PADRE NICOLA TORNESE
PICCOLA COLLANA
"I TESTIMONI DI GEOVA"
 
 
Uomini di serie B Vivi o morti? Geova chi era costui? E' prossima la fine.. E voi chi dite che...
Bibbia sangue e medicina La croce E  le croci La Madonna contestata Trinità Amore o falsità? Pietro e la Pietra
Bibbie a confronto Immagini e Santi Il Natale festa pagana... Regno di Dio o... .? Appello a Cesare
Battesimi e Battesimo Inferno La Cena del Signore Purgatorio Paradiso
Con quale autorità? Risurrezzione La Crocifissione   INDEX
 
PURGATORIO
 
 
OPUSCOLO   N° 19
PICCOLA COLLANA
 
 
"I TESTIMONI DI GEOVA"
 
 
 
 
 
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Padre Nicola Tornese
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PARTE PRIMA
LA DOTTRINA CATTOLICA SUL PURGATORIO
La Chiesa Cattolica ha sempre creduto e crede nell'esistenza del purgatorio ed ha ripetutamente confermato questa dottrina con dichiarazioni esplicite nel presente e nel passato, specie in tempi di contestazione. Tuttavia la stessa Chiesa ha fatto e fa di tutto affinché questa verità sia capita nel suo esatto significato contro eventuali abusi in teoria e pratica di gente scriteriata.
Cominciando dai tempi a noi più vicini, vogliamo ricordare i principali documenti del Magistero cattolico sulla esistenza e sulla natura del purgatorio.
Epoca contemporanea
1 - Papa Paolo VI, nella Professione di Fede formulata in occasione dell'Anno della Fede (1967 - 1968), celebrato nel mondo cattolico per commemorare il decimonono centenario del martirio dei santi Apostoli Pietro e Paolo, ha detto:
“Crediamo che le anime di tutti coloro che muoiono nella grazia di Dio - sia quelle che devono essere ancora purificate col fuoco del Purgatorio, sia quelle che, come il buon ladrone, sono ricevute in Paradiso da Gesù subito dopo di essersi separate dal corpo - costituiscono il Popolo di Dio dopo la morte”.
 
2 - Appena tre anni prima, vale a dire nel novembre 1964, lo stesso Paolo VI coi Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II, avevano promulgata la Costituzione Dogmatica sulla Chiesa (Lumen  Gentium), che contiene chiari ed espliciti riferimenti al purgatorio.
a)   Nel n. 49, trattando dei tre stadi o condizioni in cui i credenti in Cristo possono trovarsi, il Concilio dice:
“Fino a che il Signore non verrà nella gloria e tutti gli angeli con lui (cf. Matteo 25, 31) e, distrutta la morte, non gli saranno sottomesse tutte le cose (cf. 1 Corinzi 15, 26-27), alcuni dei suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri passati da questa vita, stanno purificandosi, e altri godono della gloria”.
b) Nel paragrafo o numero seguente (n. 50) lo stesso Concilio ricorda ed approva l'antichissima usanza dei fedeli di pregare per i defunti:
“La Chiesa dei viatori riconoscendo benissimo questa comunione di tutto il Corpo Mistico di Gesù Cristo, fin dai primi tempi della religione cristiana coltivò con grande pietà la memoria dei defunti perché siano assolti dai peccati (cf. 2 Maccabei 12, 46), e ha offerto per loro anche suffragi”.
c) Finalmente la stessa Costituzione (n. 51) ricorda ed esorta:
“Questa veneranda fede dei nostri maggiori circa il vitale consorzio con i fratelli che sono nella gloria celeste o ancora dopo la morte stanno purificandosi, questo Sacrosanto Concilio la riceve con pietà e nuovamente propone i decreti dei Sacri Concili Niceno II, Fiorentino e Tridentine. E insieme, con pastorale sollecitudine esorta tutti quelli a cui spetta, perché, se si fossero infiltrati qua e là, abusi, eccessi o difetti, si adoperino per toglierli o correggerli e tutto ristabiliscano per una più piena lode di Cristo e di Dio”.
Osservazioni:
a) I documenti del Magistero cattolico finora citati e quelli che citeremo in seguito si basano su singoli testi biblici, che saranno spiegati nella seconda parte di questo opuscolo. Tuttavia ci piace far notare fin d'ora che la dottrina cattolica del purgatorio è vista ed inserita in quella più vasta della Chiesa come Popolo di Dio (Paolo VI) e Corpo Mistico di Cristo (Vaticano II). La fede cattolica basata sulla Bibbia insegna che vi è continuità tra la vita presente e quella dopo la morte. Vivi e morti sono cittadini della “Città Santa”, che scende dal cielo (cf. Apocalisse 21, 2) e al Cielo ritornerà (cf. Apocalisse 22, 17). Tra i cittadini della Gerusalemme celeste e quelli della Gerusalemme terrestre vi è uno scambio di beni e di aiuti, che si chiama “comunione dei santi” (cf. 1 Corinzi 12, 12-26). Vedi infra p. 28.
b) In effetti, questo stato di cose durerà fino alla seconda venuta del Signore, vale a dire per     tutto il tempo della storia umana, che nell'ottica cristiana si chiama “tempo della Chiesa”.Dopo che tutte le potenze del male saranno sottomesse “cf. 1 Corinzi 15, 25-28), vi sarà solo la Chiesa celeste o Regno di Dio nella sua fase definitiva ed eterna. E i figli di Dio “regneranno nei secoli dei secoli” (Apocalisse 22, 5). Anche il purgatorio sarà tra le cose passate.
Tempo della Riforma
Nella grande crisi della cristianità, che ebbe come principale protagonista Martin Lutero (1483 - 1546), la Chiesa Cattolica al Concilio di Trento riaffermò la sua dottrina sul purgatorio negata dai riformatori.
a) Ribadì anzitutto la dottrina della soddisfazione secondo cui, dopo ricevuto il perdono dei peccati e la grazia della giustificazione che rimette la pena eterna, rimane sempre il reato di pena temporale, che deve essere riparato mediante opere soddisfattorie o in questa vita o nel in purgatorio per poter essere ammessi alla gioia piena dei beati.
b) In modo specifico e diretto il Tridentino confermò la fede nell'esistenza del purgatorio nei termini seguenti:
“La Chiesa Cattolica, ammaestrata dallo Spirito Santo per mezzo della Sacra Scrittura e attraverso l'antica tradizione dei Padri, ha insegnato nei sacri Concili, e, recentemente in questo Sinodo ecumenico, che esiste il purgatorio e che le anime in esso trattenute vengono aiutate dai suffragi dei fedeli, e specialmente dal Sacrificio dell'altare (...). Ordina ai vescovi di procurare diligentemente che la sana dottrina circa il purgatorio trasmessa dai santi Padri e dai sacri Concili sia creduta dai fedeli cristiani, conservata e predicata in ogni parte”.
Osservazioni:
a) Il Tridentino ha inserito la dottrina del purgatorio in quella più ampia della giustificazione. Basandosi sulla Scrittura ha ricordato che, rimessi i peccati personali, rimane da scontare la pena dovuta appunto per i peccati. Così ha fatto Davide, per volere divino, dopo il suo peccato (cf. infra). Il Concilio precisa che questa pena può essere soddisfatta o nella vita presente o dopo la morte.
Questa possibilità di purificarsi dopo la morte costituisce un elemento fondamentale o componente della dottrina sul purgatorio.
b) Il secondo elemento o componente di questa dottrina consiste nella possibilità, da parte dei vivi, di aiutare mediante suffragi le anime dei defunti. Il Tridentino esorta le guide qualificate delle comunità ecclesiali, cioè i vescovi, a vigilare affinché sia predicata questa sana dottrina sul purgatorio, correggendo ed eliminando eventuali esagerazioni ed abusi specie nella pratica dei suffragi.
c) Degno di nota è il fatto che i vescovi cattolici riuniti a Trento, assieme ad esperti in Sacra Scrittura e a teologi, erano convinti di poter proporre la dottrina sul purgatorio perché “ammaestrati dallo Spirito Santo per mezzo della Sacra Scrittura e attraverso l'antica tradizione dei Padri”. La dottrina cattolica sul purgatorio ha un sicuro fondamento nella Parola di Dio contenuta nella Bibbia e conservata nel tempo mediante l'insegnamento e l'approfondimento dei campioni della fede (i Padri) e i sacri Concili.
Il Concilio di Firenze (1439-1445)
Qualche secolo prima del Tridentino un altro Concilio, a Firenze, aveva insegnate le stesse verità. Citiamo dal cosiddetto Decreto per i Greci:
“In più, se (i defunti), avendo fatto veramente penitenza, morirono nell'amore di Dio prima di aver soddisfatto con frutti degni di penitenza per i peccati di commissione o di omissione, le loro anime, dopo la morte, vengono purificate con pene purgatorio; e, per essere liberate da queste pene, giovano loro i suffragi dei fedeli vivi, cioè i sacrifici della Messa, le preghiere, le elemosine ed altri atti di pietà che, secondo le istruzioni della Chiesa, sogliono essere compiuti da alcuni fedeli in favor di altri fedeli”.
Osservazioni:
Il Concilio di Firenze propone la dottrina comune a tutta la Chiesa sia orientale che occidentale, insegnando ciò che poi ripeteranno i vescovi a Trento e al Vaticano II. In particolare:
a) Afferma l'esistenza del purgatorio, vale a dire di uno stato intermedio tra la vita presente e la gloria dei beati, avente come scopo la purificazione delle anime di coloro che, morti in grazia o amicizia con Dio, devono soddisfare per i loro peccati personali.
b) Ricorda la possibilità e l'utilità dei suffragi in aiuto delle anime dei defunti. Tra i suffragi dà la precedenza all'offerta del Sacrificio della Messa, a cui possono aggiungersi altri atti di pietà come preghiere, elemosine, sofferenze volontarie o subite ...
c) E menziona, anche se di passaggio, la dottrina della comunione dei santi, secondo cui, alcuni fedeli possono compiere opere di suffragio a favore di altri fedeli. E’ chiaro che il riferimento riguarda i fedeli defunti, ossia quei membri del Corpo Mistico di Cristo che si trovano nello stato intermedio tra la vita presente e la gloria del paradiso.
Conclusione
Riepilogando l'insegnamento della Chiesa Cattolica sul purgatorio così com'è stato proposto in più occasioni dal Magistero ecclesiastico possiamo dire che esso contiene due verità fondamentali:
La prima.  Il peccato attuale o personale esige un'adeguata penitenza dopo che è stato perdonato da Dio. Qualora questa penitenza non è stata soddisfatta in modo esauriente in questa vita, Dio dà al peccatore la possibilità di soddisfarla dopo la morte. Esiste dunque uno stato o condizione e modo di essere dopo la morte, in cui l'uomo può e deve purificarsi, ossia soddisfare per la pena dovuta per i suoi peccati. E’ uno stato intermedio tra la morte e la gloria o gioia piena del paradiso. Nel comune linguaggio dei cattolici è detto purgatorio.
La seconda.  I cristiani ancora pellegrini sulla terra possono aiutare i loro fratelli, che hanno lasciato questa vita, nell'opera di purificazione dovuta per i loro peccati mediante atti di pietà, soprattutto col Sacrificio della santa Messa.
Esortando i vescovi perché procurino che la sana dottrina sul purgatorio sia creduta dai fedeli, il Tridentino mostra certamente la viva preoccupazione che i suffragi non siano pensati e fatti come se fossero atti di magia. Devono scaturire da una vera pietà congiunta a una genuina bontà. Dopo tutto è sempre Dio che giudica sul valore purificatorio di quegli atti. In altre parole, il valore purificatorio dei suffragi è proporzionato al loro valore o carica intrinseca, se cioè sono atti di vero amore di Dio e dei prossimo, emananti dalla conversione del cuore, e non piuttosto gesti di una devozione superficiale o di usanze sociali o peggio ancora di vanitoso esibizionismo. Se così non fosse, sarebbe facile e comodo liberarsi e liberare dal purgatorio a suon di quattrini. “Non basta strapparsi le vesti, bisogna cambiare il cuore!” (Gioele 2, 13).
 
