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LA CENA
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DEL
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SIGNORE
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OPUSCOLO N° 18
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PICCOLA COLLANA
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"I TESTIMONI DI GEOVA"
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Per ricevere gli opuscoli rivolgersi:
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Padre Nicola Tornese
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Viale S. Ignazio,
4
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80131 NAPOLI
tel. 081.545.70.44
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PARTE PRIMA
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LA VERITA'
- La testimonianza di san Paolo
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Le testimonianze più antiche sulla
istituzione della Santa Messa, come pure sulla volontà del Signore
di celebrarla fino alla sua seconda venuta, sono quelle di san Paolo
nella Prima Lettera ai Corinzi. Mi riferisce a due testi in
particolare, che vanno esaminati attentamente. Da questo esame
risulterà in modo inequivocabile che la fede e il culto
dell'Eucaristia sono preservati nella Chiesa Cattolica con la
massima fedeltà agli insegnamenti del Signore.
- 1 Corinzi 10, 14-21
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Il primo dei due testi paolini
comprende i versetti 14-21 del capitolo 10 della Prima ai Corinzi.
Riportiamo fedelmente le parole di san Paolo:
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“Perciò, miei cari, fuggite il culto
degli idoli. Parlo a voi come a gente assennata; giudicate voi
stessi quanto io dico. Il calice di benedizione, che noi benediciamo,
non è forse una comunione col sangue di Cristo? Il pane che
spezziamo non è forse una comunione col corpo di Cristo? Dal momento
che vi è un solo pane, noi, che siamo molti, formiamo un solo corpo;
poiché noi tutti siamo partecipi di quest'unico pane. Guardate
l'Israele terrestre! Non sono forse in comunione con l'altare,
quelli che mangiano le vittime? Che intendo dunque dire? Che la
carne immolata agli idoli abbia un qualche valore? Ovvero che un
idolo sia qualcosa? No, ma che quanto sacrificano i pagani, lo
sacrificano ai demoni e non a Dio. Ora, non voglio che voi siate in
comunione con i demoni; non potete prendere parte alla mensa
del Signore e alla mensa dei demoni” (dalla Bibbia a cura di
Salvatore Garofalo).
- Cenni storici
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I. - Come già accennato, la Prima
Lettera ai Corinzi va collocata tra gli scritti più antichi del
Nuovo Testamento, anteriore ai vangeli e agli Atti degli Apostoli.
Secondo l'opinione più comune fu scritta nella primavera del 55 dopo
Cristo, e forse anche prima, a distanza di appena venti anni
dall'ultima Cena del Signore. Erano ancora in vita quasi tutti gli
Apostoli e gran parte dei discepoli immediati di Gesù. Tutti
predicavano la stessa dottrina (cf. 1 Corinzi 15,11). A riguardo poi
della Cena del Signore, Paolo precisava nella stessa Lettera: “Ho
ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso” (1
Corinzi 11,22).
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2. - L'occasione della Prima ai
Corinzi fu data a Paolo da informazioni giuntegli ad Efeso nella
odierna Turchia dove si trovava, riguardanti anche certi abusi
invalsi nella comunità di Corinto. Alcuni membri di quella chiesa
provenienti dalla gentilità partecipavano a banchetti con amici
pagani, in casa o presso il tempio, dove erano servite le carni
immolate agli idoli con grande scandalo di altri (cf. 1 Corinzi
10,23-3:3).
- La Santa Cena come sacrificio
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In questo contesto l'apostolo espone
la dottrina ricevuta dal Signore e fa chiaramente capire che la
Santa Cena, celebrata dai primi cristiani durante le loro riunioni,
in ogni tempo dello anno (cf. Atti 20,7, infra, pp. 26-30) ha un
carattere sacrificale, è cioè un vero sacrificio.
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1 - San Paolo
spiega il suo pensiero con due riferimenti. Il primo riguarda gli
Israeliti rimasti osservanti della Legge, ossia i Giudei non
cristiani. “,Guardate l'Israele terrestre!”. Essi hanno i loro
sacrifici e mangiano la carne delle vittime nella convinzione di
entrare in comunione con l'altare, ossia con Dio.“Non sono forse in
comunione con l'altare, quelli che mangiano le vittime?”
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E' chiaro che questo riferimento o
piuttosto accostamento non è fatto a caso. Ha la sua motivazione.
L'Apostolo vuol far capire che anche l'Israele di Dio - ossia i
cristiani (cf. Galati 6,16) - hanno la loro vittima sacrificale e
quindi il loro sacrificio. Come gli Israeliti, consumando la carne
delle vittime, compivano un rito sacrificale, così i cristiani,
consumando il Corpo e il Sangue di Cristo nella Santa Cena, compiono
un rito sacrificale. Tutto questo suppone che la Cena del Signore o
celebrazione eucaristica deve avere un carattere sacrificale,
altrimenti il ragionamento o accostamento di Paolo non avrebbe senso.
