di Gesù, di san Paolo e di san Pietro circa l'origine
divina delle autorità superiori. Finché queste, con la cooperazione
attiva di tutti gli uomini di buona volontà, si sforzano di compiere
fedelmente la funzione affidata loro da Dio, non sono strumento di
satana, ma servono Dio per l'avvento del suo Regno di giustizia e di
pace.
-
- IV - NUOVI ORIZZONTI
- La voce di Isaia (2, 1-5; 9,1-6)
-
Isaia 2, 2-5 recita:
-
“Alla fine dei giorni da Sion
uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà
giudice tra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le
loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo
non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno
più nell'arte della guerra...”.
-
E Isaia 9, 1-6
ha: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide
una grande luce ( ... ). Poiché il giogo che gli pesava e la sbarra
sulle sue spalle e il bastone del suo aguzzino tu hai spezzato
(...). Ogni calzatura di soldato nella mischia e ogni mantello
macchiato di sangue sarà bruciato (...). Poiché un
bambino è nato per noi (.. ) ed è chiamato
Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe
della pace ...”.
-
Spiegazione.
-
a)
Alla luce del Vangelo (cf. Matteo
4,13-16; Luca 2,14; 24,47; Giovanni 4,22; 8,12 ecc.) dobbiamo vedere
nei testi citati di Isaia una profezia messianica, una predizione
cioè di quel che avverrà alla fine dei giorni.
Questa espressione, come l'al. tra “ultimi giorni o
tempi” (cf. Atti 2,17; 2 Timoteo 3,1), indica appunto il tempo
messianico iniziato con la venuta di Cristo sulla terra (cf. Atti 2,
17) e che si concluderà con la sua seconda venuta (cf. Matteo 25, 31
ss), di cui nessuno conosce il quando (cf. Matteo
24,36).
-
b) Con immagini poetiche e con un
linguaggio improntato alla situazione e alla mentalità del suo tempo
Isaia descrive il futuro regno di Dio in netto contrasto coi regni
di coloro che dominavano il mondo quando il profeta ebbe la visione.
Proprio in quegli anni il piccolo popolo d'Israele, come tanti altri
popoli, stava per essere preda dei grandi imperi d'Assiria e di
Babilonia.
-
Vigeva allora la legge del più forte,
della barbarie: ambizione, violenza, guerre, distruzione
indiscriminata di popoli, deportazione in massa, schiavitù ...
-
c) In un contesto di tanta barbarie
Dio rivela a Isaia quali saranno i nuovi tempi: da
Israele (da Sion) sorgerà la luce - un Principe della Pace - per
insegnare all'umanità non l'arte della guerra, ma quella della
convivenza pacifica e felice. L'Emmanuele (= Dio-con-noi)
darà la legge dell'amore, anche dei nemici, e farà di tutti i
popoli un sol popolo con la fede nell'unico Dio.
-
d)
Questo programma messianico non distrugge le
strutture sociali volute ancora da Dio per il tempo presente (cf.
Marco 12,17; Romani 13,1-7; 1 Pietro 2,13-17), ma le trasformerà in
strumenti di pace (--- spade in vomeri, lance in falci) mediante la
conversione dei cuori al Vangelo dell'amore.
- Il Vangelo della pace
-
I nuovi
tempi previsti da Isaia hanno avuto il
loro inizio con la venuta di Gesù il Cristo (= Messia), con la sua
predicazione, con la sua vita. Per avere una visione completa, anche
se a brevi tratti, dell'insegnamento biblico sui rapporti tra
cristiani e potere civile, è doveroso ricordare ancora altre verità,
che fanno parte del messaggio cristiano.
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I. - Non si dimentichi, prima di tutto,
che il Vangelo (= Buon Annunzio o Buona Notiza) è
essenzialmente un messaggio e un programma di pace.
-
Alla nascita di Gesù gli angeli hanno
cantato: “Gloria a Dio (... ) e pace (... ) agli uomini che egli ama”
(Luca 2,14). Divenuto adulto Gesù annunzia il suo programma
dichiarando “beati gli operatori di pace” (Matteo 5, 9). E vuole che
i suoi inviati usino come saluto un augurio di pace: “Pace a questa
casa!” (Luca 10, 5). Chiudendo il suo ministero, prima degli eventi
pasquali, Gesù lascia ai suoi il dono della pace: “Vi lascio la
pace, vi dò la mia pace” (Giovanni 14,27; cf. 20,19-20).
-
2. - Cristo “è la nostra pace” (Efesini
2, 14)., Di tutti i popoli egli vuol fare un solo popolo, una sola
famiglia, avendo abbattuto con la croce il muro che li divide,
l'inimicizia e l'odio (cf. Efesini 2,14-22). Il germe infatti delle
divisioni e delle guerre si annida nell'uomo.
-
Indicando la sorgente della pace, Gesù
fa dello amore del prossimo il suo comandamento (cf. Giovanni 15,
12; Marco 12,28-31). E nel prossimo egli include tutti
gli altri, anche i nemici, non soltanto quelli del proprio gruppo
settario: “Amate i vostri nemici (... ) e sarete figli
dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi”
(Luca 6,35).
-
Ogni uomo è mio fratello! Chi predica
o anche insinua l'odio - come fanno i testimoni di Geova - va contro
l'essenza del Vangelo, non può dirsi cristiano e prepara la guerra a
breve o a lunga scadenza .
-
3. - Una componente fondamentale
dell'amore del prossimo è il rispetto sommo per ogni vita umana. Il
comando divino di Non ammazzare domina in tutta la
Bibbia fin dalle sue prime pagine (cf. Genesi cap. 4); è inculcato
nella costante proibizione di fare uso del sangue, simbolo della
vita; è espresso in modo esplicito e formale nella Legge del Sinai
(cf. Deuteronomio 5, 17).
-
Gesù Cristo, nel Nuovo Patto o
Alleanza tra Dio e l'umanità, ha confermato e perfezionato il
comandamento della Legge Mosaica. Il Vangelo (= La Buona
Notizia) condanna non solo l'omicidio, ma l'ira e la maldicenza:
“... fu detto agli antichi: Non uccidere (
... ). Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio
fratello, sarà sottoposto a giudizio...” (Matteo 5, 21-22).
-
-
PARTE SECONDA
-
LA VOCE DELLA STORIA
-
In questa seconda parte raggruppiamo
le testimonianze di alcuni scrittori cristiani dei primi secoli, che
ci permettono di conoscere le norme direttive nella vita della
Chiesa sui rapporti verso lo Stato.