PARTE SECONDA
BIBBIA E PURGATORIO
Premessa
Giustifica la Bibbia la dottrina dei purgatorio così com'è insegnata dalla Chiesa Cattolica? La risposta a questa domanda deve essere affermativa. Perciò noi vogliamo interrogare la Sacra Scrittura su questo argomento, analizzare cioè alcuni testi biblici nei limiti concessi da un opuscolo. Vogliamo ragionare facendo uso corretto delle Scritture.
Precisiamo ancora una volta che due sono gli elementi o componenti essenziali della dottrina sul purgatorio.
Primo: La volontà o bontà di Dio concede al peccatore, dopo il perdono delle colpe, la possibilità di offrire un'adeguata soddisfazione per la sua completa purificazione. Nulla d'impuro può entrare nella celeste Gerusalemme (cf. Apocalisse 21, 27).
Secondo: La stessa volontà salvifica o bontà di Dio ha disposto che anche i membri del Corpo Mistico o cittadini del Regno ancora su questa terra possono aiutare coi suffragi i loro fratelli nella purificazione dopo la morte.
Peccato e soddisfazione
Dio perdona sempre i peccati al peccatore pentito, ma esige un'adeguata soddisfazione. Insegnamento biblico.
 
Antico Testamento
1 - La sorte di Mosè. Uomo di Dio, servo di Jahve fu certamente Mosè. Ma in qualche circostanza della sua vita non era stato senza macchia al cospetto del Signore. Una volta aveva parlato da stolto, con poca saggezza (cf. Numeri 20, 1-12; Salmo 105, 32-33). A motivo di questa stoltezza:
“Jahve allora disse a Mosè e ad Aronne: "Poiché non avete creduto in me riconoscendomi santo agli occhi dei figli di Israele, perciò non introdurrete quest'assemblea nel. la terra che io ho assegnato loro” (Numeri 20, 12; cf. Deuteronomio 1, 37).
Ciò che Dio aveva predetto, si avverò alla fine della vita del grande condottiero. Mosè salì sul monte Nebo e Jahve gli mostrò tutta la terra:
“Jahve gli disse: "Questa è la terra che ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, dicendo: Alla tua posterità io la concederò. Te l'ho fatta vedere con i tuoi occhi, ma tu non c'entrerai” (Deuteronomio 34, 4).
Spiegazione:
a) Senza dubbio Mosè fu e rimase un grande amico di Dio (cf. Ebrei 11, 23-28; Siracide 45, 1-6), il più grande profeta dell'antichità. Solo Gesù, la Sapienza divina fattasi presente nel figlio di Maria, sarà superiore a lui (cf. Atti 3, 22-24).Dio perdonò a Mosè il suo peccato, che forse dovette consistere in qualche mancanza di fiducia in Jahve (cf. Numeri 20, 10). Il peccato, comunque, fu perdonato. Mosè apparirà agli Apostoli sul monte Tabor circonfuso di gloria assieme ad Elia, quale testimone qualificato della divinità di Gesù (cf. Matteo 17, 1-9; 1 Pietro 1, 16-19).
b) Tuttavia Dio non esentò Mosè dalla legge della soddisfazione dopo ottenuto il perdono dei peccato. Jahve non concesse a Mosè di entrare da trionfatore nella terra promessa. Fu certamente un modo di soddisfare per la colpa commessa, senza essere comunque escluso dalla gloria e dalla gioia degli amici di Dio nella patria celeste (cf. Ebrei 11, 13-16).
 
2 - Il peccato di Davide. Quest'uomo, benché scelto da Dio per essere il primogenito, ossia il più potente tra i re della terra (cf. Salmo 88, 26), si macchiò d'un duplice delitto: si appropriò della moglie di Uria, suo fedelissimo soldato, e poi lo fece uccidere a tradimento per coprire il suo crimine vergognoso (cf. 2 Samuele 12, 1-12).
Ma David si pentì sinceramente del suo peccato e pianse amaramente (cf. Salmo 50).
“Disse Davide a Nathan: "Ho peccato contro Jahve" Nathan rispose a Davide: "Anche - Jahve perdona il tuo peccato: tu non morirai; tuttavia, poiché hai osato oltraggiare - Dio liberi - Jahve con questa azione, anche il figlio che ti fu generato, morirà certamente” (2 Samuele 12, 13-14, Garofalo).
Il bambino che la moglie di Urìa aveva generato a Davide s'ammalò gravemente e dopo poco morì (cf. 2 Samuele 12, 15-19).
 
Spiegazione.
a) E’ degno di nota, prima di tutto, che il male fatto ad Urìa è considerato come un atto di grave offesa a Dio, cioè come un peccato, una grave colpa morale. Davide si pente e chiede perdono a Dio: “Pietà di me, o Dio, nel tuo grande amore (...). Sono colpevole e lo riconosco...” (Salmo 50, 1-5). Dio perdona a Davide il peccato. Davide continua ad essere il primogenito dei re della terra, l'unto di Jahve.
“Il Signore perdonò a Davide i suoi peccati ed esaltò per sempre la sua potenza. Sì impegnò con lui per la successione reale, gli assicurò un regno glorioso in Israele” (Siracide 47, 11).
b) Ma il pentimento ed il perdono non cancellarono ogni traccia del male commesso. Sarebbe stato troppo comodo!! A Davide viene inflitta una pena gravissima, che come un fuoco brucia l'intimo del suo essere. Non è il bambino a essere castigato! E’ il padre che subisce il castigo nella perdita del figlioletto tanto amato.
Commenta la Bibbia di Salvatore Garofalo:
“Si noti come, anche rimessa la colpa, rimanga da scontare la pena, più o meno grave: solo la soddisfazione libera completamente dal reato”.
Alle stesse conclusioni si arriva analizzando il racconto biblico del censimento ordinato da Davide (cf. 2 Samuele 24, 1-17; 1 Cronache 21, 1-117).
 
Nuovo Testamento
1 - Nel Nuovo Testamento non è assente l'idea della soddisfazione nel senso che il peccatore possa riacquistare l'amicizia con Dio e la salvezza mediante la sofferenza. Caso tipico può essere quello dell'incestuoso di Corinto (cf. i Corinzi 5, 1-5). Al colpevole non è negata la salvezza. Paolo afferma esplicitamente che il suo intervento e il giudizio di condanna hanno come scopo “che il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore”.
Tuttavia al colpevole deve infliggersi una grave pena espiatoria, che non comporta solo l'espulsione dalla comunità dei fedeli, ma anche la consegna a satana perché lo colpisca con malattie e altre pene corporali. La punizione o sofferenza ha per fine la salvezza eterna del peccatore.
 
