PADRE NICOLA TORNESE
PICCOLA COLLANA
"I TESTIMONI DI GEOVA"
 
 
Uomini di serie B Vivi o morti? Geova chi era costui? E' prossima la fine.. E voi chi dite che...
Bibbia sangue e medicina La croce E  le croci La Madonna contestata Trinità Amore o falsità? Pietro e la Pietra
Bibbie a confronto Immagini e Santi Il Natale festa pagana... Regno di Dio o... .? Appello a Cesare
Battesimi e Battesimo Inferno La Cena del Signore Purgatorio Paradiso
Con quale autorità? Risurrezzione La Crocifissione   INDEX
 
APPELLO
A
CESARE
 
 
OPUSCOLO   N° 15
PICCOLA COLLANA
 
"I TESTIMONI DI GEOVA"
 
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Padre Nicola Tornese
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PARTE PRIMA
TESTIMONIANZE BIBLICHE
 
1 - GESU' CRISTO
Rendete a Cesare ciò che è di Cesare (Mc. 12,17)
Il pensiero di Gesù sui rapporti tra i suoi discepoli e le autorità civili ci è abbastanza noto da ciò che egli ha detto. Significativa a questo riguardo è la risposta di Gesù circa il tributo a Cesare. L'episodio è narrato da tutti e tre i sinottici.
“Gli mandarono alcuni farisei ed erodiani per coglierlo in fallo nel discorso. E venuti, quelli gli dissero: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e non ti curi di nessuno; infatti non guardi in faccia agli uomini, ma secondo verità insegni la via di Dio. E' lecito o no dare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no?". Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse: "Perché mi tentate? Portatemi un denaro perché io lo veda". Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: "Di chi è questa immagine e l'iscrizione?". Gli risposero: "Di Cesare". Gesù disse    loro: "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio". E rimasero ammirati di lui”. (Marco 12,13-17; cf. Matteo 22,15-22; Luca 20,20-26).
Spiegazione:
1. - La domanda: “E' lecito o no dare il tributo a Cesare?” mirava a mettere Gesù in una situazione pericolosa. Se avesse risposto di no, avrebbe attirato su di sé l'ostilità dei Romani, la potenza straniera d'occupazione. Se avesse detto di sì, si sarebbe reso odioso al popolo e in particolare agli zeloti, il partito armato contro Roma. Gesù disarma gli uni e gli altri, ed esprime con chiarezza il suo pensiero sui rapporti tra i suoi discepoli e le autorità civili.
Qual è questo pensiero?
2. - Va rigettata anzitutto l'interpretazione di alcuni che spiegano le parole di Gesù come se egli avesse messo sullo stesso piano Dio e Cesare. Gesù non poteva assolutamente pensare come un pagano, esaltare cioè un uomo al rango di Dio. Egli sapeva ed insegnava che Jahvè è il Signore (cf. Marco 12,29). Nessuno merita uguale amore e servizio. Uno Stato laico ad oltranza, che vuol essere arbitro assoluto del destino dei sudditi, esula dall'insegnamento di Gesù.
 
3. - Al contrario, il Maestro ammonisce che, anche nell'ambito della convivenza civile, il primato spetta a Dio. Il cristiano deve amare e servire Dio “con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza” (Marco 12,30) senza anteporre la volontà degli uomini a quella di Dio (cf. Atti 4,19; 5,29).
 
4. – Entro questi limiti Gesù non condanna la cooperazione con lo Stato, anche se pagano. Il tributo, di cui fa obbligo, è il simbolo d’una cooperazione attiva, perché assicura allo Stato i mezzi necessari a compiere la sua funzione, che è quella di garantire ai sudditi “una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità”.(1 Timoteo 2,2).Col tributo dei cittadini lo Stato finanzia i servizi sociali, non ultimo quello della tutela dei buoni contro i malvagi, mediante funzionari bene addestrati ed equipaggiati (cf. Romani 13, 3-4; infra).
 
5. – Alla luce di questo insegnamento appare chiaro che Gesù Cristo, anche se si mostrò neutrale verso le contese politiche del giorno, non considerò lo Stato come il governo e il potere di satana; altrimenti, facendo obbligo di pagare il tributo, avrebbe cooperato col maligno. La sua neutralità non fu assoluta, ma relativa in vista del bene comune, salvi sempre i diritti di Dio.
L’esempio di Gesù
Ma vi è di più. Gesù Cristo non si interessò direttamente di politica, ma neppure si disinteressò , lasciando la vita pubblica in balia delleforze del male. Nel Vangelo non mancano esempi di un positivo intervento di Cristo presso le autorità costituite al fine di redimerle dal male ed indirizzarle alla funzione assegnata loro da Dio.
 
1. - Con Erode Gesù prende un atteggiamento quasi di sfida, anche se non violento. Lo chiama “volpe” sia per mettere a nudo il suo gioco politico, che mirava al proprio interesse più che a quello della nazione, sia anche per la sua codardìa, che lo rendeva incapace di prendere una posizione nei riguardi di Gesù di Nazareth (cf. Luca 13, 31-33).
In un'altra circostanza, ossia durante il processo che si concluderà con la sua condanna a morte, quando un atteggiamento meno critico avrebbe potuto salvargli la vita, Gesù non si mostra affatto arrendevole con l'indegno reuccio di provincia: neppure una parola! Erode “lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla” (Luca 23,9).
 
2. - Più noto è il rapporto diretto di Gesù con Pilato, il governatore romano della Giudea. Gesù riconosce come data da Dio (non dal diavolo) l'autorità di cui Pilato era rivestito, anche se rappresentante d'un governo straniero e pagano: “Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto” (Giovanni 19, 11).
Tuttavia anche in quella circostanza tragica Gesù non rimane neutrale: benché in catene e a rischio di peggiorare la propria posizione, rimprovera con coraggio l'abuso di potere che il governatore romano stava per compiere: gli rinfaccia la sua colpevolezza, anche se minore rispetto a quella dei Giudei: “Chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande” (Giovanni 19, 11).
Con questo gesto Gesù mostra chiaramente che i suoi fedeli discepoli devono uscire da una comoda neutralità e rinfacciare a quelli che detengono il potere le loro colpe, ossia la loro politica egoistica e crudele, anche a rischio della propria vita.
 
Il - SAN PAOLO
Ciascuno sia sottomesso alle autorità (Rom. 13, 1)
In un testo ben noto della Lettera ai Romani san Paolo ha esposto il suo pensiero sui rapporti tra cristiani e autorità costituite. Scrive l'apostolo:
“Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l'autorità? Fai il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per il timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questa, compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse, le tasse; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto” (Romani 13,1-7; cf. Tito 3, 1).
 
Osservazioni:
l. - In modo esplicito san Paolo afferma che il potere civile, anche se pagano, ha origine da Dia, in piena armonia con l'insegnamento del Maestro (cf. Giovanni 19, 1 1). Non è dunque il diavolo il governatore dei popoli secondo l'ordine stabilito da Dio.
2. - Dio dà origine alle autorità civili con lo scopo di far trionfare il bene e reprimere il male. Al potere civile si deve perciò sottomissione non meramente esteriore, ma per motivi di coscienza. Dio vuole che l'etica cristiana penetri e trasformi la stessa vita sociale. Se fosse il diavolo a governare il mondo, Dio esigerebbe sottomissione al maligno, a cui invece bisogna resistere (cf. Giacomo 4,7).
3. - La sottomissione va intesa nei limiti delle competenze dello Stato: l'apostolo menziona tributi, tasse, timore, rispetto. Certo Paolo non intende dire che il discepolo di Cristo debba essere sempre, in tutto e per tutto, succube al volere delle autorità civili. Al contrario, anche per motivi di coscienza, il cristiano deve prendere un atteggiamento critico di contestazione, non di neutralità, sempre che il potere civile interferisce con le libertà cristiane. Non mancano esempi anche nella vita di Paolo:
- Contro la pretesa dell'imperatore romano che voleva essere riconosciuto signore, Paolo afferma con vigore che il cristiano riconosce ed adora un solo Signore, Gesù il Cristo (Cf. Romani 10,9; 1 Corinzi 8, 5-6).
- Paolo si sarebbe opposto vigorosamente se il potere civile avesse voluto designare i titolari dei vari servizi o ministeri in seno alla comunità cristiana. Questa è opera dello Spirito Santo (Cf. I Corinzi 12, 4-1 1; Efesini 4, 1 1; Atti 14, 23; 20, 28).
Due pesi e due misure
I tdG abusano del testo di san Paolo ai Romani 13,1-7 per accusare sdegnosamente “i sistemi religiosi della cristianità perché sono stati vergognosamente colpevoli d'aver violato ciò che l'ispirato apostolo Paolo qui ebbe a dire”. A loro avviso, un esempio rimarchevole di questa vergognosa violazione sarebbe stato dato da papa Gregorio VII, reo di aver negata la dovuta sottomissione come ad autorità superiore, a Enrico IV, imperatore di Germania.
I geovisti c'informano che, avendo Enrico IV usurpato il potere d'investire i vescovi dell'insegna spirituale dell'incarico, papa Gregorio contestò questa usurpazione e scomunicò Enrico, lo dichiarò cioè dissociato dalla Chiesa Cattolica.
 