- 1 - La Tradizione Apostolica
-
Scritta intorno all'anno 215, ci fa
conoscere l'ordinamento disciplinare della Chiesa dei primi due
secoli, assai prima cioè di Costantino. Nel cap.16 sono elencate le
condizioni richieste per essere ammessi al catecumenato, ossia alla
istruzione cristiana in vista del battesimo. Tra le condizioni
elencate alcune si riferiscono al servizio militare.
-
“Il soldato subalterno non uccida
nessuno. Se riceve un ordine del genere non lo esegua e non presti
giuramento. Se non accetta tali condizioni sia rimandato. Chi ha
potere di vita e di morte o il magistrato supremo di una città,
smetta o sia rimandato. Il catecumeno o il fedele che vogliono
dedicarsi alla vita militare siano man- dati via perché hanno
disubbidito”.
-
Osservazioni:
-
l. - E' fuor di dubbio che la
disciplina ecclesiale testimoniata da La Tradizione
Apostolica riflette l'ambiente e l'ordinamento giuridico del
tempo. E si sa bene qual'era in tale ambiente la mentalità sul
valore della vita umana! Gli alti ufficiali dell'esercito e i
magistrati dovevano impegnarsi verso lo Stato di far osservare il
diritto romano che a riguardo della vita umana contrastava
fortemente con la morale del Vangelo. Per loro non vi era
alternativa. L'esercizio del loro ufficio comportava di per sé la
violazione del comando divino del Non uccidere. Non era
possibile servire a due padroni (cf. Matteo 6,24). Dovevano o
rinunciare al loro ufficio o dimettersi dal catecumenato.
-
2. - Diverso era il caso del soldato
subalterno. A lui non è imposto il dilemma: smetta di fare il
soldato o sia dimesso dal catecumenato. Gli si chiede solo di non
uccidere anche se comandato, e di non impegnarsi con giuramento a
fare ciò che è contro la fede. Vi è modo e modo
di fare il soldato. A mio avviso, è qui
prospettato il caso dell'obiezione di coscienza.
Il soldato subalterno può eseguire gli ordini
che non contrastano con la sua coscienza, ma
non quelli che la sua coscienza cristiana deve disapprovare.
-
3. - Più difficile si presenta la
spiegazione (o comprensione) delle parole: “Il catecumeno o il
fedele che vogliono dedicarsi alla vita militare siano mandati via
perché hanno disubbidito”.
-
Le disposizioni de La
Tradizione Apostolica vanno interpretate tenendo debito conto
del contesto sociale in cui furono emanate. Poiché nella carriera
militare erano allora richieste cose incompatibili con la
professione di fede cristiana, si rendeva necessario prendere una
posizione severa col catecumeno o il fedele, che, essendo ancora
semplici cittadini, avessero voluto sobbarcarsi ai rischi che il
servizio militare allora comportava per la propria fede. Sarebbe
stato come un tentare Dio.
-
In effetti, nel servizio militare,
oltre alla possibilità di dover violare il comando divino del
Non uccidere, vi era anche il pericolo di dover
accettare il culto dell'imperatore e dire: “Cesare è il signore”. I
cristiani non potevano fare questo. Bisognava prendere posizione in
partenza, proibendo il servizio militare.
-
In ogni modo, a me sembra che sarebbe
andare oltre il contenuto de La Tradizione Apostolica
voler dedurre dalle parole citate una radicale alterità del Vangelo
ad ogni pratica militare. Se così fosse, non si capisce perché era
permesso di rimanere soldato al catecumeno già in servizio; e,
inoltre, bisognerebbe qualificare come immorale e antiscritturale
qualsiasi modo di cooperare al bene comune con la difesa degli
innocenti e la punizione dei malvagi .
- 2 - Tertulliano (1 60-240)
-
Avvocato, convertitosi al
cristianesimo già adulto, svolse la sua attività di scrittore in
difesa della fede tra il 195 e il 220.
-
I. - L'Apologetico. Tra
le opere più rinomate di Tertulliano va ricordato
l'Apologetico, scritto in tempo di persecuzione e indirizzato al
governatori delle provincie romane come protesta ragionata ed
ardente contro le illegalità di cui erano vittima i cristiani.
Afferma Tertulliano: “I cristiani
sono i vostri migliori cittadini”. Riportiamo alcuni brani dai
capitoli 37 e 42.
-
Dal cap. 37. “La pietà, la religione e
il lealismo dovuti agli imperatori non consistono tanto in
dimostrazioni di ossequio, quanto nella condotta morale che Dio
c'impone di tenere verso gli imperatori e verso chiunque (...). Che
se volessimo agire non dico da vendicatori nascosti (terroristi), ma
da nemici aperti, credete che ci mancherebbe la forza del numero e
delle soldatesche? Siamo di ieri e già riempiamo
di noi il mondo intero: le città, le isole, le fortezze, i municipi,
i borghi, gli !tessi accampamenti, le tribù, le decurie, la corte,
il senato, il foro (...). Non vi abbiamo lasciato che i templi! A
quale guerra non si sarebbe votata con tanta prontezza, anche se con
forze impari, una gente come noi, che si lascia ammazzare con tanto
slancio, qualora nel nostro insegnamento non ci fosse comandato di
farsi uccidere e non di uccidere?”.
-
Dal cap. 42. “Un altro capo di accusa
ci viene addebitato: si pretende che noi siamo sterili negli affari.
Ma come potremmo esserlo, se viviamo insieme a voi? (...).
Coabitiamo con voi in questo mondo servendoci del foro, del mercato,
dei bagni, dei negozi (...). Navighiamo anche noi con voi, e con voi
pratichiamo la milizia, l'agricoltura, il commercio...”.
-
Osservazione:
-
Potrebbe sembrare a
prima vista che vi sia una contraddizione tra la testimonianza di
Tertulliano e quella de La
Tradizione Apostolica. In questa è presa una posizione assai
cauta, piuttosto severa e rigorista, a riguardo del servizio
militare e di quello civile dei magistrati; in Tertulliano invece è
detto esplicitamente che i credenti erano presenti in numero
rilevante negli accampamenti, nelle tribù, nelle decurie, a corte,
nel foro, e praticavano la milizia come i non cristiani.
-
In realtà non vi è nessuna
contraddizione. Anche Tertulliano, se ammette la presenza dei
cristiani nell'esercito e nella magistratura, ci tiene a precisare
che essi non sono gente che uccide, ma si lascia piuttosto uccidere
per osservare i comandamenti divini. Dunque presenza e
partecipazione, ma nei limiti imposti dalla fede, precisamente com'è
detto ne La Tradizione Apostolica.
-
2. - Il De corona.
Nell'anno 211, divenuto montanista , Tertulliano scrisse il
De corona, dove racconta il caso d'un soldato cristiano che
rifiuta la corona di alloro.