2 - Neppure manca nel Nuovo Testamento l'idea circa la possibilità d'una purificazione dopo questa vita, dovuta a causa del peccato, e quindi l'esistenza del purgatorio o di uno stato intermedio tra la morte e la gioia del paradiso. Non pochi biblisti vedono questa idea e quindi un valido fondamento della dottrina cattolica del purgatorio in alcune espressioni di san Paolo ai fedeli di Corinto. Riportiamo prima le parole dell'Apostolo:
“Ora, se si costruisce su questo fondamento con oro, argento, pietre preziose, legname, fieno, stoppia, l'opera di ognuno si renderà manifesta. Il giorno del giudizio la farà conoscere, dato che esso si ha da rivelare col fuoco, e il fuoco stesso proverà la qualità dell'opera di ciascuno. Se l'opera di chi ha costruito sussisterà, egli ne riceverà la mercede; se l'opera di qualcuno sarà consumata dal fuoco, egli la perderà; quanto a lui, però, sarà salvo, ma come attraverso il fuoco” (1 Corinzi 3, 12-16, Garofalo).
Spiegazione:
a) San Paolo fa qui alcune considerazioni sul lavoro di coloro che predicavano il Vangelo, ossia che intendevano edificare la Chiesa. A Corinto non tutto andava per il meglio: vi erano gelosie e contese (cf. 1 Corinzi 3, 3-5). L'Apostolo esprime il suo pensiero con l'immagine delle costruzioni e dei costruttori. Alcuni usano materiale pregiato e resistente come marmo, pietre preziose e simili, altri, materiale scadente come legno, fieno, stoppia. Il materiale pregiato rappresenta la predicazione genuina del Vangelo, la costruzione sul fondamento che è Cristo; quello scadente indica l'opera dei predicatori facili ad errori ed eresie.
b) Come prova della solidità o meno della costruzione, della validità o meno della predicazione, per Paolo vale il giudizio di Dio, che sarà manifesto nell'ultimo giorno mediante il fuoco (cf. 2 Tessalonicesi 1, 8; 2 Pietro 3, 7).Mediante il fuoco sarà verificata la qualità del lavoro apostolico, la solidità della costruzione: quella buona resisterà e l'operaio avrà la sua mercede; quella cattiva sarà distrutta. Che cosa avverrà dell'operaio o predicatore infedele o scriteriato?
c) Egli sarà salvo, dice Paolo, ma come attraverso il fuoco. La sua sorte non sarà la distruzione come per la sua opera, ma la salvezza, non senza però qualche danno personale, non senza qualche scottatura come chi fugge da un incendio improvviso. L'operaio o predicatore infedele subirà una pena personale prima di conseguire la salvezza.
“Molti teologi vedono qui, non a torto, una prova implicita della esistenza del purgatorio; infatti, benché l'Apostolo non parli direttamente di esso e tanto meno della pena del purgatorio, tuttavia suppone chiaramente la possibilità che dopo la morte una eventuale imperfezione dell'opera del predicatore possa essere espiata mediante qualche sofferenza o pena”.
d) A conferma vale la considerazione specificamente biblica secondo la quale il giudizio finale termina solo con la felicità o condanna degli uomini (cf. Matteo 25, 46; Giovanni 5, 28-29). Se Paolo concede la salvezza anche agli operai evangelici non privi di imperfezioni, si può dedurre che essi saranno ammessi alla vita eterna - saranno salvi - mediante una purificazione dopo la morte. Nella Città Santa Gerusalemme, ossia nel Regno di Dio nella sua fase definitiva “non entrerà tutto ciò che è impuro né chi compie abominazione o menzogna” (Apocalisse 21, 27).
Buona cosa è pregare per I morti
Anche l'altro elemento costitutivo della dottrina cattolica sul purgatorio, vale a dire la possibilità di aiutare i defunti nella loro purificazione, di suffragarli, non è- privo d'una valida base o giustificazione biblica. La Bibbia approva la pia pratica di offrire sacrifici per i defunti e non condanna altre pie pratiche fatte con l'intenzione di beneficiare l'anima di chi è passato all'altra vita. Esamineremo due testi biblici, di cui uno appartiene all'Antico Testamento e l'altro al Nuovo.
 
Antico Testamento
Un sacrificio offerto per i morti. Assai noto è un testo del Secondo Libro dei Maccabei, che dice:
“Il giorno seguente gli uomini di Giuda andarono, quando già tale azione si imponeva con urgenza, a raccogliere i corpi dei caduti per inumarli presso i loro parenti nei sepolcri dei loro padri. Essi trovarono sotto la tunica di ogni morto oggetti sacri agli idoli di Jamnia, che la legge interdice ai Giudei. Così fu palese a tutti il motivo per cui erano morti. Tutti, allora, benedicendo le opere del Signore giusto che rende manifeste le cose occulte, accorsero a pregare, supplicando che il delitto commesso venisse completamente perdonato. Allora il forte Giuda esortò la moltitudine a conservarsi senza colpe, vedendo coi propri occhi ciò che era successo per il peccato di coloro che erano caduti. Dopo aver raccolto quasi duemila dracme d'argento secondo la possibilità di ognuno, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio per il peccato. Questa fu una buona e nobile azione, perché ispirata dal pensiero della risurrezione. Infatti, se non avesse sperato che coloro che erano morti sarebbero risorti, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Inoltre egli pensava alla magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella pietà. Santo e pio pensiero! Perciò egli fece compiere un sacrificio espiatorio per i morti affinché fossero assolti dal peccato” (2 Maccabei 12, 3946), Garofalo).
 
Spiegazione:
1.   - I fatti:
a) L'episodio qui narrato si colloca nella guerra d'indipendenza degli Ebrei contro i popoli vicini e l'ellenismo (i Greci), sotto la guida dì Giuda Maccabeo durante la prima metà del Il sec. a.C. in una battaglia Giuda sconfigge Gorgia, governatore dell'Idumea, la regione situata a sud della Palestina; ma perde sul campo di battaglia un certo numero di soldati.
b) A battaglia finita, nel compiere il pio ufficio della sepoltura, gli uomini di Giuda trovano sotto la tunica dei soldati uccisi alcuni oggetti sacri a divinità pagane, di cui i morti si erano impossessati, violando la legge giudaica che proibiva una tale cosa (cf. Deuteronomio 7, 25-26).
c) Giuda considera la morte di quei soldati come un castigo di Dio per tale loro colpa; ma era convinto che quei combattenti si erano addormentati nella pietà (verso 45). Erano infatti caduti combattendo per una nobile causa. Pensò tuttavia che avessero bisogno di essere purificati.
Compresi da tale sentimento, Giuda e i suoi soldati accorsero a pregare e anche a far pregare per i compagni caduti. Fece una colletta di quasi duemila dracme d'argento e la inviò a Gerusalemme perché fosse offerto, un sacrificio espiatorio affinché i soldati caduti in battaglia fossero purificati dal peccato.
 
2. - Le idee
a) Dal racconto risulta abbastanza chiaro che tra gli Ebrei al tempo dei Maccabei (11 sec. a.C.) vi era la convinzione sulla possibilità di essere purificati dal peccato anche dopo la morte e così fatti degni della risurrezione tra i giusti. Questo è uno degli elementi costitutivi della dottrina cattolica sul purgatorio.
b) Ma è soprattutto chiaro che i vivi possono contribuire alla purificazione dei defunti. Ne è indicato anche il modo, cioè preghiere e sacrifici. Giuda e i suoi uomini sono convinti che il sacrificio espiatorio era offerto perché fosse eliminato ciò che separava l'uomo da Dio.
c) L'autore sacro loda il gesto di  Giuda  e  dei  suoi  compagni con la semplice esclamazione : “Santo e pio pensiero!”. Questo basta per dire che siamo qui in presenza d'una dottrina ispirata da Dio e non già frutto di speculazioni più o meno emotive o, peggio, di superstizione. Qui abbiamo in sostanza la dottrina del purgatorio come insegnata dalla Chiesa Cattolica e non si può negare che abbia una solida base nella parola di Dio.
 
Nuovo Testamento
Con riferimento alle preghiere o suffragi per i defunti molti studiosi della Bibbia vedono un fondamento di tale dottrina in una pia pratica in uso al tempi di san Paolo nella comunità cristiana di Corinto. Ce ne dà notizia lo stesso Apostolo che scrive:
“Altrimenti, che cosa farebbero quelli che vengono battezzati per i morti? Se davvero i morti non risorgono, perché si fanno battezzare per loro?” (1 Corinzi 15, 29).
Spiegazione:
a) San Paolo tratta della certezza della risurrezione dei morti, di tutti i morti, per convincere alcuni cristiani di Corinto che ne dubitavano (cf. 1 Corinzi 15, 12). L'Apostolo prende lo spunto da una pratica religiosa in uso presso quella comunità, vale a dire “il battesimo per i morti”. Da parte sua Paolo non disapprova tale pratica, anche se non sembra approvarla esplicitamente. Egli vuol far solo riflettere quel dubbiosi che tale pratica sarebbe inutile e incomprensibile, se non ci fosse risurrezione dei morti. Infatti il battesimo è caparra di risurrezione (cf. Romani 6, 3-5).
b) Che cosa era questo “farsi battezzare per i morti”? La spiegazione più comune è che si trattava del battesimo ricevuto  da  una persona ancora viva a favore di un defunto - di un catecumeno - morto senza battesimo: era un'azione vicaria, fatta cioè al posto di un altro, in vece sua, e a suo vantaggio. Inoltre, e forse principalmente, si voleva aiutare il defunto con un rito di suffragio.
c) In questa spiegazione condivisa dalla stragrande maggioranza dei biblisti è implicita l'idea che i vivi possono aiutare i defunti, cioè suffragare le loro anime. Questo è l'essenziale. Vi è qui una conferma della convinzione già chiara fin dai tempi dei Maccabei: pregare per i morti è un pensiero santo e belle (cf. 2 Maccabei 12, 45).
Una spiegazione settaria
L'errore:
Ai tdG non garba la spiegazione che di Corinzi 15, 29 danno quasi tutti i biblisti, cattolici e non cattolici. E’ troppo scomoda per loro perché comporta non solo l'utilità dei suffragi, ma anche la sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte. Per i geovisti, l'uomo con la morte ritorna in uno stato di non-esistenza; a loro dire, la morte dell'uomo è come quella del cane. Per distruggere la verità biblica traducono 1 Cor. 15, 29 arbitrariamente, in modo del tutto diverso dai veri cristiani:
“Altrimenti che faranno quelli che si battezzano allo scopo di (essere) dei morti? Se i morti non saranno destati, perché sono anche battezzati allo scopo di (essere) tali?” (Traduzione del Nuovo Mondo).
Per gettare poi un po' di polvere negli occhi, gli anonimi traduttori della Bibbia geovista aggiungono:
“La versione della "Traduzione del Nuovo Mondo" è grammaticalmente corretta, e concorda con i suddetti versetti biblici”.
 
