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- CON QUALE
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AUTORITA'?
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OPUSCOLO N° 21
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PICCOLA COLLANA
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"I TESTIMONI DI GEOVA"
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Per ricevere gli opuscoli rivolgersi:
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Padre Nicola Tornese
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Viale S. Ignazio,
4
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80131 NAPOLI
tel. 081.545.70.44
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- All'origine dell'errore
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1 - “I settari diventarono la spina
più amara inflitta nella carne di Lutero, in quanto essi
rappresentavano il chiaro segno del suo rifiuto dell'autorità
esistente, e lo indussero ai gesti più violenti, compresa
l'approvazione della pena di morte per gli eretici quali gli
Anabattisti”.
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A distanza di quattro secoli e mezzo
dalla vita di Lutero non lo si può scagionare dall'aver dato l'avvio,
certamente contro sua voglia, a quel proliferare di sette religiose
spuntate dopo di lui, e che spuntano ancora, specie nelle nazioni e
tra i popoli maggiormente toccati dalla Riforma luterana.
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Si tratta certamente d'una
applicazione errata del principio del “libero esame”, della “sola
fede”, della “sola Scrittura”. Nella mente di Lutero questo
principio voleva dire che la fede del vero cristiano si basa
sull'autorità della Parola di Dio, di Cristo, del suo Spirito.
Lutero non escludeva il ministero o servizio della Parola, ossia la
presenza e l'opera nelle comunità cristiane di persone qualificate,
che annunciassero autorevolmente la Parola di Dio (cfr. Efesini 4,
11-16; 1 Corinzi 12, 4-30 ecc.). Lutero fu una di queste.
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2 - Tuttavia, fondati sul principio
del “libero esame”, Lutero e i suoi seguaci, quanti cioè si sono
ispirati e si ispirano al suo insegnamento, hanno rigettato
l'autorità del Papa e dei Concili, cioè del Magistero ecclesiastico.
A loro avviso, il Magistero ecclesiastico ha soppiantato l'autorità
della Scrittura. Vedremo che non è così.
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Questo rifiuto portò al rigetto di non
poche dottrine ed elementi importanti della Chiesa Cattolica, quali
la santa Messa, la confessione, il battesimo dei bambini, il culto
della Madonna e dei Santi, la fede nell'esistenza del purgatorio ecc.
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3 - I cattolici giudicarono errata
questa nuova dottrina e quindi pericolosa per la vera fede, perché
in definitiva dava troppo spazio, anzi tutto lo spazio, al proprio
giudizio. Essa apriva le porte a un deleterio soggettivismo o,
peggio ancora, a un deprecabile settarismo come di fatto avvenne. I
protestanti o riformatori replicavano che si trattava d'un ritorno
puro e semplice alle origini, al genuino insegnamento del Vangelo. A
loro avviso, la Chiesa Cattolica se ne sarebbe allontanata,
sostituendo all'autorità di Cristo quella di uomini come papi,
vescovi, concili.
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Dov'è la verità?
- Precisazioni doverose
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Prima di rispondere a questa domanda,
seguendo fedelmente ciò che dice il Vangelo, è doveroso e anche
utile fare alcune precisazione.
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1 - Anzitutto non è esatto dire che i
cattolici, nella loro scelta di fede e nella coerenza morale della
vita, obbediscono a un'autorità diversa dalla Parola di Dio. E'
errato dire che i cattolici basano la loro fede sull'autorità
arrogante di uomini come papi, vescovi, concili.
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Senza paura di essere frainteso,
almeno da quanti sanno e ragionano, dico che per il cattolico l'atto
di fede è fondamentalmente una scelta libera e responsabile del
soggetto credente. Sono io a voler accettare la fede e la morale
insegnate nella Chiesa Cattolica. Nessuno me lo impone.
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In altre parole, l'atto di fede del
cattolico è basato su un proprio giudizio, che è l'accettazione
della “sola Scrittura”, purché si intenda tutta la
Scrittura. Certo è lo Spirito Santo che muove all'obbedienza della
fede (cfr. Romani 1, 5), dopo l'annuncio e l'ascolto della Parola (cfr.
Romani 10, 14). Ma rimane il fatto che il credente cattolico
risponde liberamente all'impulso dello Spirito che parla mediante
tutta la Scrittura. Vedremo in seguita come la Scrittura, intesa
nella sua integrità, non esclude anzi esige il servizio autorevole
di Papi, Vescovi e Concili.
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2 - Per ora diciamo che da questa
norma o processo non sono esenti né papi né vescovi né concili. Anzi
vi sono legati in modo particolare perché nel servizio alla comunità
sono essi i garanti della fede. Qui fede va intesa in senso
oggettivo, vale a dire il complesso di verità da accettare
liberamente per essere un autentico discepolo di Cristo.
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Il Concilio Vaticano Il ha espresso
questa dottrina con la massima chiarezza:
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“L'ufficio poi di interpretare
autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa è affidato al
solo Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel
nome di Gesù Cristo. il quale Magistero non è superiore alla Parola
di Dio, ma ad essa serve, insegnando soltanto ciò che è trasmesso,
in quanto per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo,
piamente ascolta, santa- mente custodisce e fedelmente espone quella
Parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che
propone da credere come rivelato da Dio”.
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Osservazioni:
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a) Per Magistero bisogna intendere
l'insieme dei vescovi (papa e vescovi) in qualità di maestri o
testimoni della Parola di Dio. Sono ministri della Parola e pastori
del gregge (cfr. Atti 20, 28).
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E' detto vivo nel senso
che tali ministri e pastori, per volontà di Cristo, sono presenti
nella sua Chiesa in ogni epoca della storia. Sono suoi
rappresentanti per far conoscere agli uomini di tutti i tempi il suo
insegnamento dato una volta per sempre (cfr. Giuda 3). Non il
proprio insegnamento, ma l'insegnamento di Cristo.
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b) Per compiere questo loro ministero,
papi e vescovi devono essi stessi ascoltare la Parola di Dio e
custodirla fedelmente senza alterazione alcuna. Sono servi della
Parola, non superiori ad essa. Prima e sopra di loro vi è Cristo, vi
è la Scrittura. Il papa e i vescovi insegnano solo ciò che Cristo ha
insegnato senza aggiungere o togliere nulla. Ciò che essi insegnano
è contenuto nel deposito della fede (cfr. I Timoteo 5, 20). Lo
Spirito Santo guida nella conoscenza della verità tutta intera (cfr.
Giovanni 14, 26).
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c) Se nella lunga storia della Chiesa
Cattolica vi sono pagine o gesti di papi e di concili che potrebbero
far pensare diversamente, vale a dire che papi o concili abbiano
alterato la parola di Dio, un'analisi accurata ed onesta di quelle
pagine o gesti può rettificare e cancellare quella impressione.
Bisogna analizzare coscienziosamente i singoli casi come hanno fatto
storici e teologi di grande valore. In quanta verità di fede e di
morale il Magistero Ecclesiastico, anche se alcune volte
rappresentato da persone moralmente discutibili, non ha mai
insegnato cose contrarie alla Parola di Dio.
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3 - Riassumendo diciamo o ripetiamo:
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a) Secondo la dottrina cattolica la
fede del credente cattolico è una libera risposta alla chiamata di
Dio mediante la sua Parola conosciuta intelligentemente e confermata
autorevolmente. Nessun cattolico è forzato a credere ciò che crede.
Dire il contrario è calunnioso. La fede è un dono di Dio accettato
liberamente dall'uomo. Il cattolico accetta e aderisce alla
Scrittura mediante una risposta libera, personale, soggettiva, in
virtù di una libera valutazione e di una decisione personale.
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Ci può essere, perciò, una
interpretazione esatta del principio del “libero esame”, quando si
vuole mettere in risalto la responsabilità della persona e il
primato della Parola di Dio; ma non si può accettare l'uso che ne è
stato fatto storicamente (e che si fa ancora oggi) per far passare
l'individualismo e il soggettivismo nel campo della fede e della
morale.
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b) Affinché poi l'oggetto della fede e
della morale sia garantito o, in altre parole, affinché ciò che il
cattolico crede sia veramente Parola di Dio, Cristo ha stabilito il
Magistero. Sotto tale guida la Parola di Dio non è lasciata
all'arbitrio dei singoli, ma preservata nella sua integrità e
purezza, e trasmessa nella sua genuinità.
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c) L'atto di fede del cattolico ha
perciò due componenti: una soggettiva, che è, la libera
adesione alla Parola di Dio; l'altra oggettiva, nel
senso che egli attinge ciò che crede dal deposito della
fede custodito e interpretato fedelmente dal Magistero sotto la
guida speciale dello Spirito Santo.
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d) Il Magistero, infine, non è
libero d'insegnare ciò che vuole. Papi e Vescovi non sono
superiori alla Parola di Dio, ma ad essa servono, insegnando
soltanto ciò che è trasmesso. Essi piamente ascoltano, santamente
custodiscono e fedelmente espongono la Parola di Dio.
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- PARTE PRIMA
- LA STRUTTURA DELLA VERA
CHIESA
- Concetto o nozione di Chiesa
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Ritorniamo ora alla domanda o
questione di prima, che può essere formulata nel modo seguente.
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Come riceve il cattolico la fede
oggettiva, ossia le verità rivelate da Dio, a cui
aderisce liberamente? Direttamente dalla Scrittura sotto l'impulso
dello Spirito Santo oppure dalla Scrittura conservata e interpretata,
attraverso il tempo, da una guida autorevole, diretta dallo Spirito
Santo? E in questo secondo caso, qual è questa guida? Chi l'ha
costituita?
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Com'è facile capire qui è in questione
la natura e la struttura della vera Chiesa di Gesù Cristo: Com'è
strutturata questa Chiesa? Che cosa dice la Scrittura a questo
riguardo?
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1 - La parola chiesa (greco
ekklesìa da ekkalèin convocare) indica l'assemblea religiosa. Il
termine fu usato già prima di Cristo per indicare l'assemblea
religiosa degli Israeliti nel suo insieme. Col tempo venne a
indicare le assemblee religiose locali degli Israeliti fuori di
Gerusalemme, ossia le comunità riunite intorno alla sinagoga.