E commentano:
“Fu tale arrogante azione del capo religioso della cristianità in armonia con la regola cristiana stabilita dall'apostolo Paolo che i cristiani siano sottomessi alle "autorità superiori?". No”.
La nostra risposta:
a) Preghiamo i nostri lettori di consultare il libro geovista Vita eterna nella libertà dei figli di Dio, da noi già citato più d'una volta. Poche pagine dopo l'altezzosa accusa di vergognosa colpevolezza contro papa Gregorio, per essersi opposto a Enrico IV che voleva eleggere i vescovi, ci vien detto proprio dai tdG che la sottomissione cristiana alle “autorità superiori”, insegnata dall'ispìrato Paolo, non è assoluta, ma relativa. E spiegano affermando che ““le autorità .superiori" sono superiori fuori  della congregazione,  perché  dentro  la  congregazione  Dio  è  supremo. I sorveglianti (episkopoi) e i servitori di ministero (diàkonoi) dentro la congregazione sarebbero quelli che Geova Dio, il grande Teocrate, vuole nell'incarico, e non quelli che il dittatore politico o il governatore politico comunista totalitario vuole nell'incarico come ancelle dello Stato”.
b) Stando così le cose, papa Gregorio avrebbe violato vergognosamente la Parola ispirata perché non si sottomise all'imperatore che voleva assegnare l'incarico di epìskopoi nella Chiesa, ma i tdG, sempre in base alla stessa Parola ispirata, cioè a Romani 13,1-7, non tollererebbero che un dittatore politico stabilisse nell'incarico epìskopoi e diàkonoì entro la loro congregazione
Vi può essere contraddizione più stridente e sfruttamento più settario della Parola di Dio? In effetti, si verifica ciò che dice la Scrittura:   “Hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi (..) e non intendere con il cuore e convertirsi” (Matteo 13, 15; cf. Giovanni 12,40; Isaia 6,9-10).
L'uso della spada
Nel testo paolino che stiamo analizzando è detto dell'autorità costituita che “non invano porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male” (Romani 13,4).
Facciamo alcune precisazioni:
a) A parere degli esegeti, è da escludersi che lo Apostolo conceda allo Stato l'uso della spada come strumento di guerra. Se si pensa che al tempo di san Paolo le guerre erano condotte con orribile scempio della vita umana (morti, prigionieri = schiavi), non si può ammettere che l'ambasciatore di Cristo (cf. Efesini 6, 20), avallasse tanta barbarie. Piuttosto l'uso della spada, in mano alle autorità superiori, deve essere concepito come strumento di pace per la tutela della giustizia, il trionfo del bene, la difesa dei buoni, la punizione dei malvagi.
b) Entro questi limiti e con tali finalità l'Apostolo riconosce al potere civile il diritto di usare la forza, qualora ogni altro mezzo risultasse inefficace per il conseguimento del bene comune. A questo deve mirare lo Stato, anche se talvolta ciò può essere in contrasto col bene privato. Anzi alcune volte il bene comune può esigere dai singoli grandi sacrifici, perfino il rischio e anche la per- dita della propria vita.
c) E' perciò implicito nel pensiero di San Paolo che lo Stato, per conseguire il bene comune, deve addestrare convenientemente coloro i quali siano capaci di tutelare il bene della comunità. I cittadini che si sottraggono a quest'obbligo, violano la norma d'azione insegnata dall'autore ispirato. San Paolo esorta alla sottomissione alle autorità superiori proprio perché esse possano eseguire il compito assegnato loro da Dio.
d) Il servizio militare (o come alternativa quel- lo civile) e anche l'uso delle armi non devono qualificarsi come qualcosa d'intrinsicamente cattivo, immorale e antiscritturale. Al contrario, una neutralità ad oltranza è contro la volontà di Dio. Chi si oppone alle autorità superiori, si oppone all'or- dine stabilito da Dio.
Si obietta: Gesù Cristo rimproverò severamente Pietro per aver fatto uso della spada (cf. Matteo 26,51-52; Giovanni 18,10-11)
Si risponde: Gesù non condannò qualsiasi uso della spada: a Pilato non contestò il potere di condannare a morte, anche se l'ha rimproverato di usare male quel potere, facendo crocifiggere un innocente. Nel caso specifico di Pietro, Gesù ha rimproverato severamente il gesto del discepolo perché era un atto di violenza. Gesù condanna ogni violenza.
Esempio di san Paolo
Più volte san Paolo ebbe a che fare coi poteri civili e i custodi dell'ordine. Come si è comportato? Un episodio narrato nel libro degli Atti getta piena luce su quest'aspetto della vita dell'Apostolo.
I. - Accusato dai Giudei di aver parlato contro la Legge e il Tempio, l'apostolo è sottratto dalla loro violenza grazie a un tempestivo intervento del potere civile (cf. Atti 22,22-30; 23, 1-35). Paolo si dichiarava innocente e il magistrato romano da parte sua non era affatto convinto della fondatezza delle accuse. Ma non voleva dispiacere ai Giudei ed inimicarsi i loro capi.
In questa situazione di pericoloso compromesso a danno della sua vita e della causa cristiana, Paolo, quale cittadino romano, si sottrae al potere delle autorità locali e si appella al supremo tribunale dell'impero, che era allora quello di Nerone. La risposta di Festo, procuratore romano, dopo breve consulto coi suoi consiglieri, è perentoria:
“Ti sei appellato a Cesare, a Cesare andrai” (Atti 25,11-12). Festo tenne Paolo sotto buona guardia di soldati fino al tempo propizio d'imbarcarlo per l'Italia (cf. Atti 27, 1). Infatti, i nemici di Paolo non cessavano di tramare contro la sua vita.
2. - Questi in breve i fatti. Da essi possiamo trarre alcune conclusioni per la soluzione del nostro problema:
- Senza la minima esitazione san Paolo riconosce la legittimità del potere civile, anche se pagano, e gli attribuisce il diritto di giudicare la sua causa per il trionfo della giustizia in difesa della sua innocenza.
- Non mostra il minimo dubbio, trova anzi naturale, che le autorità costituite abbiano al loro servizio e al servizio dei cittadini gente bene addestrata nelle armi. Né vi è il minimo cenno, in tutto il racconto della prigionia, a una qualsiasi parola di biasimo da parte di Paolo contro i soldati che lo custodivano. Al contrario, i suoi rapporti con loro appaiono improntati a grande umanità e rispetto (cf. Att. cc. 27-28). L'Apostolo si preoccupa della loro salute e della loro vita come di persone necessarie alla società.
Il saluto dei cristiani della casa di Cesare
Sempre in rapporto al problema che qui trattiamo è significativo il saluto con cui Paolo chiude la Lettera ai Filippesi: “Vi salutano i fratelli che sono con me (...), soprattutto quelli della casa di Cesare” (Filippesi 4, 22).
Spiegazione:
a) Quando Paolo scrisse questa Lettera era certamente in prigione (cf. Filippesi 1, 7-18), non sappiamo se a Roma, come vogliono alcuni, oppure a Cesarea di Palestina o ad Efeso, nell'odierna Turchia, come pensano altri. Benché in prigione, Paolo non cessava di predicare il Vangelo. Pieno di gioia confidava ai Filippesi:
“Desidero che sappiate, fratelli, che le mie vicende si sono volte piuttosto a vantaggio del Vangelo, al punto che in tutto il pretorio e dovunque si sa che sono in catene per Cristo; in tal modo la maggior parte dei fratelli ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore alcuno...”. (Filippesi 1, 12-14).
b) Che cosa era il pretorio? Se Paolo scriveva da Roma, si trattava della guardia pretoriana che si accampava presso le mura dell'Urbe; se invece scriveva da Cesarca o da Efeso, bisogna pensare al personale addetto al servizio dei governatori romani. In ogni caso era un ambiente militare o paramilitare.
In questi ambienti la Parola di Dio si diffondeva. Alcuni di quegli uomini (forse molti) addetti al servizio e alla difesa dell'imperatore o dei suoi funzionari nelle provincie, si erano convertiti al Vangelo. Ed erano tuttavia rimasti al loro posto, senza deporre le armi, di cui certamente erano dotati. Dobbiamo, comunque, pensare che la fede cristiana aveva sensibilmente cambiato il loro modo di servire lo Stato e di usare le armi.
c) Scrivendo ai Filippesi Paolo porge i saluti soprattutto da parte di questi cristiani o fratelli o santi. L'espressione “casa di Cesare” comprende tutto il personale che stava al servizio dell'imperatore (militari, funzionari, schiavi ed affrancati), e se ne trovavano in ogni città dove risiedeva l'imperatore o un governatore.
 