La verità:
a) Notate, prima di tutto, come la traduzione geovista di 1 Cor. 15, 29 è completamente diversa da quella di tutti i traduttori della Bibbia, cattolici e non cattolici. Si ha qui una prova incontestabile di quanto sia menzognera l'affermazione dei tdG quando dicono che la loro Bibbia è la stessa di quella dei cattolici.
b) In secondo luogo, la traduzione geovista di 1 Cor. 15, 29 è scorretta perché contraria alla lettera e allo spirito del testo paolino:
- Contraria alla lettera, ossia grammaticalmente errata, perché nel testo originale non vi è il verbo essere. I geovisti l'hanno aggiunto abusivamente per ben due volte. San Paolo ha scritto: “si fanno battezzare per i morti” (testo greco); non già “allo scopo di essere morti”. Parimenti: “perché si fanno battezzare per essi” (testo greco); non già “allo scopo di (essere) tali”.
- Contraria allo spirito, ossia contraria a tutto l'insegnamento di san Paolo circa l'efficacia del battesimo. Infatti, secondo san Paolo, il battesimo cristiano non è conferite> “allo scopo di essere morti”, bensì allo scopo di essere vivi. Il battesimo, dato in nome di Gesù o della SS.ma Trinità, di- strugge il peccato, cioè la morte, e dà una nuova vita (cf. Atti 2, 38; Romani 6, 3-6; Colossesi 2, 12-13; Giovanni 3, 3-7). Dire perciò, come fanno i geovisti, che “si battezzano allo scopo di essere morti”, equivale a capovolgere l'insegnamento della Bibbia, commettendo un madornale errore.
c) Per coprire il loro inganno i geovisti dicono che “le uniche altre scritture che menzionano la morte in relazione col battesimo si riferiscono a un battesimo che l'individuo stesso riceve, non a un battesimo in favore d'un altro, d'una persona morta”.
Si tratta d'un inganno, d'una scappatoia. Infatti anche in 1 Corinzi 15, 29 si parla dello stesso battesimo, di cui si parla in tutto le altre Scritture. Ma si aggiunge che si tratta di un battesimo vicario, in favore d'un defunto. E anche questa è Scrittura
La comunione dei santi
a) Nel riaffermare la dottrina cattolica sul purgatorio, il Concilio Vaticano Il fa esplicita menzione di un'altra dottrina - quella della Chiesa come “comunione dei santi” - e in base a questa dottrina ricorda che “fin dai primi tempi della religione cristiana la Chiesa dei viatori coltivò con grande pietà la memoria dei defunti e "poiché santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti perché siano assolti dai loro peccati" (2 Maccabei 12, 46), ha offerte per loro anche suffragi.
b) La dottrina della “comunione dei santi” è in- segnata esplicitamente da san Paolo. E’ utile perciò fare una breve analisi di essa in rapporto alla dottrina sul purgatorio. Scrisse l'apostolo:
“Poiché, a quel modo che il corpo è uno, sebbene abbia molte membra, e che tutte le membra del corpo, pur essendo molte, formano un solo corpo, così pure il Cristo. E infatti, in un solo Spirito noi tutti, Giudei o Greci, schiavi o liberi, fummo battezzati per formare un solo corpo; e tutti bevemmo di un unico Spirito.
Ora, il nostro corpo non è composto di un membro solo, ma di molte membra (...).'Iddio ha composto il corpo in modo da dare maggior onore a ciò che manca, affinché non vi sia divisione nel corpo, ma le membra siano vicendevolmente sollecite del bene comune. Così se un membro soffre, soffrono con esso tutte le membra, e se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscano con esso. Ora voi siete il corpo di Cristo e, ciascuno per la sua parte, sue membra” (1 Corinzi 12, 12.24-27).
 
Spiegazione:
a) San Paolo si serve dell'immagine del corpo (umano) per mettere in luce la solidarietà che deve regnare nella comunità dei credenti, cioè nella Chiesa. In virtù del battesimo e dell'effusione dello Spirito tutti i battezzati, di qualunque provenienze sociale, sono diventati membra di uno stesso corpo San Paolo chiama Cristo questa nuova comunità non certamente il Cristo storico, ma il Cristo in quanto Salvatore, che una volta disse: “Quanto , me, allorché sarò innalzato da terra tutti attirerò a me” (Giovanni 12, 32). Lui Capo e Redentore e quanti credono in Lui, quanti sono attirati da Lui, formano una nuova umanità detta con linguaggio cattolico “Corpo mistico di Cristo”.
b) Come nel corpo umano tutte le membra col lavorano al bene comune, anche se con funzioni diverse, così nel Corpo Mistico. “Così, se un membro soffre, soffrono con esso tutte le membra”.
Questa solidarietà trae la sua origine e la sua efficacia dal battesimo, che dà ai rinati da acqua e da Spirito (cf. Giovanni 3, 5) una nuova vita, una nuova linfa vitale, che anima tutte le membra del Corpo Mistico nel tempo e nell'eternità. Il vincolo che lega i discepoli di Cristo non conosce soluzioni di continuità. “Chiunque vive e crede in me, noi morirà mai” (Giovanni 11, 26).
c) Su questa base biblica, noi siamo certi che i nostri fratelli defunti non sono tornati in uno stato di non-esistenza. Lasciamola ai tdG questi macabra visione. La vita non è stata loro tolta, ma solo mutata. Anche se alcuni di loro devono ancor purificarsi, essi sono membra vive della Gerusalemme celeste.
Tra loro e noi ancora viatori sulla terra esiste il vincolo soprannaturale, che ci fa tutti membra del Corpo Mistico di Cristo. Tra noi e loro vige la legge della solidarietà, della comunione dei santi, vale a dire dello scambio reciproco dei beni e degli aiuti: “Se un membro soffre, soffrono tutte le membra”, e tutte le membra possono e devono alleviare le sofferenze del membro che soffre.
In questa magnifica dottrina dell'Apostolo Paolo la Chiesa Cattolica giustamente vede affermata la sua fede nell'esistenza del purgatorio e soprattutto nella possibilità dei suffragi per i suoi figli defunti perché siano assolti dai loro peccati e liberati dalle pene del purgatorio .
Sì, tutti quelli che sono di Cristo, avendo lo Spirito Santo, formano una sola Chiesa e sono tra loro uniti in Lui (cf. Efesini 4, 16). L'unione quindi dei viatori coi fratelli morti nella pace di Cristo, non è minimamente spezzata, anzi, secondo la perenne fede della Chiesa, è consolidata dalla comunione dei beni spirituali. Parola di Dio!
 
PARTE TERZA
TRADIZIONE E PURGATORIO
Cose da non dimenticare
a) A chiusura del suo vangelo san Giovanni ha scritto:
“Vi sono, poi, molte altre cose fatte da Gesù, le quali, se si scrivessero una per una, ritengo che neppure il mondo potrebbe contenere i libri che si dovrebbero scrivere” (Giovanni 21, 25, Garofalo; cf. Giovanni 20, 30-31).
Dunque non fu intenzione degli evangelisti mettere per iscritto tutti i detti e i fatti di Gesù.
Da parte sua san Paolo ricordava ai cristiani di Tessalonica:
“Dunque, o fratelli, state saldi e seguite fedelmente le dottrine che vi abbiamo trasmesse sia a viva voce che per lettera” (2 Tessalonicesi 2, 15, Garofalo).
Dunque san Paolo aveva trasmesso ai cristiani anche dottrine a viva voce (tradizioni, testo greco) e voleva che fossero seguite fedelmente.
b) Lo stesso Paolo, non molto prima di morire, scrisse al discepolo Timoteo:
“0 Timoteo, custodisci il deposito che ti confido, schiva le vuote chiacchiere profane e le diatribe della pretesa gnosi  che molti promettono, ma naufragando nella fede” (1 Timoteo 6, 20 Garofalo).
A giudizio dei biblisti, deposito vuol dire la sana dottrina dei Vangelo in tutta la sua interezza. Certo la Scrittura è una parte preponderante del deposito. Ma non tutti gli elementi del deposito originale (parole e opere di Gesù) sono stati esplicitamente e formalmente consegnati allo scritto.
La catechesi o insegnamento orale e la vita stessa delle comunità cristiane, a cominciare dal- l'età apostolica, hanno conservato e trasmesso il deposito in una forma più ricca e più viva dello scritto. Gesù aveva assicurato che lo Spirito Santo avrebbe introdotto i suoi discepoli a tutta intera la verità (cf. Giovanni 16, 12-13; 14, 25-26).
Questa fedele custodia del deposito e la sua esplicitazione sotto la guida della Spirito Santo costituisce la Tradizione ecclesiale, che non ha nulla che vedere con le tradizioni degli antichi, giustamente condannate da Gesù (cf. Matteo 7, 8-13).
Tradizione e dottrina sul purgatorio
a) Alla luce di questa retta comprensione dei deposito, noi possiamo dire che le numerose ed esplicite testimonianze della Tradizione sul purga- torio non sono qualcosa di nuovo e di distaccato dagli insegnamenti di Gesù e degli Apostoli, ma si connettono sostanzialmente alla Buona Novella, ossia al Vangelo, annunciato all'umanità dal Figlio di Dio.
La New Catholie Encyclopaedia, trattando del purgatorio, osserva:
“Il Nuovo Testamento mostra come i discepoli di Gesù erano familiari col suo insegnamento sul peccato e sul giudizio (cf. Matteo 12, 32.36; 16, 27; Luca 7, 47; 12, 47-48). Le sue parole fecero approfondire il sentimento della santità di Dio, infiammando la loro speranza nella sua misericordia e li indussero a pregare per i morti. Egli insegnò loro le grandi verità sulla morte e sul giudizio, e nulla fa credere che solo quelli esenti da qualsiasi macchia sarebbero liberati dall'inferno” (cf. Matteo 8, 12; Luca 12, 20:16, 22; Giovanni 9, 4; 11, 9; 12, 25).
 