-
Presso i cristiani la
Ekklesìa venne a indicare il gruppo o i gruppi dei discepoli di
Cristo che si riunivano prima a Gerusalemme e poi in altre città e
località fuori di Gerusalemme. Indicava cioè le chiese o comunità
locali, particolari. Così era chiamato il gruppo dei cristiani di
Gerusalemme (cfr. Atti 11, 22), come pure quello di Antiochia (cfr.
Atti 13, 1). Identico significato in san Paolo che scrive “alla
chiesa di Dio che è in Corinto” (1 Corinzi 1, 2; 2 Corinzi 1,1);
“alle chiese della Galazia” (Galati 1, 2). Anche le chiese, di cui
in Apocalisse capitoli 2 e 3, sono chiese locali.
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2 - Tuttavia lo stesso vocabolo
Ekklesìa è usato nel Nuovo Testamento per indicare l'assemblea o
comunità dei discepoli di Cristo nella loro totalità. Così, per
esempio, in Efesini 1, 22-23 san Paolo parla della Chiesa come del
Corpo di Cristo, la pienezza di Lui che tutto riempie. Identico
significato> in Efesini 5, 25, dov'è detto che “Cristo ha amato la
Chiesa e si è offerto per lei per santificarla”. E' tutto il Popolo
di Dio, tutto l'Israele di Dio (cfr. Galati 6, 16), che Cristo ha
santificato. Così pure in Matteo Gesù chiama Ekklesìa
la moltitudine dei suoi discepoli, che avranno Pietro come
fondamento incrollabile (cfr. Matteo 16, 16-18).
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3 - Per indicare questa medesima
realtà, ossia l'assemblea universale dei discepoli di Cristo, la
Bibbia usa anche altri vocaboli, altre immagini. Ne ricordiamo solo
alcune.
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La Chiesa tutta è paragonata al
gregge e ovile (cfr. Giovanni 10, 1-10). L'una e
l'altra immagine fa pensare a un'unica grande comunità guidata da un
Pastore. Un'altra immagine è quella della famiglia, che
comporta anche una struttura unitaria sotto una guida incontestata e
sicura (cfr. Efesini 2, 19-22). In quanto tale la Chiesa è detta
anche “la dimora di Dio con gli uomini” (Apocalisse 21, 3), “tempio
santo di Dio” (Efesini 2, 21), “la Città Santa” (Apocalisse 21, 2).
- La Nuova Gerusalemme (Apocalisse
21, 10 ss.)
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Soffermiamoci ora a considerare la
Chiesa nella sua totalità, come l'assemblea di tutti i discepoli di
Cristo: qual è la struttura che di essa ci offre la Bibbia? Citiamo
e spieghiamo brevemente un testo dell'Apocalisse molto significativo.
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1 “L'angelo mi trasportò in spirito su
di un monte grande ed alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme,
che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. La
città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra
queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle
dodici tribù dei figli d'Israele (...). Le mura della
città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi
dei dodici apostoli dell'Agnello” (Apocalisse 21, 10-14, CEI).
-
-
Spiegazione:
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1 - La città santa, Gerusalemme, che
l'angelo mostra a Giovanni, è certamente la Chiesa universale,
“tutto l'Israele di Dio” (Galati 6, 16). Di essa fa parte il popolo
dell'Antico Testamento, come fa chiaramente capire la menzione dei
nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. Ma fa parte soprattutto
il popolo della Nuova Alleanza, rappresentato dai nomi dei dodici
apostoli dell'Agnello.
-
2 - Qui interessa mettere in rilievo
come le mura della città santa Gerusalemme, che è la Chiesa,
poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei
dodici apostoli dell'Agnello. Giovanni dunque, presentando la
struttura della Chiesa universale, assegna ai dodici apostoli la
funzione di fondamento (cfr. anche Efesini 2, 20).
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Se si tiene presente che le fondamenta
sono insostituibili nella struttura d'un edificio, ne segue che la
funzione dei dodici apostoli è essenziale e di primaria importanza
per la solidità e stabilità della vera Chiesa di Cristo. San
Giovanni non poteva essere più chiaro: la vera Chiesa di Cristo deve
essere apostolica, altrimenti non è la vera Chiesa di
Cristo.
-
Si ha qui un'illustrazione plastica
del pensiero di san Paolo che, riferendosi a tutti i credenti in
Cristo, dice: “Siete concittadini dei santi e membri della casa di
Dio, sopraedificati sul fondamento degli apostoli e dei
profeti con lo stesso Cristo Gesù quale pietra angolare” (Efesini 2,
19-20).
-
La vera Chiesa di Cristo, nella sua
universalità, non poggia su uno scritto, ma su uomini, testimoni e
messaggeri di quello scritto.
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3 - Ricordiamo infine che Giovanni
nell'Apocalisse presenta la Chiesa di tutti i tempi, la
Chiesa di ieri, di oggi, di sempre, come procede nel tempo tra lotte
e trionfi, eroismi e tradimenti, coraggio e viltà. Questa Chiesa
poggia sulle solide fondamenta dei dodici Apostoli.
- Uno sguardo alle origini
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Questa visione di Giovanni non è una
sua invenzione. Egli era ben consapevole di come il divino Maestro
aveva strutturata la sua comunità, il popolo della Nuova Alleanza.
Uno sguardo alle origini ci aiuta a capire bene le cose.
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1 - Nei vangeli non si legge che il
Signore Gesù abbia avuto mai la preoccupazione di scrivere o di far
scrivere i suoi insegnamenti, il Vangelo del Regno. Egli volle
essere un Maestro (Rabbì), non uno scriba: “E si stupivano del suo
insegnamento, perché li ammaestrava come uno che ha autorità e non
come gli scribi” (Marco 1, 22). Né volle circondarsi di scribi.
-
Leggiamo invece nei vangeli che fin
dai primi giorni della sua vita pubblica il Maestro accettò, anzi
invitò, persone che lo seguissero come discepoli (cfr. Giovanni 1,
37-42). Il gruppo di questi discepoli andò sempre crescendo.Erano
molti (cfr. Luca 6, 17).
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2 - E arrivò un giorno in cui il
Maestro, dopo aver pregato a lungo (cfr. Luca 6, 12), fece una
scelta tra quanti lo seguivano come discepoli. Racconta san Marco:
-
“Poi salì sulla montagna e chiamò
quelli che volle, ed essi andarono da lui. E ne costituì dodici
perché stessero con lui, e per mandarli a predicare col potere di
scacciare i demoni. Costituì, dunque, i Dodici: Simone, al quale
diede il nome di Pietro ecc.” (Marco 3, 13-16, Garofalo).
Seguono i nomi dei Dodici scelti.
-
San Luca, nel racconto parallelo,
precisa che ai Dodici Gesù “diede il nome di apostoli” cioè inviati
(Luca 6, 13). Parlando poi della prima missione, dice: “Riunì i
Dodici” (Luca 9, 1).
-
La precisazione di Luca fa capire
chiaramente che tra i discepoli in genere e i Dodici scelti da Gesù
esiste una differenza rimarchevole. San Matteo dice: “I dodici
discepoli”, ma subito dopo precisa: “I nomi dei dodici apostoli sono
questi: primo, Simone detto Pietro ecc.” (Matteo 10, 2).
-
I Dodici dunque formano un gruppo ben
distinto tra i seguaci o discepoli di Cristo, con compiti o funzioni
particolari. A conferma vale il fatto che, dopo questa scelta o
elezione, il gruppo è assai spesso designato col solo nome di “I
Dodici” (Oi Dòdeka): 34 volte contro 8.
- Gesù e i Dodici
-
Leggendo i vangeli si nota facilmente
come dopo la scelta dei Dodici, tra Gesù e questo gruppo si siano
creati gradatamente rapporti particolari. Molto significativa è
l'espressione di Marco che dice: “Li scelse per averli con sé, per
mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i
demoni” (Marco 3, 14-15).
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1 - Effettivamente, non molto tempo
dopo la scelta, Gesù affida ai Dodici la prima missione: li manda da
soli, a due a due, rivestendoli della sua stessa autorità e dei suoi
poteri. Oltre all'impegno di annunziare il Vangelo, come farà anche
coi settantadue discepoli (cfr Luca 10, 1 ss.), ai Dodici Gesù
“diede autorità sugli spiriti maligni e di guarire le malattie”
(Luca 9, 1-2). Disse loro: “Guarite i malati, risuscitate i morti,
sanate i lebbrosi, scacciate i demoni” (Matteo
10, 8).
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2 - Ai Dodici, in corso di tempo, Gesù
fa conoscere la vera natura della sua missione messianica, vale a
dire che, contrariamente alla comune attesa, egli restaurerà il
Regno di Dio mediante la sofferenza e la morte, seguita dalla
risurrezione. Più d'una volta Gesù aveva accennato alla sua passione
(cfr. Matteo 16, 21; 17, 22, e paralleli; Giovanni 2, 19-22). Ma ai
Dodici parlò in modo particolare e abbastanza chiaro:
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“Mentre erano nella strada che sale a
Gerusalemme (…) ancora una volta Gesù prese in disparte i Dodici
discepoli e si mise a parlare di quello che gli doveva accadere.
Disse loro: “Ecco, noi stiamo salendo verso Gerusalemme; là il
Figlio dell'uomo sarà dato nelle mani dei capi dei sacerdoti” (Marco
10, 32-34).
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3 - Altro momento forte di questa
intimità tra Gesù e i Dodici è certamente la celebrazione
dell'ultima Pasqua. Senza dubbio in quella circostanza c'erano a
Gerusalemme altri discepoli. Ma Gesù volle celebrare la Pasqua solo
coi Dodici: “Quando fu sera, si mise a tavola insieme ai Dodici
discepoli” (Matteo 26, 20; Marco 14, 17; Luca 29,4).
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Dal tenore delle parole che Gesù
rivolse ai Dodici in quella circostanza, apprendiamo che conferì
loro il potere sacerdotale di offrire l'unico sacrificio della Nuova
Alleanza: “Fate questo in memoria di me” (Luca 22, 19).
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4 - Anche nel lungo discorso che segui
la Santa Cena, in cammino verso il Getsemani, gli interlocutori
immediati di Gesù furono i Dodici. A loro in modo particolare Gesù
promette lo Spirito Santo.