III - SAN PIETRO
Scrivendo ai cristiani del suo tempo (e di ogni tempo) san Pietro, il Primo dei Dodici (cf. Matteo 10, 2) ha espresso il suo pensiero nel modo seguente
“Siate sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni. Perché questa è la volontà di Dio: che operando il bene, voi chiudiate la bocca all'ignoranza degli stolti. Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio. Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re” (1 Pietro 2,13-17).
Osservazioni:
a) La lettera, scritta quasi certamente da Roma, ricorda ai cristiani quali siano i loro doveri verso lo Stato e in pari tempo contesta l'accusa dei pagani che qualificavano i cristiani come cittadini sleali.
Come aveva appreso alla scuola del Maestro san Pietro afferma che all'origine del potere civile, anche se pagano, vi è una volontà divina. Non è dunque il diavolo il governatore di questo mondo, se non in quanto tenta, com’è sua abitudine, d'intralciare l'opera di Dio.
b) La sottomissione che san Pietro inculca alle istituzioni umane deve essere fatta “per amore dei Signore”, ossia “per ragioni di coscienza” (Cf. Ro- mani 13, 5). La libertà, di cui il cristiano si gloria (Cf. Galati 5, 1), non lo esime da una coscienziosa cooperazione con lo Stato, perché siano assicurate la giustizia e la pace, con la punizione dei malfattori e la tutela dei buoni. E' implicito che i cittadini devono dare allo Stato i mezzi necessari - tribuiti e uomini - affinché consegua lo scopo assegnatogli da Dio. Lo Stato è una realtà umana, strutturata di uomini e di cose.
c) Rimane anche vero che l'impegno civile del cristiano deve essere sempre guidato dal timore di Dio. In altre parole, a Dio è dovuta una sottomissione assoluta, sempre; e dentro i limiti d'un santo timore di Dio, va inserito l'onore verso il re e i suoi rappresentanti.
La testimonianza di san Pietro è identica a quella di san Paolo e originariamente a quella di Gesù.
Obiettano i tdG: Pietro chiama i cristiani “forestieri”, “residenti temporanei”, “stranieri” (Cf. 1 Pietro 1, 1; 2, 11). Questo fatto obbligava i cristiani a non partecipare alle questioni e controversie politiche di questo mondo.
Si risponde: San Pietro chiama i cristiani “forestieri”, e anche “pellegrini” non nel senso che debbano essere indifferenti e tanto meno alienati dalle realtà terrene, comprese quelle politico-sociali. Egli vuole solo dire che l'impegno del cri- stiano nella vita presente deve essere relativo, tutto indirizzato a trasformare il mondo col lievito del Vangelo (cf. Matteo 13, 13), senza attaccare disordinatamente il cuore ai beni passeggeri. San Paolo dice la stessa cosa quando ricorda ai cristiani di Corinto: “Quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno” (1 Corinzi 7, 3 1).
Apocalisse cap. 13
Una domanda: Nelle pagine che precedono più d'una volta è stato negato che satana sia il governante di questo mondo. Non si deve dire che questa affermazione sia in contrasto col cap. 13 dell'Apocalisse, dove, sotto l'immagine della bestia che sale dal mare (cf. Apocalisse 13, 1), satana è identificato coi governanti di questo mondo?
La risposta:
1. - Nel cap. 13 dell'Apocalisse la bestia che sale dal mare raffigura l'impero romano e, in genere, tutti gli Stati che usurpano i diritti di Dio. Fa parte di questa usurpazíone la pretesa di un culto divino dell'imperátore e l'arroganza di essere legislatori assoluti, arbitri del bene e del male. Si tratta dell'auto-divinizzazione dello Stato.
Effetti malefici di questa usurpazione sono la guerra contro i santi (cf. Apocalisse 13,7) e l'uso menzognero di un grande apparato propagandistico per trarre gli uomini in inganno, “sedurre cioè gli abitanti della terra” (Apocalisse 13,14).
Sotto questo aspetto lo Stato è detto giustamente una potenza diabolica che ha satana come governante; in questi casi satana è veramente il dio di questo mondo (cf. 2 Corinzi 4,4) ed è esatto dire che il mondo giace sotto il potere del maligno (cf. 1 Giovanni 5, 19).
2. - Ma si tratta di un determinato tipo di autorità superiori, che hanno tradito la funzione assegnata loro da Dio e sono diventate schiave del nemico di Dio, cioè di satana. Non si dimentichi che quando Giovanni scriveva l'Apocalisse aveva in mente l'impero romano, che perseguitava a morte la Chiesa ed esigeva il culto dell'imperatore. Non si dimentichi che per la retta comprensione di un testo biblico bisogna tener presenti la situazione e l'intenzione dell'autore ispirato per non correre il rischio d'una spiegazione errata. I tdG cadono spesso e volentieri in questo errore a motivo del loro settarismo.
Stando così le cose, ciò che Giovanni dice in Apocálisse cap. 13 non contrasta affatto con l'insegnamento di Gesù, di san Paolo e di san Pietro circa l'origine divina delle autorità superiori. Finché queste, con la cooperazione attiva di tutti gli uomini di buona volontà, si sforzano di compiere fedelmente la funzione affidata loro da Dio, non sono strumento di satana, ma servono Dio per l'avvento del suo Regno di giustizia e di pace.

 
IV - NUOVI ORIZZONTI
La voce di Isaia (2, 1-5; 9,1-6)
Isaia 2, 2-5 recita:
“Alla fine dei giorni da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice tra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra...”.
E Isaia 9, 1-6 ha: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce ( ... ). Poiché il giogo che gli pesava e la sbarra sulle sue spalle e il bastone del suo aguzzino tu hai spezzato (...). Ogni calzatura di soldato nella mischia e ogni mantello  macchiato di sangue sarà bruciato (...). Poiché un bambino  è nato per noi (.. ) ed è chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace ...”.
Spiegazione.
a) Alla luce del Vangelo (cf. Matteo 4,13-16; Luca 2,14; 24,47; Giovanni 4,22; 8,12 ecc.) dobbiamo vedere nei testi citati di Isaia una profezia messianica, una predizione cioè di quel che avverrà alla fine dei giorni. Questa espressione, come l'al. tra “ultimi giorni o tempi” (cf. Atti 2,17; 2 Timoteo 3,1), indica appunto il tempo messianico iniziato con la venuta di Cristo sulla terra (cf. Atti 2, 17) e che si concluderà con la sua seconda venuta (cf. Matteo 25, 31 ss), di cui nessuno conosce il quando (cf. Matteo 24,36).
b) Con immagini poetiche e con un linguaggio improntato alla situazione e alla mentalità del suo tempo Isaia descrive il futuro regno di Dio in netto contrasto coi regni di coloro che dominavano il mondo quando il profeta ebbe la visione. Proprio in quegli anni il piccolo popolo d'Israele, come tanti altri popoli, stava per essere preda dei grandi imperi d'Assiria e di Babilonia.
Vigeva allora la legge del più forte, della barbarie: ambizione, violenza, guerre, distruzione indiscriminata di popoli, deportazione in massa, schiavitù ...
c) In un contesto di tanta barbarie Dio rivela a Isaia quali saranno i nuovi tempi: da Israele (da Sion) sorgerà la luce - un Principe della Pace - per insegnare all'umanità non l'arte della guerra, ma quella della convivenza pacifica e felice. L'Emmanuele (= Dio-con-noi) darà la legge dell'amore, anche dei nemici, e farà di tutti i popoli un sol popolo con la fede nell'unico Dio.
d) Questo programma messianico non distrugge le strutture sociali volute ancora da Dio per il tempo presente (cf. Marco 12,17; Romani 13,1-7; 1 Pietro 2,13-17), ma le trasformerà in strumenti di pace (--- spade in vomeri, lance in falci) mediante la conversione dei cuori al Vangelo dell'amore.
Il Vangelo della pace
I nuovi tempi previsti da Isaia hanno avuto il loro inizio con la venuta di Gesù il Cristo (= Messia), con la sua predicazione, con la sua vita. Per avere una visione completa, anche se a brevi tratti, dell'insegnamento biblico sui rapporti tra cristiani e potere civile, è doveroso ricordare ancora altre verità, che fanno parte del messaggio cristiano.
I. - Non si dimentichi, prima di tutto, che il Vangelo (= Buon Annunzio o Buona Notiza) è essenzialmente un messaggio e un programma di pace.
Alla nascita di Gesù gli angeli hanno cantato: “Gloria a Dio (... ) e pace (... ) agli uomini che egli ama” (Luca 2,14). Divenuto adulto Gesù annunzia il suo programma dichiarando “beati gli operatori di pace” (Matteo 5, 9). E vuole che i suoi inviati usino come saluto un augurio di pace: “Pace a questa casa!” (Luca 10, 5). Chiudendo il suo ministero, prima degli eventi pasquali, Gesù lascia ai suoi il dono della pace: “Vi lascio la pace, vi dò la mia pace” (Giovanni 14,27; cf. 20,19-20).
2. - Cristo “è la nostra pace” (Efesini 2, 14)., Di tutti i popoli egli vuol fare un solo popolo, una sola famiglia, avendo abbattuto con la croce il muro che li divide, l'inimicizia e l'odio (cf. Efesini 2,14-22). Il germe infatti delle divisioni e delle guerre si annida nell'uomo.
Indicando la sorgente della pace, Gesù fa dello amore del prossimo il suo comandamento (cf. Giovanni 15, 12; Marco 12,28-31). E nel prossimo egli include tutti gli altri, anche i nemici, non soltanto quelli del proprio gruppo settario: “Amate i vostri nemici (... ) e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi” (Luca 6,35).
Ogni uomo è mio fratello! Chi predica o anche insinua l'odio - come fanno i testimoni di Geova - va contro l'essenza del Vangelo, non può dirsi cristiano e prepara la guerra a breve o a lunga scadenza .
3. - Una componente fondamentale dell'amore del prossimo è il rispetto sommo per ogni vita umana. Il comando divino di Non ammazzare domina in tutta la Bibbia fin dalle sue prime pagine (cf. Genesi cap. 4); è inculcato nella costante proibizione di fare uso del sangue, simbolo della vita; è espresso in modo esplicito e formale nella Legge del Sinai (cf. Deuteronomio 5, 17).
Gesù Cristo, nel Nuovo Patto o Alleanza tra Dio e l'umanità, ha confermato e perfezionato il comandamento della Legge Mosaica. Il Vangelo (= La Buona Notizia) condanna non solo l'omicidio, ma l'ira e la maldicenza: “... fu detto agli antichi: Non uccidere (  ... ). Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio...” (Matteo 5, 21-22).
 