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2. - All'Apostolo, tuttavia, sta
maggiormente a cuore il dissuadere i cristiani da eventuali abusi
idolatrici. A tal fine egli fa un altro accostamento, ma questa
volta su base antitetica ossia di contrasto. Ammette che anche i
pagani hanno i loro sacrifici e mangiano le carni immolate agli
idoli. Ma precisa di non voler dire con ciò che i sacrifici dei
pagani siano veri sacrifici. In se stessi, ossia oggettivamente, non
sono sacrifici. Sono infatti immolazioni fatte agli idoli, che sono
un nulla, e come gli idoli anche i sacrifici sono un nulla. Anzi vi
è di peggio: sono riti diabolici perché sotto o dietro l'idolo si
cela il demonio. I pagani, comunque, credono che si tratti di veri
sacrifici.
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Al contrario, i cristiani hanno il
vero sacrificio e la comunione con l'unico vero Dio nella Santa Cena,
dove consumano la vera vittima offerta a Dio mediante il pane e il
vino consacrati:
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“Il calice della benedizione che noi
benediciamo, non è forse comunione con il Sangue di Cristo? Il pane
che noi spezziamo, non è forse comunione con il Corpo di Cristo?” (1
Corinzi 10,16).
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Da questa constatazione l'apostolo
dichiara la incompatibilità per il cristiano di partecipare ai
banchetti dei pagani: “Non potete bere il calice dei Signore e il
calice dei demoni; non potete partecipare alla mensa del Signore e
alla mensa dei demoni” (1 Corinzi 10,20).
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L'Apostolo dunque fa un
raffronto-contrasto tra “il calice del Signore” e “il calice dei
demoni”, tra “la mensa del Signore” e “la mensa dei demoni”. Ma alla
base di questo raffronto-contrasto vi è la convinzione che ì
cristiani hanno il vero sacrificio nella celebrazione della Cena del
Signore. Egli afferma chiaramente la natura sacrificale della Santa
Messa.
- La presenza reale
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Nel testo di 1 Corinzi 10,14-21, oltre
alla natura sacrificale della Santa Cena, l'apostolo insegna anche
la presenza reale del Corpo e Sangue di Cristo nel pane e nel vino
consacrati.
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a) In effetti, san Paolo dichiara
senza il minimo dubbio che tra il calice della benedizione, ossia il
vino consacrato, e il Sangue di Cristo vi è una identità oggettiva.
La stessa cosa è affermata del pane rispetto al Corpo di Cristo.
Scrive l'apostolo.
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“Parlo come a persone intelligenti;
giudicate voi stessi quello che dico: il calice della benedizione
che noi benediciamo, non è forse comunione con il Sangue di Cristo?
E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il Corpo di
Cristo” (1 Corinzi 10,1,5.16).
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Da queste chiare parole s'impone una
conclusione certa al di là d'ogni dubbio, vale a dire che bere il
vino consacrato equivale a comunicare con il Sangue di Cristo;
parimenti mangiare il pane spezzato, ossia offerto nella Santa Cena,
vuol dire nutrirsi del Corpo di Cristo. E com'è possibile tutto
questo senza che il Sangue e il Corpo del Signore siano realmente,
anche se misteriosamente, presenti nel vino e nel pane consacrati?
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b) Notate come l'apostolo parla
indifferentemente di pane e di Corpo, come se fossero la stessa
realtà. Coloro che si cibano di quel pane si trasformano nel Corpo
Mistico di Cristo. Contrariamente a quanto avviene in natura, dove
il cibo e la bevanda si trasformano in colui che li riceve, nella
comunione eucaristica il credente si trasforma nel cibo e nella
bevanda, ossia nel Cristo. L'albero domestico
assimila a sé il ramo selvatico (cf. Romani 11,17). Questa
trasformazione è possibile perché Cristo è veramente presente nel
pane e nel vino consacrati. Il suo sangue è vera bevanda e la sua
carne, vero cibo (cf. Giovanni 6,55).
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Si tratta dunque d'una presenza reale,
benché misteriosa, non meramente simbolica. Ma reale non vuol dire
carnale, sensibile, materiale, come falsamente spiegano i tdG,
ripetendo il grossolano errore dei Giudei di Cafarnao (cf. Giovanni
6,52).
- 1 Corinzi 11, 17-29
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Il secondo testo eucaristico della
Prima Lettera ai Corinzi si trova nel capitolo 11, dal versetto 17
al 29. Riportiamo le parole dell'Apostolo nella traduzione fedele
dei veri cristiani con a fianco quella infedele dei tdG. In corsivo
le principali differenze o distorsioni dei geovisti:
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Bibbia dei cristiani
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E mentre vi do queste istruzioni, non
posso lodarvi per il fatto che le vostre riunioni non si svolgono
per il meglio, ma per il peggio.