-
“lo pregherò il Padre ed egli vi darà
un altro Paraclito (difensore, assistente, consolatore), che starà
sempre con voi, Io Spirito di verità (... ). Vi ho detto queste cose
mentre sono con voi. Ma il Padre vi manderà nel mio nome un
Difensore: lo Spirito Santo. Egli vi insegnerà ogni cosa e vi
ricorderà tutto quello che ho detto” (Giovanni 14, 16.25-26).
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Senza dubbio lo Spirito Santo è dato a
tutti i credenti in Cristo (cfr. Giovanni 7, 39). Ma qui appare
chiaro che una particolare effusione dello Spirito è promessa ai
Dodici, in vista certamente della funzione speciale che avrebbero
dovuto svolgere in seno alla comunità dei discepoli di Cristo.
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5 - Dopo la crisi del venerdì santo,
che vide dispersi anche i Dodici, il Risorto li ristabilisce nella
loro missione, che riceve un assetto definitivo dalla certezza della
risurrezione. Luca ci informa che il Risorto fu assunto in cielo
“dopo aver dato istruzioni agli Apostoli che si era scelti nello
Spirito Santo. Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione,
con molte prove, apparendo per quaranta giorni e parlando del Regno
di Dio” (Atti 1, 2-3).
-
Certo il Risorto apparve anche ad
altri; ma nelle apparizioni una particolare attenzione fu riservata
ai Dodici. Nel racconto sommario che san Paolo fa delle apparizioni
di Cristo Risorto afferma esplicitamente che si fece vedere ai
Dodici (cfr. 1 Corinzi 15, 5).
- I Dodici nella Chiesa primitiva
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La scelta dei Dodici fatta da Gesù e
la cura particolare che egli ebbe nei loro riguardi spiegano e
giustificano il ruolo che i Dodici ebbero nella Chiesa dei primi
tempi. I primi cristiani ricevettero la fede non da uno scritto, ma
dalla viva voce dei Dodici e dei loro
collaboratori.
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1 - I Dodici insegnano e presiedono
nella comunità di Gerusalemme (cfr. Atti 2, 42-43). Con grande
coraggio attestano la risurrezione del Signore e riscuotono grande
simpatia (cfr. Atti 4, 33), ma anche avversità e persecuzioni (cfr.
Atti 5, 17-18). S'interessano dei beni della comunità (cfr. Atti 4,
34-35; 5, 2). Parlano in nome di Gesù e sempre in suo nome compiono
segni e miracoli (cfr. Atti 5, 12 e 5, 40). Riservandosi il servizio
della Parola, autorizzano altri ad aver cura della distribuzione dei
beni (cfr. Atti 6, 2-6).Si riuniscono a Gerusalemme insieme agli
anziani per decidere, sotto la guida dello Spirito Santo, che cosa
bisogna esigere dai cristiani provenienti dal paganesimo (cfr. Atti
15, 2-22).
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2 - A conferma di questo ruolo
direttivo dei Dodici nella Chiesa primitiva vale quanto sugli
Apostoli, ossia sui Dodici, dice san Paolo nelle sue Lettere.
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Scrivendo ai cristiani di Corinto
afferma che nell'organismo ecclesiale, oltre alla basilare
uguaglianza di tutti come membra di Cristo, vi sono diversità di
funzioni volute da Dio:
-
“Ora voi siete corpo di Cristo e sue
membra, ciascuno per la sua parte. Alcuni però Dio li ha posti nella
Chiesa in primo luogo come apostoli” (1 Corinzi 12, 27-28).
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E altrove:
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“E' lui (Cristo) che ha stabilito
alcuni come apostoli, altri come profeti” (Efesini 4, 11).
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Commentando queste parole
dell'Apostolo la Traduzione Ecumenica della Bibbia
osserva:
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“La Lettera pone l'accento
sull'iniziativa del Signore che dà alla Chiesa gli uomini necessari
per la propria edificazione. In questa lista di ministri si nota il
primato degli apostoli”.
- Significato d'una scelta
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1 - Nella Chiesa primitiva i Dodici,
oltre al ruolo di annunciare la Parola e dirigere le comunità,
ebbero anche la preoccupazione di assicurare che queste due funzioni
fossero partecipate e continuate mediante persone qualificate ad
essi intimamente legate.
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Il primo esempio di questa
preoccupazione fu l'elezione di Mattia per occupare il posto
lasciato vuoto dal traditore. Siamo alle origini della Chiesa. Il
Vangelo doveva essere annunziato da testimoni oculari e auricolari
della vita e della risurrezione del Signore. Mattia era uno di
quelli che fin dal battesimo di Gesù era stato in loro compagnia, e
lo fu fino alla fine. In questo modo era qualificato a diventare
testimone della sua risurrezione e ascensione (cfr. Atti 1, 21-22).
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2 - Neppure Saulo, divenuto Paolo, era
del numero dei Dodici scelti da Gesù durante la sua vita terrena.
Tuttavia egli fu riconosciuto Apostolo a pieno titolo. Egli
considera la sua missione come un incarico ricevuto direttamente dal
Signore (cfr. Atti 9, 15; Galati 2, 7-10; 1 Corinzi 9, 1). Anche a
lui era apparso il Risorto (cfr. Atti 9, 3-5; 1 Corinzi 15, 8).Paolo
poteva dire di essere Apostolo “non per volere di uomo né per
tramite d'uomo, ma per opera di Gesù Cristo e di Dio Padre” (Ga-
lati 1, 1; cfr. 1 Timoteo 2, 7; 2 Timoteo 1, 11; Tito 1, 1;
1 Tessalonicesi 2, 7).
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3 - In seguito, nella misura in cui la
fede si diffondeva anche fuori la Palestina, e i testimoni oculari
diminuivano sempre più, non vi fu la preoccupazione di conservare il
numero dei Dodici. L'essenziale era la continuità della missione
apostolica. Nessuno prese il posto dell'Apostolo Giacomo, uno dei
Dodici, fatto decapitare da Erode (cfr. Atti 12, 2); ma molti dentro
e fuori la Palestina continuarono la sua missione in stretta
collaborazione con gli Apostoli.
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Nelle nuove comunità furono costituiti
maestri e guide qualificate ed autorevoli col compito di continuare
ed estendere nel tempo e nello spazio la testimonianza e la funzione
dei Dodici. Comincia così la catena dei collaboratori prima, e dei
successori poi. Non più condizionamento di numero, ma compito di
annunciare la Parola, di guidare le comunità e di presiedere
l'Eucaristia. La catena non si è mai interrotta attraverso i secoli.
In questo modo comincia ad attuarsi quella nota caratteristica della
vera Chiesa di Cristo, che è la sua apostolicità
mediante la successione.
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4 - Nella scelta dei Dodici possiamo e
dobbiamo perciò distinguere due aspetti o componenti.
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Una personale, quindi
irripetibile, finita con la morte dei Dodici. I Dodici furono
testimoni della risurrezione del Signore e fonte diretta della
Rivelazione da lui fatta all'umanità. Fin dal tempo degli Apostoli
la Lettera di Giuda esortava a combattere per la fede, “che fu
trasmessa ai credenti una volta per sempre” (Giuda 3).
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L'altro aspetto o componente della
scelta dei Dodici è la funzione che essi hanno trasmesso ai loro
successori: il compito di annunciare il Vangelo, di guidare la
comunità, di santificare i credenti coi sacramenti.
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L'una e l'altra cosa ci danno il vero
significato di quella scelta.
- I primi collaboratori dei Dodici
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Ma vediamo come sono andate le cose
seguendo fedelmente la Bibbia e le più antiche testimonianze. Il
Nuovo Testamento ci fa assistere fin dall'età apostolica al sorgere
e costituirsi d'una gerarchia di governo che prolunga nel tempo la
funzione degli Apostoli.
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1 - A Gerusalemme, uno dei più noti
collaboratori dei Dodici fu Giacomo, detto il minore (cfr. Marco 15,
40). Lo vediamo a capo della comunità di Gerusalemme forse anche a
motivo della sua parentela con Gesù. Era infatti figlio di
quell'altra Maria (cfr. Matteo 27, 56; Marco 15, 40), sorella o
cugina della Madre di Gesù (cfr. Giovanni 19, 25). E' detto, assieme
a Cefa (= Pietro) e Giovanni, “colonna della Chiesa” (Galati 2, 9).
Al concilio di Gerusalemme formulò le decisioni da prendere dopo che
Pietro, parlando per prime>, ebbe esposto la questione (cfr. Atti
15, 6-21). Giacomo è comunemente conosciuto come il primo Vescovo di
Gerusalemme. Fu infatti capo di quella chiesa dopo che Pietro fu
costretto ad andare altrove (cfr. Atti 12, 17).
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2 - Un caso tipico è quello di Barnaba.
Non era del numero dei Dodici né ebbe una vocazione miracolosa come
Paolo. Fu uno tra i primi convertiti al Vangelo e, dopo questa
scelta, si dedicò al servizio del Signore a tempo pieno (cfr. Atti
4, 36-37). Ebbe perciò incarichi di prim'ordine da parte degli
Apostoli.
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Barnaba fu inviato ad Antiochia in
forma ufficiale, quale delegato di Pietro e di Giovanni, per
rendersi conto, approvare e incoraggiare la nascita e la crescita di
quella comunità: “Vi fu inviato Barnaba. Arrivò, vide quel gran dono
di Dio e ne gioì. Poi si diede a esortarli a restar fedeli a Gesù
con tutto lo slancio. Era un uomo virtuoso, pieno di Spirito Santo e
di fede, e una grande moltitudine fu così guadagnata a Gesù” (Atti
11, 22-24).
- Episcopi e presbiteri
-
Nell'opera degli Apostoli avente lo
scopo di prolungare nel tempo la loro funzione, accanto alle grandi
figure di Giacomo e di Barnaba, appaiono fin dalle origini gli
episcopi e i presbiteri.
-
1 - Gli episcopi
erano dei sorveglianti come indica la parola (greco
episkopein = sorvegliare). Ad essi vengono attribuite
le funzioni di pascere il gregge di Dio (cfr. Atti 20, 28; 1 Pietro
5, 1-3), presiedere le assemblee (cfr. 1 Timoteo 3, 5; 5, 17),
esercitare il ministero della Parola con autorità (cfr. 1 Timoteo 5,
17; Tito 1, 9).