-
“Si stava distribuendo
nell'accampamento il dono degli eccellentissimi imperatori, e i
soldati, incoronati di alloro, si. facevano avanti. Ne viene
chiamato uno, soldato soprattutto di Dio e più costante di tutti gli
altri fratelli che avevano creduto di poter servire a due padroni
(cf. Mt. 6,24). Lui solo aveva il capo libero, con in mano l'inutile
corona (... ). "Perché ti sei vestito diversamente dagli altri?",
gli chiese il tribuno. Quello rispose che non gli era consentito
comportarsi come gli altri. Gliene domandano il motivo e quello
risponde: "Sono cristiano"”.
-
Osservazione:
-
Si potrebbe avere
l'impressione che Tertulliano sia in contraddizione con se stesso.
Mentre infatti nell'Apologetico dice che i
cristiani sono presenti ed attivi anche negli accampamenti e nella
milizia, nel De corona sembra voglia far capire che vi
sia incompatibilità tra servizio militare e fede cristiana.
-
In realtà non è così. Ridotto al suo
contenuto essenziale il gesto del soldato altro non è se non quello
di un obiettore di coscienza: egli è convinto che portare la corona
sia un atto di idolatria, e va rispettato nella sua convinzione. Ma
ciò non toglie che altri possano vedere in quel gesto un atto civile,
ossia di rispetto e di onore all'autorità (cf. Romani 13,7; 1 Pietro
2,17) e comportarsi diversamente.
-
Né va sottovalutato il fatto che
quando Tertulliano scrisse il De corona era fuori della
Chiesa Cattolica ed imbevuto di idee montaniste; ed è difficile che
si possa conservare la verità rivelata nella sua interezza e
genuinità fuori della Chiesa Cattolica. Cristo ha costituito la
Chiesa “colonna e sostegno della verità” (1 Timoteo 3, 15).
-
3. - Il De idolatria.
Verso lo stesso periodo (nel 211) Tertulliano scrisse pure il
De idolatria (-- su l'idolatria), dove al cap. 19
leggiamo quanto segue:
-
“Può un cristiano entrare
nell'esercito? No, perché c'è incompatibilità tra il giuramento
divino e il giuramento umano, tra l'insegna di Cristo e quella di
satana, tra il campo della luce e quello delle tenebre. Com'è
possibile fare la guerra, com'è possibile esser soldato anche
soltanto in tempo di guerra senza portare la spada che il Signore ha
proibito? E' vero, sì, che alcuni soldati sono andati a trovare
Giovanni Battista e hanno ricevuto da lui certe norme (cf. Luca
3,14); ed è vero che un centurione ha creduto (cf. Luca 7,2-5); Atti
cap. 10). Ma poi il Signore, disarmando Pietro, ha distrutto tutti i
soldati”.
-
Osservazione:
-
Si notino le
motivazioni addotte da Tertulliano a sostegno della sua tesi:
“incompatibilità tra giuramento divino e giuramento umano
all'imperatore”; uso della spada proibito dal Signore (caso di
Pietro = violenza cf Mat. 26, 52-55); insegna di Cristo (= amore) e
insegna di satana (= odio). Tertulliano non dice nulla di diverso da
ciò che dice il Vangelo e ripetono fedelmente san Pietro e san
Paolo. Egli condanna il servizio militare e l'uso
delle armi in un contesto pagano, ma non una
cooperazione attiva col potere civile com'è inculcata
dalla Bibbia.
-
3 - Origene
(185-253 circa)
-
Fu un uomo di Chiesa: presbitero,
grande teologo, mistico. Passò tutta la vita nello studio della
Sacra Scrittura e nella difesa delle verità cristiane contro il
paganesimo.
-
Tra le opere scritte da Origene va
ricordato il Contra Celsum (Contro Celso), in cui
troviamo alcune testimonianze riguardanti il nostro problema. Celso,
scrittore pagano, aveva mosso varie accuse contro i cristiani, tra
cui quella di essere ostili alle autorità pubbliche. “Che male c'è -
diceva Celso - a cattivarsi il favore delle autorità di questo mondo,
dei principi e dei re?” .
-
-
Scrive Origene:
-
a) “Uno
solo noi dobbiamo conciliarci - Dio - che è al di sopra di tutti
(... ). Quanto al favore degli uomini e dei re, noi dobbiamo
disprezzarlo non soltanto quando lo si debba procurare con stragi,
dissolutezza e crudeli delitti, ma anche quando esiga empietà verso
il Dio dell'universo (... ). Quando però non ci si chiede nulla di
contrario alla legge e alla parole di Dio, noi non siamo così pazzi
da attirarci la collera dei re e dei principi (... ). Infatti, noi
leggiamo nella Scrittura: "Ogni persona sia sottomessa alle autorità
che sono al potere. Poiché non c'è autorità se non da Dio, e quelle
che ci sono attualmente sono stabilite da Dio. Per conseguenza chi
resiste all'autorità resi. ste all'ordine stabilito da Dio (Romani
13, 1-2)”.
-
b) “Celso
poi vorrebbe che noi assumessimo cariche nell'esercito per difendere
la patria. Sappia che la patria noi la difendiamo, ma non per essere
visti dagli uomini e aver una piccola gloria. Di nascosto,
nell'intimo della nostra anima, noi innalziamo preghiere a Dio per i
nostri concittadini. I cristiani giovano alla patria più degli altri
uomini perché essi istruiscono i loro concittadini, ammaestrandoli
alla pietà verso Dio”.
-
osservazioni:
-
a)
Origene accetta appieno la dottrina
paolina sull'origine divina dello Stato e la sua funzione voluta da
Dio, che comporta anche l'uso della spada per la giusta condanna di
chi opera il male (cf. Romani 13,1-7). I cristiani, comunque, non
devono prestarsi al gioco politico di uomini ambiziosi, che quasi
sempre è causa di stragi e delitti e anche di empietà verso Dio.
-
b)
Di conseguenza i cristiani sono contrari alla guerra
e alla sua preparazione (carriera militare, armamenti ecc.), quando
essa ha come movente recondito o palese l'ambizione personale o
nazionale o imperiale a danno di popoli più deboli e innocenti.
-
La coscienza cristiana ha sempre come
norma di vita il comando divino di Non ammazzare.
-
Ma vi è di più. I cristiani sono
impegnati sempre per la pace sia pregando quando la follia umana
dovesse scatenare una guerra, sia educando gli uomini alla pace
nell'amore di Dio e del prossimo (cf. 1 Tirnoteo 2,1-2).
- 4 - Atti dei Martiri
-
I. - Il martirio del soldato
Marino (anno 262 a Cesarea).
-
“Quando ancora la pace era generale in
tutte le chiese, in Cesarca di Palestina, Marino, ufficiale
dell'esercito fu decapitato perché aveva confessato Cristo. Ed ecco
come.