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Innanzi tutto sento dire che, quando
vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo
credo. E' necessario infatti che avvengano divisioni tra voi, perché
si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi.
-
Quando dunque vi radunate insieme, il
vostro non è un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti,
quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno
ha fame, l'altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per
mangiare e per bere? 0 volete gettare il discredito sulla chiesa di
Dio e far vergognare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In
questo non vi lodo!
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lo, infatti, ho ricevuto dal Signore
quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte
in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo
spezzò e disse:
-
“Questo è il mio corpo, che è per voi;
fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato,
prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza
nel mio sangue; fate questo ogni volta che ne bevete, in memoria di
me”. Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di
questo calice, voi annunziate la morte dei Signore finché egli venga.
Per. ciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice,
sarà reo del corpo e ;del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto,
esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice;
perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore,
mangia e beve la propria condanna. (Traduzione della Conferenza
Episcopale Italiana - CEI).
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Bibbia dei tdG
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Ma, mentre do queste
istruzioni, non vi lodo, perché vi radunate non per il meglio, ma
per il peggio.
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Poiché prima di tutto, quando
vi riunite nella congregazione, odo che esistono fra voi divisioni;
e in parte lo credo. Poiché vi devono anche essere fra voi delle
sette, affinché le persone approvate siano pur manifeste fra voi.
Perciò, quando vi riunite in uno stesso luogo, non è possibile
mangiare il pasto serale del Signore. Poiché, quando (lo) mangiate,
ciascuno prende in anticipo il proprio pasto serale, così che uno ha
fame, ma un altro è ebbro. Certamente avete delle case per mangiare
e bere, non è vero? 0 disprezzate la congregazione di Dio e fate
vergognare quelli che non hanno nulla? Che vi dirò? Vi loderò? In
questo non vi lodo.
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Poiché ho ricevuto dal
Signore ciò che vi ho anche trasmesso, che il Signore Gesù nella
notte in cui stava per essere consegnato prese un pane e, dopo aver
reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo significa il mio corpo che è
a vostro favore. Continuate a far questo in ricordo di me”. E fece
similmente riguardo al calice, dopo aver presi il pasto serale,
dicendo: “Questo calice significa il nuovo patto in virtù del mio
sangue. Continuate a far questo, ogni volta che ne berrete, in
ricordo di me”. Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete
questo calice, :continuate a proclamare la morte del Signore, finché
egli arrivi. Quindi chiunque mangia il pane o beve il calice del
Signore indegnamente sarà colpevole rispetto al corpo e al sangue
del Signore. Prima l'uomo approvi se stesso dopo scrutinio, e così
mangi dei pane e beva del calice. Poiché chi mangia e beve, mangia e
beve un giudizio contro se stesso se non discerne il corpo. (Edizione
del 1987).
- Presenza reale
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Anche a queste parole dell'Apostolo
avevano dato occasione alcuni disordini a Corinto nella celebrazione
della Cena del Signore. Quei cristiani usavano consumare un pasto
ordinario nei locali dell'assemblea prima di celebrare l'Eucaristia.
Si riunivano in gruppi socialmente differenziati a discapito
dell'unione e dell'amore cristiano:
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“Ciascuno infatti, quando partecipa
alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l'altro
è ubriaco” (1 Corinzi 11,21).
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1. - Per riportare quei cristiani
all'ordine e al rispetto l'apostolo ricorda loro che cosa è la Cena
del Signore, ripetendo dettagliatamente il racconto della
istituzione così come l'aveva appreso da fonte
sicura: “lo ho ricevuto, infatti, dal Signore quello che a mia volta
vi ho trasmesso” (1 Corinzi 11,23).
-
Sulla base del racconto
dell'istituzione l'Apostolo ha parole forti di condanna per il
comportamento di quei cristiani. Essi infatti, col loro modo di
agire, mostravano di non distinguere come si conviene il pane e il
vino comuni dal pane-Corpo e dal vino-Sangue del Signore. Tale
comportamento è un reato contro il Corpo del Signore. Dio aveva già
emesso un giudizio di condanna:
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“Chiunque in modo indegno mangia il
pane o beve il calice del Signore, sarà reo del Corpo e Sangue del
Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo
pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza
riconoscere il Corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna.
E' per questo che tra voi vi sono molti ammalati ed infermi” (1
Corinzi 11,27-30).
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-
2. - Qui dunque, come in 1 Corinzi
10,1,6, l'Apostolo stabilisce un parallelo d'identità reale tra il
pane e il vino consacrati nella Santa Cena e il Corpo e Sangue del
Signore. Coloro che. mancano di rispetto verso quel pane e verso
quel vino, mancano di rispetto verso il Corpo e il Sangue di Cristo.