-
2 - I presbiteri erano
persone anziane chiamate a compiere varie funzioni in seno alle
comunità dei cristiani. A Gerusalemme ricevono ed amministrano gli
aiuti mandati dai fratelli di Antiochia ai fratelli della Palestina
(cfr. Atti 11, 29-30). Sempre a Gerusalemme gli anziani prendono
parte al concilio, assieme agli Apostoli e a Giacomo (cfr. Atti 15,
6.21-28).
-
Fuori della Palestina, nelle chiese
fondate da Paolo, i presbiteri o anziani sono incaricati di guidare
le comunità locali (cfr. Atti 14, 23). Scrivendo a Tito, Paolo lo
esorta a stabilire presbiteri in ogni città (cfr. Tito 1, 5).
-
Le funzioni o compiti dei presbiteri
erano diverse: presiedevano alle comunità in qualità di pastori (cfr.
Atti 20, 28), di amministratori (cfr. Tito 1, 6-9; 1 Timoteo 3, 1-7;
Atti 11, 29-30), di maestri, cf. Atti 20, 28.32;
1 Timoteo 5, 17; Tito 1, 9). Ad essi spettava pure l'esercizio di
determinati riti liturgici come l'unzione degli infermi (cfr.
Giacomo 5, 14). Dai più antichi documenti sappiamo che i presbiteri
presiedevano alla “celebrazione del sacrificio eucaristico”.
-
3 - Episcopi e presbiteri spesso
coincidono. In Atti 20, 18 sono detti presbiteri quelli che poco
dopo Paolo chiama episcopi. Agli uni e agli altri
vengono spesso attribuite le stesse funzioni (cfr. Atti 20, 28; 1
Pietro 5, 1-3; 1 Timoteo 3, 5; 5, 17; Tito 1, 9).
-
Tuttavia è da notare che nelle Lettere
Pastorali il titolo di episcopo appare solo al
singolare e con l'articolo determinativo. Paolo esorta Tito a
stabilire presbiteri nelle singole città; poi, subito dopo, dà
istruzioni riguardanti l'episcopo (ton episkopon) al
singolare.
-
All'inizio pare che i termini
presbiteri ed episcopi siano equivalenti, nel senso che indicano gli
anziani che guidano le comunità. Con l'andare del tempo invece i
compiti si specificano come appare dalle Lettere Pastorali, e
l'episcopo assume la direzione della chiesa locale.
- I grandi rappresentanti
dell'Apostolo
-
Come nella Chiesa Madre di Gerusalemme,
dove accanto alla figura di Pietro e di Giovanni appare quella di
Giacomo, così pure nelle chiese fondate da Paolo emergono figure, il
cui ruolo supera di molto quello di un semplice responsabile locale.
Tali sono soprattutto Timoteo e Tito.
-
1 - Timoteo era nato da
padre pagano e da madre giudea convertita al cristianesimo (cfr.
Atti 16, 1; 2 Timoteo 1, 5).Fu compagno di Paolo nel secondo e terzo
viaggio missionario (cfr. Atti 17, 14 ss.; 18, 5; 19, 22; 20, 4). A
lui Paolo diede incarichi speciali di grande fiducia (cfr. Atti 19,
22; 1 Corinzi 4, 17; 16, 10; 2 Corinzi 1, 9; 1 Tessalonicesi 3,
2-6).Segno di questa stretta collaborazione sono le due Lettere
indirizzate da Paolo a Timoteo, oltre a quelle indirizzate
dall'Apostolo alle varie chiese anche in nome di Timoteo (cfr.
Filippesi 1, 1; Colossesi 1, 1; 1 e 2 Tessalonicesi, esordio).
-
A un dato momento della sua vita,
quasi certamente verso gli ultimi anni, Paolo, prevedendo prossima
la sua morte, affida a Timoteo la cura o governo della Chiesa di
Efeso:
-
“Quando partii per andare in Macedonia
ti raccomandai di rimanere a Efeso. Restaci ancora, ti prego, perché
vi sono alcuni che insegnano false dottrine e tu devi ordinare che
la smettano” (i Timoteo 1, 3).
-
Le parole usate da Paolo hanno tutto
il sapore di un affidamento più che di una semplice e ordinaria
collaborazione. E' qui indicato chiaramente un caso di successione
apostolica, cioè di trasmissione di poteri apostolica per la
continuità dell'annuncio genuino del Vangelo conforme alla struttura
della Chiesa voluta esplicitamente dal Signore Gesù.
-
2 - Tito fu pure un
immediato collaboratore di Paolo, che lo chiama “mio vero figlio
riguardo alla fede comune” (Tito 1, 4). Paolo lo aveva generato in
Cristo essendo stato lui lo strumento, di cui Cristo si era servito,
per dare a Tito la nuova vita nella fede (cfr. Galati 4, 19; 1
Corinzi 4, 14-1 5; 2 Corinzi 6, 13).
-
Tito ebbe dall'Apostolo vari incarichi
anche delicati (cfr. 2 Corinzi 2, 13; 7, 6; 8, 6-17; 12, 18; Romani
15, 26). In modo analogo a quanto aveva fatto con Timoteo, Paolo
affida a Tito la cura della Chiesa di Creta coi potere di continuare
l'opera sua.
-
“A Creta ti lasciai per questo scopo:
perché tu dia l'ultima mano a ciò che resta da fare e faccia in modo
che in ogni città ci sia qualche presbitero, secondo le disposizioni
che ti ho dato” (Tito 1, 5).
-
E' chiaro che Tito riceve da Paolo la
consegna della sua stessa missione, che comportava non solo la
vigilanza e la testimonianza della sana dottrina, ma anche la scelta
delle guide o pastori che partecipassero e continuassero la stessa
missione.
-
Abbiamo qui un altro caso di
successione apostolica analogo a quello di Timoteo.
-
- PARTE SECONDA
- LA SUCCESSIONE
APOSTOLICA
- Verità da ricordare
-
Ricordiamo ancora alcune verità
bibliche:
-
1 - Il Signore Gesù vuole che il suo
Vangelo sia annunziato a tutte le genti e assicura che in
quest'opera universale e perenne egli sarà sempre coi suoi inviati o
apostoli fino alla fine dei mondo (cfr. Matteo 28, 19-20; Marco 16,
15). In effetti con la scelta dei Dodici e la missione loro affidata
Gesù aveva fatto chiaramente capire che quest'opera universale e
perenne di salvezza si sarebbe realizzata mediante il servizio di
persone qualificate e autorizzate (cfr. Matteo 28, 18-20; Marco 16,
15; Luca 24, 46-49; Giovanni 20, 20-23).
-
I Dodici hanno ricevuto questo mandato
direttamente dal Maestro (cfr. Marco 3, 14, e paralleli). Ma essi
sono morti. Come può essere continuato questo ministero qualificato
voluto dal Maestro divino? Come sarà perpetuata la struttura della
comunità dei suoi discepoli quale egli ha chiaramente indicata?
-
2 - Gli Apostoli hanno ben capito
questa volontà del loro Maestro. Perciò non solo ebbero la
preoccupazione di predicare il Vangelo anche fuori della Palestina,
nel mondo allora conosciuto, ma si circondarono di collaboratori,
che potessero continuare la loro missione. A questi essi trasmisero
anche mediante un gesto visibile e significativo, vale a dire con la
imposizione delle mani l'autorità che essi
avevano ricevuto dal loro Maestro. In seguito diedero disposizioni
che, quando essi fossero morti, altri uomini fedeli ed esimi,
subentrassero al loro posto.
-
Abbiamo qui delineata quella che si
chiama “successione apostolica”, cioè la continuità del ministero o
servizio qualificato nella Chiesa mediante uomini collegati ai
Dodici senza interruzione, e mediante i Dodici allo stesso divino
Fondatore della Chiesa.
-
Giustifica la Bibbia questa continuità?
- Giustificazione biblica
-
Un assertore esplicito della
successione apostolica è, in modo particolare, san Paolo. Non molto
tempo prima della sua morte scriveva a Timoteo: “Tu, dunque, figlio
mio, fortificati nella grazia che è in Cristo Gesù. Le cose che
udisti da me con l'appoggio di molti testimoni, affidale ad uomini
fedeli, capaci di istruire altri a loro volta” (2 Timoteo 2, 1-2).
-
Spiegazione:
-
1 - Quando Paolo scriveva
queste parole ave- va poca o nessuna speranza di
ricuperare la libertà, di poter cioè vivere ancora a lungo.
Prevedendo prossima la sua fine si preoccupa di
assicurare la continuità nella trasmissione del
Vangelo mediante ministri fedeli e ben preparati. Timoteo era
certamente uno di questi. A lui Paolo, in una Lettera precedente,
aveva raccomandato: “Non trascurare il carisma che è in te e che ti
fu dato per mezzo della profezia insieme all'imposizione delle mani
dei presbiteri” (1 Timoteo 4, 14).
-
Timoteo, dunque, può essere
considerato il primo anello, dopo Paolo, d'una lunga catena, che è
la successione apostolica. Questo significano le parole: “Le cose da
me udite con l'appoggio di molti testimoni”. Si tratta d'una
consegna, d'una trasmissione di poteri. L'espressione allude a un
particolare momento nella vita di Timoteo, nel quale ricevette la
missione di predicare il Vangelo con autorità. La consegna era
accompagnata da un rito, cioè la imposizione delle mani (cfr. 1
Timoteo 4, 14; 6, 12).
-
2 - Ma Paolo guarda più avanti. Egli
vuole che anche dopo Timoteo vi siano nella Chiesa uomini fedeli e
capaci di continuare la stessa autorevole missione. Ad essi Timoteo
deve trasmettere lo stesso ministero che ha ricevuto da Paolo: “Le
cose che udisti da me affidale ad uomini fedeli, capaci”.
-
Abbiamo qui il secondo anello della
stessa catena: come Timoteo si ricollega a Paolo nel servizio
qualificato e autorevole della Parola, così altri devono collegarsi
a lui e, mediante lui, a Paolo, a Cristo. Questo servizio non è
perciò lasciato allo sbaraglio, alla balìa di avventurieri, ma deve
essere continuato mediante la trasmissione da parte di coloro che a
loro volta l'hanno ricevuto e fedelmente esercitato.
-
3 - La catena continua. Gli uomini
fedeli e capaci, a cui Timoteo ha affidato le cose udite da Paolo,
ossia il Vangelo autentico di Cristo, devono fare lo stesso cammino,
affidare cioè ad altri, fedeli e capaci, quelle stesse cose, non
altre.
