PADRE NICOLA TORNESE
PICCOLA COLLANA
"I TESTIMONI DI GEOVA"
 
 
Uomini di serie B Vivi o morti? Geova chi era costui? E' prossima la fine.. E voi chi dite che...
Bibbia sangue e medicina La croce E  le croci La Madonna contestata Trinità Amore o falsità? Pietro e la Pietra
Bibbie a confronto Immagini e Santi Il Natale festa pagana... Regno di Dio o... .? Appello a Cesare
Battesimi e Battesimo Inferno La Cena del Signore Purgatorio Paradiso
Con quale autorità? Risurrezzione La Crocifissione   INDEX
 
NICOLA  TORNESE
VIVI  O MORTI ?
MORTI DICONO I TESTIMONI DI GEOVA
VIVI AFFERMA LA BIBBIA
 
OPUSCOLO   N° 2
PICCOLA COLLANA
 
"I TESTIMONI DI GEOVA"
 
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Padre Nicola Tornese
Viale S. Ignazio,  4
80131  NAPOLI    tel. 081.545.70.44
 

 
Astuta propaganda
Proprio in un giorno di grande dolore (Era morto quel giorno proprio in quel rione, un giovanetto di nome Mario. Aveva solo 16 anni.) ho visto un volantino fatto cadere da mano ignota nelle cassette di posta in arrivo. Ho preso e ho letto:
 
"Speranza dei morti. Che la speranza dell'uomo di vivere dopo la morte sia basata sul possesso di un'anima immortale è una credenza tanto antica quanto diffusa (…).
I suoi sostenitori rispondono che essi hanno la prova scritturale. Ma che cosa dice la Bibbia?
Per la Bibbia tanto l'uomo che gli animali inferiori sono anime ( Il volantino è illustrato come una vignetta in cui accanto all'uomo compaiono un asino, un bue e una pecora qualificati tutti come anime viventi.) e perché essi muoiono tutti, si deve dedurre che le anime muoiono. E questo è  esattamente ciò che la Bibbia inequivocabilmente dichiara: "L'anima che ha peccato, quella morrà" (Ezechiele 18, 4-20). "Ogni anima vivente morì nel mare (Apocalisse 16, 3)" (E' una traduzione infelice e ingannevole).
Invece di essere basata sul possesso di un'anima immortale, la Bibbia mostra che la speranza dell'uomo è fondata sulla risurrezione".
Vediamoci chiaro
La mano ignota è quella dei testimoni di Geova. Vengono di nascosto come un ladro (cf. Giovanni 3,20), per rubare la vostra fede, approfittando del vostro dolore. E dopo questo tentativo di furto, che cosa vi danno in cambio? Vi dicono che dopo la morte non si va in cielo, ma si fa la fine dei pesci che muoiono nel mare, o del cane, che termina la sua esistenza sotto una macchina mentre attraversa la strada.
 
a) Vi dicono che la speranza dell'uomo di vivere dopo la morte tanto antica quanto diffusa, in cui l'umanità ha creduto fin dalle sue origini e in ogni parte della terra, è sbagliata.
 
Si risponde: Com'è possibile che la stragrande maggioranza degli uomini, tra cui tantissime elette intelligenze, si sia completamente sbagliata? Non è detto nel Vangelo che il Verbo Eterno di Dio, vera Luce del mondo, illumina ogni uomo? (cf. Giovanni 1,9).
 
b) Vi dicono che i giudei presero la loro credenza nell'immortalità dell'anima dai vicini pagani.
Si risponde: Chi sono questi giudei? Non sono forse quelle stesse persone che, ispirate da Dio, hanno scritto la Bibbia? Anche se il contatto coi popoli vicini ha contribuito a conoscere meglio certe verità, dopo che queste verità sono state avallate dallo Spirito Santo, devono dirsi parte integrante della Bibbia.
 
c) Vi dicono: Il gran numero di quelli che si professano di essere cristiani ritengono similmente che la speranza dell'uomo nella vita futura sia basata sul suo possesso d'un anima che alla morte va in cielo, purgatorio o inferno.
Si risponde: Dunque tutti (e sono miliardi!) si sarebbero sbagliati? Come mai Gesù Cristo, che è la Verità (cf. Giovanni 14,6), avendo assicurato i suoi discepoli di essere presente in mezzo a loro fino alla fine del mondo (cf. Matteo 28,20), li ha poi abbandonati in balìa dell'errore? Come mai lo Spirito di verità (cf. Gv. 16,13), mandato dal Padre perché rimanesse sempre coi discepoli (cf. Gv.14,16), non ha avuto la capacità di intervenire in difesa della verità?
 
 
d) Vi dicono: gli scienziati non hanno potuto scoprire nessuna prova che l'uomo abbia un'anima immortale.
 
Si risponde: Che valore ha la prova degli scienziati a favore o contro una verità di fede? Non dicono i geovisti che bisogna seguire la Bibbia come unica guida? Che significa questo appello agli scienziati? Se l'appello geovista alla scienza fosse valido, noi potremmo dire  che non c'è futura risurrezione perché gli scienziati non hanno potuto scoprire nessuna prova che l'uomo debba risorgere!
Comunque, noi sappiamo che moltissimi scienziati di ieri, di oggi, di sempre, hanno creduto e credono, da veri cristiani, che la vita umana continua subito dopo la morte: la scienza, in cui erano e sono versatissimi, non ha scoperto nessuna prova contro la loro fede cristiana nella sopravvivenza dell'uomo. Ecco qualche nome: Biagio Pascal, Isacco Newton, Lazzaro Spallazzani,  Luigi Pasteur,  Gregorio Mendel,  Enrico Medi,   Antonino Zichichi, fisico vivente di fama mondiale, e tantissimi altri.
Aspetto la risurrezione dei morti
Certo, la Bibbia parla della futura risurrezione dei morti e i veri cristiani, sempre fedeli agli insegnamenti della Bibbia, professano questa verità, nutrono questa speranza da secoli, anzi da millenni, prima ancora che apparissero sulla terra i tdG. Nel Credo che noi recitiamo i tdG danno rinnegato, è detto: Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà.
La vita d'oltretomba
La Bibbia, comunque, non parla solo di futura risurrezione: essa insegna anche in modo inequivocabile che l'uomo sopravvive alla morte. La nostra fine terrena non è come quella degli animali. Questo lo possono pensare e dire i tdG, non veri cristiani. Tra l'uomo e gli animali vi è un abisso incolmabile: Il Dio della Bibbia ha fatto l'uomo di poco inferiore agli angeli (Salmo 8,6).
Gli animali cessano di respirare e di esistere: muoiono per sempre. Non così l'uomo. Per lui cessare di respirare non significa cessare di esistere: Dopo la vita terrena, condizionata dalle presenti leggi biologiche, l'uomo continua a vivere in un nuovo stato di vita, seguita a suo tempo dalla risurrezione dei corpi.
Per evidenziare meglio la truffa geovista (perché d'una grande truffa si tratta), noi preferiamo parlare di vita d'oltretomba, di sopravvivenza dopo la morte, piuttosto che di immortalità dell'anima. Non già perché non vi sia nell'uomo una componente immortale, che sfugge cioè alla morte del corpo e che possiamo chiamare anima, ma solo perché tutta la truffa geovista è basata sui loro cavilli ed equivoci circa la parole "anima".

 
PARTE   PRIMA
 
L'INSEGNAMENTO
DELL'ANTICO TESTAMENTO
La creazione dell'uomo
Analizziamo, prima di tutto, il racconto biblico della creazione dell'uomo. Questo aiuterà a capire meglio la dottrina biblica della sopravvivenza dell'uomo dopo la morte o, che è lo stesso, l'immortalità dell'anima.
 
"Allora Jahve Dio plasmò l'uomo con la polvere del suolo e soffiò nelle narici un alito di vita (neshamah); così l'uomo divenne un essere vivente (nefesh hayyâh)" (Genesi 2,7, Garofalo).
 
Spiegazione:
 
a) Tutti gli studiosi della Bibbia sono unanimi nel dire che l'autore sacro descrive qui due distinte operazioni divine: la prima riguarda la formazione del corpo senza vita; la seconda, l'origine della vita umana mediante l'aggiunta di un soffio divino (neshamah), causato direttamente da Dio.
La polvere del suolo plasmata da Dio è una figura inerte, cioè un corpo senza vita. Allora Jahve aggiunse al corpo senza vita il soffio divino. In virtù di questo nuovo elemento la figura inerte divenne nefesh hayyâh. "Qui si vuol dire che Javhe pose in quel corpo (soffiò) ciò che lo fece diventar vivo" (Salvatore Garofalo, La Sacra Bibbia, vol. I, commento a Genesi 2,7).
 
Il nefesh hayyâh equivale a figura umana plasmata più soffio divino. Schematicamente, il pensiero dell'autore sacro può essere espresso con la formula seguente:
 
polvere plasmata +
 
soffio divino          =
 
nefesh hayyâh.
 