Osservazioni:
a) Gli autori della New Catholie Encyclopaedia notano espressamente come gli insegnamenti di Gesù sulla santità di Dio e la sua misericordia indussero i discepoli a pregare per i morti. Dunque coloro che erano stati in diretto contatto col Maestro e familiari col suo insegnamento sul peccato e sul giudizio credevano nell'efficacia della preghiera a vantaggio dei defunti. La dottrina dei suffragi faceva parte della fede e della prassi degli immediati discepoli di Gesù. Era contenuta nel deposito della fede.
b) Gli stessi autori notano ancora come il Maestro “insegnò ai discepoli le grandi verità sulla morte e sul giudizio e nulla fa credere che solo quelli esenti da qualsiasi macchia sarebbero liberati dall'inferno”. Qui vi è una chiara allusione all'esistenza del purgatorio nell'insegnamento di Gesù. Infatti, se nulla fa credere che solo gli esenti da qualsiasi macchia di peccato sarebbero liberati dall'inferno, tutto fa credere che anche altri, ben- ché non esenti da macchie di peccati, avrebbero conseguita la salvezza. Come? Mediante una purificazione dopo la morte concessa dalla misericordia di Dio, grazie anche alle preghiere dei fedeli.
c) Quando dunque la stessa New Catholic Encyclopaedia scrive che “in ultima analisi, la dottrina cattolica del purgatorio si basa sulla tradizione, non sulle Sacre Scritture”, non intende assolutamente escludere la dottrina cattolica del purgatorio dal deposito della fede.
La verità è che la New Catholie Encyclopaedia afferma chiaramente che la dottrina cattolica sul purgatorio affonda le sue radici negli insegnamenti di Gesù e degli Apostoli. 1 discepoli immediati di Gesù hanno recepito calorosamente l'insegnamento del Maestro sulla misericordia di Dio, che si estende anche dopo la morto dell'uomo, e lo hanno trasmesso mediante la Tradizione ecclesiale. Numerosi documenti risalenti ai primi tempi del cristianesimo ce lo attestano.
Riportiamo ora alcuni documenti di questa Tradizione cominciando dalla pia pratica di pregare per i morti.
La preghiera per i defunti
Questa devota usanza è largamente testimoniata da antichissimi documenti cristiani.
1 - Le catacombe, come tutti sanno, erano soprattutto cimiteri cristiani. Sulle tombe dei morti si leggono spesso espressioni significative, frasi augurali, invocazioni di preghiere:
“La tua anima sia nella gioia!”. “Dio renda felice il tuo spirito!”. “Vi esorto, o fratelli, di pregare quando venite qui: scongiuro voi tutti che leggete: pregate per me peccatore”.
 
2 - L'epitaffio d'Abercio. E’ la regina delle iscrizioni cristiane, uno dei più antichi documenti lapidari, che ricorda tante verità care ai cattolici: la celebrazione dell'Eucaristia o Santa Messa, la grandezza e la fede della Chiesa di Roma, “un popolo che porta un luminoso sigillo”, ecc.
A noi interessa soprattutto la testimonianza sull'efficacia della preghiera per i defunti, che comporta chiaramente la fede nella sopravvivenza dell'uomo dopo la morte e la possibilità di aiutare i defunti mediante la preghiera. In altre parole, l'iscrizione di Abercio testimonia la fede della primitiva Chiesa nell'esistenza del purgatorio. Ecco le parole di Abercio:
“Queste cose dettai direttamente io Abercio, quando avevo precisamente settantadue anni di età. Vedendole e comprendendole, preghi per Abercio”.
a) Chi era Abercio? Un cristiano, forse vescovo di leropoli, nell'antica Frigia o Asia Minore (vicino Oriente). Aveva viaggiato in quasi tutto l'impero romano, compresa Roma. Prima di morire compose di proprie mani l'epitaffio o iscrizione per sua tomba.
b) A giudizio degli esperti", l'epitaffio fu composto nella seconda metà del secondo secolo Era Cristiana. Tenendo presente che Abercio, quando lo scrisse, aveva settantadue anni di età, ne segue che dovette nascere a principio del secondo secolo o anche prima. Al tempo della sua nascita era forse ancora vivo san Giovanni ed erano certamente in vita moltissimi, che avevano appreso la fede direttamente dagli Apostoli. La dottrina di Abercio affonda le sue radici e si ricollega all'insegnamento apostolico.
c) Di questo insegnamento, appreso e trasmesso da Abercio, facevano parte tante verità preservate fedelmente nella Chiesa Cattolica: tra queste l'efficacia delle preghiere per i defunti. Se Abercio chiede che si preghi per lui dopo la sua morte, è segno evidente che aveva appreso nella sua educazione cristiana risalente agli Apostoli “non essere superfluo e vano il pregare per i morti” (2 Maccabei 12, 44).
 
            3. – Tertulliano, vissuto tra la seconda metà del secondo secolo e la prima del terzo, enumera minuziosamente quasi tutte le pie pratiche, di cui era intessuta la vita del cristiano; parla del battesimo, dell'Eucaristia, del digiuno ecc. E ricorda anche le preghiere di suffragio: Nel giorno anniversario facciamo preghiere per i defunti”.
Altrove scrive:
“La moglie sopravvissuta al marito offre preghiere per la gioia di suo marito nei giorni anniversari della sua morte”.
 
4 - Sant'Agostino (354-430) è molto esplicito. Rifacendosi al libro dei Maccabei (2 Maccabei 12, 43), il grande pensatore cristiano Agostino scrive:
“Nei libri dei Maccabei leggiamo che fu offerto un sacrificio per i morti. Ma anche se nelle Scritture Antiche non si dicesse nulla di questa cosa, abbiamo una non piccola testimonianza autorevole di tutta la Chiesa, che getta piena luce su questa pia pratica. In tutta la Chiesa infatti, nelle preghiere che i sacerdoti offrono a Dio sull'altare (S. Messa) trova spazio anche il ricordo dei morti (commendatio mortuorum)”.
E altrove:
“Non si può negare che le anime dei defunti possono essere aiutate dalla pietà dei loro cari ancora in vita, quando è offerto per loro il sacrificio del Mediatore (la S. Messa), oppure mediante elemosine”.
 
5 - Riportiamo ancora una testimonianza (tra le tante!), quella di sant'Efrem (306-373). Egli appartiene alla Chiesa d'Oriente ed è detto il profeta dei Siri, arpa dello Spirito Santo. Di lui scrisse san GiroIamo: “Giunse a tanta fama che in alcune chiese i suoi scritti erano letti pubblicamente subito dopo la Scrittura”.
Questo grande maestro di vita cristiana lasciò scritto nel suo testamento:
Nel trigesimo della mia morte, ricordatevi di me, fratelli, nella preghiera. I morti infatti ricevono aiuto dalla preghiera fatta dai vivi (...). Se infatti gli uomini di Matatìa, che avevano la verità rivelata da Dio (cf. 2 Maccabei 12, 38-46), con le offerte espiarono i peccati di quelli che erano caduti in guerra in uno stato di colpa, quanto più i sacerdoti del Figlio coi santi sacrifici e le preghiere possono espiare i peccati dei defunti”.
Possibilità di purificarsi
1 - Tertulliano, verso il principio del secondo secolo, nel suo scritto che ha per titolo De anima (Sull'anima) ammette che l'anima, dopo la morte, possa purificarsi:
“Noi riteniamo che quella prigione di cui parla il Vangelo (cf. Matteo 5, 26) corrisponda agli inferi (regione del morti), dove deve essere pagato il debito fino all'ultimo centesimo in attesa della risurrezione”.
 
2 - San Cìpriano, nato a Cartagine verso l'anno 210 e morto martire (14 settembre 258), insegnava la stessa dottrina di Tertulliano:
“Altra cosa è non uscire dalla prigione finché non si sia pagato l'ultimo centesimo, altra cosa ricevere subito la mercede della fede e della virtù; altra cosa purificarsi dal peccato con lungo dolore e fuoco, altra cosa aver scontato tutti i peccati con la penitenza”.
 