Questo è comprensibile solo se nel pane e nel vino consacrati la
fede accetta una presenza reale. anche se misteriosa, del Corpo e
Sangue di Cristo.
-
Nelle Note autobiografiche di Santa
Elisabetta Seton, la signora episcopaliana convertitasi al
cattolicesimo, leggiamo:
-
“Quando entrai per la prima volta
nella chiesa della Beata Vergine Maria di Montenegro a Livorno, un
giovane inglese vicino a me, al momento della elevazione,
dimenticando le norme di buona creanza, mormorò: "E' la loro
presenza reale! " Provai vergogna a queste parole e la mia mente
volò istintivamente al testo di san Paolo in 1 Corinzi 11,29 e
pensai: Se Nostro Signore non è lì, perché l'apostolo minaccia? Come
può egli rimproverare di non discernere il Corpo del Signore se il
Corpo non è presente? Come potrebbero coloro che ne mangiano
indegnamente, mangiare la propria condanna, se il Santo Sacramento
non è altro che un pane comune? Com'è possibile essere colpevoli
verso il Corpo e il Sangue del Signore, se in quel pane e in quel
vino non vi è né Corpo né Sangue del Signore?”.
- Natura sacrificale
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Raccontando la storia dell'istituzione
san Paolo ricorda le parole del Signore nel modo seguente:
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“Questo calice è la Nuova Alleanza nel
mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me.
Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo
calice, voi annunciate la morte del Signore finché egli venga” (1
Corinzi 11,25-26).
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Spiegazione:
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a) Notate, anzitutto, che del calice,
ossia del contenuto di un calice ben determinato, che è quello che
Gesù teneva nelle mani la sera della Santa Cena, e anche quello che
nelle assemblee dei cristiani di Corinto conteneva il vino
consacrato, san Paolo dice che è, ossia attua, la Nuova Alleanza o
Patto del Signore.
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Ora sappiamo che la Nuova Alleanza è
stata attuata mediante il Sangue dell'Agnello, ossia dì Gesù Cristo,
offerto sulla Croce una volta per sempre (cf. Ebrei 9,26; Giovanni
1,29; Apocalisse 5,12 ecc.). Poiché anche il contenuto del calice
attua la Nuova Alleanza, vi deve essere qualcosa di comune tra vino
consacrato e sacrificio della Croce, altrimenti le parole dette sul
calice non avrebbero senso.
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b) Lo stesso Paolo ci aiuta a capire
come stanno le cose quando subito dopo scrive:
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“Ogni volta infatti che mangiate di
questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del
Signore finché egli venga” (1 Corinzi 11,26).
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Mangiare dunque il pane consacrato,
bere il contenuto del calice equivale ad annunziare, a rendere cioè
presente la morte sacrificale del Signore. Il rito eucaristico è
detto perciò memoriale, ossia ricordo effettivo, non meramente
simbolico e tanto meno verbale o di sole parole, della
morte-sacrifìcio di Cristo. Nella Santa Messa è ripetuto mediante
segni l'unico valido sacrificio offerto da Cristo una volta per
sempre, in forma cruenta, per stipulare la Nuova Alleanza. Non si
tratta di nuovi sacrifici, ma di un unico sacrificio - quello della
Croce - rinnovato sacramentalmente sui nostri altari per la salvezza
del mondo fino alla seconda venuta dei Signore. Questa è la volontà
di Cristo.
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La testimonianza dei Vangeli
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I primi tre evangelisti, detti
comunemente sinottici, ci hanno conservato il racconto
dell'istituzione dell'Eucaristia durante l'ultima Cena, prima della
cattura di Gesù. Il quarto evangelista san Giovanni non racconta la
storia dell'istituzione, ma ci ha conservato il discorso che Gesù
fece a Cafarnao durante la sua vita pubblica, che è conosciuto come
la promessa dell'Eucaristia (cf. Giovanni 6,25-65). Esaminiamo prima
la testimonianza dei sinottici e poi quella di san Giovanni.
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- I
vangeli sinottici
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Bibbia dei cristiani
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Matteo 26,26-28:
Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la
benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e
mangiate; questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e, dopo aver
reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, perché questo
è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei
peccati”.
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Marco 14,22-24: Mentre mangiavano
prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede
loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo” Poi prese il calice
e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: “Questo è
il mio sangue, il sangue dell'alleanza versato per molti”.
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Luca 22,19-20: Poi preso un pane, rese
grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo
che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo,
dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova
alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”.
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Bibbia dei tdG
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Matteo 26,26-28: Mentre
continuavano a mangiare, Gesù prese un pane e, dopo aver detto una
benedizione, lo spezzò e, dandolo ai suoi discepoli, disse:
“Prendete, mangiate. Questo significa il mio corpo”. E prese un
calice e, avendo reso le grazie, lo die de loro, dicendo: “Bevetene,
voi tutti; poiché questo significa il mio 'sangue del patto', che
deve essere versato a favore di molti per il perdono dei peccati”.