Commenta la Bibbia di Salvatore Garofalo:
 
"Noi sappiamo che quanto fa vivo l'uomo è l'anima, sostanza spirituale. Che l'Autore voglia qui insegnare la presenza nell'uomo, di due elementi risulta dal confronto col verso 19, dove gli animali dono modellati dal suolo, ma non si parla a loro riguardo di un alito soffiato direttamente da Dio".
 
b) L'espressione ebraica nefesh hayyâh, ossia il composto umano (polvere plasmata più soffio divino) può essere tradotta in vari modi. L'antica versione latina detta    Volgata traduce anima vivens; così pure alcune versioni in lingue moderate hanno "anima
vivente".
Ma qui "anima" vuol dire "persona", ossia l'uomo tutto intero, l'essere vivente umano.(Così traducono quasi tutte le Bibbie moderne. Ne citiamo alcune: La sacra Bibbia di Salvatore Garofalo, La Bibbia Concordata, La TOB, La Bibbia di Gerusalemme, La Bibbia della CEI, La Bibbia Nuovissima versione dai testi originali, EP., La Sacra Bibbia in lingua moderna, La Revised Standard Version, La Sacra Bibbia a cura di Louis Pirot (francese) ecc.). Non vuol dire anima quale soffio divino o sostanza spirituale, com'è intesa abitualmente nel linguaggio corrente. Questi due significati di anima come parte spirituale e immortale dell'uomo e come persona sono distinti nel Vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli.
I traduttori moderni, per maggior chiarezza e per evitare equivoci, preferiscono rendere il nefesh hayyâh con essere vivente, persona e simili. Se qualche traduttore usa ancora il termine anima per Genesi 2,7b, si premura di precisare che tale parola, in tal caso, va intesa nel senso di composto umano o persona, non come soffio divino o anima spirituale (La Sacra Bibbia a cura dell'Istituto Biblico, Roma, nota a Genesi 2,7 e a Ezechiele 18,4). Fanno eccezione i tdG che preferiscono giocare sempre sull'equivoco per turlupinare la gente.
Un imbroglio geovista
L'errore:  " Per creare l'uomo,  prese Dio un'anima néfesh o psyché che svolazzava nei cieli invisibili come una farfalla e la imprigionò in un corpo umano (…). No: ma leggiamo ciò che nella sua propria Parola scritta il Creatore dice di essa: "E Geova Dio formava l'uomo dalla polvere della terra e gli soffiava nelle narici l'alito (neshamáh, ebraico) della vita, e l'uomo divenne un'anima (néfesc) vivente". Così venne all'esistenza la prima ani,a umana" (tratto da "Cose nelle quali è impossibile che Dio menta" , pp. 139-140).
 
La verità: Per creare l'uomo, Dio non prese certamente una farfalla svolazzante nei cieli invisibili, ma aggiunse alla polvere plasmata il soffio di vita proveniente da Lui stesso. Questo soffio si può chiamare anima nel senso di elemento spirituale. Questa "anima" non è il nefesh.
Alla base dell'imbroglio geovista sta la confusione che essi volutamente fanno dei due significati, che la parola anima può avere: quello di soffio divino (neshamah) o elemento spirituale aggiunto al corpo; e quello di composto umano o essere vivente umano o persona (nefesh).
Il nefesh hayyâh non significa "anima" nel primo senso. Tradurlo "anima vivente" è una traduzione infelice, che si presta a tradire la Parola di Dio come fanno appunto i geovisti.
 
"La parola anima è usata per tradurre l'ebraico nefesh. La traduzione è infelice. L'ebraico nefesh non corrisponde al nostro concetto abituale di anima.
Il nefesh non è l'anima
Insistiamo nel dire che la parola ebraica nefesh non significa anima nel senso in cui questo vocabolo è usato ordinariamente nel linguaggio comune.
Secondo gli studi più accurati dei biblisti la parola ebraica nefesh può avere i seguenti significati:
1 - Essere vivente, uomo o animale, così come appare ai nostri sensi.
2 - Persona (uomo o donna), quando il nefesh è detto d'un essere vivente umano.
3 - Animale, quando il nefesh indica un essere vivente infraumano.
4 - Vita, sia umana che infraumana, secondo i casi, come risulta dal contesto.
5 - Tutti questi significati del nefesh possono essere espressi nelle nostre lingue coi pronomi corrispondenti io, tu, egli, ella, noi, voi, loro, essi, esso, essa, essi, esse.
I tdG, nella loro unica versione della Bibbia, quella autorizzata dalla setta, hanno deciso di usare sempre la parola anima per tradurre l'ebraico nefesh. Sulla testimonianza di tutti i grandi biblisti dobbiamo dire che la loro è una traduzione infelice.
 
Ecco un primo esempio di traduzione infelice:
 
In Genesi 1, 20-21 sta scritto: "Dio disse: Le acque brulichino di un brulichio di esseri vivi (nefesh) … E così avvenne. Dio creò i grandi cetacei e tutti gli esseri vivi (nefesh) guizzanti di cui brulicano le acque, secondo la loro specie" (Garofalo). E' ovvio che qui la Bibbia parla di pesci, non di anime.
Malgrado questo inequivocabile significato del testo biblico i tdG traducono:
 
 "E Dio proseguì dicendo: Brulichino le acque di un brulichio di anime viventi (nefesh)… E Dio creava i grandi mostri marini e ogni anima vivente (nefesh) che si muove, di cui le acque brulicano secondo la loro specie".
 
In nessuna lingua moderna la parola anima indica un pesce, piccolo o grosso che sia; e neppure un animale selvatico o domestico, come per esempio la tigre, l'asino, il gatto, la pecora ecc. La traduzione geovista è sbagliata linguisticamente e concettualmente.
Perché lo fanno ?
La risposta non è difficile. Con la traduzione infelice della parola nefesh (anima anziché essere vivente) i geovisti preparano il terreno per convincere i meno accorti che l'anima muore, vale a dire che non vi è sopravvivenza per l'uomo subito dopo la morte. L'uomo farebbe la fine del cane. Si tratta evidentemente di un grossolano sofisma, ossia di un inganno.
Per scoprire l'inganno e il gravissimo errore antiscritturale basta ricordare ciò che abbiamo appena detto, vale a dire che secondo tutti i biblisti, che fanno autorità, l'ebraico nefesh non corrisponde al nostro concetto abituale di anima, quale componente spirituale e immortale dell'uomo.
 
Da ciò segue logicamente e sicuramente che la morte del nefesh non equivale alla morte dell'anima. Dalla morte dell'essere vivente umano, ossia della persona, non possiamo dedurre che l'uomo faccia la fine degli animali inferiori. La Bibbia non giustifica questa erronea deduzione.
Per illustrare: se uno dice: "Nella peste di Milano sono morte centomila anime", non intende affatto dire che la vita di quei deceduti sia cessata completamente, in modo assoluto. Egli intende dire che quelle persone (anima = Persona) hanno perso la vita terrena. Che tutti quei morti vivano ancora nel loro Signore in attesa della risurrezione dei corpi il vero cristiano lo sa da numerosissime prove bibliche. Lo diremo in seguito dettagliatamente.
Norma pratica
Per scoprire l'inganno geovista suggeriamo la seguente norma:
 
Sempre che nella traduzione della Bibbia geovista o citazioni da essa, specie dall'Antico Testamento, trovate la parola "anima", sostituitela con termini meglio corrispondenti al testo ebraico (nefesh) come "essere vivente", "persona", "uomo", "animale" e simili, oppure coi relativi pronomi.
 
Attenendovi a questa norma, troverete il vero significato della Parola di Dio, scartando quello falso della propaganda geovista. Scoprirete pure quanto sia errata l'affermazione dei tdG che hanno scritto:
 
"Secondo più di sessanta dichiarazioni che si potrebbero citare dalle Scritture Ebraiche, l'anima umana non deve dirsi senza morte o a prova di morte. Essa deve essere mortale. (da "Cose nelle quali è impossibile che Dio menta" p.144).
Esempi di equivoci geovisti
1 - L'errore: "Per la Bibbia tanto l'uomo quanto gli animali inferiori sono anime, e perché essi muoiono, si deve dedurre che le anime muoiono. E questo è esattamente ciò che la Bibbia inequivocabilmente dichiara 'L'anima che ha peccato, quella morirà ' " (Ezechiele 18, 4.20)
 
La verità: Nel testo ebraico di Ezechiele 18, 4.20 non vi è anima ma nefesh. La traduzione esatta e fedele è la seguente: "Morirà la persona che pecca" (Garofalo). Qui non centra la morte dell'anima. Ezechiele voleva dire che la persona o uomo che pecca, non un suo discendente, sarà punito da Dio con la privazione della vita terrena. Ezechiele credeva nello Sceol, ossia nella sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte. (cf. Ezechiele 32, 17-32).
 
2 - L'errore: I tdG traducono Numeri 31,19: "Ognuno che ha ucciso un'anima …. Vi dovreste purificare". Parimenti Giosuè 10,35: "E quel giorno votarono ogni anima alla distruzione"
 
La verità. E' una traduzione infelice ed equivoca nell'uno e nell'altro caso, come in tantissimi altri. Sia in numeri 31,19, che in Giosuè 10,35 non si tratta di anime, ma di persone o nemici uccisi in guerra. Ad essi è stata tolta la vita terrena. Nulla si può ricavare contro la sopravvivenza dopo la morte. Gli Ebrei credevano che tutti i morti andavano nello Sceol.
 
3 - L'errore: "Genesi 2,7 "Geova Dio formava l'uomo dalla polvere della terra e gli soffiava nelle narici l'alito della vita, e l'uomo divenne un'anima vivente". (Si noti che non vien detto che all'uomo fu data un'anima, ma che egli divenne un'anima, una persona vivente). (Il termine ebraico qui tradotto "anima" è nèphesh" (da Ragioniamo facendo uso delle Scritture, p.30)
 
La verità:
 
a)   - In Genesi 2,7 è detto che Dio ha prima formato l'uomo dalla polvere e poi soffiato l'alito di vita. Questi due elementi, cioè polvere plasmata e alito di vita (neshamah), hanno costituito l'uomo cioè il nefesh vivente, la persona umana. Sì,       alla polvere plasmata fu dato l'alito di vita o spirito o anima immortale.
 
b)   - Come abbiamo già detto, nefesh non significa anima, ma persona, essere vivente. Tradurre anima equivale a dare una traduzione infelice. Quasi tutte le traduzioni moderne della Bibbia traducino Genesi 2,7 con persona, essere vivente e simili. Fanno eccezione i tdG.
 