3 - Origene (185-254) fu prima di tutto un grande biblista, il più grande forse che l'antichità cristiana abbia conosciuto. Fu l'uomo della Scrittura per eccellenza. Conosceva bene il greco e l'ebraico e poteva così penetrare il vero senso della Parola di Dio.
Alla scuola della Bibbia Origene insegnò che con la morte l'uomo non torna in uno stato di non-esistenza: tutte le creature umane, non soltanto alcune privilegiate, continuano a vivere subito dopo la morte in uno stato di gioia o anche di sofferenza (i peccatori). Origene insegnò pure che dopo la morte Dio dà al peccatori la possibilità di purificarsi e conseguire così la gioia eterna:
“Anche i buoni - afferma Origene - sono imperfetti e pertanto tutti i giusti saranno provati con il fuoco; questa prova è da ritenere come un battesimo di fuoco (baptismus ignis), che purificando l'anima dai difetti inevitabili della vita terrena, la renderà degna del Cielo”.
E’ vero che Origene insegnò cose che la Chiesa Cattolica non accetta; ma occorre tuttavia ammettere che, studiando o scrutando le Scritture con intelligenza ed amore, fu un grande assertore della dottrina cattolica della possibilità di purificarsi dopo la morte, ossia del purgatorio.
 
4 - Sant'Agostino, oltre all'utilità dei suffragi, insegnò pure in modo esplicito e senza le esagerazioni di Origene, la natura espiatoria del purgatorio.
“Le pene temporali alcuni le subiscono in questa vita soltanto, altri dopo la morte, altri sia in questa vita che nell'altra, tuttavia sempre prima del giudizio finale. Non tutti infatti subiranno le pene eterne dopo quel giudizio, se dopo la morte hanno subìto pene temporali”.
Conclusione: Scrittura e Tradizione
1 - Chi scrive le pagine di questo opuscolo con- divide ciò che si legge in una Enciclopedia della Bibbia:
“La Bibbia non parla esplicitamente del "Purgatorio ma l'Antico Testamento vi ci prepara mediante il concetto, sempre più preciso, di responsabilità personale e con I' idea, così frequente, che bisogna espiare una pena dopo la remissione dei peccati” (cf. Numeri 20, 12, 2 Samuele 12, 13-14).
E ancora:
“Il Nuovo Testamento non contiene nessun insegnamento diretto sul purgatorio. Ma vari testi si spiegherebbero perfettamente alla luce del secondo Libro dei Maccabei”.
Accetto pure le seguenti precisazioni, con cui l'Enciclopedia Cattolica inizia il suo studio sul purgatorio:
“La Bibbia non parla esplicitamente del purgatorio, ma contiene testi che ne suggeriscono l'idea. Il concetto di una responsabilità personale, che divenne sempre più chiaro con il progresso della Rivelazione, congiunto coli quello diffuso nel Vecchio Testamento (cf. Sapienza 10, 2; Numeri 20, 12), secondo cui, rimesso il peccato, rimane una pena temporale da scontare, è un importante presupposto della dottrina del purgatorio. Se a questa esplicita concezione del Vecchio Testamento si associa l'idea neo. testamentaria di una personale partecipazione dei singoli alla propria salvezza, soprattutto nell'economia penitenziale, non è difficile rilevare che, se qualche testo biblico insinua il fatto di un prolungamento ultraterreno di tale economia, il pensiero cristiano, guidato dalla Chiesa, poteva, in qualche momento del suo sviluppo, dedurre l'esistenza di quello stato intermedio tra inferno e paradiso, che da secoli è chiamato purgatorio”.
 
2 – E’ questo un linguaggio chiaro, onesto, equilibrato. La Sacra Scrittura, al di là d'ogni possibile dubbio, contiene elementi anche se indiretti sulla esistenza e la natura di uno stato intermedio tra paradiso ed inferno, che da secoli si chiama purgatorio. L'Antico Testamento ci ha preparato a questa dottrina; il Nuovo Testamento, sulla linea dell'Antico, contiene testi che si spiegano perfettamente solo alla luce di questa dottrina.
Basato su questi elementi, il pensiero cristiano guidato dallo Spirito Santo (cf. Giovanni 14, 26), nell'ambito della Chiesa (cf. 2 Pietro 1, 21), ha esplicitato e formulato la dottrina del purgatorio. Questa è la Tradizione ecclesiale intesa nel suo esatto significato. La Tradizione ecclesiale conserva quello che Gesù e gli Apostoli hanno insegnato.
La dottrina cattolica del purgatorio si basa dunque sulla Scrittura esplicitata fedelmente dalla comunità dei credenti sotto la guida dello Spirito Santo. E’ perciò dottrina rivelata da Dio e va accettata da ogni vero cattolico.
Va perciò rigettata come superficiale e settaria l'insinuazione dei tdG secondo cui la dottrina del purgatorio si basa solo sulla tradizione intesa come insegnamenti di uomini, e non sarebbe insegnamento biblico. I geovisti arrivano a questa errata conclusione, strappando dal loro contesto alcune espressioni di autori cattolici e corrompendo il loro pensiero. Ma questa è disonestà.
Il fuoco del purgatorio
1 - La Chiesa Cattolica ha sempre affermata l'esistenza del purgatorio, ossia la sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte in uno stato di attesa e di purificazione prima di essere ammesso nella Casa del Padre. Ha anche insegnato ed insegna l'utilità e il valore dei suffragi. Tuttavia è stata ed è d'una sobrietà significativa quando si tratta di specificare in che cosa consiste la pena o purificazione delle anime del purgatorio.
 
2 -  E’ vero che non pochi libri cattolici, specie nel passato, con tanto di imprimatur e non poche immagini e raffigurazioni, presentano il purgatorio come una fornace ardente piena di anime sofferenti. Ma questa letteratura o arte piuttosto popolare non fa autorità e va spiegata nel contesto storico-culturale che la produsse: un purgatorio o un inferno tutto fuoco e fiamme è roba del passato.
A onor del vero, se leggiamo la Bibbia in modo superficiale, come fanno i tdG, potremmo parlare di fuoco reale. Un fuoco inestinguibile brucerà i ribelli contro Dio (cf. Isaia 66, 24; Marco 9, 48-49). In un lago di fuoco sarà gettato il diavolo col mostro e  il profeta per essere tormentati per sempre (cf. Apocalisse 20, 10); e la stessa sorte toccherà a coloro che non furono trovati iscritti nel libro della vita (cf. Apocalisse 20, 15). E' facile dire che il fuoco in questo caso è simbolo dello stroncamento eterno, del ritorno nella non-esistenza, come spiegano i tdG. Ma non sembra facile convincere chi ha ancora una mente sana come possano essere “tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli” (Apocalisse 20, 10), coloro i quali non esistono più.
 
3 - Questo realismo biblico spiega e giustifica in parte le rappresentazioni di un purgatorio (e d'un inferno) tutto fiamme e zolfo, tanto care a scrittori, predicatori e artisti del passato. La Chiesa Cattolica, comunque, non ha mai definito l'esistenza di un fuoco letterale nel purgatorio e nell'inferno. Al contrario non sono mai mancati anche nel passato e non mancano al presente studiosi cattolici della Bibbia, profondi conoscitori del suo linguaggio, delle sue immagini ecc., i quali danno al fuoco biblico non un significato puramente simbolico di distruzione assoluta, ma neppure un senso letterale. Danno tuttavia all'immagine del fuoco un significato reale (che è ben diverso dal senso letterale), in conformità all'insegnamento globale della Bibbia. La Bibbia infatti si spiega con la Bibbia. Lo dicono pure i tdG, ma altra cosa è dire, altra cosa fare. Qual è questo significato?
4 – E’ insegnamento biblico che Dio salva l’uomo per vie dell'amore, non del terrore. “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il Figlio suo Unigenito affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna” (Giovanni 3, 16). I frutti salvifici della morte di Cristo, sono applicati all'uomo mediante il battesimo, che ci dà una nuova vita, che non conosce tramonto, e poi la risurrezione del corpo. E’ l'assimilazione dell'uomo a Gesù Cristo, Via, Verità e Vita (Romani 6, 3-7; Giovanni 3, 5; 14, 6; Filippesi 3, 20-21).
 
5 - La vita dei cristiani, anzi dell'uomo, deve essere una risposta all'amore di Dio. In effetti, l'o- pera di Dio mediante il Figlio non è una bacchetta magica, che cambia d'un colpo la vita di chi crede, distruggendo ogni egoismo e trasformando in un istante la natura umana. Cristiani non sì nasce, ma si diventa. Dio vuole che l'uomo risponda al suo amore con l'amore verso di Lui e verso il prossimo. L'impegno di questa risposta dura tutta la vita, fino alla morte, ultimo atto di amore se offerta a Dio con amore. Con la morte giunge per il cristiano il tempo beato di conseguire lo scopo della vita: vivere nell'amore con Dio e i suoi simili.
 