PARTE SECONDA
LA VOCE DELLA STORIA
In questa seconda parte raggruppiamo le testimonianze di alcuni scrittori cristiani dei primi secoli, che ci permettono di conoscere le norme direttive nella vita della Chiesa sui rapporti verso lo Stato.
1 - La Tradizione Apostolica
Scritta intorno all'anno 215, ci fa conoscere l'ordinamento disciplinare della Chiesa dei primi due secoli, assai prima cioè di Costantino. Nel cap.16 sono elencate le condizioni richieste per essere ammessi al catecumenato, ossia alla istruzione cristiana in vista del battesimo. Tra le condizioni elencate alcune si riferiscono al servizio militare.
“Il soldato subalterno non uccida nessuno. Se riceve un ordine del genere non lo esegua e non presti giuramento. Se non accetta tali condizioni sia rimandato. Chi ha potere di vita e di morte o il magistrato supremo di una città, smetta o sia rimandato. Il catecumeno o il fedele che vogliono dedicarsi alla vita militare siano man- dati via perché hanno disubbidito”.
Osservazioni:
l. - E' fuor di dubbio che la disciplina ecclesiale testimoniata da La Tradizione Apostolica riflette l'ambiente e l'ordinamento giuridico del tempo. E si sa bene qual'era in tale ambiente la mentalità sul valore della vita umana! Gli alti ufficiali dell'esercito e i magistrati dovevano impegnarsi verso lo Stato di far osservare il diritto romano che a riguardo della vita umana contrastava fortemente con la morale del Vangelo. Per loro non vi era alternativa. L'esercizio del loro ufficio comportava di per sé la violazione del comando divino del Non uccidere. Non era possibile servire a due padroni (cf. Matteo 6,24). Dovevano o rinunciare al loro ufficio o dimettersi dal catecumenato.
2. - Diverso era il caso del soldato subalterno. A lui non è imposto il dilemma: smetta di fare il soldato o sia dimesso dal catecumenato. Gli si chiede solo di non uccidere anche se comandato, e di non impegnarsi con giuramento a fare ciò  che è contro la fede. Vi è modo e modo di fare il      soldato. A mio avviso, è qui prospettato il caso   dell'obiezione di coscienza. Il soldato subalterno    può eseguire gli ordini che non contrastano con la     sua coscienza, ma non quelli che la sua coscienza cristiana deve disapprovare.
3. - Più difficile si presenta la spiegazione (o comprensione) delle parole: “Il catecumeno o il fedele che vogliono dedicarsi alla vita militare siano mandati via perché hanno disubbidito”.
Le disposizioni de La Tradizione Apostolica vanno interpretate tenendo debito conto del contesto sociale in cui furono emanate. Poiché nella carriera militare erano allora richieste cose incompatibili con la professione di fede cristiana, si rendeva necessario prendere una posizione severa col catecumeno o il fedele, che, essendo ancora semplici cittadini, avessero voluto sobbarcarsi ai rischi che il servizio militare allora comportava per la propria fede. Sarebbe stato come un tentare Dio.
In effetti, nel servizio militare, oltre alla possibilità di dover violare il comando divino del Non uccidere, vi era anche il pericolo di dover accettare il culto dell'imperatore e dire: “Cesare è il signore”. I cristiani non potevano fare questo. Bisognava prendere posizione in partenza, proibendo il servizio militare.
In ogni modo, a me sembra che sarebbe andare oltre il contenuto de La Tradizione Apostolica voler dedurre dalle parole citate una radicale alterità del Vangelo ad ogni pratica militare. Se così fosse, non si capisce perché era permesso di rimanere soldato al catecumeno già in servizio; e, inoltre, bisognerebbe qualificare come immorale e antiscritturale qualsiasi modo di cooperare al bene comune con la difesa degli innocenti e la punizione dei malvagi .
2 - Tertulliano (1 60-240)
Avvocato, convertitosi al cristianesimo già adulto, svolse la sua attività di scrittore in difesa della fede tra il 195 e il 220.
I. - L'Apologetico. Tra le opere più rinomate di Tertulliano va ricordato l'Apologetico, scritto in tempo di persecuzione e indirizzato al governatori delle provincie romane come protesta ragionata ed ardente contro le illegalità di cui erano vittima i cristiani. Afferma Tertulliano:                 “I cristiani sono i vostri migliori cittadini”. Riportiamo alcuni brani dai capitoli 37 e 42.
Dal cap. 37. “La pietà, la religione e il lealismo dovuti agli imperatori non consistono tanto in dimostrazioni di ossequio, quanto nella condotta morale che Dio c'impone di tenere verso gli imperatori e verso chiunque (...). Che se volessimo agire non dico da vendicatori nascosti (terroristi), ma da nemici aperti, credete che ci mancherebbe la forza del numero e delle soldatesche?  Siamo di ieri e già riempiamo di noi il mondo intero: le città, le isole, le fortezze, i municipi, i borghi, gli !tessi accampamenti, le tribù, le decurie, la corte, il senato, il foro (...). Non vi abbiamo lasciato che i templi! A quale guerra non si sarebbe votata con tanta prontezza, anche se con forze impari, una gente come noi, che si lascia ammazzare con tanto slancio, qualora nel nostro insegnamento non ci fosse comandato di farsi uccidere e non di uccidere?”.
Dal cap. 42. “Un altro capo di accusa ci viene addebitato: si pretende che noi siamo sterili negli affari. Ma come potremmo esserlo, se viviamo insieme a voi? (...). Coabitiamo con voi in questo mondo servendoci del foro, del mercato, dei bagni, dei negozi (...). Navighiamo anche noi con voi, e con voi pratichiamo la milizia, l'agricoltura, il commercio...”.
Osservazione:
Potrebbe sembrare a prima vista che vi sia una contraddizione tra la testimonianza di Tertulliano e quella de La Tradizione Apostolica. In questa è presa una posizione assai cauta, piuttosto severa e rigorista, a riguardo del servizio militare e di quello civile dei magistrati; in Tertulliano invece è detto esplicitamente che i credenti erano presenti in numero rilevante negli accampamenti, nelle tribù, nelle decurie, a corte, nel foro, e praticavano la milizia come i non cristiani.
In realtà non vi è nessuna contraddizione. Anche Tertulliano, se ammette la presenza dei cristiani nell'esercito e nella magistratura, ci tiene a precisare che essi non sono gente che uccide, ma si lascia piuttosto uccidere per osservare i comandamenti divini. Dunque presenza e partecipazione, ma nei limiti imposti dalla fede, precisamente com'è detto ne La Tradizione Apostolica.
2. - Il De corona. Nell'anno 211, divenuto montanista , Tertulliano scrisse il De corona, dove racconta il caso d'un soldato cristiano che rifiuta la corona di alloro.
“Si stava distribuendo nell'accampamento il dono degli eccellentissimi imperatori, e i soldati, incoronati di alloro, si. facevano avanti. Ne viene chiamato uno, soldato soprattutto di Dio e più costante di tutti gli altri fratelli che avevano creduto di poter servire a due padroni (cf. Mt. 6,24). Lui solo aveva il capo libero, con in mano l'inutile corona (... ). "Perché ti sei vestito diversamente dagli altri?", gli chiese il tribuno. Quello rispose che non gli era consentito comportarsi come gli altri. Gliene domandano il motivo e quello risponde: "Sono cristiano"”.
Osservazione:
Si potrebbe avere l'impressione che Tertulliano sia in contraddizione con se stesso. Mentre infatti nell'Apologetico dice che i cristiani sono presenti ed attivi anche negli accampamenti e nella milizia, nel De corona sembra voglia far capire che vi sia incompatibilità tra servizio militare e fede cristiana.
In realtà non è così. Ridotto al suo contenuto essenziale il gesto del soldato altro non è se non quello di un obiettore di coscienza: egli è convinto che portare la corona sia un atto di idolatria, e va rispettato nella sua convinzione. Ma ciò non toglie che altri possano vedere in quel gesto un atto civile, ossia di rispetto e di onore all'autorità (cf. Romani 13,7; 1 Pietro 2,17) e comportarsi diversamente.
Né va sottovalutato il fatto che quando Tertulliano scrisse il De corona era fuori della Chiesa Cattolica ed imbevuto di idee montaniste; ed è difficile che si possa conservare la verità rivelata nella sua interezza e genuinità fuori della Chiesa Cattolica. Cristo ha costituito la Chiesa “colonna e sostegno della verità” (1 Timoteo 3, 15).
3. - Il De idolatria. Verso lo stesso periodo (nel 211) Tertulliano scrisse pure il De idolatria (-- su l'idolatria), dove al cap. 19 leggiamo quanto segue:
“Può un cristiano entrare nell'esercito? No, perché c'è incompatibilità tra il giuramento divino e il giuramento umano, tra l'insegna di Cristo e quella di satana, tra il campo della luce e quello delle tenebre. Com'è possibile fare la guerra, com'è possibile esser soldato anche soltanto in tempo di guerra senza portare la spada che il Signore ha proibito? E' vero, sì, che alcuni soldati sono andati a trovare Giovanni Battista e hanno ricevuto da lui certe norme (cf. Luca 3,14); ed è vero che un centurione ha creduto (cf. Luca 7,2-5); Atti cap. 10). Ma poi il Signore, disarmando Pietro, ha distrutto tutti i soldati”.
Osservazione:
Si notino le motivazioni addotte da Tertulliano a sostegno della sua tesi: “incompatibilità tra giuramento divino e giuramento umano all'imperatore”; uso della spada proibito dal Signore (caso di Pietro = violenza cf Mat. 26, 52-55); insegna di Cristo (= amore) e insegna di satana (= odio). Tertulliano non dice nulla di diverso da ciò che dice il Vangelo e ripetono fedelmente san Pietro e san Paolo. Egli condanna il servizio militare e l'uso delle armi in un contesto pagano, ma non una cooperazione attiva col potere civile com'è inculcata dalla Bibbia.
3 - Origene (185-253 circa)
Fu un uomo di Chiesa: presbitero, grande teologo, mistico. Passò tutta la vita nello studio della Sacra Scrittura e nella difesa delle verità cristiane contro il paganesimo.
Tra le opere scritte da Origene va ricordato il Contra Celsum (Contro Celso), in cui troviamo alcune testimonianze riguardanti il nostro problema. Celso, scrittore pagano, aveva mosso varie accuse contro i cristiani, tra cui quella di essere ostili alle autorità pubbliche. “Che male c'è - diceva Celso - a cattivarsi il favore delle autorità di questo mondo, dei principi e dei re?” .
 