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Marco 14-22-24:
E mentre continuavano a mangiare, egli prese un pane, disse
una benedizione, le spezzò e lo diede loro, e disse: “Prendete,
questo significa il mio corpo”. E preso un calice, rese le grazie e
lo diede loro, e tutti ne bevvero. E disse loro: “Questo significa
il mio 'sangue del patto', che deve essere versato a favore di molti”.
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Luca 22,19-20:
E preso un pane, rese grazie, lo spezzò, e lo diede loro,
dicendo: “Questo significa il mio corpo che dev'essere dato in
vostro favore. Continuate a far questo in ricordo di me”. E, il
calice nella stessa maniera, dopo che ebbero preso il pasto serale,
dicendo: “Questo calice significa il nuovo patto in virtù del mio
sangue, che sarà versato in vostro favore”.
- La presenza reale
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Secondo il racconto di Luca,
nell'istituzione dell'Eucaristia le cose sono andate così: verso la
fine della Cena Gesù prese un pane azzimo, ossia non lievitato, come
esigeva il rito pasquale, e oltre alla consueta formula “prendete e
mangiate”, pronunziò parole nuove d'una estrema semplicità e
chiarezza. Questo è il mio corpo. Poi ripeté lo stesso gesto sulla
coppa del vino, pronunziando parole analoghe: Questo è il mio sangue
(cf. Luca 22,19- 20; Marco 14,22-24; Matteo 26,26-28).
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La Chiesa Cattolica e tanti altri
cristiani hanno sempre creduto (e credono) che in virtù delle parole
del Signore Questo è il mio corpo si attua una presenza reale della
Persona di Gesù nel pane consacrato. Identico processo nel vino dopo
le parole Questo è il mio sangue. Il verbo greco estìn ha il
significato di è in senso reale, e non già di significa con senso
simbolico come traducono e intendono i geovisti. Non poche ragioni
militano a favore della interpretazione cattolica. Vediamone alcune:
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a) La Bibbia si spiega con la Bibbia.
San Paolo ha indubbiamente visto un sano realismo nelle formule
eucaristiche. Egli vuole
che i cristiani
distinguano bene tra pane comune e
pane-Corpo, e tra vino e contenuto di quel Calice. Con questa
convinzione l'apostolo incrimina di reato contro il Corpo e Sangue
di Cristo coloro che ricevono quel pane e quel vino senza le dovute
disposizioni. Tutto il ragionamento dell'Apostolo non avrebbe senso,
se nel pane e nel vino consacrati non fossero realmente presenti il
Corpo e il Sangue del Signore.
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b) Alla stessa conclusione ci fa
arrivare l'analisi logica delle parole di Gesù. Dal racconto
evangelico appare chiaro che quelle parole erano riferite a un pane
e a un vino ben determinati, quelli appunto che Gesù aveva nelle
mani e offriva a tutti i presenti. Gesù ha detto: Questo, cioè il
pane che ho in mano, e non altro, è il mio Corpo.
In modo simile del vino.
-
In proposizioni come queste la logica
del discorso esige che ciò che esprime il predicato sia realmente
contenuto nel soggetto, altrimenti colui che parla commette un
errore oppure inganna, perché afferma una cosa non vera, una
identità non esistente.
-
Facciamo un esempio. Se un professore
di scienze naturali ha tra le mani un oggetto sconosciuto agli
alunni e dice: “questo (la cosa che ho nelle mani) è un pezzo di
lava”, onestà e logica esigono che quell'oggetto sia veramente lava.
Tra soggetto “questo” e predicato “lava” deve esistere una identità
oggettiva. Il verbo è ha una significato reale, ed esprime questa
identità, altrimenti il professore o inganna o cade in errore.
-
Certo il professore non trasforma in
lava ciò che ha nelle mani. Egli afferma solo una identità reale, di
cui è consapevole e di cui vuol far consapevoli gli alunni. Questi
accettano l'affermazione del loro maestro perché sono sicuri che
egli sa quel che dice e non vuole ingannare. L'oggetto che il
professore mostra è veramente un pezzo di lava.
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Identica esigenza logica nelle parole
di Gesù: Questo (il pane che ho nelle mani) è il mio corpo. Tra
soggetto “questo” e predicato “mio corpo” vi deve essere una
identità reale, altrimenti Gesù avrebbe ingannato i suoi discepoli,
affermando una cosa non vera. I discepoli non potevano neppur
lontanamente pensare che il loro Maestro dicesse una cosa non vera o
volesse ingannare.
-
Certo né il pane né il vino erano
Corpo e Sangue di Cristo prima che egli pronunziasse quelle parole.