-
Era vacante un posto di centurione, e
Marino, in seguito a promozioni, doveva ottenerlo; stava per
essergli consegnata la verga di vite, che è l'insegna onorifica dei
centurioni romani, quando un rivale si presenta davanti al tribunale
e dichiara che Marino non può accedere alle dignità romane, a norma
delle antiche leggi, perché è cristiano e rifiuta di
sacrificare agli imperatori. L'avanzamento, diceva l'accusatore,
toccava dunque a lui di pieno diritto.
-
Il giudice, un certo Acheo,
infastidito di quest'affare, domanda allora a Marino qual'è la sua
religione, questi confessa a gran voce e senza tergiversare che è
cristiano. Il giudice gli dà allora tre ore per riflettere.
-
Uscendo dal tribunale, Marino incontra
Teotecno, il vescovo del luogo, che lo ferma; s'intrattiene a lungo
con lui, poi prendendolo per mano, lo conduce in chiesa. Entrano, il
vescovo lo porta ai piedi dell'altare e qui solleva il mantello
dell'ufficiale indicandogli la spada appesa al fianco; gli presenta
nello stesso tempo il libro del santo vangelo e gli chiede di
scegliere. Senza esitazione Marino stende la mano e prende il libro
divino. -"Sii dunque di Dio - gli dice il vescovo - sii con Dio e,
forte nella grazia, consegui ciò che hai scelto. Va in pace".
-
Marino esce dalla chiesa e se ne
ritorna in tribunale; già il banditore, davanti alla porta del
tribunale, lo chiama a comparire. Il termine è trascorso. Si
presenta davanti al giudice e proclama la sua fede con ardore ancora
più grande: Immediatamente lo trascinano al supplizio e muore
martire”.
-
Osservazione.
Marino era un ufficiale dell'esercito con buona
pace di tutti, anche della sua coscienza di cristiano. Avrebbe
accettato pure il posto di centurione con la riserva certamente di
non fare ciò che la sua fede gli proibiva (p.e. sacrificare agli
imperatori). Il suo rivale sfrutta ambiziosamente la situazione.
Posto davanti alla scelta, Marino preferisce la morte piuttosto che
impegnarsi anche lontanamente a dare a Cesare ciò che è di Dio.
-
Dal comportamento di questo martire
non è possibile dedurre una radicale alterità tra vangelo e servizio
militare.
-
2. - Il martirio di
Massimiliano (anno 295 vicino Cartagine).
-
“Il proconsole Dione disse al
coscritto: "Come ti chiami?"..
-
Massimiliano:
"Perché vuoi sapere il mio nome? Non mi è dato di
servire: io sono cristiano".
-
Il proconsole:
"Mettetelo alla misura". Mentre lo misuravano,
Massimiliano disse: "lo non posso servire, non posso fare il male,
sono cristiano".
-
Il proconsole:
"Chi ti ha messo queste idee in testa?".
Massimiliano: "La mia coscienza e Colui che mi ha chiamato".
-
Il proconsole:
"Fa il soldato e accetta la palla di piombo in
segno di arruolamento".
-
Massimiliano:
"Non so che farmene del vostro segno; io porto
già il segno di Cristo, mio Dio".
-
Il proconsole:
"Ti mando subito a raggiungere il tuo Cristo".
-
Massimiliano:
"E' propria quel che desidero; sarà la mia gloria".
-
Il proconsole:
"Sii soldato e accetta il distintivo,
altrimenti morrai miseramente".
-
Massimiliano:
"lo non morrò, il mio nome è già scritto presso
il mio Dio. lo non posso essere soldato".
-
Il proconsole:
"Nella guardia di onore dei nostri signori
Diocleziano e Massimiliano, Costanzo e Massimo, ci sono dei soldati
cristiani che prestano servizio".
-
Massimiliano.
"E' affar loro. lo sono cristiano e non posso
fare del male".
-
Il proconsole:
"Quelli che prestano servizio che male fanno?".
-
Massimiliano:
"Tu sai bene quello che fanno".
-
Il proconsole:
"Sii soldato! Se disprezzi il servizio militare,
morirai".
-
Massimiliano:
"lo non morrò, e se lascio questo
mondo, la mia anima vivrà con Cristo, mio Signore".
-
Il proconsole:
"Si cancelli il suo nome".
-
Appena cancellato il nome, il
proconsole disse- "Atteso che per spirito d'indisciplina tu hai
rifiutato di servire nell'esercito, sarai colpito dalla sentenza
legale. Ciò servirà d'esempio!". E lesse sulla tavoletta la condanna:
"Massimiliano per indisciplina ha rifiutato il giuramento militare.
E' perciò condannato a morire di spada".
-
Massimiliano:
"Deo gratias!".
-
-
Osservazione:
-
Il caso di Massimiliano è
analogo a quello del martire Marino. Il rifiuto di fare il soldato è
motivato dalla convinzione che servire nell'esercito equivaleva a
fare del male. Su questa base Massimiliano rifiuta il giuramento e
questo suo rifiuto è motivo della condanna. Come Marino egli fu un
obiettore di coscienza.
-
Il suo comportamento coraggioso non
contraddice al fatto che altri cristiani servivano nella guardia
d'onore degli imperatori. Possiamo legittimamente supporre che
questi soldati avessero la coscienza di poter dare a Cesare quel che
è di Cesare e che fossero pronti di dare a Dio ciò che è di Dio,
qualora il servizio di Cesare li avesse posti in questa alternativa.
-
Neppure dalla testimonianza di
Massimiliano si può dedurre una radicale incompatibilità tra Vangelo
e servizio militare.
- Conclusione
-
Alla fine della nostra rassegna
criticamente documentata appare chiaro quanto sia superficiale e
fazioso il giudizio dei tdG su l'atteggiamento dei primi cristiani
sia rispetto al servizio militare sia verso le cerimonie
patriottiche. In base a poche monche citazioni prese da alcuni
manuali di storia, i geovisti vorrebbero - contro la verità storica
- attribuire ai primi cristiani la neutralità ad oltranza, che essi
impongono ai loro seguaci . La storia debitamente letta non dice
questo. “Accertatevi di ogni cosa” come insegna l'apostolo (1
Tessalonicesi 5, 21).
-
-
PARTE TERZA
-
LUCI ED OMBRE
- Non più la guerra
-
I. - Dalle testimonianze finora
riportate emerge come nota dominante il comando divino di
Non ammazzare. Esso è alla base di tutte le contestazioni degli
antichi scrittori e martiri cristiani.