-
Abbiamo qui il terzo anello della
catena. E' implicito nel pensiero di Paolo che su questi altri
incombe lo stesso dovere, vale a dire di non spezzare la catena, ma
continuarla affidando ad altri ancora lo stesso qualificato e
autorevole servizio della Parola. E cosi fino alla fine dei tempi.
-
4 - In questa chiara esposizione
dell'Apostolo sono ben delineati i connotati di quella che si chiama
“la successione apostolica”. E' una catena ininterrotta - ripetiamo
- che dal Signore Gesù, mediante gli Apostoli da lui scelti,
autorizzati, inviati, e mediante i loro legittimi successori, deve
continuare fino alla fine del mondo (cfr. Matteo 28, 20). Chi si
pone fuori di questa catena non ha nessuna autorità, nessun diritto,
nessuna garanzia di annunciare il Vangelo eterno del Figlio di Dio.
Il Signore Gesù ha assicurato la sua presenza, cioè la sua
assistenza, ai suoi Apostoli, non ad altri, fino alla fine
del mondo.
-
Commenta un biblista:
-
“La "successione apostolica" è qui
chiaramente delineata (...). L'Apostolo si preoccupa che Timoteo
stesso si prepari dei collaboratori nell'insegnamento, tra i quali,
ovviamente, qualcuno avrebbe dovuto prendere il suo posto quando il
discepolo stesso sarebbe morto. "Quelle cose da me udite davanti a
molti testimoni, affidale in custodia ad uomini sicuri, i quali
siano capaci di ammaestrare anche altri" (2 Timoteo 2, 2). Come
Cristo si è creato i suoi rappresentanti legittimi, cioè gli
Apostoli, così questi si scelgono e designano dei successori, i
quali a loro volta designano altri; e così fino alla fine dei tempi.
C'è una "legittimità" di rappresentanza, la quale non può
prescindere, oltre che da specifiche doti umane e spirituali, quali
l'apostolo ripetutamente enumera, anche da un autentico e ben chiaro
rapporto di ascendenza che, in qualche maniera, ricolleghi a colui o
a coloro dai quali viene gestita la rappresentanza”.
- 0 Timoteo, custodisci il deposito
(1Timoteo 6, 20)
-
Noi arriveremo alla stessa conclusione
esaminando ciò che Paolo scrive ancora a Timoteo nella prima Lettera:
“0 Timoteo, custodisci il deposito” (1 Timoteo 6, 20).
-
Quando Paolo scriveva questa Lettera,
dense nubi si addensavano all'orizzonte della sua vita. Infatti,
dopo appena due anni, arriverà per lui il tempo di levare l'ancora (cfr.
2 Timoteo 4, 6), e verserà il suo sangue come offerta a Dio gradita.
-
In questo contesto, le parole sopra
citate a Timoteo, che era stato preposto alla guida della chiesa di
Efeso, hanno tutto il sapore di un testamento. Al discepolo, che
aveva tutte le caratteristiche di un Vescovo, Paolo raccomanda di
custodire il deposito. Nel linguaggio giuridico del
tempo deposito era qualcosa consegnata a una persona di
fiducia, che contraeva il diritto-dovere di custodire la cosa
consegnata nella sua integrità per riconsegnarla a suo tempo
sostanzialmente immutata.
-
Al di là della metafora, le cose sono
chiare senza possibile dubbio. Cristo ha affidato il deposito del
Vangelo agli Apostoli. Paolo si sentiva ed era Apostolo di Cristo a
tutti gli effetti. Come i Dodici egli sentiva di essere un
depositario della Parola di Dio. Presentendo vicina la sua fine
terrena, affidava tale deposito a persona qualificata e di fiducia
quale era appunto Timoteo.
-
Trattandosi di un deposito,
Timoteo a sua volta dovrà fare lo stesso, finché il tesoro
depositato si conservi integro fino al ritorno del Depositante, che
è Cristo Signore. Si forma così una catena ininterrotta di
depositari, che garantiscono la custodia integra kl
deposito conforme alla volontà del Padrone.
-
“Come Paolo ha ricevuto gli
insegnamenti che ha tra- smesso ai suoi discepoli (cfr. 1 Corinzi
11, 2 e 23; 15, 1-3; Galati 2, 2.9), così dovrà fare a sua volta
Timoteo il deposito (cfr. 1 Timoteo 6, 20) è da custodirsi e insieme
trasmettersi. Canale di questa trasmissione è Timoteo insieme ad
altri, perché non udì da solo gli insegnamenti di Paolo, ma fra
molti testimoni (cfr. 1 Timoteo 6, 12). Timoteo e i testimoni
insieme formano come una sola vox populi del
cristianesimo che è la vox Dei, ed essi a loro volta
trasmetteranno quella unica voce ad uomini fedeli”.
- Modalità nella successione
-
Gli Apostoli dunque ebbero dei
collaboratori, ai quali trasmisero il ministero o servizio
qualificato e autorevole di maestri e guide delle comunità. I
collaboratori divennero successori. Ma quale fu la forma concreta di
questa successione? Chi ne fu il soggetto?
-
1 - Dai documenti in nostro possesso,
soprattutto dagli Atti degli Apostoli e dalle Lettere di san Paolo,
appare chiaro che la trasmissione dei poteri dell'Apostolo è
personale e individuale, non collettiva e anonima. A Gerusalemme
abbiamo il caso di Giacomo. Fin dai primissimi tempi appare come il
Vescovo di quella chiesa, attorniato da anziani o presbiteri (cfr.
Atti Il, 30; 15, 6-13; 21, 8). Simile corso ebbe luogo nelle chiese
di Efeso con la presenza e l'opera di Timoteo (cfr. 1 Timoteo 1, 3),
e di Creta con Tito (cfr. Tito 1, 5). Ben a ragione i due
collaboratori dell'Apostolo vanno considerati come i primi
successori in quelle comunità col potere d'insegnare e di guidare.
-
La stessa cosa sembra potersi dire
della chiesa di Antiochia di Siria. Con ogni probabilità fu Pietro a
guidare quella chiesa per un certo tempo (cfr. Galati 2, 11). A lui
successe Evodio, a cui tenne dietro come Vescovo Ignazio, che finì
la vita col martirio a Roma nel 107 d.C. Il martire Ignazio è il
testimone più esplicito della forma monarchico-episcopale delle
chiese fin dai suoi tempi, vale a dire fin dalla seconda metà del
primo secolo (cfr. infra).
-
Infine è molto probabile che “gli
angeli” delle sette chiese, di cui parla l'Apocalisse nei capitoli 2
e 3 (cfr. anche 1, 20), rappresentino i singoli Vescovi di quelle
chiese. E Giovanni scrisse verso la fine del primo secolo.
-
2 - Tuttavia, almeno in alcune chiese
di origine paolina, sembra che la successione si sia attuata in un
primo tempo in una forma collegale, sfociata a breve scadenza in
quella monarchica, a imitazione delle altre chiese. Le cose si
sarebbero svolte nel modo seguente in sintonia con quanto aveva
fatto lo stesso Paolo.
-
Finché visse l'apostolo era lui il
responsabile. Ma la cura immediata delle singole comunità era
affidata a un consiglio di anziani (cfr. Atti 14, 23; 1
Tessalonicesi 5, 12-13). Tra gli anziani era eletto uno chiamato
“episcopo” con funzioni direttive particolari (cfr. Tito I# 5). La
figura dell'episcopo è di qualcuno che debba avere qualità non
comuni (cfr. 1 Timoteo 3, 1 ss; Tito 1, 7-9). E' significativo il
fatto che Paolo, nella Lettera a Tito (1, 7), parli dell'episcopo al
singolare.
-
Dopo la morte dell'Apostolo, assai di buon'ora, prevalse la forma
monarchica di successione. L'episcopo divenne Vescovo, imitando il
comportamento avuto da Paolo nei riguardi di Timoteo e Tito.
-
3 - Testimone autorevole di questo
sviluppo è certamente il martire Ignazio di Antiochia, già ricordato.
Egli visse nella seconda metà del primo secolo e fu quindi
contemporaneo dell'autore dell'Apocalisse. Di lui rimangono numerose
e chiare testimonianze sulla struttura delle singole chiese, che si
accentra nella figura del Vescovo.
-
“Procurate di fare ogni cosa (...)
sotto la guida del Vescovo, che tiene il luogo di Dio”: “Nessuno
faccia senza il Vescovo alcuna di quelle cose, che riguardano la
Chiesa (...). Dove appare (il Vescovo), ivi sia la comunità, come
dov'è Gesù Cristo, ivi è la Chiesa cattolica
Quello che il Vescovo fa è approvato da Dio”.
-
In tutte le lettere di Ignazio, anche
in quelle indirizzate alle chiese di origine paolina, la figura del
Vescovo appare in modo chiaro ed inequivocabile.
-
“Dato che prima della fine del 1
secolo si trovano chiese sotto un unico Vescovo, si può presumere
che uno dei membri del collegio fosse eletto a succedere
all'apostolo, dopo la morte di lui, come capo monarchico della
chiesa”.
-
- PARTE TERZA
- TRADIZIONE E
SUCCESSIONE
- Concetto cattolico di Tradizione
-
1 - Per Tradizione noi
cattolici non intendiamo quello di cui i tdG e altri settari
malignamente ci accusano, vale a dire la sostituzione di
insegnamenti umani alla Parola di Dio. L'uso che essi fanno di
alcuni testi biblici come Matteo 15, 1-6; Marco 7, 1-13, per dare
un'apparenza di verità alla loro calunnia, è completamente errato.
Nei testi citati Gesù rimprovera i farisei di anteporre al
comandamento di Dio, quale l'onorare i genitori, precetti umani
quali il lavarsi le mani prima del cibo o al ritorno dal mercato,
come, pure lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame (cfr.
Marco 7, 4; Matteo 15, 2). E' semplicemente ridicolo attribuire alla
Chiesa Cattolica l'insegnamento per tradizione di questi e simili
precetti. Al contrario, la Chiesa Cattolica si basa sulla Tradizione
per conoscere in modo completo e fare osservare fedelmente e in modo
esatto la Parola di Dio. Questo concetto di Tradizione è
perfettamente giustificato dalla Bibbia.