Scrive Origene:
a) “Uno solo noi dobbiamo conciliarci - Dio - che è al di sopra di tutti (... ). Quanto al favore degli uomini e dei re, noi dobbiamo disprezzarlo non soltanto quando lo si debba procurare con stragi, dissolutezza e crudeli delitti, ma anche quando esiga empietà verso il Dio dell'universo (... ). Quando però non ci si chiede nulla di contrario alla legge e alla parole di Dio, noi non siamo così pazzi da attirarci la collera dei re e dei principi (... ). Infatti, noi leggiamo nella Scrittura: "Ogni persona sia sottomessa alle autorità che sono al potere. Poiché non c'è autorità se non da Dio, e quelle che ci sono attualmente sono stabilite da Dio. Per conseguenza chi resiste all'autorità resi. ste all'ordine stabilito da Dio (Romani 13, 1-2)”.
b) “Celso poi vorrebbe che noi assumessimo cariche nell'esercito per difendere la patria. Sappia che la patria noi la difendiamo, ma non per essere visti dagli uomini e aver una piccola gloria. Di nascosto, nell'intimo della nostra anima, noi innalziamo preghiere a Dio per i nostri concittadini. I cristiani giovano alla patria più degli altri uomini perché essi istruiscono i loro concittadini, ammaestrandoli alla pietà verso Dio”.
osservazioni:
a) Origene accetta appieno la dottrina paolina sull'origine divina dello Stato e la sua funzione voluta da Dio, che comporta anche l'uso della spada per la giusta condanna di chi opera il male (cf. Romani 13,1-7). I cristiani, comunque, non devono prestarsi al gioco politico di uomini ambiziosi, che quasi sempre è causa di stragi e delitti e anche di empietà verso Dio.
b) Di conseguenza i cristiani sono contrari alla guerra e alla sua preparazione (carriera militare, armamenti ecc.), quando essa ha come movente recondito o palese l'ambizione personale o nazionale o imperiale a danno di popoli più deboli e innocenti.
La coscienza cristiana ha sempre come norma di vita il comando divino di Non ammazzare.
Ma vi è di più. I cristiani sono impegnati sempre per la pace sia pregando quando la follia umana dovesse scatenare una guerra, sia educando gli uomini alla pace nell'amore di Dio e del prossimo (cf. 1 Tirnoteo 2,1-2).
4 - Atti dei Martiri
I. - Il martirio del soldato Marino (anno 262 a Cesarea).
“Quando ancora la pace era generale in tutte le chiese, in Cesarca di Palestina, Marino, ufficiale dell'esercito fu decapitato perché aveva confessato Cristo. Ed ecco come.
Era vacante un posto di centurione, e Marino, in seguito a promozioni, doveva ottenerlo; stava per essergli consegnata la verga di vite, che è l'insegna onorifica dei centurioni romani, quando un rivale si presenta davanti al tribunale e dichiara che Marino non può accedere alle dignità romane, a norma delle antiche leggi, perché è cristiano e rifiuta di sacrificare agli imperatori. L'avanzamento, diceva l'accusatore, toccava dunque a lui di pieno diritto.
Il giudice, un certo Acheo, infastidito di quest'affare, domanda allora a Marino qual'è la sua religione, questi confessa a gran voce e senza tergiversare che è cristiano. Il giudice gli dà allora tre ore per riflettere.
Uscendo dal tribunale, Marino incontra Teotecno, il vescovo del luogo, che lo ferma; s'intrattiene a lungo con lui, poi prendendolo per mano, lo conduce in chiesa. Entrano, il vescovo lo porta ai piedi dell'altare e qui solleva il mantello dell'ufficiale indicandogli la spada appesa al fianco; gli presenta nello stesso tempo il libro del santo vangelo e gli chiede di scegliere. Senza esitazione Marino stende la mano e prende il libro divino. -"Sii dunque di Dio - gli dice il vescovo - sii con Dio e, forte nella grazia, consegui ciò che hai scelto. Va in pace".
Marino esce dalla chiesa e se ne ritorna in tribunale; già il banditore, davanti alla porta del tribunale, lo chiama a comparire. Il termine è trascorso. Si presenta davanti al giudice e proclama la sua fede con ardore ancora più grande: Immediatamente lo trascinano al supplizio e muore martire”.
Osservazione. Marino era un ufficiale dell'esercito con buona pace di tutti, anche della sua coscienza di cristiano. Avrebbe accettato pure il posto di centurione con la riserva certamente di non fare ciò che la sua fede gli proibiva (p.e. sacrificare agli imperatori). Il suo rivale sfrutta ambiziosamente la situazione. Posto davanti alla scelta, Marino preferisce la morte piuttosto che impegnarsi anche lontanamente a dare a Cesare ciò che è di Dio.
Dal comportamento di questo martire non è possibile dedurre una radicale alterità tra vangelo e servizio militare.
2. - Il martirio di Massimiliano (anno 295 vicino Cartagine).
“Il proconsole Dione disse al coscritto: "Come ti chiami?"..
Massimiliano: "Perché vuoi sapere il mio nome? Non mi è dato di servire: io sono cristiano".
Il proconsole: "Mettetelo alla misura". Mentre lo misuravano, Massimiliano disse: "lo non posso servire, non posso fare il male, sono cristiano".
Il proconsole: "Chi ti ha messo queste idee in testa?". Massimiliano: "La mia coscienza e Colui che mi ha chiamato".
Il proconsole: "Fa il soldato e accetta la palla di piombo in segno di arruolamento".
Massimiliano: "Non so che farmene del vostro segno; io porto già il segno di Cristo, mio Dio".
Il proconsole: "Ti mando subito a raggiungere il tuo Cristo".
Massimiliano: "E' propria quel che desidero; sarà la mia gloria".
Il proconsole: "Sii soldato e accetta il distintivo, altrimenti morrai miseramente".
Massimiliano: "lo non morrò, il mio nome è già scritto presso il mio Dio. lo non posso essere soldato".
Il proconsole: "Nella guardia di onore dei nostri signori Diocleziano e Massimiliano, Costanzo e Massimo, ci sono dei soldati cristiani che prestano servizio".
Massimiliano. "E' affar loro. lo sono cristiano e non posso fare del male".
Il proconsole: "Quelli che prestano servizio che male fanno?".
Massimiliano:  "Tu sai bene quello che fanno".
Il proconsole: "Sii soldato! Se disprezzi il servizio militare, morirai".
Massimiliano:  "lo non morrò, e se lascio questo mondo, la mia anima vivrà con Cristo, mio Signore".
Il proconsole: "Si cancelli il suo nome".
Appena cancellato il nome, il proconsole disse- "Atteso che per spirito d'indisciplina tu hai rifiutato di servire nell'esercito, sarai colpito dalla sentenza legale. Ciò servirà d'esempio!". E lesse sulla tavoletta la condanna: "Massimiliano per indisciplina ha rifiutato il giuramento militare. E' perciò condannato a morire di spada".
Massimiliano: "Deo gratias!".
 