-
Di conseguenza, alla luce dei
documenti citati sia biblici che dagli scrittori dei primi secoli,
bisogna dire che l'uso delle armi nella guerra deve dirsi
anti-cristiano e immorale. In guerra ogni soldato è
potenzialmente e di fatto un omicida, mentre la via, anche quella
del nemico, è sacra. Sarebbe impossibile non violare il comando
divino: Non ammazzare. Il cristiano autentico deve rifiutarsi dì
disubbidere a Dio in un punto di capitale importanza. “Bisogna
ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini” (Atti 5, 29).
-
2. - Questo rifiuto radicale urge
ancora di più la coscienza cristiana nella esacranda prospettiva
d'una guerra atomica. L'uso delle armi nucleari è sempre
anticristiano e intrinsicamente illecito.
-
Sia la nazione che attacca sia quella
attaccata sarebbero ridotte in pochi secondi a un cumulo di rovine,
col prezzo di decine e anche di centinaia di milioni di vite umane.
una nuova, incomparabilmente più grande strage degli innocenti!
-
3. - Per le stesse ragioni, anche la
preparazione della guerra e delle armi nucleari deve essere
contestata dal cristiano. Una qualsiasi cooperazione sia nel
preparare le armi atomiche sia nell'addestramento ad usarle sarebbe
una violazione indiretta, ma positiva e reale, del comando divino:
Non ammazzare. L'atteggiamento del cristiano in simili
circostanze comporta una scelta eroica, forse fino al martirio, non
diversa da quella dei cristiani dei primi secoli. Dio può esigere
anche questa per il trionfo del suo Regno di pace.
-
Vogliamo anche aggiungere che i
tributi allo Stato non sarebbero conciliaboli con la coscienza
cristiana qualora il discepolo di Cristo fosse certo che il potere
costituito usasse del pubblico danaro per la fabbricazione di armi
micidiali in vista di una guerra atomica.
-
La parola d'ordine del cristiano deve
essere sempre quella gridata ai capi degli Stati e a tutta l'umanità
dal grande Pontefice Paolo VI: Non più la guerra!".
- Se vuoi la pace, prepara la pace
-
La pace, comunque, è un dono di Dio
affidato agli uomini. Questo vuol dire che i cristiani e tutti gli
uomini di buona volontà devono lavorare per preservare la pace. Si
tratta di respingere qualsiasi atteggiamento ideologico e pratico
che inculca le divisioni tra gli uomini. Ogni fanatismo politico o
religioso darà frutti di guerra non di pace a breve o a lunga
scadenza. Quando domina la menzogna, la denigrazione, il settarismo
cieco ed arrogante ed è negata per principio la possibilità di
dialogare, non si lavora per la pace, ma per la guerra".
-
La pace è frutto della carità e della
libertà. La guerra sarà scongiurata definitivamente quando l'uomo
vedrà in ogni uomo un suo fratello, e non già un nemico da
distruggere, sia pure con immaginarie legioni di eserciti celesti.
Dio sì serve delle forze angeliche per sconfiggere il male - di cui
satana è l'istigatore - non le creature umane che Egli ama e vuol
tutte salve (cf. 1 Timoteo 2, 4).
- In difesa della pace
-
Con perfetta e costante fedeltà al
Vangelo i papi di questo secolo si sono adoperati per la promozione
e la difesa della pace.
-
I. - San Pio X fu la
prima vittima della Prima Guerra mondiale, stroncato dall'angoscia
perché le sue parole e le sue istanze presso i responsabili dei vari
Stati non erano state debitamente ascoltate. Sono sue le famose
parole.- Io benedico la pace, non la guerra!
-
2. - Gran parte dell'opera di
Benedetto XV fu rivolta a far cessare la guerra, definita da lui
“una follia universale”, “un vero e proprio suicidio”, “una inutile
strage”. La sua più grande pena fu il fatto che non lo si volle
ascoltare e che, anzi, la sua opera per la pace fu interpretata come
un parteggiare per l'uno o per l'altro contendente.
-
3. - Pio XI, sentendo
avvicinarsi il turbine di una seconda guerra mondiale, offri a Dio
la sua vita per la pace, condannando i fautori della guerra con la
preghiera del Salmo 67,31. Disse il papa: “Se qualcuno osasse
commettere questo nefando delitto (di scatenare la guerra), allora
non potremmo fare a meno di rivolgere nuovamente a Dio con animo
amareggiato la preghiera: Disperdi i popoli che vogliono la
guerra”.
-
4. - Sono noti gli immensi sforzi
compiuti da Pio XII, dapprima per impedire lo scoppio
della seconda guerra mondiale e poi per
alleviarne le rovine e le sofferenze. Papa Pacelli ammoniva
governanti e popoli:
-
“E' con la forza della ragione, non
con quella delle armi che la giustizia si fa strada ( ... ).
Imminente è il pericolo, ma si è ancora in tempo. Nulla è perduto
con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a
comprendersi. Ritornino a trattare. Trattando con buona volontà e
con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e
fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo.
-
5. - Di Giovanni XXIII,
autore dell'enciclica Pacem in terris, vogliamo
ricordare l'intervento presso Kennedy e Krusciov, che scongiurò il
pericolo d'una guerra atomica.
-
In un solenne messaggio al mondo il 25
ottobre 1962 papa Roncalli disse:
-
“Alla Chiesa sta a cuore più d'ogni
altra cosa la pace e la fraternità tra gli uomini; ed essa opera
senza stancarsi mai, a consolidare questi beni. A questo proposito,
abbiamo ricordato i gravi doveri di coloro che portano la
responsabilità del potere (... ). Con la mano sulla coscienza,
ascoltino il grido angoscioso che da tutti i punti della terra sale
verso il cielo. Pace, pace! Oggi noi rinnoviamo questo
accorato appello; e supplichiamo i capi di non essere insensibili a
questo grido dell'umanità. Facciano tutto ciò che è in loro potere
per salvare la pace”.
-
6. - L'opera di Paolo VI
per la pace è stata continua ed intensa. Tra i molti interventi per
la pace va ricordato il discorso all'ONU (4 ottobre 1965), in cui,
facendosi interprete del mondo intero, lanciò il grido.- “Non più la
guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti
dei popoli e dell'intera umanità”.
-
Fu Paolo VI a istituire La
Giornata della Pace (10 gennaio) per ricordare a tutti gli
uomini, all'inizio d'ogni anno, il dovere di lavorare per costruire
la pace. Alla sua morte (6 agosto 1978) un coro unanime si levò da
ogni parte della terra per riconoscere in lui il Papa della
pace. Unica eccezione i testimoni di Geova, che due mesi prima,
in una caricatura menzognera e volgare, marchio evidente della loro
malignità, raffigurarono Papa Montini in atto di benedire la guerra".