-
2 - La parola “tradizione” (greco
paràdosis) significa “trasmissione”. In questo senso i
detti e i fatti di Gesù, cioè il Vangelo (per
limitarci solo al Nuovo Testamento) furono trasmessi da Lui a viva
voce ai suoi discepoli, soprattutto ai Dodici, e da questi ad altri.
E' fuor di dubbio che quanti udirono Gesù o furono testimoni delle
sue opere non scrissero subito la cronaca di quegli eventi per farla
leggere ad altri. Il “servizio stampa” era ancora lontano secoli e
millenni. Quei discepoli si imprimevano nella memoria i
detti e i fatti del Maestro, che poi riferivano ad
altri a viva voce. Il Vangelo fu Tradizione prima che
prendesse forma scritta (cfr. 1 Corinzi Il, 23; 15, 3; Luca 1, 1-2).
-
Gli scritti che vennero dopo non erano
destinati a riportare tutta la Tradizione (cfr.
Giovanni 20, 30-31; 21, 24-25). Questo è talmente vero che lo stesso
Paolo raccomandava ai cristiani di Tessalonica di “mantenere le
tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola
come dalla nostra lettera” (2 Tessalonicesi 2, 15).
-
3 - Da ciò ne segue che il contenuto
della Tra, dizione, vale a dire dei detti e dei fatti
di Gesù, che è Parola di Dio, ci può essere pervenuto anche per
altri canali che non siano i vangeli e gli scritti apostolici.
Infatti alcuni discepoli immediati degli Apostoli ci hanno lasciato
testimonianze scritte di ciò che avevano udito da loro. Noi possiamo
considerare queste testimonianze come autentici insegnamenti di Gesù
e degli Apostoli.
-
A questo tipo di Tradizione,
che è Parola di Dio, appartengono non pochi detti riguardanti la
successione apostolica. Tale dottrina - come abbiamo
dimostrato - è contenuta nella Bibbia. Ma anche fuori della Bibbia
abbiamo numerose testimonianze della stessa verità. Sono gli scritti
di alcuni eminenti testimoni delle prime generazioni cristiane.
- Testimoni e testimonianze
-
1 - San Clemente Romano
-
Tra i discepoli immediati degli
Apostoli, nel caso specifico di san Pietro, va annoverato Clemente
Romano. Fu terzo successore di san Pietro a Roma, dopo Lino, ed
Anacleto, dall'anno 92 all'anno 101 Era Cristiana. Clemente conobbe
molte cose, cioè insegnamenti di Pietro e forse anche di Paolo. Poi
ebbe occasione di mettere queste cose per iscritto. Uno di questi
scritti è giunto fino a noi e contiene un'esplicita testimonianza
della successione apostolica. Eccola:
-
“Gli Apostoli furono mandati a portare
la Buona Novella dal Signore Gesù Cristo; Gesù Cristo fu mandato da
Dio. Il Cristo dunque viene da Dio, e gli Apostoli da Cristo.
Ambedue le cose procedettero dunque ordinatamente dalla volontà di
Dio. Ricevuto quindi il loro mandato, resi sicuri dalla risurrezione
dei Signore Nostro Gesù Cristo e fiduciosi nella Parola dì Dio, con
l'assicurazione dello Spirito Santo, andarono ad annunziare la Buona
Novella, l'avvicinarsi del regno di Dio. Predicando per le campagne
e per le città, essi provavano nello Spirito Santo le loro primizie
(= le prime conversioni) e le costituivano
vescovi e diaconi dei futuri credenti. E questa non era cosa nuova,
poiché da gran tempo la Scrittura parlava di vescovi e diaconi. Così
dice infatti la Scrittura in un luogo. "Stabilirò i loro vescovi
nella giustizia e i loro diaconi nella fede”.
-
E ancora: “Anche gli Apostoli nostri
conobbero, per mezzo del Signore Nostro Gesù Cristo, che ci
sarebbero stati contrasti a riguardo della dignità episcopale. Per
questa ragione, prevedendo perfettamente l'avvenire, istituirono
coloro che abbiamo detto (cioè vescovi e diaconi); e diedero ordine
che, quando costoro fossero morti, altri uomini provati succedessero
nel ministero. Coloro dunque che furono stabiliti dagli Apostoli,
oppure in seguito da altri uomini esimi con l'approvazione di tutta
la Chiesa (... ), costoro noi crediamo che non sia giusto scacciarli
dal loro ministero”.
-
Osservazioni:
-
a) La testimonianza di san Clemente
Romano in materia di successione apostolica è di un valore
incalcolabile sia per la sua antichità sia per la forma assai
esplicita in cui è affermata. La Lettera è stata scritta “dalla
chiesa di Roma alla chiesa di Corinto” verso l'anno 96 Era Cristiana.
Sappiamo da sant'Ireneo che la Lettera deve essere attribuita a
Clemente, che guidava in quel tempo la chiesa di Roma. Di lui scrive
Ireneo: “La predicazione degli Apostoli risuonava ancora nelle sue
orecchie e il loro insegnamento era ancora sotto i suoi occhi”.
-
b) Clemente fa risalire a Gesù Cristo
l'origine della successione apostolica. Fu Lui a voler assicurare la
trasmissione del vero Vangelo mediante una catena ininterrotta di
persone qualificate e autorizzate. Questo vale sempre. Ma vale
specialmente quando lupi rapaci si intromettono nel gregge di Cristo
(cfr. Atti 20, 29-31), arrogandosi un potere che nessuno ad essi ha
mai dato. Così era. avvenutovi tempi di Clemente, così avviene in
altre epoche della storia, anche ai nostri giorni. Gesù ha ammonito:
“Guardate di non lasciarvi ingannare (...). Non seguiteli” (Luca 21,
8).
-
c) E' da notare infine che la chiesa
di Corinto, a cui Clemente indirizzava la sua Lettera, era una
chiesa di origine paolina. Anche in quella chiesa la guida della
comunità era affidata a persone fedeli e capaci che fossero legate
agli Apostoli mediante il filo ininterrotto della successione.
-
2 - Sant'Ireneo Appartiene alla terza
generazione cristiana. Nacque verso la metà del secondo secolo,
probabilmente nell'anno 140 d.C., a Smirne (nella odierna Turchia),
e chiuse la sua vita col martirio a Lione in Francia, dov'era
Vescovo, nell'anno 203 d.C.. Nella sua prima gioventù fu discepolo
di san Policarpo (69 - 155), Vescovo di Smirne, che a sua volta era
stato alla scuola di Giovanni, l'autore del quarto vangelo.
Sant'ireneo fu anche a Roma, dove poté conoscere direttamente molte
cose riguardanti quella chiesa.
-
L'opera principale di Ireneo è lo
scritto Adversus Haerescs (contro le eresie), in cui parla anche
della successione apostolica. Basandosi sui testi della Scrittura,
Ireneo dimostra che gli eretici sono in errore perché sono fuori
della successione .
-
“Così tutti coloro che vogliono
conoscere la verità possono osservare in ogni chiesa la tradizione
degli Apostoli, manifestata in tutto il mondo. Noi possiamo
enumerare coloro che dagli Apostoli furono stabiliti vescovi nelle
chiese, e i loro successori fino ad oggi. Essi non hanno insegnato
nulla, nulla hanno conosciuto che somigli alle fantasticherie di
costoro (degli eretici) ...”.
-
Continua Ireneo: “Ma poiché sarebbe
troppo lungo, in un volume come questo, enumerare la successione di
tutte le chiese, noi esaminiamo la chiesa grandissima e antichissima
e conosciuta da tutti, fondata e stabilita a Roma dai gloriosissimi
Apostoli Pietro e Paolo; e dimostreremo che la tradizione, che essa
ha dagli Apostoli, e la fede, che ha annunciato agli uomini, sono
giunte fino a noi attraverso la successione di Vescovi”.
-
Segue l'elenco dei successori di san
Pietro nel governo della chiesa di Roma. Da questi dati di fatto
Ireneo tira le conseguenze:
-
“Tali essendo le nostre prove, non c'è,
bisogno di andare a cercare altrove la verità, che è facile trovare
nella Chiesa, perché gli Apostoli come in uno scrigno vi hanno
deposto tutta la verità nella sua pienezza affinché chiunque lo
voglia, possa attingervi la bevanda di vita (cfr. Apocalisse 22,
17). Questo è l'ingresso alla vita. Tutti gli altri sono ladri e
briganti (cfr. Giovanni 10, 1.8-9). Bisogna perciò evitarli, ed
amare invece d'un amore sommo tutto ciò che è della Chiesa, e
apprendere la tradizione della verità”.
-
Osservazioni:
-
a) La testimonianza di Ireneo relativa
alla successione, non meno di quella di Clemente Romano, merita la
più grande credibilità. Egli aveva appreso da testimoni oculari il
comportamento degli Apostoli in questo settore della vita della
Chiesa, vale a dire come essi si erano preoccupati di trasmettere a
persone ben provate e preparate la funzione di preservare e passare
ad altri il tesoro o sacro deposito delle verità rivelate, della
Parola di Dio. A Smirne, sua città natale, Ireneo aveva appreso
questa dottrina da san Policarpo, discepolo dell'Apostolo Giovanni.
A Roma poté apprendere da persone degne di fede come si erano svolte
le cose in quella grandissima e antichissima Chiesa.
-
b) Basandosi su documenti e
testimonianze dirette, Ireneo è convinto che la successione
ininterrotta dei vescovi è la sola garanzia della preservazione e
trasmissione autentica della Parola di Dio nella vera Chiesa di
Cristo. Fuori di questo canale ininterrotto dei successori degli
Apostoli non vi può essere vera Chiesa e non si può trovare la
verità.
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3 - Tertulliano
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Nacque a Cartagine verso il 160 Era
Cristiana. Il suo intero nome era Quinto Settimio Fiorenzo
Tertulliano. Pagano di nascita si convertì al cristianesimo all'età
di 33 anni circa. Era avvocato. Divenuto cristiano fu apologista,
polemista, teologo e moralista. Morì in età avanzata verso il 240.
La sua attività letteraria si svolse soprattutto nei primi decenni
del terzo secolo, dal 200 al 220 circa.