Osservazione:
Il caso di Massimiliano è analogo a quello del martire Marino. Il rifiuto di fare il soldato è motivato dalla convinzione che servire nell'esercito equivaleva a fare del male. Su questa base Massimiliano rifiuta il giuramento e questo suo rifiuto è motivo della condanna. Come Marino egli fu un obiettore di coscienza.
Il suo comportamento coraggioso non contraddice al fatto che altri cristiani servivano nella guardia d'onore degli imperatori. Possiamo legittimamente supporre che questi soldati avessero la coscienza di poter dare a Cesare quel che è di Cesare e che fossero pronti di dare a Dio ciò che è di Dio, qualora il servizio di Cesare li avesse posti in questa alternativa.
Neppure dalla testimonianza di Massimiliano si può dedurre una radicale incompatibilità tra Vangelo e servizio militare.
Conclusione
Alla fine della nostra rassegna criticamente documentata appare chiaro quanto sia superficiale e fazioso il giudizio dei tdG su l'atteggiamento dei primi cristiani sia rispetto al servizio militare sia verso le cerimonie patriottiche. In base a poche monche citazioni prese da alcuni manuali di storia, i geovisti vorrebbero - contro la verità storica - attribuire ai primi cristiani la neutralità ad oltranza, che essi impongono ai loro seguaci . La storia debitamente letta non dice questo. “Accertatevi di ogni cosa” come insegna l'apostolo (1 Tessalonicesi 5, 21).
 