4 - L'errore  “Gen. 9,5: "Oltre a ciò, io richiederò il sangue delle vostre anime ( o "vite"; ebraico, da nèphesh)". (Qui è detto che l'anima ha sangue)” (da Ragioniamo facendo uso delle Scritture p.30)
 
La verità:
 
Ripetiamo ancora una volta che qui si tratta di persona o essere vivente umano. Tanto più che nella seconda parte del versetto si specifica che Dio domanderà conto “dall'uomo”. Qui è detto che l'uomo, non l'anima, ha sangue.
 
5 - L'errore: “Giosuè 11,11 "Colpirono ogni anima (ebraico, nèphesh) ch'era in essa col taglio della spada". (Si noti che l'anima può essere raggiunta dalla spada, per cui queste anime non potevano essere spiriti)” (da Ragioniamo facendo uso delle Scritture, p.30).
 
La verità:
Lo stesso imbroglio di prima, di sempre. L'anima che può essere raggiunta dalla spada è l'essere vivente, uomo o animale. Di questo parla il testo citato da Giosuè 11,11. Sì, queste anime, cioè questi esseri viventi, uomini o bestie, non sono puri spiriti. Ma da ciò non segue che Dio non abbia dato all'uomo, e a lui solo, un soffio vitale, uno spirito, un'anima spirituale e immortale, che non può essere raggiunta dalla spada (cfr. Matteo 10,28: Luca 12, 4-5, infra).
 
6 - L'errore:  “Lev. 24, 17-18: "Nel caso che un uomo colpisca mortalmente alcun'anima (ebraico nèphesh) del genere umano, dovrebbe essere messo a morte senza fallo. E chi colpisce mortalmente l'anima (ebraico nèphesh) di un animale domestico dovrebbe darne il compenso, anima per anima". (Si noti la stessa parola ebraica per anima è usata sia per il genere umano che per gli animali)”.
 
La verità:
 
a)   - Si noti come i tdG, mediante un uso aberrante della Bibbia, degradono l'uomo a livello delle bestie. Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Genesi 1,27), i tdG lo fanno a immagine e somiglianza degli animali.
 
b)   - Sì, in ebraico la stessa parola nefesh è usata sia per il genere umano che per gli animali. Ma tale parola non significa anima. Il suo significato di base è quello di essere vivente. Stando così le cose, noi possiamo dire che sia l'uomo che l'anima sono esseri viventi, senza degradare l'uomo al livello delle bestie. L'animale è un nefesh o essere vivente di una specie radicalmente diversa da quella dell'uomo.
La fede degli antichi Ebrei
 
Gli antichi Ebrei credevano nella sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte.
Questa credenza era loro proprio fin dalle origini. Non l'avevano presa né dagli egizi, né dai babilonesi, né dai greci. Ci credevano prima ancora che conoscessero questi popoli.
a) Nei libri della Bibbia, nei quali sono ricordate le credenze più antiche degli Israeliti, si trovano spesso espressioni come queste: “I morti vanno in pace presso i loro padri”  (Genesi 15,15); “sono riuniti ai loro antenati” (Genesi 25, 8-9; 35,29; 49,33).
 
Questi modi di esprimersi non equivalevano a dire semplicemente che uno morisse, come erroneamente spiegano i tdG. No! Morire e riunirsi ai propri antenati indicavano due cose distinte. Di Abramo è detto: “Spirò e morì in felice canizie, vecchio e sazio di giorni, e si riunì ai suoi padri” (Genesi 25, 8-9). Si tratta di due affermazioni diverse: per lo scrittore ispirato una cosa era morire, e un'altra riunirsi ai propri padri.
 
E neppure significavano quelle espressioni che il defunto era seppellito nella tomba di famiglia. Abramo morì e fu sepolto in Palestina nella grotta di Macpela (Genesi 25,9) e lì rimase. I suoi antenati erano stati sepolti assai lontano, in Mesopotamia, a centinaia di chilometri di distanza, in una altra tomba. Eppure di lui la Bibbia dice che si riunì ai suoi padri. La riunione non avveniva dunque nello stesso sepolcro. L'autore sacro aveva in mente qualche altra cosa.
 
Parimenti di Davide è detto che “dopo avere servito i disegni di Dio, morì e di unì ai suoi padri e andò in corruzione” (Atti 13,46, Garofalo). Chi va in corruzione non si riunisce ai propri padri.
 
b) La Bibbia, dunque, distingue assai bene tra tomba o sepolcro di famiglia, dov'era deposto il corpo soggetto alla corruzione, e una regione dove si credeva che si radunassero tutti i viventi: “la casa dove si riunisce ogni vivente” (Giobbe 30,23): lo Sceol.
 
Nello Sceol le creature umane continuavano a vivere come ombre di ciò che erano stati in vita. Queste ombre erano chiamate Refaim (Giobbe 26,5):
La vita dei Refaim nello Sceol era concepita come in uno stato inconscio, un vagare nelle tenebre; come una forzata inattività, senza desideri né passioni. Ma tutto ciò solo in forte contrasto con quanto avviene sulla terra. (Qoèlet 9, 5-10).
 
Non era comunque una distruzione, un ritorno nel nulla, una perdita completa della energia vitale. Alcune volte i Refaim sono presentati in grande agitazione come quando accolgono con amaro sarcasmo il potente re di babilonia, che arriva in mezzo a loro (Isaia 14, 3-15; cf. Ezechiele 32, 17-32).
 
c) Gli antichi Israeliti credevano che i morti continuassero a vivere e potessero anche comunicare coi vivi. La Legge mosaica proibiva non solo di consultare gli spiriti, ma anche di evocare i morti: “Presso di te non si troverà (…) chi consulti gli spettri e gli spiriti familiari, chi interroghi i morti” (Deuteronomio 18, 10-11, Garofalo). Il comando divino riguarda sia gli spiriti sia i morti. Se esistono gli spiriti, devono avere un'esistenza anche i trapassati.
False spiegazioni
1 - L'errore: A parere dei tdG, non fu il defunto Samuele a parlare con Saul, ma uno spirito maligno, il diavolo.
 
La verità: Anche se fosse così, rimane la verità di fondo, vale a dire che dopo la morte l'uomo continua a vivere. Infatti lo spirito evocato risponde a Saul: “Domani, tu e i tuoi figli sarete con me!” (1 Samuele 28,19). E così fu. Saul e i suoi figli furono uccisi dai Filistei (cf, 1 Samuele 31,2) e non finirono nel  nulla, ma andarono a fare compagnia a Samuele!
 
2 - L'errore: “E' impossibile parlare con i morti; i tentativi sono condannati come spiritismo”. Come prova citano Isaia 8,19; Deuteronomio 18, 10-12; 1 Cronache 10, 13-14.
 
La verità: Si tratta evidentemente di un tentativo d'inganno. La Parola di Dio non dice ciò che dicono i geovisti. Sia in Isaia 8,19 che in Deuteronomio 18, 10-12 non è questione di impossibilità di parlare coi morti, ma di illiceità. La Bibbia condanna tale pratica non perché impossibile, ma perché era considerata possibile ed offensiva alla maestà divina.
 
3 - L'errore: “Nel Salmo 146, 3-4 è detto: "Non confidate nei nobili, né nel figlio dell'uomo terreno, a cui non appartiene nessuna salvezza. Il suo spirito se ne esce, egli torna alla sua terra; in quel giorno periscono in effetti i suoi pensieri". Quando l'uomo muore, il suo spirito "se ne esce". Non esiste più”.
 
La verità: Il salmista consiglia di avere fiducia solo in Dio, non nei potenti di questa  terra. Infatti, tutti i progetti, le promesse, le garanzie anche dei potenti della terra sono fragili perché anche il potente muore. Qui nulla si dice di ciò che avviene o non avviene dopo la morte.
 
 
 
 
 
PARTE     SECONDA
 
L'INSEGNAMENTO
DEL NUOVO TESTAMENTO
Alla scuola del Maestro Divino
La Bibbia, dunque, nella sua Prima Parte o Antico Testamento contiene numerose testimonianze attestanti la sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte. Tuttavia agli antichi Israeliti Dio non fece conoscere nella sua pienezza la dottrina circa il destino dell'uomo subito dopo la morte. Gesù ha portato a compimento questa prima rivelazione. Disse un giorno Gesù:
 
“Non crediate che io sia venuto per abolire la  Legge o Profeti: non sono venuto per abolire, ma per portare a compimento” (Matteo 5,17).
 
Da parte sua san Paolo insegna:
 
“Dopo avere Iddio, a più riprese e in modi parlato un tempo ai padri per il tramite dei profeti, ora, alla fine dei giorni, ha parlato a noi per il tramite di un Figlio” (Ebrei 1,2, Garofalo).
 
Obiettano i geovisti:
 
“La venuta di Gesù Cristo su questa terra non recò alcun cambiamento. Dio non cambia la sua personalità o le sue giuste norme. Mediante il suo profeta Malachia egli dichiarò: 'Io sono Geova; non sono cambiato' (Malachia 3,6)”.
 