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Per Tertulliano il vero cristiano è
colui che appartiene alla Chiesa fondata dagli Apostoli, aderisce
alla dottrina insegnata da loro e preservata nelle chiese
apostoliche. Questo gli eretici non ce l'hanno. Quindi non sono
cristiani. Sono fuori della vera Chiesa di Cristo. Col suo stile
energico Tertulliano scrive in forma di sfida:
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“Non pare che Gesù Cristo abbia
rivelato il Padre suo ad altri che agli Apostoli, che egli inviò a
predicare (... ). E qual è la materia della loro predicazione? ( ...
). Per saperlo bisogna necessariamente rivolgersi alle chiese che
gli Apostoli in persona fondarono e costruirono, sia a viva voce sia,
più tardi, per lettera. Se la cosa sta così, ne consegue che si
debba considerare vera solo quella dottrina che concordi con la
dottrina delle chiese apostoliche, madri e sorgenti della fede (...).
Ne segue che deve essere giudicata a priori parto
di menzogna ogni altra dottrina che contraddica alla verità delle
chiese degli Apostoli di Cristo e di Dio”.
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L'eresia manca di apostolicità:
-
“Può darsi che ci siano eresie, le
quali osino rifarsi all'età apostolica sì da parer insegnate dagli
Apostoli. Si può replicare ad esse: “Mettano fuori dunque le carte
di nascita delle loro chiese; sciorinino i cataloghi dei loro
vescovi, che dimostrino la loro successione fin dal principio, in
modo che si veda che quegli che fu il primo vescovo ricevette
l'investitura e fu preceduto da uno degli Apostoli o almeno da un
uomo apostolico, che con gli Apostoli avesse avuto rapporti costanti.
Questo è il modo con cui le Chiese apostoliche esibiscono i propri
titoli: così la chiesa di Smirne mostra che Policarpo fu collocato
in quella sede da Giovanni; così quella di Roma mostra che Clemente
vi fu ordinato da Pietro; e così pure le altre esibiscono i vescovi
che, costituiti nell'episcopato dagli Apostoli, sono per esse i
veicoli della semente apostolica”.
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Rivolto agli eretici Tertulliano
scrive: “Alto là! Chi siete voi? Quando e da dove siete venuti? Che
cosa volete fare presso di noi, voi che non siete dei nostri? (...
). Come mai venite a seminarvi e a pascolarvi a vostro piacere? Il
podere è mio; lo posseggo da lungo tempo e prima di voi. Il mio
diritto originario è sicuro e inviolabile, poiché risale a coloro
che ne furono i primi padroni. lo sono l'erede degli Apostoli! Come
essi hanno deposto per me nel loro testamento e mi
trasmisero per fedecommesso e confermarono per giuramento,
così io sono il possessore. Quanto a voi, resta dunque chiaro che
essi vi hanno per sempre diseredati e rinnegati, come degli estranei,
come dei nemici”.
- Conclusioni
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Al termine della nostra breve rassegna
sia biblica che storica noi possiamo e dobbiamo dedurre e
puntualizzare alcune conclusioni. Sono piuttosto verità o principi o
norme indispensabili per conoscere con certezza quale deve essere
l'oggetto della fede e della morale del vero discepolo di Cristo.
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La
prima. Cristo ha voluto che la sua vera Chiesa
procedesse nel tempo poggiata sulla testimonianza degli Apostoli,
ossia di uomini scelti ed autorizzati dal Signore Gesù a preservare
e trasmettere il Vangelo eterno. La vera Chiesa di Cristo o
è apostolica o non è la sua vera Chiesa. Chiunque si è
distaccato o si distacca da questa Chiesa Apostolica non ha nessuna
autorità di annunciare ciò che bisogna credere e fare per piacere al
vero Dio è conseguire la salvezza.
-
La seconda.
A cominciare dagli Apostoli si è formata una catena
ininterrotta di persone qualificate e autorizzate, ossia di
successori degli Apostoli. Sono i loro legittimi eredi, i custodi
capaci e fedeli del deposito della fede. Solo essi danno la garanzia
di preservare e trasmettere con fedeltà e integrità i fatti
e i detti del Signore. Chiunque si arroga il
diritto di annunciare la Parola di Dio senza essere inserito in
questa catena, deve dirsi un intruso, o, peggio ancora, un
usurpatore, un ladro (cfr. Giovanni 10, 1-10).
-
La terza.
Numerose testimonianze storiche, a cominciare
dall'età sub-apostolica, attestano al di là d'ogni possibile dubbio
che nella Chiesa Cattolica la catena dei successori degli Apostoli
non è stata mai interrotta. Papa e Vescovi sono i legittimi eredi
degli Apostoli nella funzione di pascere i veri discepoli dì Cristo,
di guidarli cioè nella sana dottrina della fede e della morale. Il
diritto della Chiesa Cattolica a dare il vero senso della Scrittura
è originario e inviolabile. Esso risale a coloro che ne furono i
primi custodi, ossia agli Apostoli, e mediante gli Apostoli, allo
stesso Signore Gesù Cristo.
-
- PARTE OUARTA
- CHI VI HA MANDATO?
- Chiunque ha il diritto...
-
1 - Non è raro oggi il caso, anzi è
piuttosto frequente, che qualcuno bussi alla vostra porta e chieda
di entrare e di essere ascoltato perché vi vuol parlare di felicità
e di Bibbia. Può darsi che sia una buona cosa. Ma chiunque riceve
una tale visita ha il diritto di chiedere: Chi vi ha
mandato?
-
La Bibbia non è una merce qualunque e
tanto meno lo è il suo contenuto. Non può essere lasciata in balìa
di avventurieri e di mercanti spregiudicati.
-
Supponiamo che il visitatore e
l'offerente sia un cattolico. Anche a lui dobbiamo rivolgere la
domanda: Chi vi ha mandato? Egli può rispondere con tutta verità: Mi
ha mandato Gesù Cristo. Il cattolico ha perciò il diritto-dovere di
diffondere la Bibbia, di far conoscere il suo messaggio.
-
In effetti, il cattolico è legato al
suo Vescovo, anzi a tutti i Vescovi del mondo, che sono in rapporto
di continuità con gli Apostoli. Sono i loro legittimi successori. E
in quanto tali hanno l'autorità di predicare il Vangelo, di
diffondere la Bibbia. Tale autorità l'hanno ricevuta da Gesù Cristo.
Lo abbiamo dimostrato nelle pagine che precedono.
-
Mediante il suo Vescovo, ogni
cattolico, prete o laico, uomo o donna, è inserito nella catena!
ininterrotta dei legittimi proclamatori del Vangelo, che hanno
ricevuto tale missione direttamente da Gesù Cristo. Il cattolico
interpellato sull'origine della sua missione può rispondere con
tutta verità: Mi ha mandato Dio.
-
2 - Ma supponiamo che si presenti alla
vostra porta un testimone di Geova (tdG), cosa non rara ai nostri
giorni. Egli vuoi entrare nella vostra casa, vuoi vendervi la sua
Bibbia, spiegarla a modo suo, aggregarvi alla setta a
cui appartiene. Anche a lui, specialmente a lui, ho il diritto di
chiedere: Chi vi ha mandato?
-
Forse risponderà: Mi ha mandato Geova
-
Ma io insisto: Chi è questo Geova?
Quando, come, dove vi ha parlato? Quali sono le prove concrete,
storiche, convincenti che sia vero quanto voi dite?
-
La verità è tutt'altra! Se vogliamo
conoscere la vostra identità, sapere con esattezza chi siete e chi
vi ha mandato, basta ricordare un pochino le strutture della vostra
organizzazione e alcune pagine della sua storia. La vera storia, non
quella raccontata dagli agenti assegnati dai vostri capi a uso e
consumo dei creduli seguaci.
-
La verità è che vi ha mandato il capo
della locale congregazione geovista, che voi chiamate “anziano”.
-
La congregazione locale è il gruppo di
tdG di un determinato quartiere o rione o paese o villaggio, che
hanno come mandante autoritario d'ogni loro movimento un capo
chiamato “anziano”. Il luogo dove si riuniscono è detto “sala del
regno”. Là si trova il cervello direttivo dei singoli membri; là
avviene lo smistamento dei propagandisti o venditori ambulanti; là
pure è la sede del tribunale, che giudica ogni trasgressione...
-
Il testimone di Geova che bussa alla
vostra porta e vuole entrare a ogni costo e vendere e spiegare la
sua Bibbia, se vuol essere sincero (cosa rara!), alla
vostra domanda: “Chi vi ha mandato?”, dovrebbe
rispondere: “Mi ha mandato l'anziano”, dando di lui cognome, nome e
domicilio. Non lo farà mai! Il cattolico, sì, vi
dirà cognome, nome e domicilio del Vescovo che
l'ha mandato.
-
3 - Ma anche se il tdG vi dicesse: “Mi
ha mandato l'anziano”, la risposta deve dirsi insoddisfacente.
Infatti, gli si può, gli si deve chiedere: “E con quale autorità vi
ha mandato l'anziano?”. Sappiamo infatti che l'anziano locale non ha
nessuna autorità. Egli è stato messo lì per volere di un altro
membro della setta, che manovra tutte le attività a livello
distrettuale o nazionale. Gli anziani locali devono fare in tutto e
per tutto la volontà di altri, eseguire i loro ordini come
marionette nelle mani del burattinaio.
-
Perciò possiamo e dobbiamo andare
oltre, salire ancora la scala. I responsabili distrettuali o
nazionali sono a loro volta manovrati da altri. Non hanno nessuna
autorità. Anche loro sono burattini nelle mani di chi sta più in
alto, al supremo gradino della setta. Siamo così giunti al vertice
di tutta la manovra.
-
Il tdG che bussa alla vostra porta,
come pure l'anziano della congregazione locale e i responsabili
distrettuali e nazionali, seguono meccanicamente gli ordini di pochi
uomini con a capo un presidente, che risiedono a Brooklyn, negli
Stati Uniti d'America.
-
Chi sono costoro? Sono il Corpo
Direttivo. Si qualificano come “santi” o “unti”, come “lo schiavo
discreto e fedele”, di cui parla Gesù nel Vangelo (cfr. Matteo 24,
45). Dicono di essere “l'unico canale”, per cui Dio o piuttosto
Geova trasmette agli uomini e alle donne che cosa devono pensare,
volere, fare...
-
In realtà sono esseri mortali, falsi
profeti, per, ché “hanno fatto sbagli nel loro intendimento dì
quello che sarebbe accaduto alla fine di certi periodi di tempo” e
non solo in questo ...