6 - Ma ecco, per colpa dell'uomo, questa vita beata è resa impossibile o piuttosto ritardata per- ché nulla d'impuro può coesistere con la santità di Dio e la bellezza della celeste Gerusalemme (cf. Apocalisse 21, 27).
Che cosa avverrà allora? Il fuoco dell'attesa. E’  un fuoco d'amore che spinge verso la vita beata, ma la spinta è come rallentata da residui di egoismo, di peccato. E’ come uno sposalizio rimandato, come un'attesa bruciante di un incontro tra persone che si amano, tra genitori e figli, tra amici sinceri, come l'attesa del prigioniero che sconta la pena per il suo reato.
E’ sempre un amore che brucia e allo stesso tempo purifica. E l'amore sarà più forte, più bruciante, quando l'uomo, al di là delle barriere di questa vita, capirà che c'è un Padre che l'attende, una comunità di santi, una vita senza lacrime, senza lutto né grida né dolore perché le cose di prima sono passate (cf. Apocalisse 21, 4).
Dov'è il purgatorio?
Non è raro che domande di questo genere vengono rivolte anche da persone d'una certa cultura a chi dovrebbe saper rispondere: dov'è il purgatorio?
Prima di tentare una risposta, su base biblica, vogliamo fare due precisazioni. La prima: la do- manda potrebbe essere formulata in modo diverso e più completo: Dove sono i morti? La seconda: ricordiamo, sempre con riferimento alla Bibbia, che la Rivelazione è stata fatta da Dio progressivamente, ed ha trovato il suo compimento nei fatti e nei detti di Gesù (cf. Matteo 5, 17; Ebrei 1, 1-2).
1 - Prima di Cristo, ossia nell'Antico Testamento; vi è o vi era una geografia dell'aldilà in termini piuttosto precisi. Gli Ebrei, e non solo essi, immaginavano che i morti, tutti i morti, andassero in una regione chiamata Sceol (in greco Ade), situata al di sotto dell'oceano, al centro della terra.
A cominciare dal V 'secolo a.C., dopo l'esilio babilonese, sempre presso gli Ebrei, vi fu un certo cambiamento,. nello Sceol o Ade, collocato al centro della terra, andavano i malvagi, mentre ai giusti era assegnato un luogo in alto chiamato paradiso, e situato in qualche regione elevata della terra, oppure in alto nei cieli.
 
2 - Nel Nuovo Testamento continua in parte la stessa mentalità: i peccatori sono collocati nella massima profondità della terra, “nel cuore della terra” (Matteo 12, 40), mentre al giusti è assegnato il paradiso, un luogo di felicità in alto, chiamato anche in modi diversi.- seno di Abramo (cf. Luca 16, 22), cielo (Filippesi 3, 20), tempio di Dio (Apocalisse 7, 15) ecc.
Tuttavia questa mentalità geografica viene superata, anzi radicalmente trasformata alla luce de- gli insegnamenti e della vita di Gesù. I discepoli dei Risorto sanno che i morti non sono più nel- l'Ade, ma con Gesù, col Signore. San Paolo esprime questa certezza (cf. Filippesi 1, 23).Il suo “essere col Signore” ripete la promessa fatta da Cristo al buon ladrone: “Oggi sarai con me in     paradiso” (Luca 23, 43).
L'aspetto geografico scompare ed emerge una nuova concezione, quella di uno stato o modo di essere: il paradiso consiste nella compagnia, anzi comunione di vita con Cristo, subito dopo la morte. Tale espressione - comunione con Cristo - rivela la mentalità specificamente cristiana sullo stato intermedio tra la morte e la futura risurrezione dei corpi
 
3 - Dov'è il purgatorio? Abbiamo ora alcuni elementi per rispondere a questa domanda, sempre su base biblica. Ricordiamo, prima di tutto, che il purgatorio nella concezione cattolica non va immaginato come un luogo di fuoco e di fiamme, ma va pensato come una esclusione temporanea un penoso rinvio del paradiso, dell'essere col Signore. Le anime del purgatorio sono anime che hanno raggiunto la salvezza, anime gloriose, alle porte del paradiso. Vanno perciò pensate vicine a Cristo.
Dov'è Cristo? La risposta che dà la Bibbia. “in cielo” (Marco 16, 19), “al cospetto di Dio” (Ebrei 9, 24) ecc., non indica affatto un luogo sia pure alto nei cieli, ma la sua trascendenza, vale a dire un modo di essere libero   dai condizionamenti di questa vita, “dalla carne e dal sangue” (1 Corinzi 15, 50). Paradossalmente, egli è dovunque, senza essere in un luogo.
Come lui anche le anime di coloro che sono morti nel Signore, e a questo numero appartengono le anime del purgatorio: esse perciò vanno pensate in un modo di essere libero dai condizionamenti del nostro mondo fisico-geografico. Il tempo e lo spazio non le riguarda. Non sono più soggette alla carne e al sangue (senso biblico). Paradossalmente, possono essere dovunque, senza essere in un luogo. Dopo tutto non è il luogo, come noi legati ai sensi lo immaginiamo, che fa una persona felice. E’ qualcosa che trascende la materia, lo spazio, il tempo.
La sofferenza o fuoco che purifica le anime del purgatorio non è la loro lontananza fisico-geografica dal Signore, ma piuttosto il non essere ancora ammessi alla perfetta comunione con Lui.
Errori e verità
L'errore:
“La New Catholic Encyclopaedia ammette che la dottrina del purgatorio si basa sulla tradizione, non sulle Sacre Scritture”.
La verità:
La New Catholic Encyclopaedia afferma che la dottrina del purgat1orio affonda le sue radici negli insegnamenti di Gesù e degli Apostoli. I tdG citano la New Catholic Encyclopaedia solo in parte. E’ un inganno a danno , degli ignoranti. L'abbiamo già detto sopra.
L'errore:
“Nessuno sa con certezza cosa succede in purgatorio”.
La verità:
La Chiesa Cattolica insegna con certezza l'esistenza del purgatorio, ma lascia alla libertà degli studiosi l'approfondire la natura delle pene (del fuoco). L'una cosa non esclude l'altra come vorrebbero far intendere i tdG.
L'errore:
“Non  c'è purgatorio  perché  l'anima non  sopravvive alla morte - Ezec. 18 : 4 e 20; Giac. 5: 20”.
La verità:
a) In Ezec. 18, 4 e 20 si parla di nefesh, ossia di essere vivente umano (persona), non di anima, ossia di: componente spirituale e immortale dell'uomo. Ezechiele parla della morte della persona, ossia della fine della vita terrena. Egli non fa nessun riferimento alla sopravvivenza dell'uomo né per negarla né per affermarla. Nella Bibbia vi sono numerose testimonianze sulla sopravvivenza dell'uomo alla morte del corpo.
b) In san Giacomo 5, 20 non è questione della morte dell'anima in senso di mancata sopravvivenza alla morte del corpo. San Giacomo afferma solo che chi riconduce un peccatore sulla retta via, assicura la salvezza anche della propria anima, ossia libera la propria anima dalla morte spirituale (cf. Apocalisse 20, 6). Infatti, la conversione del peccatore copre una moltitudine di peccati (Giacomo 5, 20). “Qui è in primo piano la "morte" spirituale ed eterna, come in Giacomo 1, 15 e abitualmente in Paolo (cf. Romani 5, 12-21; 6, 23; 8, 2)”.
L'errore:
“Secondo la Bibbia il mezzo con cui si può ottenere la purificazione dei peccati è il sangue di Cristo” (cf. 1 Giovanni 1, 7-9; Apocalisse 1, 5).
La verità:
Nessun cattolico ha mai detto che la purificazione dei peccati avvenga indipendentemente dal sangue di Cristo. Tutti siamo salvi in virtù di quel sangue. Tuttavia l'uomo è chiamato a fare penitenza affinché quel sangue gli rimetta i peccati (cf. 1 Corinzi 5, 5).
Anche la sofferenza delle anime del purgatorio, qualunque essa sia, in tanto è efficace in quanto Cristo dà ad essa un valore purificatorio: “Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi” (Romani 8, 34; cf. Ebrei 7, 25).
L'errore:
Chi è morto, è ormai libero dal peccato (Romani 6, 7). Dunque dopo la morte non vengono inflitte altre punizioni per il peccato.
La verità:
San Paolo dice che chi è morto non può più peccare, ma non dice affatto che dopo la morte non possa purificarsi dai peccati commessi durante la vita.
 
PARTE QUARTA
I LIBRI DEUTEROCANONICI
Differenze di Bibbie
1 - La Bibbia venduta dai tdG differisce essenzialmente dalla Bibbia dei cattolici e di tutti i veri cristiani. Non credete ai tdG quando vi dicono il contrario. Non dicono la verità. Si tratta d'un inganno.
Stando così le cose, è bene ripetere per amore della verità che la Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture, ossia la Bibbia dei tdG, è una falsa Bibbia, una traduzione infedele dei testi originali, degli scritti cioè degli autori ispirati
2 - Vi è poi una differenza quantitativa, matematica, tra la Bibbia dei cattolici e la falsa Bibbia dei tdG, che consiste nel numero dei libri. In effetti, la Bibbia dei tdG, nella sua prima parte o Antico Testamento, contiene sette libri in meno rispetto a quella dei cattolici. Essi sono: Tobia, Giuditta, Sapienza, Ecclesiastico (o Siracide), I e II Maccabei, Baruc, Lettera di Geremia.
Questi sette libri assenti nella Bibbia geovista e presenti in quella dei cattolici sono detti dèuterocanònici. Perciò la Bibbia dei cattolici, nella sua prima parte e Antico Testamento, contiene 46 libri o scritti, mentre quella falsa dei tdG ne ha solo 39. La differenza tra le due Bibbie è evidente, matematica.
Tra i dèuterocanònici vi è anche il Il Maccabei, e poiché in questo libro si trova una  solida base per la dottrina cattolica del purgatorio (cf. 2 Maccabei 12, 39-45, supra), crediamo di fare' cosa gradita e utile ai lettori, se ricordiamo brevemente le ragioni per cui la Chiesa Cattolica considera come ispirati e perciò parte essenziale della Bibbia anche i sette libri dèuterocanònici.
Giustificazione
1 - La parola  dèuterocanònici deriva dal greco dèuteros   secondo) e kanon (-- norma, regola, canone).Chiamando dèuterocanònici i sette libri sopra elencati non si vuol dire che, essi siano secondi, cioè inferiori agli altri libri della Bibbia, in quanto a dignità, cioè a ispirazione. Sotto questo aspetto sono uguali agli altri, 39 libri. Solo si vuol dire che la Chiesa Cattolica li riconobbe conte ispirati in un secondo tempo rispetto agli altri. In altre parole, poiché vi erano alcuni dubbi nei loro riguardi, la Chiesa volle prima accertarsi come esorta l'apostolo (cf. 1 Tessalonicesi 5, 21) sull'origine dei dèuterocanònici. Quando poi ha avuto prove sicure sulla loro natura o dignità di libri ispirati, li dichiarò parte del canone o regola della fede.
Perché?
 