Si risponde:
a) L'affermazione geovista è antiscritturale. La venuta di Gesù Cristo su questa terra ha recato molti cambiamenti. Se ciò non fosse vero, dovremmo annullare tutti gli scritti del Nuovo Testamento.
No, mediante Gesù Cristo Dio ha fatto nuove tutte le cose (cf. Apocalisse 21,5); “le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate delle nuove” (2 Cor. 5,17).
 
b) I tdG tentano di oscurare tanta bellezza biblica con la citazione di Malachia 3,6 strappato dal suo contesto. Dio, mediante il profeta Malachia voleva dire semplicemente che egli era sempre fedele alle sue promesse, anche se gli Israeliti si mostravano infedeli ai loro impegni verso di Lui. Questo significa che Dio in se stesso mai cambia. Ma le parole di Malachia non vogliono affatto dire che non possa cambiare ossia arricchirsi la conoscenza che noi abbiamo di Dio, della sua bontà, delle sue giuste norme ecc., se a Lui piace rivelarsi attraverso il tempo. Questo appunto Dio ha fatto mediante il Figlio.
 
c) Tra le cose che il figlio di dio ci ha fatto conoscere meglio vi è il destino dell'uomo subito dopo la morte. Gesù ha confermato con la sua autorità divina che, secondo la giusta norma o volontà di Dio, la fine dell'uomo non è come quella del cane, ma con l'ingresso gioioso del servo fedele nella Casa del Padre (cf. Matteo 25,21), oppure per chi volontariamente si è separato dall'Amore, come il rifiuto di essere ammessi nella gioia del Regno (cf. Luca 16,23).
Voi siete in grande errore (Mt. 22,29)
In una disputa coi sadducei, che negavano la risurrezione, Gesù rispose e disse più di quanto gli era stato chiesto:
 
“Voi siete in grande errore e non comprendete le Scritture né la potenza di Dio. Alla risurrezione infatti non si prende moglie né marito, ma si è come angeli in cielo. Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quel che vi è stato detto da Dio: ' Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe?'. Non è il Dio dei morti ma dei viventi” (Matteo 22, 29-32).
 
Due cose afferma Gesù assai chiaramente:
 
La prima riguarda la futura risurrezione. Contro i sadducei che la negavano, Gesù dichiara che i morti risorgeranno (cf. Giovanni 5, 28-29). La dichiarazione di Gesù va riferita alla risurrezione dei corpi alla fine del mondo.
 
La seconda è una esplicita affermazione della sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte o, che è lo stesso, dell'immortalità dell'anima.
 
Commenta La Sacra Bibbia di Salvatore Garofalo:
 
“Gesù cita le parole dette da Dio a Mosè dal roveto (Esodo 3,6) per provare l'immortalità dell'anima. Perché Dio sia Dio di qualche cosa o di qualcuno, la cosa o la persona devono esistere; d'altra parte, se Dio dopo la morte dei patriarchi, continua a dirsi loro Signore (io sono e non io ero) è segno che non li ha abbandonati alle tenebre dell'oltretomba (lo Sceol) e tanto meno alla distruzione completa, ma si riserva di glorificarli nel futuro, con la risurrezione del corpo perché l'uomo sia completo secondo natura”.
 
I tre patriarchi, dunque Abramo, Isacco, Giacobbe - secoli dopo la morte - sono raltà viventi, hanno un modo di essere che è vita.
 
Obiettano i geovisti: Gesù non intendeva dire che i tre patriarchi fossero anime viventi nell'oltretomba. Egli voleva solo far capire che, dopola sua morte, Dio “controlla le prospettive di vita futura dell'individuo. Spetta a Dio decidere se ridarà al deceduto lo spirito o forza vitale” (da "E' questa vita tutto quello che c'è?", p.52).
 
Si risponde:
 
a) Si tratta evidentemente d'una spiegazione superficiale, che va direttamente contro la Scrittura. In effetti, i deceduti conservano lo spirito o forza vitale (meglio anima) nella regione dei morti, che gli antichi israeliti chiamavano Sceol, ma Gesù chiamava  “seno di Abramo” (cf. Luca 16,22) o anche Ade (cf. Apocalisse 20,12), o cielo (cf. Matteo 5,12) o paradiso (Luca 23,43).
 
b) Inoltre Dio ha già deciso di dare il corpo risuscitato a tutti indistintamente.
 
“Perché verrà l'ora in cui tutti (greco pantes) coloro che sono nei sepolcri, udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna” (Giovanni 5, 28-29; Atti 24,15).
Apparvero Mosè ed Elia (Mt. 17,3)
E poi Gesù stesso ha dato una prova tangibile che i defunti sono realtà viventi, non semplici ricordi nella memoria di Dio. Basta ricordare il racconto della Trasfigurazione (cf. Matteo 17, 1-9); Luca 9, 28-36; Marco 9, 2-8; 2Pietro 1, 16-18).
Gesù fa vedere ad alcuni suoi discepoli due grandi personaggi dell'antichità. Uno di essi, Mosè, era vissuto e morto circa milletrecento anni prima di Gesù Cristo. L'altro Elia, visse e morì nel nono secolo sempre avanti Cristo.
Nella Trasfigurazione del Signore, Mosè ed Elia parlano con Gesù. I tre discepoli presenti alla scena sentono le loro voci, capiscono ciò che dicono ( Luca 9, 30-31). I due personaggi apparivano vivi e reali come Gesù col quale conversavano.
 
Obiettano i geovisti:  Si è trattato di un sogno. Infatti Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno (cf. Luca 9,32).
 
Si risponde:
 
a) Veramente il vangelo di Luca dice: “Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui” (Luca 9, 32). Alcuni decenni dopo Pietro ricordava questa visione e scriveva: “Siamo stati testimoni oculari della sua grandezza” (2 Pietro 1, 16-18).
 
b) Se si fosse trattato d'un sogno o di una allucinazione, non si capirebbe perché “Gesù, mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti” (Marco 9,9; cf. Matteo 17,9). Il Maestro non poteva ingannare i suoi discepoli facendo loro capire che avevano visto, mentre avevano sognato.
 
Dicono pure i tdG: Mosè ed Elia erano in cielo perché del numero dei 144.000
 
Si risponde: Dov'è scritto nella Bibbia che Mosè ed Elia erano di quel numero? E poi non è più vero che i privilegiati membri di quella classe cominciarono ad essere trasferiti in cielo solo nell'anno 1918 dopo Cristo? Come mai Mosè ed elia erano saliti lassù già dai tempi di Cristo?
Il ricco egoista e Lazzaro povero
Dopo la morte del corpo la vita umana non finisce come quella delle bestie. Le bestie dopo la morte non sono giudicate. Gli uomini, sì. Nella parabola del ricco egoista e di Lazzaro povero, Gesù ha puntualizzato ciò che attende gli uomini subito dopo la morte.
“C'era un uomo ricco, il quale vestiva di porpora e di bisso e ogni giorno banchettava splendidamente. Un povero di nome Lazzaro, giaceva al portone di lui, coperto di ulcere e bramoso di sfamarsi con ciò che cadeva dalla tavola del ricco: ma perfino i cani venivano a leccargli le ulcere. Or accadde che il mendico morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Nell' Ade fra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro nel seno di lui. Allora gridò: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere la punta di un dito nell'acqua per rinfrescarmi la lingua, perché spasimo in questa fiamma". Ma Abramo disse: "Figlio, ricordati che tu hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro, similmente, imali; ora, invece qui egli è consolato e tu spasimi. Oltre a tutto ciò, fra voi e noi sta scavata una grande voragine, perché chiunque voglia di qui passare dalla vostra parte non lo possa, né di costì si venga a noi"” (Luca 16, 19-26, Garofalo)
 
 
La vera spiegazione:
 
Ricordiamo anzitutto che la parabola è un racconto immaginario e simbolico. Essa tuttavia serve a inculcare verità reali in una forma semplice e chiara perché siano recepite più facilmente dagli uditori. Nel cap.16 di san Luca, dov'è inserita questa parabola, Gesù intende dare una lezione sull'uso, buono e cattivo, delle ricchezze, e sulle conseguenze eterne secondo il giudizio di Dio, che conosce i cuori (verso 15).
 
In questo contesto Gesù insegna:
 
- Che i beni terreni usati egoisticamente attirano il castigo di Dio. I beni materiali appartengono a tutti e non sono un privilegio dei più furbi (Leggere le belle parole di Amos 8, 4-10; Luca 6,20; Giacomo 2,1-11).
 
- Che i sofferenti, gli ammalati, gli emarginati sono i prediletti di Dio.
 
- Che una ricompensa grande e senza fine sarà data subito dopo la morte a coloro  che hanno sofferto con fede e amore.
 
- Che una punizione atrocissima  ed eterna attende subito dopo la morte quelli che in questa vita hanno chiuso egoisticamente il cuore alla giustizia sociale e alla bontà.
 
 Notate bene. Gesù pone il povero Lazzaro nel seno di Abramo, ossia riunito ai padri nella gioia di Dio, e il ricco tra i tormenti dell'inferno, ora al presente,  subito dopo la morte (Luca 16,23)
Una spiegazione falsa e settaria
Scrivono i tdG: “Considerate: E' ragionevole o scritturale credere che un uomo sia nel tormento semplicemente perché  è ricco?”
 
Si risponde: Nella parabola il ricco è condannato non semplicemente perché era ricco, ma perché aveva chiuso egoisticamente il suo cuore alla necessità, cioè ai diritti altrui. La sua condanna è scritturale. In Luca 6, 24-25 Gesù dice: “Guai a voi ricchi, guai a voi sazi, perché avrete fame”.
 
Scrivono ancora: “E' scritturale credere che uno sia benedetto con la vita celeste solo perché mendicante?”.
 
Si risponde: Di Lazzaro è detto che i cani venivano a leccargli le ulcere e li lasciava fare. Ma a lui neppure delle briciole che cadevano dalla tavola del ricco era permesso sfamarsi. Era povero e buono. Di questi poveri Gesù dice: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio” (Luca 6,20).
 
E ancora: “Considerate anche questo: Si trova l'inferno letteralmente a una tale distanza dal cielo che vi potreste fare un'effettiva conversazione?”.
 
La risposta: Poche righe prima (ivi, p.42) l'anonimo testimone di Geova afferma che Gesù pronunciava una parabola o illustrazione, cioè usava espressioni simboliche, non letterali. Ora lo stesso anonimo scrittore afferma che bisogna prendere le cose letteralmente.  Vi può essere serietà in chi cade in contraddizioni così stridenti? Affermare e insieme negare la stessa cosa?
 