Ma appena egli disse che era così, i discepoli hanno dovuto pensare
che Gesù avesse effettuato una meravigliosa mutazione, al di sopra
delle possibilità d'una creatura. A Dio tutto è possibile! (cf. Luca
1,37). Non molto tempo prima, davanti a un sepolcro, quello stesso
Gesù aveva detto parole semplici e onnipotenti: “Lazzaro, vieni
fuori!” E la vita cominciò a rifluire nell'uomo morto da quattro
giorni (cf. Giovanni 11,43).
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c) A conferma, ricordiamo che Gesù
istituiva un rito sacrificale, mediante il quale l'immolazione sulla
Croce potesse essere rinnovata fino alla sua seconda venuta. La
Santa Cena è il memoriale della morte del Signore. E non vi può
essere sacrificio senza la presenza del sacerdote e della vittima.
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Il pane e il vino, dunque, su cui Gesù
ha pronunziato quelle parole nell'Ultima Cena e su cui i suoi
discepoli, in virtù d'un suo ordine, ripeteranno la stessa formula,
rendono presente la sua persona d'una presenza reale, benché
misteriosa. A Dio nulla è impossibile!
- La Cena vero sacrificio
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Il racconto dei sinottici è in
perfetta armonia con la testimonianza di san Paolo anche per quanto
riguarda la natura sacrificale della Santa Cena.
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a) Tenendo presente il racconto di san
Luca (cf. Luca 22,20), notiamo che egli esplicita la formula di
Matteo e di Marco “Questo è il mio corpo” con l'aggiunta: “che è
dato per voi”. E' una aggiunta che rende il vero significato delle
parole di Gesù, un significato appunto sacrificale. In effetti, il
pane-Corpo dato per essere mangiato dà chiaramente l'idea del
sacrificio in uso presso gli Ebrei, che mangiavano parte delle
vittime immolate al fine di partecipare ai benefici scaturiti dal
sacrificio (cf. 1 Corinzi 10,18).
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b) Il valore sacrificale appare assai
chiaro nella formula di consacrazione del vino. Tutti e tre i
sinottici riportano le parole di Gesù nel modo seguente: “Questo è
il mio sangue sparso per molti o per voi” (Matteo 26,28; Marco
14-24, Luca 22,20)' Ora il sangue sparso per molti comporta
necessariamente l'idea del sacrificio, tanto più che Matteo
specifica: “In remissione dei peccati” (26,28). Il peccato o i
peccati sono rimessi mediante il sacrificio (cf. Ebrei 9,22). E Gesù
dice le parole “sparso per voi” con riferimento al contenuto del
calice, anche se la sua natura o valore sacrificale non può essere
disgiunta dall'effusione cruenta sulla Croce.
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Tra Corpo dato per voi e Sangue sparso
per voi vi è certamente un parallelismo, che obbliga a dare alle due
espressioni lo stesso significato. Questo vuol dire che nella Santa
Cena e nella ripetizione di essa nella Santa Messa Gesù si colloca
in uno stato di offerta, compie cioè un rito sacrificale.
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c) Il comportamento di Gesù è
divinamente ingegnoso. Sarebbe stata cosa innaturale dar da mangiare
ai suoi discepoli la sua carne, e da bere il suo sangue per farli
partecipi dell'unico sacrificio che ci salva: quello della sua vita.
Nella sua sapienza e onnipotenza divina ha fatto possibile questa
partecipazione e i vantaggi o benefici che essa comporta mediante i
segni reali ed efficaci del pane-Corpo e del vino-Sangue.
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Questi non sono dunque solo simboli o
emblemi. Cristo non è solo rappresentato nel pane e nel vino: egli è
presentato. Non è solo ricordato, ma anche comunicato.
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A conferma vale il fatto che tutti e
tre i sinottici connettono il vino-Sangue con la Nuova Alleanza, che
è certamente un richiamo al rito sacrificale mediante il quale era
stata stipulata l'Antica o Prima Alleanza (cf. Esodo 24,8).
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- Il quarto vangelo
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San Giovanni non racconta
l'istituzione della Eucaristia. Questo silenzio non crea nessuna
difficoltà perché scopo dei vangeli non era quello di dire tutti i
fatti e i detti di Gesù (cf. Giovanni 20, 30-31; 21,24-25).
Giovanni, comunque, ci ha conservato il discorso di Gesù a Cafarnao,
che è conosciuto come la “promessa dell'Eucaristia”. I discepoli
dovettero certamente ricordarsi di quella promessa durante la
celebrazione dell'Ultima Cena.
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a) Nel discorso a Cafarnao, dopo la
moltiplicazione dei pani, Gesù aveva detto:
-
“lo sono il pane vivo disceso dal
cielo. Se qualcuno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane
che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Giovanni 6,51).
-
E' comprensibile
l'immediata reazione dei Giudei che, scandalizzati,
disputavano tra loro: “Come può dare in cibo la sua carne?”