PARTE TERZA
LUCI ED OMBRE
Non più la guerra
I. - Dalle testimonianze finora riportate emerge come nota dominante il comando divino di Non ammazzare. Esso è alla base di tutte le contestazioni degli antichi scrittori e martiri cristiani.
Di conseguenza, alla luce dei documenti citati sia biblici che dagli scrittori dei primi secoli, bisogna dire che l'uso delle armi nella guerra deve dirsi anti-cristiano e immorale. In guerra ogni soldato è potenzialmente e di fatto un omicida, mentre la via, anche quella del nemico, è sacra. Sarebbe impossibile non violare il comando divino: Non ammazzare. Il cristiano autentico deve rifiutarsi dì disubbidere a Dio in un punto di capitale importanza. “Bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini” (Atti 5, 29).
2. - Questo rifiuto radicale urge ancora di più la coscienza cristiana nella esacranda prospettiva d'una guerra atomica. L'uso delle armi nucleari è sempre anticristiano e intrinsicamente illecito.
Sia la nazione che attacca sia quella attaccata sarebbero ridotte in pochi secondi a un cumulo di rovine, col prezzo di decine e anche di centinaia di milioni di vite umane. una nuova, incomparabilmente più grande strage degli innocenti!
3. - Per le stesse ragioni, anche la preparazione della guerra e delle armi nucleari deve essere contestata dal cristiano. Una qualsiasi cooperazione sia nel preparare le armi atomiche sia nell'addestramento ad usarle sarebbe una violazione indiretta, ma positiva e reale, del comando divino: Non ammazzare. L'atteggiamento del cristiano in simili circostanze comporta una scelta eroica, forse fino al martirio, non diversa da quella dei cristiani dei primi secoli. Dio può esigere anche questa per il trionfo del suo Regno di pace.
Vogliamo anche aggiungere che i tributi allo Stato non sarebbero conciliaboli con la coscienza cristiana qualora il discepolo di Cristo fosse certo che il potere costituito usasse del pubblico danaro per la fabbricazione di armi micidiali in vista di una guerra atomica.
La parola d'ordine del cristiano deve essere sempre quella gridata ai capi degli Stati e a tutta l'umanità dal grande Pontefice Paolo VI: Non più la guerra!".
Se vuoi la pace, prepara la pace
La pace, comunque, è un dono di Dio affidato agli uomini. Questo vuol dire che i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà devono lavorare per preservare la pace. Si tratta di respingere qualsiasi atteggiamento ideologico e pratico che inculca le divisioni tra gli uomini. Ogni fanatismo politico o religioso darà frutti di guerra non di pace a breve o a lunga scadenza. Quando domina la menzogna, la denigrazione, il settarismo cieco ed arrogante ed è negata per principio la possibilità di dialogare, non si lavora per la pace, ma per la guerra".
La pace è frutto della carità e della libertà. La guerra sarà scongiurata definitivamente quando l'uomo vedrà in ogni uomo un suo fratello, e non già un nemico da distruggere, sia pure con immaginarie legioni di eserciti celesti. Dio sì serve delle forze angeliche per sconfiggere il male - di cui satana è l'istigatore - non le creature umane che Egli ama e vuol tutte salve (cf. 1 Timoteo 2, 4).
In difesa della pace
Con perfetta e costante fedeltà al Vangelo i papi di questo secolo si sono adoperati per la promozione e la difesa della pace.
I. - San Pio X fu la prima vittima della Prima Guerra mondiale, stroncato dall'angoscia perché le sue parole e le sue istanze presso i responsabili dei vari Stati non erano state debitamente ascoltate. Sono sue le famose parole.- Io benedico la pace, non la guerra!
2. - Gran parte dell'opera di Benedetto XV fu rivolta a far cessare la guerra, definita da lui “una follia universale”, “un vero e proprio suicidio”, “una inutile strage”. La sua più grande pena fu il fatto che non lo si volle ascoltare e che, anzi, la sua opera per la pace fu interpretata come un parteggiare per l'uno o per l'altro contendente.
3. - Pio XI, sentendo avvicinarsi il turbine di una seconda guerra mondiale, offri a Dio la sua vita per la pace, condannando i fautori della guerra con la preghiera del Salmo 67,31. Disse il papa: “Se qualcuno osasse commettere questo nefando delitto (di scatenare la guerra), allora non potremmo fare a meno di rivolgere nuovamente a Dio con animo amareggiato la preghiera: Disperdi i popoli che vogliono la guerra”.
4. - Sono noti gli immensi sforzi compiuti da Pio XII, dapprima per impedire lo scoppio della seconda  guerra mondiale e poi per alleviarne le rovine e le sofferenze. Papa Pacelli ammoniva governanti e popoli:
“E' con la forza della ragione, non con quella delle armi che la giustizia si fa strada ( ... ). Imminente è il pericolo, ma si è ancora in tempo. Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Ritornino a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo.
5. - Di Giovanni XXIII, autore dell'enciclica Pacem in terris, vogliamo ricordare l'intervento presso Kennedy e Krusciov, che scongiurò il pericolo d'una guerra atomica.
In un solenne messaggio al mondo il 25 ottobre 1962 papa Roncalli disse:
“Alla Chiesa sta a cuore più d'ogni altra cosa la pace e la fraternità tra gli uomini; ed essa opera senza stancarsi mai, a consolidare questi beni. A questo proposito, abbiamo ricordato i gravi doveri di coloro che portano la responsabilità del potere (... ). Con la mano sulla coscienza, ascoltino il grido angoscioso che da tutti i punti della terra sale verso il cielo. Pace, pace! Oggi noi rinnoviamo questo accorato appello; e supplichiamo i capi di non essere insensibili a questo grido dell'umanità. Facciano tutto ciò che è in loro potere per salvare la pace”.
6. - L'opera di Paolo VI per la pace è stata continua ed intensa. Tra i molti interventi per la pace va ricordato il discorso all'ONU (4 ottobre 1965), in cui, facendosi interprete del mondo intero, lanciò il grido.- “Non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei popoli e dell'intera umanità”.
Fu Paolo VI a istituire La Giornata della Pace (10 gennaio) per ricordare a tutti gli uomini, all'inizio d'ogni anno, il dovere di lavorare per costruire la pace. Alla sua morte (6 agosto 1978) un coro unanime si levò da ogni parte della terra per riconoscere in lui il Papa della pace. Unica eccezione i testimoni di Geova, che due mesi prima, in una caricatura menzognera e volgare, marchio evidente della loro malignità, raffigurarono Papa Montini in atto di benedire la guerra".
7. - Giovanni Paolo Il continua con lo stesso zelo la missione dei suoi predecessori in difesa della pace. In tutti i suoi discorsi, nota dominante è l'invito accorato di lavorare per la pace nel pieno rispetto delle libertà e dei diritti degli altri. Mai papa Wojtyla ha detto una sola parola a favore della insurrezione o reazione armata, sempre per scongiurare e condannare l'una e l'altra.
Tra i suoi innumerevoli interventi a favore della pace ricordiamo solo l'appello fatto il 25 febbraio 1981 da Hiroshina a tutto il mondo, in nome della vita, dell'umanità, del futuro:
“Ai capi di Stato e di Governo, a coloro che detengono il potere politico ed economico, io dico: impegniamoci per la pace e la giustizia; prendiamo una solenne decisione, ora: che la guerra non venga più tollerata e vista come mezzo per risolvere le divergenze (... ). Ai giovani di tutto il mondo dico: creiamo insieme un nuovo futuro di fraternità e solidarietà”.
Servizio militare
Su questa base di guerra alla guerra ha ancora senso per il cristiano parlare di servizio militare?
I. - Coerentemente a quanto è stato detto e documentato finora, la coscienza cristiana non può approvare il servizio militare inteso come scuola di militarismo, vale a dire come addestramento alla guerra, specie atomica; oppure per la violenta repressione dei cittadini a vantaggio dell'ambizione di persone senza scrupoli o degli interessi egoistici di gruppi accecati da ideologie materialiste o capitaliste e di názionalismi fanatici; oppure per il violento rovesciamento di autorità superiori.
2. - La Bibbia tuttavia non giustifica l'affermazione secondo cui vi sarebbe una radicale incompatibilità tra uso della spada e professione di fede cristiana. Vale qui l'insegnamento di san Paolo esaminato nella Parte Prima. L'Apostolo precisa che lo scopo dell'uso della spada è la difesa dei buoni contro i malvagi. L'autorità superiore è ministra di Dio ed esecutrice della sua volontà nel punire chi opera il male.
E' implicito nell'insegnamento paolino che durante il tempo presente, prima cioè del ritorno del Signore, vi possono essere perturbatorí della pace, “uomini egoisti, vanitosi, orgogliosi ( ... ), senz'amo- re (... ) I  nemici del bene (... ), con la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegata la forza interiore (... ). Al loro numero appartengono certi tali che entrano nelle case e accalappiano donnicciole cariche di peccati, mosse da passioni di ogni genere, che stanno sempre lì ad imparare, senza riuscire mai a giungere alla conoscenza della verità” (2 Timoteo 3,1-7).
Per difendere i buoni contro costoro l'autorità costituita può portare e usare la spada. Non è detto che debba uccidere, ma tale uso deve essere certamente un mezzo adatto a garantire la convivenza pacifica e, nei casi-limite, neutralizzare i colpevoli.
3. - In questa prospettiva il servizio militare diventa una scuola di servizio civile e cristiano a bene del prossimo: scuola ed esercizio di autentico amore degli uomini.
Diciamo ancora una volta che lo Stato ha il diritto-dovere di garantire la pace e la giustizia nella comunità, e di addestrare convenientemente coloro i quali siano gli immediati garanti e tutori. D'altra parte i cittadini hanno il diritto di essere difesi convenientemente nelle loro vite e nei loro legittimi interessi, e il dovere di cooperare 'materialmente e moralmente'al servizio reso dallo Stato per la tutela dell'ordine pubblico. i tutori dell'ordine possono essere chiamati “funzionari di Dio” (cf. Romani 13,6).
4. - Non esitiamo aggiungere che i tutori dell'ordine, compiendo il loro dovere con spirito evangelico, sono discepoli di Cristo di avanguardia, perché mettono in pratica il comandamento dell'amore del prossimo più di tanti altri cristiani. In effetti, espongono quotidianamente la loro vita a pericoli anche mortali e non di rado pagano di persona per salvare la vita degli altri: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Giovanni 15, 13; cf. 1 Giovanni 3,16).
Viene spontaneo domandasi se sia più fedele alla Bibbia il testimone di Geova, obiettore di coscienza ad oltranza, che preferisce starsene, per pochi mesi, al sicuro in una confortevole prigione, oppure il giovane militare e il tutore dell'ordine, che espongono quotidianamente la loro vita sulle piazze e lungo le strade per difendere quella degli altri!
Legittima difesa
Può darsi il caso che i tutori dell'ordine vengano a trovarsi nella incresciosa situazione di dover difendere i cittadini della propria nazione contro quelli di un'altra comunità nazionale. Che cosa fare in questa deprecatile eventualità?
l. - Ricordiamo anzitutto quanto già è stato detto, vale a dire che nella prospettiva, cristiana il concetto di una umanità divisa ideologicamente e anche geograficamente da frontiere, che siano causa di sanguinosi conflitti, non ha diritto di cittadinanza. Gesù Cristo ha rotto ogni barriera e di ciò che era diviso ha fatto un'unità (cf. Efesini 2,14; Galati 3,28 ecc.). Coloro che sono veramente cristiani devono considerare tutti i popoli della terra come un solo popolo ed impegnarsi affinché di fatto ogni barriera sia superata nel rispetto reciproco e nella salvaguardia dei diritti fondamentali dell'uomo.
2. - In questa prospettiva e nell'impegno di tutti di vedere in ogni uomo un proprio fratello, non ha più senso parlare ancora di “guerra giusta”. Può darsi solo che si dia il caso di una legittima difesa comunitaria nel senso che, qualora una comunità politica o nazione si rendesse colpevole verso un'altra, le autorità superiori e i tutori dell'ordine hanno il diritto-dovere d'intervenire per la difesa dei buoni contro i malvagi. Si applicherebbe su scala internazionale il principio paolino secondo cui Dio ha dato ai pubblici poteri l'uso della spada per la giusta condanna di chi opera il male (cf. .Romani 13, 4).
3. - Su questa base biblica la morale cattolica ha precisato i limiti di una legittima difesa mediante l'uso delle armi. Ecco alcune condizioni che devono regolare una eventuale e sempre deprecabile azione bellica di legittima difesa:
a) Vi deve essere un'aggressione violenta fisica in atto. In altre parole, la comunità politica contro cui un'altra legittimamente si difende deve essere passata all'attacco dopo il rifiuto di ogni tentativo di soluzione pacifica.
b) La comunità politica attaccata deve fare lo stretto necessario per impedire il danno fisico incombente. Ciò comporta che non deve considerare il popolo che attacca come un nemico da distruggere indiscriminatamente, ma solo come un colpevole da disarmare e punire. Va perciò escluso ogni atteggiamento vendicativo in chi legittimamente si difende, che porta a rappresaglie e a un male maggiore del bene che si vuol difendere. Anche la legittima difesa deve essere una via a ristabilire la pace, e non a una maggiore divisione tra i popoli.
c) Solo le autorità superiori hanno il diritto-dovere di ricorrere alla legittima difesa mediante l'uso delle armi e vigilare che durante l'azione bellica non siano superati i limiti entro cui i cristiani possono ricorrere all'uso della spada prospettato dall'Apostolo (Romani 13,4).
Si obietta: La Bibbia condanna qualsiasi difesa violenta e comanda di non resistere al malvagio (cf . Matteo 5, 39; Romani 12, 19-2 1).
Si risponde:
Neì testi citati da san Matteo e da san Paolo non si tratta della non-resistenza al male in genere, ma di quella personale. Infatti, se l'offesa è personale, il vero discepolo di Cristo imiterà il suo Maestro che “oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendette, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia” (1 Pietro 2,23). E' il caso dei martiri.
Ma se l'offesa è a danno delle comunità, Dio vuole che le autorità superiori tutelino i buoni contro i malvagi anche con l'uso della spada com'è stato spiegato precedentemente.
Il cappellano militare
I. - Il servizio militare, perché sia conforme ai principi cristiani, deve essere una scuola di pace, non di guerra: deve formare “funzionari di Dio”, che tutelano con coraggio la pacifica convivenza sociale. Un contributo determinante alla loro formazione e al loro servizio è dato dai cappellani militari .
Molti giovani incontrano il ministro di Dio per la prima volta durante il servizio militare. Spesso è un incontro determinante per la loro fede e la loro formazione cristiana, e di  conseguenza per il loro servizio veramente cristiano a tutto vantaggio della comunità civile. Coloro poi che scelgono il servizio militare, nelle sue diverse specializzazioni, come professione, trovano nel cappellano una guida per la loro maturità cristiana e un consigliere fidato per la soluzione di delicati casi di coscienza, sempre per il bene e la sicurezza dei cittadini a livello nazionale e internazionale.
“Avete indubbiamente una grande responsabilità perché la Chiesa, le singole famiglie, i superiori e i giovani stessi hanno fiducia in voi, e da voi attendono luce, guida, fortezza spirituale e un saldo punto di riferimento (...). Siate lieti di servire Cristo e l'umanità come cappellani militari, imitando Gesù che ricolmò di grazie e di amicizia anche il centurione romano (...). Fate conoscere ed amare Gesù Cristo, fate comprendere la prospettiva  eterna  e  responsabile  della  vita umana (...). Siate gli angeli visibili per i giovani a voi affidati. Con voi Cristo è vicino ai giovani militari”.
2. - Questa è la missione dei cappellani militari: formare “i funzionari di Dio” a un autentico impegno cristiano per il bene del prossimo nelle linee avanzate del pericolo e del coraggio. La preghiera e le altre pratiche di pietà che essi promuovono, mirano solo a far nutrire sentimenti di pace e di generosità, non di odio e di crudeltà.
Stando così le cose, i tdG che accusano i cappellani militari - e in loro la Chiesa Cattolica - di essere fautori di guerra, di benedire le armi per la guerra, di far pregare per la guerra..., dicono e ripetono settariamente una grossa menzogna, una infame calunnia. I cappellani militari' non sono fautori di guerra, ma di pace come lo è la Chiesa Cattolica; non benedicono le armi perché siano strumento di guerra, ma una efficace tutela della pace; non pregano né fanno pregare per la guerra, ma per la pace, come fa tutta la Chiesa. I cappellani militari educano cristianamente ed assistono spiritualmente "i funzionari di Dio" perché sia preservata la pace e prevalga il bene contro ogni malvagità.
Obiettori di coscienza
Si pone ora la domanda: in una società strutturata secondo i principi cristiani, ossia in modo conforme agli insegnamenti della Bibbia, vi è posto per gli obbiettori di coscienza?
Distinguiamo due casi.
I. - Vi sono obiettori di coscienza contrari all'uso delle armi, ma disposti a servire lo Stato, cioè la comunità, in una delle tante forme alternative oggi giuridicamente riconosciute e spesso utili anzi necessarie alla tutela dei cittadini. Non di rado tali forme alternative o di servizio civile comportano sacrifici gravi e anche rischi per la propria vita.
La Bibbia non condanna tali obiettori di coscienza perché essi non rifiutano la debita sottomissione alle autorità costituite e con la loro scelta alternativa, che la legge ammette, concorrono efficacemente al bene comune, specie in tempi di emergenza (terremoti, alluvioni, epidemie ecc.). La Chiesa Cattolica, mediante la voce del Concilio Vaticano II, ha rivolto un encomio a coloro che rinunciano all'uso della forza. Bisogna tuttavia tener presente che ha pure aggiunto che da tale rinuncia non deve derivare alcun danno per gli altri e per la comunità.
Si suppone, comunque, che tale obiezione di coscienza sia realmente fondata su una sincera convinzione e non già su una posizione di comodo, che sfugge il pericolo e le responsabilità".
2. - Il secondo caso riguarda coloro i quali non solo rifiutano i servizio militare e ogni addestramento nella  norma sono contrari a qualsiasi alternativa nei vari rami del servizio civile. Essi considerano lo Stato come una potenza satanica. Chiudendosi in un settarismo utopistico, aspettano che un dio guerriero (Geova) disponga fatalmente delle cose di questa terra fino al giorno in cui, mediante legioni di esseri celesti e con l'ausilio di truppe terrestri (quali?), sotto la guida del fedel maresciallo Gesù Cristo, distrugga i malvagi e salvi i buoni (= solo i membri della setta).
Tali obiettori di coscienza sono palesernente contro la Bibbia. Lo Stato non è una potenza satanica, ma un'istituzione voluta da Dio. I discepoli di Cristo devono dare a Cesare quel che è di Cesare, vale a dire una cooperazione attiva e conveniente affinché le autorità superiori conseguano lo scopo che Dio ha loro assegnato, ossia la tutela dei buoni e la punizione dei malvagi. “Quelli che si oppongono all'autorìtà, si oppongono all'ordine stabilito da Dio” (Romani 13,2).
Errori e verità
I. - L'errore: In Giovanni 17,16 Gesù dice che i suoi discepoli non sono parte del mondo come lui (Gesù) non è parte del mondo.
La verità:
a) L'errore geovista consiste nell'uso parziale e perciò errato, che i tdG fanno della Bibbia. La verità si evidenze facendo notare che nella Sacra Scrittura la parola mondo (kosmos) ha più di un significato, come spiegano bene i dizionari biblici. Mondo significa anzitutto l'insieme delle realtà create, e poiché l'uomo è la creatura per eccellenza, mondo equivale a realtà umana, ossia all'insieme dei popoli o degli uomini. In questo senso mondo è una cosa buona (cf. Genesi 1,31).
Secondariamente mondo indica l'umanità in ribellione contro Dio, ossia l'insieme della realtà umana in quanto macchiata dal peccato. Dio vuol salvare questa realtà umana ed ha mandato perciò il proprio Figlio (cf. Giovanni 3,16; 6,51). Gesù a sua volta ha mandato nel mondo i suoi fedeli discepoli (cf. Giovanni 17,18) perché siano strumento di salvezza di tutte le realtà create, specialmente dell'uomo.
b) Questa legittima e doverosa precisazione fa capire bene il pensiero di Gesù, di cui abusano i tdG. Dicendo che i suoi fedeli discepoli non sono parte del mondo, Gesù intende solo dire che essi devono tenersi lontano dal peccato, dalla ribellione contro Dio: “Non chiedo che tu tolga al mondo, ma che li custodisca dal maligno” (Giovanni 17, 15). Egli non vuole affatto dire che debbano estraniarsi dalle realtà create, specie da quelle umane, anche se macchiate dal peccato. Al contrario, Gesù comanda ai suoi fedeli discepoli di essere “la luce del mondo  (Matteo 5, 14). Tutto infatti appartiene al cristiano: “il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro!” (! Corinzi 3, 22).
2. - L'errore: Gesù disse al governatore romano: “Il mio regno non fa parte di questo mondo. Se il mio regno facesse parte di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei. Ma ora il mio regno non è di qui”. - Giov. 18:36 39.
La verità:
a) L'equivoco o inganno dei geovisti è la confusione che essi fanno tra Regno di Dio e autorità costituite da Dio per il bene degli uomini (cf. Romani 13,1-4). Il Regno di Dio, che Cristo ha acquistato col suo sangue (cf. Atti 20,28), corrisponde alla comunità dei credenti cioè alla Chìesa. In quanto tale esso non fa parte di questo mondo cioè del mondo del peccato. Il Regno di Dio si costruisce e si conserva solo con l'amore e l'offerta a Dio di se stessi. Così ha fatto Gesù.
b) Ma ciò non toglie che durante la fase terrena della Chiesa Dio voglia che ci sia un ordine politico e sociale (cf. Romani 13,1-7). I discepoli di Cristo fanno parte di quest'ordine e devono contribuire col loro impegno affinché le autorità costituite raggiungano lo scopo per cui Dio le ha volute e le vuole. Venir meno a questo impegno nel modo spiegato precedentemente equivale a violare la volontà di Dio: “Chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio” (Romani 13,2).
c) Si noti infine che mentre i tdG da una parte ci dicono che il Regno di Cristo non è di questo mondo, dall'altra ripetono fino alla noia che il loro Cristo ha preso possesso del regno di questo mondo fin dal 1914. Fra poco distruggerà con le armi i nemici che ancora si oppongono a questo regno. Centinaia di milioni vi lasceranno la pelle! .
            3. - L'errore: Giacomo 4,4 “Adultere, non sapete che amicizia      mondo è inimicizia con Dio? Chi perciò vuol essere amico del mondo si costituisce nemica di Dio”. E  Giovanni 5.19 dice: “tutto il mondo giace nella potenza dei maligno”. In Giovanni 14:30, Gesù chiamò Satana “il governatore di questo mondo”.
La verità:
a) In Giacomo 4, 4 la parola “mondo - ha il significato negativo di umanità ribelle a Dio, che vive di passione, cupidigia, litigi, guerre. San Giacomo condanna l'amicizia di tale mondo. In tutta la Lettera di Giacomo non c'è una sola parola da cui risulti che egli condanni l'uso delle realtà create, cioè del mondo in quanto creazione di Dio. La Bibbia dice che tutto ciò che Dio ha creato “è cosa molto buona - (Genesi 1, 3 1). Anche l'ordine politico-sociale è voluto, cioè creato da Dio. Non è perciò degno di condanna.
b) Identico significato ha la parola “mondo” in 1 Giovanni 5, 19. Il mondo qui designa gli uomini che non credono e tutti coloro i quali, malgrado un'apparente professione di fede, sono vittime delle passioni, ossia si trovano sotto la potenza di satana.
c) In Giovanni 14, 30 il diavolo è detto “il governatore di questo mondo” non nel senso di autorità costituite da Dio per la giusta condanna di chi opera il male (cf. Romani 13,1-4). Satana non ha alcun potere di governare gli uomini, ma l'usurpa mediante l'inganno, la menzogna, la cupidigia, l'ambizione. Tutti coloro che si servono di questi mezzi per raggiungere il loro scopo sono ministri di satana.
4. - L'errore: Luca 6: 27, 28: “A voi che ascoltate (io, Gesù Cristo), dico: Continuate ad amare i vostri nemici, a fare il bene a quelli che vi odiano, a benedire a quelli che vi maledicono, a pregare per quelli che vi recano ingiuria”.
a) I fedeli discepoli di Gesù Cristo, che, come insegna san Paolo" in qualità di autorità costituite da Dio nel campo politico-sociale, servono la comunità, mostrano di amare tutti, anche i loro nemici, e non odiare nessuno. E anche in caso di uso delle armi, lo scopo è la difesa dei buoni e la punizione dei cattivi, non l'odio.
b) I tdG di Geova, che pur si vantano di essere fede li discepoli di Cristo, predicano l'odio verso chiunque non è dei loro, specialmente verso quelli che dopo un'amara esperienza in mezzo a loro, hanno trovato la libertà e il vero amore. Essi insegnano che sarebbe volontà di Dio, cioè di Geova, non amare tutto e tutti.