2 - La ragione fondamentale è il fatto che i dèuterocanònici sono inclusi nella Bibbia detta dei Settanta. Ora tale Bibbia fu largamente usata dai primi cristiani, dagli Apostoli ed Evangelisti, ed è citata abbondantemente nei libri ispirati del Nuovo Testamento.
“La versione dei LXX (Settanta), diffusa tra tutti i Giudei del mondo greco-romano, fu in mano ai banditori del Vangelo un efficace strumento di conquista, prima fra i Giudei stessi, poi anche fra i pagani. La Bibbia dei Settanta fu l'alleata del Vangelo”.
“Delle 350 citazioni dell'Antico Testamento nel Nuovo si calcola che circa 300 corrispondono ai Settanta. La Bibbia dei Settanta è la fonte principale di queste citazioni. Non si citano i libri dèoterocanònici, benché di essi si trovino echi”.
Da questo innegabile fatto storico possiamo e dobbiamo dedurre almeno due conclusioni:
La prima. Se la Chiesa del tempo degli apostoli ha fatto largo uso della Bibbia dei Settanta, che conteneva anche i libri detti in seguito dèuterocanòníci, è segno evidente che questi libri erano ritenuti dagli Apostoli ed Evangelisti come ispirati, cioè come Parola di Dio. La vera Chiesa di Cristo di ogni tempo può e deve fare altrettanto.
La seconda. I Giudei, ai quali gli Apostoli ed Evangelisti annunciavano il Vangelo, non avevano nessuna difficoltà ad accettare la Bibbia dei Settanta tutta intera, considerando come ispirati anche i dèuterocanònici. Questo è segno evidente che anche tra i Giudei vi era la convinzione che i dèuterocanònici potevano essere considerati parte integrante della Bibbia. La Chiesa, che è il vero popolo di Dio (cf. Galati 6, 16), può continuare a fare lo stesso.
Origine della Bibbia dei LXX
Un po' di storia circa l'origine della Bibbia dei Settanta può far maggior luce sulla questione che stiamo trattando.
1 - La Bibbia detta dei Settanta (LXX) o la Settanta è la prima traduzione in lingua diversa - la lingua greca - dei libri tenuti sacri dagli Ebrei e scritti quasi tutti in ebraico. Venne fatta in Egitto, ad Alessandria, tra il terzo e secondo secolo a.C., ed è perciò detta anche Alessandrina.
Al tempo di questa traduzione, l'elenco dei libri sacri degli Ebrei non era ancora così determinato e chiuso come avvenne dopo (cf. infra, p. 63). Gli esperti in materia ritengono che vi erano più edizioni - almeno tre - delle Scritture ebraiche. Una di queste (canone lungo) conteneva anche i dèuterocanònici; in un'altra (canone breve) erano assenti. Dietro la traduzione dei Settanta vi è il canone lungo.
 
2 - E' pure storicamente accertato che i traduttori dei Settanta, nel fare il lavoro di traduzione, non agirono in modo indipendente dalle autorità religiose di Gerusalemme. Sembra anzi che proprio le autorità religiose della Palestina abbiano mandato ad Alessandria alcuni dotti rabbini per il lavoro di traduzione a beneficio dei loro correligionari residenti fuori a Palestina.
A cose fatte, non risulta che le autorità religiose di Gerusalemme abbiano mai contestato la traduzione dei Settanta, che pure conteneva i dèuterocanònici come parte integrante della Bibbia. Tra le due comunità - quella della Palestina e quella di Alessandria - intercorsero sempre buoni rapporti, specie in materia di libri sacri. Comune era la fede se non la patria; comune anche la fonte della fede, benché differisse il numero dei libri ritenuti sacri. Questi buoni rapporti non si potrebbero spiegare se gli alessandrini avessero ritenuto sacri alcuni libri ripudiati da Gerusalemme. In materia di Scritture gli Ebrei erano piuttosto rigidi e intransigenti.
 
3 - Due ricordi storici confermano quanto detto finora.
a) Ai tempi di Gesù e della Chiesa nascente vi era a Gerusalemme una sinagoga per gli Ebrei alessandrini (cf. Atti 6, 9). Ora è risaputo che nelle sinagoghe, al centro del culto, vi era la lettura della Bibbia (cf. Luca 4, 16-21). Nella sinagoga di Gerusalemme per gli alessandrini era certamente letta e spiegata la Bibbia dei Settanta, che conteneva anche i dèuterocanònici. Non consta che le autorità religiose di Gerusalemme abbiano proibita o contestata questa lettura.
b) Una notizia, che leggiamo nel vangelo di Giovanni, indica chiaramente che i Giudei della Palestina, non meno di quelli della diaspora (= dispersione), non ignoravano i dèuterocanònici, anzi si ispiravano ad essi per il loro culto. Nel capitolo decimo di Giovanni, versetto 22, è detto che ricorreva in quei giorni la festa della Dedicazione. Questa festa era celebrata, allora come oggi, dalla comunità ebraica in tutto il mondo. E’ detta in ebraico “festa dellHanukkah”. Orbene, della istituzione di questa festa si parla solo nei dèuterocanònici e precisamente in 1 Maccabei 4, 36-59, e 2 Maccabei 1, 1-2.19; 10, 1-8. Durante questa festa era letto tutto intero il primo libro dei Maccabei. E’ difficile Spiegare questo fatto senza ammettere che ai tempi di Gesù tutti gli Ebrei ritenevano come sacri anche i dèuterocanònici.
Possiamo concludere questo paragrafo dicendo che ci fu un tempo in cui i sette libri detti in seguito dèuterocanònici facevano parte delle Sacre Scritture. Che cosa avvenne dopo?
Origine della Bibbia ebraica
1 - Oltre alla Bibbia dei Settanta, abbiamo oggi la Bibbia in ebraico, quella a cui generalmente si riferiscono le traduzioni moderne del Vecchio Testamento quando si qualificano come traduzioni dai testi originali. Come ha avuto origine la Bibbia ebraica? A che epoca risale la sua edizione?
Come già abbiamo accennato, al tempo in cui fu fatta la traduzione dei Settanta il canone o elenco ufficiale delle Scritture ebraiche non era ancora determinato e chiuso come avvenne dopo. Vi erano più edizioni o elenchi (o canoni) di libri che gli Ebrei ritenevano sacri, vi era cioè una certa elasticità circa il numero dei libri ispirati. Ma questo atteggiamento subì un mutamento verso la fine del primo secolo dopo Cristo, o secondo altri, durante la prima metà del secondo. Perché?
 
2 - Com'è risaputo, nel 70 dopo Cristo Gerusalemme fu occupata e in parte distrutta dai Romani. Israele in quanto nazione cessò di esistere. Rimaneva solo la religione come eredità comune e vincolo di un popolo disperso. Per conservare e rinsaldare sempre più questa unità, i rabbini o capi religiosi degli Ebrei, che godevano grande autorità presso il popolo, decisero di stabilire in modo preciso e definitivo quali fossero i libri sacri o Scritture e quali no, per i discendenti di Abramo e di Mosè. Usando criteri a noi purtroppo ignoti, ma che certamente non potevano essere quelli critico- scientifici dell'epoca del Rinascimento, dei manoscritti allora esistenti ne scelsero alcuni e distrussero le copie non conformi ad essi. Diedero così luogo a quello che si suol chiamare un textus receptus (= testo accettato), ossia alla Bibbia ebraica oggi in nostro possesso, escludendo altri elenchi o edizioni che consideravano meno autorevoli.
“Dopo la caduta di Gerusalemme (.a 70 d.C.), distrutto il tempio e con esso cessato il sacerdozio, i farisei conquistarono facilmente il primato spirituale sui correligionari. Ma esageratamente attaccati a quelle che essi si vantavano di chiamare "tradizioni dei padri", pare che abbiano voluto sottoporre ad un esame scrupoloso i libri sacri per assicurarsi se tutti realmente "macchiassero le mani", cioè fossero canonici, e se non fosse il caso di "nascondere" qualcuno, cioè escluderlo dalla lettura sinagogale”.
 
3 - Questa sorte toccò ai dèuterocanònici. Perché?
Tra i criteri non certamente critico-scientifici gli studiosi di storia biblica ne enumerano soprattutto tre:
a)   Il primo sembra essere stato il fatto che i dèuterocanònici erano di composizione recente e non rispecchiavano perciò appieno le “tradizioni dei padri”.
b)   Il secondo perché non scritti in lingua ebraica.
c)   Il terzo perché erano inclusi nella Bibbia dei Settanta usata largamente dai cristiani. Il rifiuto della Bibbia dei Settanta in odio ai cristiani che se l'erano appropriata, trascinò con sé il rifiuto definitivo dei dèuterocanònici.