(Giovanni 6,52). Avevano capito, anche se in modo assai materiale,
il realismo delle parole di Gesù. Il quale, rispondendo o piuttosto
continuando il suo discorso, non ritratta né addolcisce le sue
espressioni:
-
“In verità, in verità vi dico, se non
mangiate la carne del Figlio dell'Uomo e non bevete il suo sangue,
non avrete in voi la vita. Perché la mia carne è vero cibo e il mio
sangue vera bevanda” (Giovanni 6,53-55).
-
b) A scanso, comunque, di equivoci e
per far capire meglio il realismo della sua promessa Gesù aggiunge:
-
“E' lo Spirito che vivifica; la carne
non giova a nulla” (Giovanni 6,i63). Come per dire: “I sensi e il
ragionamento umano non possono far capire ciò che io dico. Solo lo
Spirito può dare l'esatta intelligenza delle mie parole” (cf.
Giovanni 14,26). Gesù fa appello al coraggio della fede, che è
frutto gioioso dello Spirito. A nulla valgono i sofisticati ed
orgogliosi ragionamenti dell'uomo carnale.
-
Gesù dunque non ritratta la sua
dichiarazione su una reale equivalenza tra la sua carne e il suo
sangue e il cibo e bevanda che egli avrebbe dato ai suoi discepoli
affinché avessero la vita. Tuttavia non approva l'interpretazione
carnale, che i Giudei di Cafarnao (i cafarnaiti) avevano dato alle
sue parole. Non sarà la sua carne grondante sangue che egli avrebbe
dato in cibo e bevanda. Solo l'uomo carnale, senza lo Spirito di Dio,
poteva immaginare tali cose.
-
c) Ma l'esigenza di Gesù di accettare
la realtà della sua carne come cibo e del suo sangue come bevanda
non trovò i suoi uditori disposti a fare la scelta coraggiosa.
“Molti si tirarono indietro e non andavano più con lui” (Giovanni
6,66). I Dodici, comunque, e tanti altri con loro e dopo di loro
hanno protestato la loro fede con la dichiarazione chiara e
coraggiosa: “Signore, a chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”
(Giovanni 6,68).
-
Solo la fede accetta la reale presenza
del Corpo e Sangue di Cristo nel pane e vino consacrati. Credere
vuol dire aderire con coraggio a ciò che dice una persona degna
appunto della nostra fede, anche se i sensi non percepiscono e gli
occhi non vedono. E nessuno merita tanto la nostra fede quanto l'
Emmanuele, ossia Dio presente nell'uomo Gesù, che è la Verità, il
Testimone fedele e verace, la Parola di Dio (cf. Giovanni 14,6, 1,1;
Apocalisse 3,14).
- La Santa Messa
-
Nel raccontare come si svolsero i
fatti nell'ultima Cena del Signore sia Paolo che Luca ci hanno
conservato alcune parole di Gesù molto significative:
-
“Fate questo in memoria di me” (Luca
22,19). “Fate questo in memoria di me Tutte le
volte che lo bevete, fate questo in memoria di me” (1 Corinzi
11,24-25).
-
E' chiaro che Gesù si riferiva al
futuro. Egli dava ai suoi discepoli il comando di ripetere anche
durante la sua assenza, ciò che egli aveva fatto in quella
memorabile Cena. E col comando conferiva anche il potere di compiere
l'opera che egli aveva compiuto, vale a dire di perpetuare la sua
presenza in mezzo ai suoi mediante il pane e il vino consacrati, e
con la presenza anche il suo sacrificio.
-
Il potere che Gesù conferiva ai
discepoli comportava dunque anche un carattere sacerdotale. Coloro
ai quali era dato il comando di ripetere quella Santa Cena -
possiamo dire quel rito - venivano costituiti anche sacerdoti. Non
perché Cristo abbia dei successori, come il sacerdozio levitico
presso l'antico Israele (cf. Ebrei 8,24; 7,11). Egli, Cristo, resta
per sempre. Risorto da morte, rimane sempre vivo e possiede un
sacerdozio che non tramonta (cf. Ebrei 7,24). Ma ha trovato il modo
di esercitare il suo eterno sacerdozio mediante coloro che Paolo
qualifica come “collaboratori di Dio” (1 Corinzi 3,9; 2 Corinzi
6,1).
-
I fedeli discepoli di Gesù capirono
assai bene la volontà del loro Maestro e, a cominciare dai
primissimi tempi dopo l'ascensione, si riunivano in assemblee
liturgiche, ossia di servizio divino e di preghiera, per annunciare
la morte del Signore mediante la celebrazione della Cena e
comunicare col suo Corpo e col suo Sangue.