-
7. - Giovanni Paolo Il
continua con lo stesso zelo la missione dei suoi predecessori in
difesa della pace. In tutti i suoi discorsi, nota dominante è
l'invito accorato di lavorare per la pace nel pieno rispetto delle
libertà e dei diritti degli altri. Mai papa
Wojtyla ha detto una sola parola a favore della insurrezione o
reazione armata, sempre per scongiurare e condannare
l'una e l'altra.
-
Tra i suoi innumerevoli interventi a
favore della pace ricordiamo solo l'appello fatto il 25 febbraio
1981 da Hiroshina a tutto il mondo, in nome della vita, dell'umanità,
del futuro:
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“Ai capi di Stato e di Governo, a
coloro che detengono il potere politico ed economico, io dico:
impegniamoci per la pace e la giustizia; prendiamo una solenne
decisione, ora: che la guerra non venga più tollerata e vista come
mezzo per risolvere le divergenze (... ). Ai giovani di tutto il
mondo dico: creiamo insieme un nuovo futuro di fraternità e
solidarietà”.
- Servizio militare
-
Su questa base di guerra alla
guerra ha ancora senso per il cristiano parlare di servizio
militare?
-
I. - Coerentemente a quanto è stato
detto e documentato finora, la coscienza cristiana non può approvare
il servizio militare inteso come scuola di militarismo, vale a dire
come addestramento alla guerra, specie atomica; oppure per la
violenta repressione dei cittadini a vantaggio dell'ambizione di
persone senza scrupoli o degli interessi egoistici di gruppi
accecati da ideologie materialiste o capitaliste e di názionalismi
fanatici; oppure per il violento rovesciamento di autorità superiori.
-
2. - La Bibbia tuttavia non giustifica
l'affermazione secondo cui vi sarebbe una radicale incompatibilità
tra uso della spada e professione di fede cristiana. Vale qui
l'insegnamento di san Paolo esaminato nella Parte Prima.
L'Apostolo precisa che lo scopo dell'uso della spada è la difesa
dei buoni contro i malvagi. L'autorità superiore è ministra di Dio
ed esecutrice della sua volontà nel punire chi opera il male.
-
E' implicito nell'insegnamento paolino
che durante il tempo presente, prima cioè del ritorno del Signore,
vi possono essere perturbatorí della pace, “uomini egoisti, vanitosi,
orgogliosi ( ... ), senz'amo- re (... ) I nemici
del bene (... ), con la parvenza della pietà, mentre ne hanno
rinnegata la forza interiore (... ). Al loro numero appartengono
certi tali che entrano nelle case e accalappiano donnicciole cariche
di peccati, mosse da passioni di ogni genere, che stanno sempre lì
ad imparare, senza riuscire mai a giungere alla conoscenza della
verità” (2 Timoteo 3,1-7).
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Per difendere i buoni contro costoro
l'autorità costituita può portare e usare la spada. Non è detto che
debba uccidere, ma tale uso deve essere certamente un mezzo adatto a
garantire la convivenza pacifica e, nei casi-limite, neutralizzare i
colpevoli.
-
3. - In questa prospettiva il servizio
militare diventa una scuola di servizio civile e cristiano a bene
del prossimo: scuola ed esercizio di autentico amore degli uomini.
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Diciamo ancora una volta che lo Stato
ha il diritto-dovere di garantire la pace e la
giustizia nella comunità, e di addestrare convenientemente coloro i
quali siano gli immediati garanti e tutori. D'altra parte i
cittadini hanno il diritto di essere difesi
convenientemente nelle loro vite e nei loro legittimi interessi, e
il dovere di cooperare 'materialmente e moralmente'al
servizio reso dallo Stato per la tutela dell'ordine pubblico. i
tutori dell'ordine possono essere chiamati “funzionari di Dio” (cf.
Romani 13,6).
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4. - Non esitiamo aggiungere che i
tutori dell'ordine, compiendo il loro dovere con spirito evangelico,
sono discepoli di Cristo di avanguardia, perché mettono in pratica
il comandamento dell'amore del prossimo più di tanti altri cristiani.
In effetti, espongono quotidianamente la loro vita a pericoli anche
mortali e non di rado pagano di persona per salvare la vita degli
altri: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i
propri amici” (Giovanni 15, 13; cf. 1 Giovanni 3,16).
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Viene spontaneo domandasi se
sia più fedele alla Bibbia il testimone di Geova, obiettore di
coscienza ad oltranza, che preferisce starsene, per pochi mesi, al
sicuro in una confortevole prigione, oppure il giovane militare e il
tutore dell'ordine, che espongono quotidianamente la loro vita sulle
piazze e lungo le strade per difendere quella degli altri!
- Legittima difesa
-
Può darsi il caso che i tutori
dell'ordine vengano a trovarsi nella incresciosa situazione di dover
difendere i cittadini della propria nazione contro quelli di
un'altra comunità nazionale. Che cosa fare in questa deprecatile
eventualità?
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l. - Ricordiamo anzitutto quanto già è
stato detto, vale a dire che nella prospettiva, cristiana il
concetto di una umanità divisa ideologicamente e anche
geograficamente da frontiere, che siano causa di sanguinosi
conflitti, non ha diritto di cittadinanza. Gesù Cristo ha rotto ogni
barriera e di ciò che era diviso ha fatto un'unità (cf. Efesini
2,14; Galati 3,28 ecc.). Coloro che sono veramente cristiani devono
considerare tutti i popoli della terra come un solo popolo ed
impegnarsi affinché di fatto ogni barriera sia superata
nel rispetto reciproco e nella salvaguardia dei diritti fondamentali
dell'uomo.
-
2. - In questa prospettiva e
nell'impegno di tutti di vedere in ogni uomo un proprio fratello,
non ha più senso parlare ancora di “guerra giusta”. Può darsi solo
che si dia il caso di una legittima difesa comunitaria
nel senso che, qualora una comunità politica o nazione si rendesse
colpevole verso un'altra, le autorità superiori e i tutori
dell'ordine hanno il diritto-dovere d'intervenire per la difesa dei
buoni contro i malvagi. Si applicherebbe su scala internazionale il
principio paolino secondo cui Dio ha dato ai pubblici poteri l'uso
della spada per la giusta condanna di chi opera il male (cf. .Romani
13, 4).
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3. - Su questa base biblica la morale
cattolica ha precisato i limiti di una legittima difesa mediante
l'uso delle armi. Ecco alcune condizioni che devono regolare una
eventuale e sempre deprecabile azione bellica di legittima difesa:
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a)
Vi deve essere un'aggressione violenta fisica
in atto. In altre parole, la comunità politica contro
cui un'altra legittimamente si difende deve essere passata
all'attacco dopo il rifiuto di ogni tentativo di soluzione pacifica.
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b) La comunità politica attaccata deve
fare lo stretto necessario per impedire il danno fisico incombente.