Hanno pure detto: Nel ricco vanno identificati i farisei e la classe sacerdotale che non credettero a Gesù, e in ultima analisi gli ecclesiastici della cristianità, che non vogliono accettare oggi gli errori dei testimoni di Geova.
 
Si risponde: Secondo il contesto, cioè nel cap.16 di san Luca, Gesù condanna il cattivo uso delle ricchezze. Nel ricco egoista vanno identificati tutti coloro che sono attaccati egoisticamente al denaro e chiudono il cuore ai diritti degli altri. Tali ricchi egoisti possono appartenere a qualunque classe sociale. Ve ne possono essere anche tra le file dei tdG.
E' poi contro la Scrittura affermare che i farisei e la classe sacerdotale rifiutarono l'insegnamento di Gesù. Sappiamo infatti dal libro degli Atti che folti gruppi di sacerdoti si sottomettevano l'uno dopo l'altro alla fede (Atti 6,21). Molti delle decine di migliaia convertiti al Vangelo, di cui parla san Giacomo (cf. Atti 21,20), erano certamente farisei; alcuni di essi presero parte al concilio di Gerusalemme (cf. Atti 15,5).
Questa è la verità contro l'errore e la calunnia dei tdG.
Il caso del buon ladrone   (Luca 23,40-43)
La verità: Luca, l'evangelista della misericordia divina, ci ha conservato le parole che Gesù morente disse al buon ladrone. Questi aveva rivolto a Gesù una preghiera: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. Gli rispose: 'In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso'” (Luca 23, 42-43). Con questa sua chiara risposta Gesù assicura che quella preghiera veniva esaudita: in quello stesso giorno, subito dopo la morte, sarebbero stati insieme in un nuovo modo di essere, in uno stato felice di vita: in paradiso.
 
Commenta la Bibbia di Salvatore Garofalo:
 
“Al tempo di Gesù, negli scritti non canonici, paradiso era usato sia nel significato generale di giardino recinto, sia per indicare il paradiso terrestre o una regione del cielo (cf. 2 Corinzi 12,4); Apocalisse 2,7) o luogo dove vanno le anime dopo la morte. Qui designa il luogo dove erano raccolte le anime dei giusti in attesa della redenzione e dove Gesù sarebbe disceso (cf. Atti 2, 24-31: 1 Pietro 3, 18-20 ecc.), in attesa del trionfo della risurrezione, al quale seguirà il definitivo ritorno in cielo”.
 
Dunque, quello stesso giorno, il corpo del ladrone sarebbe finito chissà dove. Eppure egli, il suo io spirituale e immortale, sarebbe sfuggito alla morte del corpo e avrebbe continuato a vivere con Cristo.
 
L'errore: Questa indubbia dichiarazione di Gesù sull'immortalità dell'anima crea una seria difficoltà ai tdG. Per superbia, spostano arbitrariamente la punteggiatura, cioè la virgola, e fanno dire a Gesù: “Veramente io ti dico oggi: Tu sarai con me in Paradiso”.
 
Questa spiegazione è sbagliata e da scartarsi:
 
a) Va notato anzitutto che nel testo originale di san Luca (testo critico), ricuperato scrupolosamente e scientificamente dai migliori studiosi della Bibbia, la virgola è posta prima e non dopo “oggi”. I tdG dicono che la loro traduzione della Bibbia  è una versione fedele del testo critico, di cui riconoscono sia l'autenticità che l'integrità generale. Vi sarebbero solo occasionali scostamenti. Nel caso di Luca 23, 42-43 hanno introdotto uno scostamento sostanziale al testo critico e hanno dato ai loro seguaci una infedele traduzione. Una cosa dicono ma un'altra fanno. Quanta ipocrisia!!!
 
b) In secondo luogo è risaputo che le espressioni Io ti dico, In verità ti dico e simili, senza determinazioni di tempo (come oggi), sono formule di stile biblico paragonabili alle altre Dice il Signore, Oracolo di Jahve ecc. Usandole, gli autori sacri vogliono mettere l'autorità di chi parla.
Nel caso presente, san Luca intende mettere in evidenza la maestà di Gesù. Benché apparentemente sconfitto, Egli parla da sovrano che distribuisce favori ed assegna posti a chi lui si rivolge. Gesù ha perciò usato la formula biblica abituale: Sono io a dirtelo! Te l'assicuro io! Senza aggiunta. Egli ha detto: “Io ti dico: oggi sarai con me in Paradiso” (Luca 22,43).
 
Obiettano i geovisti:  Quel giorno Gesù non andò in paradiso. Quindi non poteva promettere al ladrone di essere con lui in paradiso.
 
La risposta: Quel giorno Gesù “discese agli inferi”, ossia andò col suo spirito nell'Ade o regno dei defunti (cf. Atti 2,31) per annunciare la liberazione ai morti dell'antichità: “Cristo morto una volta per sempre per i peccati (…) per ricondurvi a Dio (…); in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione” (1 Pietro 1, 18-19). Il buon ladrone era con Lui.
Io sono la risurrezione e la vita (Gv. 11,25)
Un esempio della maggior luce apportata da Gesù sul destino dell'uomo dopo la morte si ha nel dialogo tra lui e Marta, la sorella di Lazzaro, che Gesù risuscitò da morte (cf. Giovanni 11, 1-44).
Appena incontrata quella donna che piangeva la morte del fratello, Gesù le dice: “Tuo fratello risorgerà” (Gv. 11,23). E poiché Marta, da buona giudea, era abituata all'idea della risurrezione futura, risponde prontamente a Gesù: “So che mio fratello risorgerà nell'ultimo giorno” (Gv. 11,24).
Ma Gesù rettifica quell'idea, completa quella speranza e dice a Marta: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore vivrà; anzi, chi vive e crede in me non morirà mai” (Gv. 11,26).
Sì, Gesù è la Vita, ora, presentemente: Io sono la Vita. Egli dà la vita ora, al presente a quanti si legano a lui con la fede: “Chiunque vive e crede in me non morirà mai. Credi tu questo?” (gv.11,26).
 
Che cosa chiede Gesù a quella donna?
 
Un atto di fede non nella futura risurrezione in cui Marta già credeva, ma accettare una nuova idea, che quella donna nn riesce a capire. E' comunque sicura che il Maestro dice la verità: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire in questo mondo” (Gv. 11,27).
 
Cos'è questa nuova idea?
 
Lazzaro, suo fratello, che ha creduto nel Figlio di Dio, non è morto. Chiamandolo d'oltretomba, Gesù dà la prova che le sue parole sono verità e vita
Errori e verità
1 - L'errore: In Giovanni 11,26 Gesù non dire “non morirà mai”, ma “non morirà in eterno” che è ben di verso. Così traducono anche alcune Bibbie cattoliche. ora l'espressione “non Morirà in eterno” (greco eis tòn aiona) fa pensare più a una morte completa, totale, senza sopravvivenza, ma con la speranza, anzi la certezza della risurrezione.
La verità:
Sì, è vero che alcune traduzioni della Bibbia anche cattoliche, rendono la frase greca eis tòn aiona con le parole “in eterno”; ma molte altre Bibbie cattoliche e non cattoliche, traducono “non morirà mai” (iamais, never). Anche la Bibbia dei tdG traduce così! Il mio corrispondente da Cagliari non conosce neppure la propria Bibbia!
2 - L'errore: “Jn Giov. 11,25-26, oltre alla speranza della risurrezione, Gesù indicò qualcos'altro per coloro che sarebbero stati in vita quando l'attuale mondo malvagio avrebbe avuto fine. Quelli con la speranza di essere sudditi terreni del Regno di Dio avrebbero avuto la prospettiva di sopravvivere senza mai morire”.
La verità:
Questo è contrario alla Bibbia. Infatti, specie nel vangelo di Giovanni, Gesù ripetutamente afferma che, per chi crede in Lui, la vita eterna non comincia in un futuro indeterminabile, ma è già Posseduta ora, al presente. In Giov. 3,15 Gesù dice: Affinché chi crede abbia (greco éke, al presente) la vita eterna”. E in Giov. 5,24 leggiamo: < chi ascolta la rnia parola e crede a colui che mi ha mandata>, ha la vita eterna (... ), è passato dalla morte alla vita” (cf. 1 Giov. 3,14). Parimenti in Giov. 8,51 Gesù afferma: , In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte”.
 
 
3 - L'errore: in tutti questi testi di Giovanni, Gesù vuol dire che “le persone,  che esercitano fede nel riscatto di Cristo sono da Dio considerate carne nella via della vita eterna.
 
La verità:
In tutti questi testi di Giovanni, Gesù parla di un fatto compiuto, d'un passaggio dalla morte alla vita già avvenuto, d'una vita eterna già posseduta, non di una via alla vita eterna. Dio considera tutte queste persone già in Possesso d'una vita, su cui la morte non ha più Potere.
b) Si ricordi pure che in Apocalisse 20,4-5, Giovanni parla di una prima risurrezione per “quanti non avevano adorato la bestia e la sua statua ecc.”. Risurrezione vuol dire “passaggio già avvenuto dalla morte alla vita”. Si tratta evidentemente di una risurrezione spirituale, distinta da quella del corpo che avverrà alla fine dei tempi. Tutti costoro hanno già la vita eterna e continuano ad averla anche dopo la morte. Tutti, non soltanto uno sparuto numero di 144.000!
 
4  -  L'errore: Lazzaro risuscitato non disse nulla della vita d'oltretomba. Quindi non è vita d'oltretomba.
 