-
Un po' di storia farà capire meglio le
cose.
- Carlo Russell, il profeta!
-
I tdG sono una delle tante sette
religiose sorte sul prolifero suolo degli Stati Uniti d'America. Il
loro fondatore fu Carlo Taze Russell, nato nel 1852 nello Stato
americano di Pennsylvania, e morto pure in terra d'America mentre
era in viaggio di propaganda nell'ottobre del 1916.
-
Era un commerciante di stoffe e, come
tanti altri figli della grande America, sentì a modo suo il problema
religioso e lo risolse anche a modo suo. Non ebbe, comunque, mai la
preoccupazione di accertarsi quale fosse la vera Chiesa fondata da
Gesù Cristo e quali le sue note specifiche (cfr. 1 Tessalonicesi 5,
21). Come tanti suoi concittadini era vittima di pregiudizi contro
la Chiesa Cattolica in modo particolare.
-
Pur non avendo i requisiti per capire
e spiegare la Bibbia, si autodefinì “profeta”, e naturalmente trovò
alcuni che gli credettero e lo seguirono. La sua principale
preoccupazione, oppure astuzia, fu quella di stabilire date e
scadenze, e neppure in questo fu originale.
-
Mediante un uso distorto o abuso della
Bibbia riuscì a convincere poche migliaia di fanatici che Cristo
sarebbe tornato visibilmente su questa terra nel 1914,
per esaltare in cielo lui e i suoi, facendo allo stesso tempo piazza
pulita dell'odiata Cristianità.
-
Scrisse Russell: “No, le verità che io
presento, come portavoce di Dio (God's mouthpicce), non sono
rivelate in visioni o sogni, né per aver io udito sensibilmente la
voce di Dio, e neppure tutte una sola volta, ma gradatamente, a
cominciare specialmente dal 1870, e in modo particolare dal 1880. Né
questo chiaro svolgimento della verità è dovuto a qualche umana
ingenuità o acutezza d'intendimento, ma al semplice fatto che il
tempo stabilito da Dio è arrivato; e se io non parlassi, e se nessun
altro mezzo si potesse trovare, le stesse pietre parlerebbero ad
alta Voce”.
-
Né visioni dunque né sogni né
voce di Dio né ingenuità né acutezza d'intendimento, ma solo il
fatto che egli, l'ex commerciante di stoffe, aveva parlato,
ipse dixit, preannunciando prossima la fine. Voce dunque di uomo,
non di Dio!
-
E la fine non venne! E la Cristianità
non fu distrutta!
-
All'origine dunque della propaganda
geovista vi è un falso profeta, un semplice mortale, che ha parlato
per presunzione! Non ha nessuna autorità di far conoscere quale sia
la mente e la volontà dell'unico e vero Dio! (cfr. Deuteronomio 18,
22).
- Carlo Russell, un uomo qualunque
-
Russell avrebbe voluto che i suoi
insegnamenti fossero ritenuti validi anche dopo la sua morte. Lo
scrisse nel suo testamento. Ma non furono di questo parere coloro
che dopo di lui ebbero ed hanno in mano le sorti della setta.
-
L'elezione del successore
di Russell nella carica di presidente avvenne mediante una
votazione truffaldina. Joseph Franklin Rutherford, l'ex legale di
Russell, fu eletto alla presidenza con 150 mila voti da un corpo
elettorale di appena 600 persone. Come mai?
-
La Torre di Guardia, nel
numero del I' novembre 1955, p. 633, fa sapere che gli elettori
avevano diritto a tanti voti per quante donazioni di 10 dollari
avessero fatto a favore della società geovista.Così non fu difficile
a Joseph Rutherford occupare il posto rimasto vuoto con la morte di
Russell.
-
Divenuto presidente, Rutherford non
ebbe nessuna preoccupazione di eseguire le ultime volontà di
Russell. Nei riguardi di lui, profeta e portavoce di Dio, il nuovo
presidente si espresse nei seguenti termini:
-
“Il lavoro dell'organizzazione di Dio
non è soggetto al controllo di un uomo (cioè di Russell), né è
controllato dalla volontà d'una creatura (cioè di Russell)”.
-
Così Rutherford spogliò Russell
dell'aureola di “profeta e microfono di Dio”, e lo ridusse al rango
d'un uomo qualunque. Ora il “profeta” era lui, Rutherford, e quanto
lui diceva, doveva essere recepito come parola di Dio anche se in
contrasto con ciò che lo stesso Geova aveva fatto sapere tramite
Russell.
-
Essendo dunque un uomo qualunque,
Russell aveva fatto in modo che “il popolo di Geova fosse ancora
tenuto in restrizioni babiloniche ereditate da tradizioni pagane
adottate dalla cristianità (... ). I testimoni di Geova celebravano
alcune feste pagane, come il Natale; usavano il simbolo della croce
come segno di devozione cristiana e in quanto all'organizzazione
seguivano nella congregazione l'ordine democratico e presbiteriano”.
-
Sotto il nuovo presidente questo
sconcio fu eliminato. I tdG piansero questi loro peccati, dovuti
alla poca chiaroveggenza del 'profeta' Russell, e sotto la guida
teocratica, cioè dispotica, di Rutherford, si avviarono a un futuro
brillante.
-
Tra le nuove luci accese da Rutherford
ricordiamo solo la sua profezia circa la fine. Il nuovo microfono di
Dio aggiornò quanto aveva detto il suo predecessore, spostando la
data della fine prima al 1918 e poi al 1925. Ma, ahimè, la nuova
luce si rivelò una falsa luce. Venne infatti il 1925 e gli unti
seguaci di Geova non andarono in cielo. Rutherford mori di cancro
l'8 gennaio 1942.
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“Guai a coloro che cambiano le tenebre
in luce e la luce in tenebre” (Isaia 5, 20).
- Il servo fidato e prudente
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Dopo la morte di Rutherford fu eletto
presidente Nathan Knorr. Era un uomo d'affari con scarsa conoscenza
della Bibbia. Per circa due decenni, governò la setta da monarca
come avevano fatto i suoi predecessori. Ma negli ultimi anni, a
motivo di contestazioni anche tra i suoi più vicini collaboratori,
dovette addivenire a una forma di governo apparentemente democratica.
Al vertice della setta fu collocato un “Corpo Direttivo”, composto
di un numero limitato di “santi” o “unti”, ossia della classe
privilegiata destinata al comando in questa vita e in quella che ha
da venire. Abbiamo detto “apparentemente democratica” perché di
fatto, anche dopo la ristrutturazione, il presidente è riconosciuto
come il portavoce di Geova. Egli dà il significato della Bibbia e
gli altri - tutti gli altri - devono accettare supinamente ciò che
egli dice.
-
Ma con quale autorità il Corpo
Direttivo si autodefinisce il canale di Dio o piuttosto di Geova?
Strumentalizzando qualche versetto della Bibbia come avevano fatto
Russell e Rutherford.
-
Nel caso presente grande importanza
danno i capi della setta, e naturalmente anche la base, ad alcune
parole di Gesù di cui in Matteo 24, 45:
-
“Qual è dunque il servo fidato e
prudente che il padrone ha proposto ai suoi domestici con l'incarico
di dar loro il cibo in tempo opportuno?”
-
A parere dei tdG il servo fidato e
prudente sarebbe il Corpo Direttivo, che Geova avrebbe costituito
per comunicare a tutte le creature umane il suo pensiero e
soprattutto la sua volontà.
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Nulla di vero in tutto questo. Si
tratta d'una spiegazione settaria della Parola di Dio.
-
Notate, prima di tutto, come al tempo
di Russell e Rutherford il 'servo fidato e prudente' era una singola
persona, cioè Russell e Rutherford. Dopo, sotto Nathan Knorr, il
pensiero di Gesù sarebbe cambiato ed egli avrebbe avuto in mente più
persone, cioè il Corpo Direttivo.
-
La verità è molto diversa. Nella
parabola Gesù non si riferisce né a una singola persona né a un
gruppo di persone privilegiate, ma a tutti i suoi
discepoli. Soprattutto egli non intende conferire nessuna autorità
di comando. La parabola ha come unico scopo di esortare alla
vigilanza tutti i discepoli di Cristo durante il tempo dell'attesa
della sua venuta.
-
A conferma vale il fatto che Gesù
insiste sullo stesso insegnamento nelle due parabole che seguono
immediatamente: quella delle vergini stolte e delle prudenti (Matteo
25, 1-12), e quella dei talenti (Matteo 25, 14-30). Le tre parabole
servono a illustrare quanto Gesù aveva detto poco prima,
-
“Considerate però questo: se il padre
di famiglia sapesse in quale veglia della notte deve venire il ladro,
veglierebbe e non si lascerebbe sfondare la casa. Perciò anche
voi siate preparati, perché il Figlio dell'uomo verrà
all'ora che voi non supponete” (Matteo 24, 43-44).
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Le tre parabole sembrano riferirsi
allo stesso contesto precedente, cioè alla seconda venuta del
Signore o giudizio finale (cfr. Matteo 24, 44). Ma sarebbe possibile
anche considerarle come avvertimenti 1per la venuta del
Cristo nella vita dei singoli uomini, sia che si tratti di suoi
ministri sia che si tratti dei semplici fedeli.
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In ogni modo, sia che si tratti della
fine del singolo o del giudizio che riguarda l'umanità intera, il
contenuto della parabola del “servo fidato e prudente”, come pure
delle altre due, non è il conferimento di un potere a una singola
persona o a un gruppo di persone, ma l'esortazione alla
vigilanza rivolta a tutti i discepoli di Cristo per
essere trovati nel pieno adempimento del loro dovere al ritorno del
loro Signore.
- Conclusione
-
Nei centoventi anni di storia della
setta geovista una cosa appare certa ed è che ogni presidente si è
appropriata la qualifica di portavoce di Dio, e su questa base ha
disdetto il suo predecessore, affermando cose radicalmente diverse.
E' mai possibile che Dio si contraddica? E' mai possibile che faccia
apparire nero e buio ciò che prima era presentato bianco e luminoso?
Dio è verità. E allora una conclusione s'impone nei riguardi di chi
bussa alla vostra porta con lo scopo di aggregarvi alla setta dei
tdG:
-
“Si sono fatti della
menzogna un rifugio e nella falsità si sono nascosti”
(Isaia 28, 15).
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