Ciò comporta che non deve considerare il popolo che attacca come un
nemico da distruggere indiscriminatamente, ma solo come un colpevole
da disarmare e punire. Va perciò escluso ogni atteggiamento
vendicativo in chi legittimamente si difende, che porta a
rappresaglie e a un male maggiore del bene che si vuol difendere.
Anche la legittima difesa deve essere una via a ristabilire la pace,
e non a una maggiore divisione tra i popoli.
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c) Solo le autorità superiori hanno il
diritto-dovere di ricorrere alla legittima difesa mediante l'uso
delle armi e vigilare che durante l'azione bellica non siano
superati i limiti entro cui i cristiani possono ricorrere all'uso
della spada prospettato dall'Apostolo (Romani 13,4).
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Si obietta:
La Bibbia condanna qualsiasi difesa violenta e
comanda di non resistere al malvagio (cf . Matteo 5, 39; Romani 12,
19-2 1).
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Si risponde:
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Neì testi citati da san
Matteo e da san Paolo non si tratta della non-resistenza al male in
genere, ma di quella personale.
Infatti, se l'offesa è personale, il vero discepolo di Cristo
imiterà il suo Maestro che “oltraggiato non rispondeva con oltraggi,
e soffrendo non minacciava vendette, ma rimetteva la sua causa a
colui che giudica con giustizia” (1 Pietro 2,23). E' il caso dei
martiri.
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Ma se l'offesa è a danno delle
comunità, Dio vuole che le autorità superiori tutelino i buoni
contro i malvagi anche con l'uso della spada com'è stato spiegato
precedentemente.
- Il cappellano militare
-
I. - Il servizio militare, perché sia
conforme ai principi cristiani, deve essere una scuola di pace, non
di guerra: deve formare “funzionari di Dio”, che tutelano con
coraggio la pacifica convivenza sociale. Un contributo determinante
alla loro formazione e al loro servizio è dato dai cappellani
militari .
-
Molti giovani incontrano il ministro
di Dio per la prima volta durante il servizio militare. Spesso è un
incontro determinante per la loro fede e la loro formazione
cristiana, e di conseguenza per il loro servizio
veramente cristiano a tutto vantaggio della comunità civile. Coloro
poi che scelgono il servizio militare, nelle sue diverse
specializzazioni, come professione, trovano nel cappellano una guida
per la loro maturità cristiana e un consigliere fidato per la
soluzione di delicati casi di coscienza, sempre per il bene e la
sicurezza dei cittadini a livello nazionale e internazionale.
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“Avete indubbiamente una grande
responsabilità perché la Chiesa, le singole famiglie, i superiori e
i giovani stessi hanno fiducia in voi, e da voi attendono luce,
guida, fortezza spirituale e un saldo punto di riferimento (...).
Siate lieti di servire Cristo e l'umanità come cappellani militari,
imitando Gesù che ricolmò di grazie e di amicizia anche il
centurione romano (...). Fate conoscere ed amare Gesù Cristo, fate
comprendere la prospettiva eterna
e responsabile della
vita umana (...). Siate gli angeli visibili per i giovani a
voi affidati. Con voi Cristo è vicino ai giovani militari”.
-
2. - Questa è la missione dei
cappellani militari: formare “i funzionari di Dio” a un autentico
impegno cristiano per il bene del prossimo nelle linee avanzate del
pericolo e del coraggio. La preghiera e le altre pratiche di pietà
che essi promuovono, mirano solo a far nutrire sentimenti di pace e
di generosità, non di odio e di crudeltà.
-
Stando così le cose, i
tdG che accusano i cappellani militari - e in loro la Chiesa
Cattolica - di essere fautori di guerra, di benedire le armi per la
guerra, di far pregare per la guerra..., dicono e ripetono
settariamente una grossa menzogna, una infame calunnia. I cappellani
militari' non sono fautori di
guerra, ma di pace come lo è la Chiesa Cattolica; non benedicono le
armi perché siano strumento di guerra, ma
una efficace tutela della pace; non pregano
né fanno pregare per la guerra, ma per la pace, come fa tutta la
Chiesa. I cappellani militari educano cristianamente ed assistono
spiritualmente "i funzionari di Dio" perché sia preservata la pace e
prevalga il bene contro ogni malvagità.
- Obiettori di coscienza
-
Si pone ora la domanda: in una società
strutturata secondo i principi cristiani, ossia in modo conforme
agli insegnamenti della Bibbia, vi è posto per gli obbiettori di
coscienza?
-
Distinguiamo due casi.
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I. - Vi sono obiettori di coscienza
contrari all'uso delle armi, ma disposti a servire lo Stato, cioè la
comunità, in una delle tante forme alternative oggi giuridicamente
riconosciute e spesso utili anzi necessarie alla tutela dei
cittadini. Non di rado tali forme alternative o di servizio civile
comportano sacrifici gravi e anche rischi per la propria vita.
-
La Bibbia non condanna tali obiettori
di coscienza perché essi non rifiutano la debita sottomissione alle
autorità costituite e con la loro scelta alternativa, che la legge
ammette, concorrono efficacemente al bene comune, specie in tempi di
emergenza (terremoti, alluvioni, epidemie ecc.). La Chiesa Cattolica,
mediante la voce del Concilio Vaticano II, ha rivolto un encomio a
coloro che rinunciano all'uso della forza. Bisogna tuttavia tener
presente che ha pure aggiunto che da tale rinuncia non deve derivare
alcun danno per gli altri e per la comunità.
-
Si suppone, comunque, che tale
obiezione di coscienza sia realmente fondata su una sincera
convinzione e non già su una posizione di comodo, che sfugge il
pericolo e le responsabilità".
-
2. - Il secondo caso riguarda coloro i
quali non solo rifiutano i servizio militare e ogni addestramento
nella norma sono contrari a qualsiasi
alternativa nei vari rami del servizio civile. Essi considerano lo
Stato come una potenza satanica. Chiudendosi in un settarismo
utopistico, aspettano che un dio guerriero (Geova) disponga
fatalmente delle cose di questa terra fino al giorno in cui,
mediante legioni di esseri celesti e con l'ausilio di truppe
terrestri (quali?), sotto la guida del fedel maresciallo Gesù Cristo,
distrugga i malvagi e salvi i buoni (= solo i membri della setta).
-
Tali obiettori di coscienza sono
palesernente contro la Bibbia. Lo Stato non è una potenza satanica,
ma un'istituzione voluta da Dio. I discepoli di Cristo devono dare a
Cesare quel che è di Cesare, vale a dire una cooperazione attiva e
conveniente affinché le autorità superiori conseguano lo scopo che
Dio ha loro assegnato, ossia la tutela dei buoni e la punizione dei
malvagi. “Quelli che si oppongono all'autorìtà, si oppongono
all'ordine stabilito da Dio” (Romani 13,2).