La verità:
 a)I vangeli non ci hanno conservato tutti i fatti sulla vita di Gesù, Se fossero stati scritti uno per uno, il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere                                 (cf. Giovanni 21, 24-25).
b) Tanto meno i vangeli sono stati scritti per soddisfare a curiosità di uomini cavillosi, ma “perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché credendo abbiate la vita eterna nel suo nome” (Giovanni 20,21). Gesù risuscitò Lazzaro non perché egli, un uomo come tutti gli altri, prendesse il posto di Gesù nel rivelarci la vita d'oltretomba, ma perché i testimoni del miracolo, presenti e futuri, “credano che tu mi hai mandato” (Giovanni 11,42).
L'insegnamento di san Paolo
1 - Scrisse ai Filippesi:
“Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno (...) Sono stretto in questa alternativa: ho il desiderio d'andarmene per essere con Cristo, che è cosa -di gran lunga migliore; ma il rimanere nella carne è più necessario a riguardo di voi” (Filippesi 1,21-24).
Spiegazione:
 San Paolo guarda alla morte come a un guadagno, non come a una non-esistenza e neppure come a una vita inconscia e tenebrosa. Se dipendesse da lui, egli sceglierebbe, preferirebbe di andarsene per essere con Cristo. Questo stato, o modo di essere, che egli considera molto migliore (verso 23), è una esistenza con Cristo, che succede direttamente alla morte senza attendere la risurrezione dei corpi.
L'essere con Cristo ricorda certamente le parole di Gesù al buon ladrone: “In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso” (Luca 23,43).
2 - In termini simili scriveva ai Corinzi:
“Preferiamo piuttosto sloggiare da questo corpo per andare nella patria, presso il Signore” (2 Corinzi 5,8).
Spiegazione:
Qui come in Filippesi 1,21-24 Paolo intravede una unione del cristiano con il Cristo immediatamente dopo la morte individuale. Questa attesa di una beatitudine dell'anima separata risente dell'influsso greco, che d'altra parte era già sensibile nel giudaismo contemporaneo'. La novità di questa fede deriva da una rivelazione radicalmente nuova del significato della vita e della salvezza".
Commenta la Bibbia di Salvatore Garofalo.
“Le anime dei giusti (in questo caso quella di Paolo), subito dopo la morte, senza aspettare la risurrezione dei corpi saranno ammesse alla presenza di Dio e alla sua visione. Questa concezione supera quella ebraica dello Sceol dove le anime sarebbero restate fino alla risurrezione finale vivendo una vita grama”.
Anime sotto l'altare (Apocalisse 6,9)
Leggiamo nell'Apocalisse, capitolo 6, versetti da 9 a 11:
“Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della Parola... Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto di pazientare ancora un poco fìnché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro”.
Spiegazione:
Per capire questa visione di Giovanni bisogna tener presente che egli poco prima (Apocalisse 6, 1-8) descrive la dolorosa realtà della vita qui sulla terra. In contrasto con ciò che avviene sulla terra è rivelato a Giovanni quel che accade in cielo. Nel santuario celeste egli vede le anime (psychai) dei fedeli che hanno subìto il martirio per amore di Cristo. Esse sono attualmente e realmente ai piedi dell'altare celeste. La loro vita, con la morte, non fu spazzata via dall'esistenza.
Falsa spiegazione
L'errore:
 I tdG sono del parere che Giovanni voleva dire che “gli uomini avevano ucciso i loro corpi umani, ma non avevano potuto uccidere le loro anime, cioè il loro diritto o titolo alla vita celeste nel regno di Dio.
La verità:
a) San Giovanni ha visto anime (psychai), non titoli di futura gloria. In nessun vocabolario greco è detto che la parola psychè significa titolo o diritto. Essa significa vita reale. In questo caso, vita umana trasferita in cielo, cioè anime nello stato di gloria.
b) L'autore ispirato parla di vita celeste già raggiunta, non di diritto alla vita futura. Come il “Testimone fedele e verace” (Apoc. 3,14) ha compiuto sulla croce il sacrificio di sé al Padre ed è ora assiso sul trono (Apoc. 7,17), così anche i martiri cristiani sono già nel santuario del cielo vicinissimi a Dio (Apoc. 7,9-17).
 

 
PARTE     TERZA
 
LA VERITA' SULLA PSYCHE E LO PNEUMA
 
I tdG equivocano con le parole greche psychè e pneuma come fanno con la parola ebraica nefesh. Lo scopo è sempre lo stesso, distruggere cioè la dottrina biblica della sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte e convincere i loro seguaci che la fine dell'uomo è come quella delle bestie.
Per scoprire l'inganno geovista bisogna precisare quali siano nella Bibbia i significati di psychè e di pneuma.
La Psychè come persona
Nella maggior parte dei casi il termine greco psychè corrisponde all'ebraico nefesh ed ha perciò gli stessi signiíìcati che sono: essere vivente, persona, animale, vita. Questi possono essere espressi coi pronomi corrispondenti: io, tu, egli, ella, noi, voi, loro, esso, essa, essi, esse.
L'equivoco o imbroglio geovista, simile a quello che essi fanno abusando dell'ebraico nelesh, può essere espresso nei termini seguenti: la Bibbia dice che la psychè muore, ma la psychè è l'anima, dunque l'anima muore.
Per inoculare il loro errore, i tdG traducono sempre psychè con la parola anima. E' una traduzione infelice, per dirla col gesuita  McKenzie.
 
1 - In Luca 6,9 Gesù domanda- “t lecito in giorno di sabato salvare una vita umana (psychè) oppure perderla?”. Questa è la traduzione dei veri cristiani.
I tdG traducono: “E'  lecito di sabato salvare o distruggere un'anima?”. Questa traduzione è inesatta ed equivoca. Nel testo citato di Luca psychè significa uomo che Gesù vuole curare come fa effettivamente. 1 tdG insinuano che si tratta della distruzione di un'anima!
2 - In Apocalisse 16,3 si legge: “E il secondo versò la sua coppa sul mare; e vi fu sangue come di un morto, ed ogni essere vivente (psychè) morì nel mare” (Garofalo).
1 tdG traducono: “Ogni anima vivente morì nel mare” e si servono di questa inesatta traduzione per provare che l'anima muore come gli animali inferiori. Le parole citate dall'Apocalisse 16,3 si riferiscono a pesci, che muoiono nel mare.
 
3 - Hanno pure scritto: “Il cristiano apostolo Paolo mette in risalto questo fatto quando scrive, in 1 Corinzi 15:45. 11 primo uomo Adamo divenne anima (psyché) vivente'. Adamo, nostro primo padre umano, fu un" anima vivente'. Egli non ebbe qualche ombrosa, invisibile, imponderabile, intoccabile cosa dentro di sé che potesse fuggire dal suo corpo quando mori e che potesse continuare ad esistere come 'anima vivente' in un reame spirituale che fosse proprio così invisibile come si pensa che sia l'anima. umana. No; non secondo il racconto della creazione della Parola di Dio”
La verità:
a) Il cristiano Apostolo Paolo mette in risalto che Dio, nella creazione dell'uomo, diede origine a un “essere vivente umano”, cioè a una persona modellata prima dalla polvere e senza vita (cf. supra p. 8). Nel testo paolino  psychè vuol dire persona come traducono quasi tutte le Bibbie moderne, eccetto naturalmente i tdG.
b) Sì, le Scritture Greche concordano con quel- le ebraiche nel dire che Dio creò una persona o essere vivente umano (nefesh) ". Ma da ciò non segue che questo essere vivente umano non abbia una componente spirituale e immortale o anima (psychè) come abbiamo appreso alla scuola del Maestro Gesù, che è Via, Verità, Vita.
 