- Errori e verità
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I. - L'errore: In
Giovanni 17,16 Gesù dice che i suoi discepoli non sono parte del
mondo come lui (Gesù) non è parte del mondo.
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La verità:
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a)
L'errore geovista consiste nell'uso
parziale e perciò errato, che i tdG fanno della Bibbia. La verità si
evidenze facendo notare che nella Sacra Scrittura la parola mondo (kosmos)
ha più di un significato, come spiegano bene i dizionari biblici.
Mondo significa anzitutto l'insieme delle realtà create,
e poiché l'uomo è la creatura per eccellenza, mondo
equivale a realtà umana, ossia all'insieme dei popoli o degli uomini.
In questo senso mondo è una cosa buona (cf. Genesi 1,31).
-
Secondariamente mondo indica l'umanità
in ribellione contro Dio, ossia l'insieme della realtà umana
in quanto macchiata dal peccato. Dio vuol salvare
questa realtà umana ed ha mandato perciò il proprio Figlio (cf.
Giovanni 3,16; 6,51). Gesù a sua volta ha mandato nel mondo i suoi
fedeli discepoli (cf. Giovanni 17,18) perché siano strumento di
salvezza di tutte le realtà create, specialmente dell'uomo.
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b)
Questa legittima e doverosa precisazione fa capire
bene il pensiero di Gesù, di cui abusano i tdG. Dicendo che i suoi
fedeli discepoli non sono parte del mondo, Gesù intende solo dire
che essi devono tenersi lontano dal peccato, dalla ribellione contro
Dio: “Non chiedo che tu tolga al mondo, ma che li custodisca dal
maligno” (Giovanni 17, 15). Egli non vuole affatto dire che debbano
estraniarsi dalle realtà create, specie da quelle umane, anche se
macchiate dal peccato. Al contrario, Gesù comanda ai suoi fedeli
discepoli di essere “la luce del mondo (Matteo
5, 14). Tutto infatti appartiene al cristiano: “il mondo, la vita,
la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro!” (! Corinzi 3,
22).
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2. - L'errore: Gesù disse
al governatore romano: “Il mio regno non fa parte di questo mondo.
Se il mio regno facesse parte di questo mondo, i miei servitori
avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei. Ma ora
il mio regno non è di qui”. - Giov. 18:36 39.
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La verità:
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a)
L'equivoco o inganno dei geovisti è la
confusione che essi fanno tra Regno di Dio e autorità costituite da
Dio per il bene degli uomini (cf. Romani 13,1-4). Il Regno di Dio,
che Cristo ha acquistato col suo sangue (cf. Atti 20,28),
corrisponde alla comunità dei credenti cioè alla Chìesa. In quanto
tale esso non fa parte di questo mondo cioè
del mondo del peccato. Il Regno di Dio si costruisce
e si conserva solo con l'amore e l'offerta a Dio di se stessi. Così
ha fatto Gesù.
-
b) Ma ciò non toglie che durante la
fase terrena della Chiesa Dio voglia che ci sia un ordine politico e
sociale (cf. Romani 13,1-7). I discepoli di Cristo fanno parte di
quest'ordine e devono contribuire col loro impegno affinché le
autorità costituite raggiungano lo scopo per cui Dio le ha volute e
le vuole. Venir meno a questo impegno nel modo spiegato
precedentemente equivale a violare la volontà di Dio: “Chi si oppone
all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio” (Romani 13,2).
-
c) Si noti infine che mentre i tdG da
una parte ci dicono che il Regno di Cristo non è di questo mondo,
dall'altra ripetono fino alla noia che il loro Cristo ha preso
possesso del regno di questo mondo fin dal 1914. Fra poco
distruggerà con le armi i nemici che ancora si oppongono a questo
regno. Centinaia di milioni vi lasceranno la pelle! .
-
3. - L'errore: Giacomo 4,4
“Adultere, non sapete che amicizia mondo è
inimicizia con Dio? Chi perciò vuol essere amico del mondo si
costituisce nemica di Dio”. E Giovanni 5.19
dice: “tutto il mondo giace nella potenza dei maligno”. In Giovanni
14:30, Gesù chiamò Satana “il governatore di questo mondo”.
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La verità:
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a)
In Giacomo 4, 4 la parola “mondo - ha il
significato negativo di umanità ribelle a Dio, che vive di passione,
cupidigia, litigi, guerre. San Giacomo condanna l'amicizia di tale
mondo. In tutta la Lettera di Giacomo non c'è una sola parola da cui
risulti che egli condanni l'uso delle realtà create, cioè del mondo
in quanto creazione di Dio. La Bibbia dice che tutto ciò che Dio ha
creato “è cosa molto buona - (Genesi 1, 3 1). Anche l'ordine
politico-sociale è voluto, cioè creato da Dio. Non è perciò degno di
condanna.
-
b) Identico significato ha la parola
“mondo” in 1 Giovanni 5, 19. Il mondo qui designa gli uomini che non
credono e tutti coloro i quali, malgrado un'apparente professione di
fede, sono vittime delle passioni, ossia si trovano sotto la potenza
di satana.
-
c) In Giovanni 14, 30 il diavolo è
detto “il governatore di questo mondo” non nel senso di autorità
costituite da Dio per la giusta condanna di chi opera il male (cf.
Romani 13,1-4). Satana non ha alcun potere di governare gli uomini,
ma l'usurpa mediante l'inganno, la menzogna, la cupidigia,
l'ambizione. Tutti coloro che si servono di questi mezzi per
raggiungere il loro scopo sono ministri di satana.
-
4. - L'errore: Luca 6:
27, 28: “A voi che ascoltate (io, Gesù Cristo), dico: Continuate ad
amare i vostri nemici, a fare il bene a quelli che vi odiano, a
benedire a quelli che vi maledicono, a pregare per quelli che vi
recano ingiuria”.
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a)
I fedeli discepoli di Gesù Cristo, che,
come insegna san Paolo" in qualità di autorità costituite da Dio nel
campo politico-sociale, servono la comunità, mostrano di amare tutti,
anche i loro nemici, e non odiare nessuno. E anche in caso di uso
delle armi, lo scopo è la difesa dei buoni e la punizione dei
cattivi, non l'odio.
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b) I tdG di Geova, che pur si vantano
di essere fede li discepoli di Cristo, predicano l'odio verso
chiunque non è dei loro, specialmente verso quelli che dopo un'amara
esperienza in mezzo a loro, hanno trovato la libertà e il vero
amore. Essi insegnano che sarebbe volontà di Dio, cioè di Geova, non
amare tutto e tutti.
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