4 - Atti 3:23: “In realtà, ogni anima (greco psychè) che non ascolterà quel Profeta sarà completamente distrutta di fra il popolo”
La verità:
Traduzione infelice e settaria: Il senso è che chiunque, ossia qualunque persona non ascolterà quel Profeta, sarà escluso dall'appartenere al Popolo di Dio. Qui non c'entra la morte dell'anima e tanto meno la sua distruzione completa.
La psychè come anima
Quanto detto finora sulla psychè è dottrina biblica e rimane valida. Ma alla scuola di Gesù i veri cristiani hanno imparato a conoscere meglio la psychè: vi è stato un approfondimento e arricchimento di significato. La psychè umana è conosciuta nella sua interezza solo quanto la si concepisce dotata di una dimensione spirituale e immortale.
A questo proposito ripetiamo le belle parole del gesuita McKenzie:
“La novità della fede del Nuovo Testamento non deriva da una nuova idea del nefesh-psychè, ma da una rivelazione radicalmente nuova del significato della vita e della salvezza”.
a)  Gesù ha detto chiaramente che nell'uomo a componente spirituale che è sede della soprannaturale e in quanto tale sfugge alla morte terrena e si proietta nell'aldilà: è immortale. Diceva ai discepoli:
Non temete coloro che uccidono il corpo ma non uccidere l'anima (psychè). Temete, piuttosto, Colui che può far perire e anima (psychè) e corpo nella Geenna”  (,Matteo 10,20, Garofalo).
Oltre dunque alla vita umana, che può essere stroncata dall'uomo, Gesù afferma l'esistenza d'una vita (psychè), che sfugge alla morte terrena. L'uomo  non ha potere su di essa. Continua anche dopo la morte del corpo e può essere gettata  nella Geenna (cf. Luca 12,4)
b) si tratta d'una realtà presente non  di una di futura felicità; di un tesoro già  posseduto che bisogna custodire gelosamente, preservare per la vita eterna, costi quel che costi.
Perciò  diceva Gesù:
“Chi ama la sua vita  (psychè) la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna” Giovanni 12,24, Garofalo).
Il significato è che esiste nell'uomo una realtà  che bisogna conservare per la vita eterna: nulla vieta di chiamarla anima come parte spirituale e immortale dell'uomo. Per conservarla, è necessario non amarla d'un falso amore, cedendo cioè alle passioni e al peccato, ma di quell'amore vero, che al mondo può sembrare odio, ma di fatto è vero amore
c) I fedeli discepoli di Cristo capirono bene quale tesoro fosse presente nell'uomo e ne fecero oggetto delle loro cure pastorali. Certo Cristo stesso continua ad essere pastore e guardiano delle anime (psychai) (cf. 1 Pietro 2,25), ma ha voluto che anche i suoi rappresentanti fossero responsabili della loro salvezza. Paolo pieno di zelo assicurava i cristiani di Corinto:
“Ora  molto  volentieri  per le vostre anime (psychai) Io spenderei tutto e spenderei anche interamente me stesso” (2 Corinzi 12,15).
Qui san Paolo parla in qualità di ministro di Cristo. La sua generosità verso quei cristiani non aveva come scopo il loro benessere materiale e sociale, ma i loro interessi eterni, la salvezza delle loro anime.
Lo stesso interesse dimostra l'apostolo quando esorta i destinatari della Lettera agli Ebrei di non venire meno davanti alle prove: “Noi però non siamo di quelli che si ritirano a rovina, ma di quelli che credono a salvaguardia dell'anima (psychè)” (Ebrei 10,39). E consiglia loro di obbedire alle loro guide perché esse vegliano per le vostre anime (psychai) come coloro che devono renderne conto (Ebrei 13,17).
Non meno zelante si mostra san Giacomo quando scrive: “Rigettando ogni sozzura ed eccesso cattivo, accogliete con dolcezza la parola in voi seminata, che può salvare le anime (psychai) vostre” (Giacomo 1,21).
Un testo di san Giacomo (5,20)
L'errore:
Giacomo ammette che l'anima muore. In- fatti scrive: “,Colui che converte un peccatore dall'errore della sua via salverà la sua anima dalla morte” (Giacomo 5,20).
La verità: Riportiamo, anzitutto, per intero il testo di san Giacomo:
“Fratelli miei, se qualcuno tra voi avesse errato lontano dalla verità e qualcuno l'avesse avvertito, sappia che chi converte un peccatore dal suo traviamento sal- verà l'anima sua dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati” (Giacomo 5,19-20, Garofalo).
Spiegazione:
a) San Giacomo assicura una ricompensa divina allo zelo o amore di colui che riesce a ricuperare dalla cattiva strada un traviato. Questa ricompensa è espressa con le parole: “Salverà l'anima sua dalla morte”. Che cosa dobbiamo intendere per “morte dell'anima”?
Se per anima (greco psychè) s'intende la “persona”, è chiaro che Dio non ha mantenuto mai la sua promessa. Infatti, vi sono stati moltissimi uomini, cristiani e non cristiani, che hanno avvertito e ricuperato tantissimi altri dalla via dell'errore; eppure sono morti! In tantissimi casi Dio non sarebbe stato fedele alle sue promesse. E' impossibile! Egli è “Dio di fedeltà” (cf. Deuteronomio 32,4).
b) San Giacomo dunque aveva in mente l'anima in quanto parte spirituale e immortale dello uomo. Quest'anima può morire in quanto può essere separata da Dio, non distrutta (cf. Matteo 10, 28). Infatti, nella stessa lettera san Giacomo parla del peccato che genera la morte (1,15, cf. 1 Giovanni 5.16). Anche qui non si tratta di morte fisica * distruzione perché molti peccano e continuano a vivere fisicamente. Si tratta invece di quella morte spirituale opposta alla vita che Dio dà all'uomo fedele, virtuoso, collaudato dalle prove come dice lo stesso san Giacomo (cf. 1,12). li pensiero dunque di san Giacomo è che lo zelo o carità del cristiano nel ricuperare il fratello traviato sarà ricompensato mediante la sua salvezza: la sua anima non morrà nel senso che non subirà la morte spirituale, ossia la separazione da Dioper la vita e per l'eternità. Su di lei non avrà potere la seconda morte (cf. Apocalisse 20,6).
c) Una conferma a questa spiegazione si ha da ciò che segue, vale a dire che al cristiano zelante sarà perdonata una moltitudine di peccati. Mediante il perdono dei peccati l'anima è liberata dalla morte spirituale. Il cristiano zelante avrà come ri- compensa la salvezza eterna perché “la carità copre una moltitudine di peccati” (1 Pietro 4,8; cf. Proverbi 10,12).
Lo pneuma (spirito) nell'A.T.
Nella Bibbia dell'Antico Testamento al vocabolo italiano spirito corrisponde l'ebraico rúah e anche nishmat (o nesbamah). Alla base dei due vocaboli vi è l'idea del vento e del respiro o alito come segno di forza invisibile. Così, per esempio, in Genesi 8,1, è detto: “Dio fece passare un vento (rúah) sulla terra e le acque si abbassarono”. Parimenti in Esodo 15,8 leggiamo: “Al soffio delle tue narici (rúah  alito), si accumularono le acque”. Per quanto riguarda l'uomo, che a noi ora inte- ressa, il signìficato della rúah o neshamah (nishmat) appare chiaro dal racconto della creazione di Adamo in Genesi 2,7, che abbiamo già spiegato. Aggiungiamo qui alcune osservazioni:
a)Il soffio divino (rúah) è la fonte di ogni vita sulla terra, anche degli animali (cf. Genesi 6,17; 7,15). Ma nell'uomo è ispirato direttamente da Dio e lo distingue perciò da tutte le creature viventi. Gli animali sono modellati dal suolo, ma non si parla a loro riguardo di forza vitale soffiata direttamente da Dio (cf. Genesi 2,19).  Nell'uomo il soffio vitale è la causa di tutte le attività proprie di una persona, vale a dire non solo di quelle che l'uomo ha in comune con le altre creature viventi, ma soprattutto di quelle specifiche come la sapienza, la scienza, il senso religioso e morale, l'amore del bello ecc. Non si tratta di poteri e di sapienza superiori a quelli degli animali", ma essenzialmente o radicalmente diversi. Gli animali non sono dotati in nessun modo di sapienza o di amore e giustizia. Essi vivono d'istinto. In  virtù del soffio divino solo l'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di -Dio (Genesi 1,27), e non trovò sulla terra nessuno che gli fosse simile (cf. Generi 2,20). L'uomo lascia il vuoto intorno a sé in tutto il creato'.
b) Dio, comunque, rimane sempre il padrone del soffio vitale, ossia della vita. Nella Bibbia la morte è vista come il ritiro da parte di Dio del soffio vitale:
 
Se egli riconduce a sé il soffio (rúah)
e ritrae a sé il suo spirito (neshamah),
 muore ogni carne all'istante.
(Giobbe 34,14-15, Garofalo)
Questo però non si deve intendere come un ritorno dell'uomo in uno stato di inesistenza, ma solo come la fìne della vita umana così come noi la vediamo. Quando perciò il sálmista dice:
Esce il suo spirito e torna alla sua terra
 in quel giorno tramontano i suoi piani
 (146,4, Garofalo)
non vuol dire che lo spirito “non produce intelligenza separatamente dal corpo fìsico”, come erro- neamente spiegano i geovisti. Qui l'autore sacro non si pone il problema dell'aldilà. Egli vuol mettere in evidenza la caducità della vita umana (cf supra, p. 23)
Errori ed orrori
1 - Hanno scritto: “Al tempo della creazione di Ada- mo, Dia fece vivere i miliardi delle cellule del suo corpo, perché in esse fosse la forza vitale. Questa attiva forza vitale è ciò che qui si intende con la parola 'spirito' (ru'ahh). Ma perché la forza vitale continuasse ad essere nei miliardi di cellule di Adamo, esse avevano bisogno di ossigeno, e questo doveva essere provveduto mediante la respirazione. Perciò, Dio quindi 'soffiò nelle narici un alito (neshamah) di vita. Allora i polmoni di Adamo cominciarono a funzionare e a sostenere in tal modo col respiro la forza vitale delle cellule del corpo. - Genesi 2:7, Ga” 55.
La risposta:
Si tratta d'una spiegazione settaria della Bibbia. Nel racconto della creazione di Adamo (cf. Genesi 2,7) si parla di un solo atto divino per cui la polvere plasmata e senza nessuna vita cominciò a vivere in modo normale e perfetto. Dio aggiunse il soffio di vita (neshamah) alla polvere inerte e Adamo cominciò a vivere perfettamente. Non vi fu prima lo “spirito” (rúah) e poi il “respiro” (neshamah). Basta leggere il testo biblico. I tdG hanno modificato la Parola di Dio (cf. Apocalisse 22,18).
E' poi assurdo e blasfemo affermare che Dio abbia creato il primo uomo come un bambino anormale, che per respirare ha bisogno di essere sculacciato". Dio ha fatto ogni cosa in modo perfetto. “E Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono” (Genesi 1,31). Solo i tdG possono immaginare Adamo come fisicamente deficiente e solo i loro seguaci possono accettare tali idiozie.
 
2 - Insistono i geovisti: “Da Giobbe 34:14,15 apprendiamo che ci sono due cose che l'uomo (o qualsiasi altra creatura terrena cosciente) deve avere per essere e restare in vita: lo spirito e il respiro. Ivi leggiamo: 'Se egli (Dio) volge il cuore a qualcuno, se raccoglie a sé lo spirito (ebraico, ru'ahh) e il respiro (ebraico, 'neshamah') di lui, ogni carne spirerà, e l'uomo terreno stesso tornerà alla medesima polvere”.
 
La risposta: A tutti gli studiosi seri e coscienziosi della Bibbia è noto il parallelismo poetico, largamente usato specie nei Libri poetici dell'Antico Testamento. Esso consiste nell'esprimere la stessa cosa o idea per mezzo di termini equivalenti (sinonimi).  I geovisti ignorano o fingono di ignorare questa elementare norma di ermeneutica e fanno dire alla Bibbia ciò che essi vogliono. Gli esempi sono innumerevoli, specie nei salmi.
In Giobbe 34,14-15 l'autore sacro applica il parallelismo poetico e dice la stessa cosa con due parole equivalenti, o sinonimi. Non si tratta di due cose, che l'uomo deve avere per essere e restare in vita, ma di una sola cosa, chiamata con due vocaboli equivalenti (rúah e neshamah).
Nel Salmo 1,04,29-30 è detto:
 
Ritrai il loro spirito (rúah),
 muoiono e tornano alla loro polvere;
mandi il tuo spirito (rúah),
 vengono creati e rinnovi la faccia della terra
(Garofalo)
 
Secondo la chiara affermazione del salmista una sola cosa basta per vivere cioè la rúah (soffio di vita), se manca la quale l'essere vivente muore. Non si parla di due cose diverse.
 
3 - L'errore: “Mentre l'anima umana è la persona vivente stessa, lo spirito è semplicemente la forza vitale che permette a tale persona d'essere in vita. Lo spirito non ha nessuna personalità, né può fare le cose che può fare la persona. Esso non può pensare, parlare, udire, vedere e sentire. Sotto tale aspetto, può paragonarsi alla corrente elettrica nella batteria di un'automobile. Quella corrente può incendiare il combustibile che fa produrre al motore energia, accendere i fari, suonare la tromba (...). Ma, senza il motore, i fari, la tromba o la radio, potrebbe la corrente di quella batteria fare alcuna di queste cose? No, poiché è semplicemente l'energia che permette agli apparecchi di funzionare e compiere tali cose.
 
La verità:
a) Come dimostrato precedentemente la Bibbia non dice che bisogna aggiungere lo spirito alla persona vivente perché essa possa pensare, parlare ecc. Al contrario, la Bibbia dice che lo spirito (neshamah) fu aggiunto alla materia inerte e in virtù di questa sola aggiunta essa divenne persona vivente, cioè un essere vivente (nefesli hayydh) capace di pensare, parlare ecc. (cf. Genesi 2,7). Fu dunque lo spirito (neshamah) a conferire alla materia inerte (non alla persona) la sua personalità. Se l'ha conferita, lo spirito ha in se stesso la personalità. Nessuno dà ciò che non ha. A conferma basta ricordare che nella Bibbia gli spiriti (come Dio, angeli, demoni) sono persone, cioè pensano, parlano ecc. senza bisogno di alcun motore.
 
b) Il paragone con l'energia elettrica conferma la spiegazione da noi data ed è contro quella errata dei geovisti. In effetti, l'energia elettrica ha in se stessa tutta la potenzialità, come per dire la personalità. Anche senza il motore può compiere tante cose. Pensate, per esempio, agli effetti dinamici e calorifici d'una scarica elettrica. Il motore senza l'energia non può far nulla; l'energia senza il motore può fare tanto.
Lo spirito dell'uomo nel N.T.
1 - Alla parola ebraica rúah (e anche neshamah) corrisponde nel Nuovo Testamento il greco pneuma, tradotto spirito nella lingua italiana. I significati di pneuma nel N.T. sono molteplici: può indicare realtà impersonali come il vento (Cf. Giovanni 3,8; Ebrei 1,7 ecc.), o il respiro, ossia l'alito (Cf. Giovanni 20,22; 2 Tessalonicesi 2,8 ecc.); e anche persone come gli angeli buoni (Cf. Ebrei 1,14) e cattivi (Cf. Matteo 12,43), soprattutto Dio (Cf. Giovanni 4,24) e in modo specifico la Terza Persona della SS. Trinità (cf. Giovanni 16,13-14) -11.
A noi interessa sapere se nel Nuovo Testamento lo spirito (pneuma) è riferito all'uomo; vogliamo cioè conoscere il significato antropologico di spirito (pneuma) e se sopravviva alla morte dell'uomo.
Eminenti studiosi moderni della Bibbia affermano concordemente e documentano copiosamente che la dottrina veterotestamentaria riguardante la natura dello spirito (rúah, neshamah) fu approfondita ed esplicitata da dotti giudei (i rabbini) sia dentro che fuori la Palestina, anche prima della venuta di Cristo. Questo approfondimento gettò maggior luce sulla natura dello spirito (rúah, neshamah), ossia sull'alito divino immesso nel primo uomo, e confermò la loro fede nella sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte. Lo spirito dell'uomo dopo la morte continua ad esistere in uno stato di felicità o di sofferenza in attesa di riunirsi al corpo nella risurrezione.
“E' dunque chiaro che al tempo di Gesù il giudaismo crede tanto nella risurrezione dell'uomo quanto nella sopravvivenza dell'anima (pneuma) in uno stato intermedio successivo alla morte.
 
Gesù, con la sua divina autorità confermò questa dottrina, e i suoi fedeli discepoli l'hanno insegnata e l'accettano tutti i veri cristiani.
2 - E lo spirito (pneuma) tornò in lei (Luca 8,55,).
 Riferisce san Luca, “Egli (Gesù) disse.- 'Non piangete; essa non è morta, ma dorme'. E quelli, sapendo che era morta, lo deridevano. Ma egli (Gesù) la prese per mano e disse ad alta voce:    'Fanciulla, lèvati!”. E lo spirito (pneuma) tornò in lei Luca 8,52-55).
Sarebbe ridicolo pensare che Gesù abbia rianimata la fanciulla mediante una boccata di ossigeno come pensano i geovisti o con una scarica di energia elettrica. La fanciulla era già morta. L'ossigeno o l'energia elettrica non possono ridare la vita a un morto. Gesù pronunciò solo due parole, diede un ordine: “Fanciulla, lèvati!”. E il medico Luca spiega lo straordinario fenomeno dicendo: “E lo spirito (pneuma) tornò in lei”.
Lo spirito (pneuma), che ritorna, non può essere una nullità, ma qualcosa o qualcuno, che continua ad esistere anche dopo la morte. Qui lo spirito (pneuma) “appare come una parte dell'uomo che sopravvive alla morte”.
 
3 - Padre, nelle tue mani, rimetto lo spirito mio (Luca 23,46).
 
a) Anche Gesù, in quanto vero uomo, aveva lo pneuma come componente spirituale e immortale della sua umanità. Lo afferma chiaramente al punto di morte con le parole: “Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito (pneuma) mio” (Luca 23,46). Gesù si serve delle parole del Salmo 31,6, ma ne rivela il significato oggettivo. Rimettere lo spirito nelle mani di Dio significa allo stesso tempo esalare l'ultimo soffio e rimettere, cioè consegnare, a Dio la propria ricchezza, lo stesso essere".
In effetti, Gesù quel giorno, anche in quanto uomo, non fìnì nel nulla, ma andò nell'Ade o regione dei morti, mentre il suo corpo attendeva incorrotto la risurrezione nel sepolcro (cf. Atti 2,31-32; 1 Pietro 3,18-20). E non vi andò solo, ma accompagnato dallo spirito del buon ladrone, al quale aveva detto:       “Oggi sarai con me nel paradiso” (Luca 2,3,43) (pp. 34-3,6). Qui come in Luca 8,55 lo pneuma “appare come una parte dell'uomo che sopravvive alla morte”.
b) A imitazione del suo Maestro anche il primo martire Stefano, prima di chiudere gli occhi alla scena di questo mondo, consegna il suo spirito (pneuma) al Signore Gesù: “Signore Gesù, accogli l'anima mia” (greco pneuma) (Atti 7,59, Garofalo).
il verbo “accogliere” (greco dèchomai) indica l'atto di chi accoglie o riceve qualcuno, per esempio, nella sala di un festino. Lo spirito o anima del martire Stefano al momento della morte terrena non si dileguò nel vuoto del nulla, ma venne accolta dal Signore Gesù nella dimora eterna (cf. Luca 16,91).
In Atti 7,59 come in Luca 8,55 e 23,46 lo spirito “appare come una parte dell'uomo che sopravvive alla morte” ".
 
4 - L'autore della Lettera agli Ebrei afferma e conferma la stessa verità quando invita i suoi lettori a guardare in alto alla Gerusalemme celeste, dove con miriadi di angeli vi sono gli spiriti (pneumata) dei giusti resi perfetti (cf. Ebrei 12,23, Garofalo).
Spiegano i biblisti: “Una certa tradizione ebraica chiama 'spiriti' le anime degli uomini, soprattutto quando sono separate dal corpo. Questi giusti, questi santi (senza limite di numero) sono arrivati alla perfezione nel senso che godono della felicità suprema”  In Ebrei 12,23 pneuma (spirito) sta per anima separata dal corpo'.
 
Obiettano i geovisti: L'anima non è la stessa cosa che lo spirito. Come prova citano 1 Tessalonicesi 5,23 ed Ebrei 4,12.
 
Si risponde: Come già è stato detto, la parola spirito nella Bibbia può avere molteplici significati, di cui uno non esclude l'altro. In Ebrei 4,12 e in 1 Tessalonicesi '5,23 lo spirito (pneuma) è la parte più intima dell'uomo, che non si pone in contrasto con l'anima (psychè), ma ne è l'espressione più elevata.
Paolo afferma che la Parola di Dio penetra e giudica i movimenti del cuore e le intenzioni più segrete (.pneuma) dell'uomo (in Ebrei 4,12) e augura che Dio conservi irreprensibile l'uomo tutto intero, fìn nelle parti più recondite ed elevate del suo essere (pneuma) (in 1 Tessalonicesi 5,23).
Nell'uno e nell'altro testo l'apostolo non mette in dubbio la sopravvivenza dello spirito subito dopo la morte. Egli è sicuro che, morendo, “saremo con Cristo” (cf. Filippesi 1,23;    2 Ccrinzi 5,6-8), non in uno stato di inesistenza.