-
La testimonianza di san Paolo è chiara
ed inequivocabile. Ai fedeli di Corinto egli ricordava con parole
severe di celebrare convenientemente, ossia col massimo rispetto, la
Cena del Signore: “Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non
è più mangiare la Cena del Signore” (1 Corinzi 11,20).
-
Dal modo come l'apostolo si esprime è
fuor di dubbio che nelle riunioni dei cristiani il punto centrale
era la celebrazione della Cena del Signore. Questo avveniva sia con
la parola, ossia ricordando quanto Gesù aveva fatto,
sia col rito, ossia
ripetendo la Cena e comunicando al pane-Corpo e al vino-Sangue di
Cristo. Ripetiamo: le riunioni dei primi cristiani avevano come
punto culminante la celebrazione della Santa Cena.
- L'esempio di Paolo (cf. Atti 20,
7-11)
-
Lo stesso Paolo osservava il comando
di Gesù e celebrava la Cena del Signore, ossia la Santa Messa,
durante i suoi viaggi apostolici. Un caso tipico è quello raccontato
in Atti 20,7-11, anche per le circostanze straordinarie che
l'accompagnarono.
-
“Il primo giorno della settimana ci
eravamo riuniti a spezzare il pane e Paolo conversava con loro;
poiché doveva partire il giorno dopo, prolungò la conversazione fino
a mezzanotte. C'era un buon numero di lampade nella stanza al piano
superiore dove eravamo riuniti; un ragazzo chiamato Eutico, che
stava seduto sulla finestra, fu preso da un sonno profondo mentre
Paolo continuava a conversare e, sopraffatto dal sonno, cadde dal
terzo piano e venne raccolto morto. Paolo allora scese giù, si gettò
su di lui, lo abbracciò e disse. “Non vi turbate; è ancora in
vita!”. Poi risalì, spezzò il pane e ne mangiò, e dopo aver parlato
ancora fino all'alba, partì” (Atti 20,7-11).
-
-
Osservazioni:
-
a) Qui si tratta indubbiamente della
Cena del Signore, ossia di una celebrazione eucaristica,
accompagnata forse o inserita in una refezione ordinaria come
probabilmente usavano fare i primi cristiani a Gerusalemme (cf. Atti
2,46). In effetti, l'espressione “spezzare il pane” (greco klasai
arton) era divenuta per i cristiani la formula per indicare la Santa
Cena. Così si esprimono i sinottici
nel racconto della istituzione (cf. Matteo 26,26; Marco 14,22; Luca
22, 19). In questo modo si esprime san Paolo in 1 Corinzi 10,16 dove
parla certamente della Cena del Signore: “Il pane che noi spezziamo
non è forse comunione con il Corpo di Cristo?” (Vedere anche Luca
24,30).
-
b) La struttura della celebrazione
corrisponde sostanzialmente a quella della Santa Messa, che perpetua
nel tempo il sacro rito in conformità al comando del Signore (cf. 1
Corinzi 11,26). Vi era la liturgia della Parola indicata chiaramente
dalla lunga conversazione di Paolo, che senza dubbio parlava del
Signore e delle proprie esperienze missionarie, cose tutte che
contribuiranno alla formazione del Nuovo Testamento. E vi era la
liturgia eucaristica, i cui momenti essenziali sono indicati dallo
spezzare il pane e dal mangiarne, ossia fare la Santa Comunione.
-
c) Possiamo anche precisare il tempo
dell'anno e il giorno della settimana, in cui ebbe luogo quella
celebrazione. Non si era nei giorni della Pasqua perché poco prima,
al verso 6 dello stesso capitolo, lo storico Luca nota accuratamente
che Paolo e i suoi compagni (tra cui lo stesso Luca) erano partiti
da Filippi dopo i giorni degli Azzimi, ossia dopo la Pasqua, e
raggiunsero Troade, dove avvennero i fatti che stiamo narrando,
cinque giorni dopo. A Troade si trattennero una settimana. La Pasqua
dunque era passata da parecchi giorni.
-
In quanto al giorno della settimana ci
è detto esplicitamente che quel rito di “spezzare il pane” avvenne
“nel primo dei sabati”, ossia il primo giorno dopo il sabato, che è
il primo giorno della settimana ebraica. Quel giorno, per i
cristiani, era divenuto “giorno di assemblea” (cf. 1 Corinzi 16,2),
in ricordo della risurrezione del Signore (cf. Matteo 28,1). Fin dai
tempi antichissimi veniva chiamato “il giorno del Signore”, dies
dominicus, ossia Domenica (Cf. infra, pp. 59-63).
-
Paolo dunque celebrò a Troade la Santa
Messa la domenica dopo il suo arrivo, molti giorni dopo la Pasqua.
-
d) Dalla stessa testimonianza di Paolo
nella Prima Lettera ai Corinzi possiamo ricavare un'altro importante
particolare, vale a dire che la Cena del Signore non era celebrata
una sola volta all'anno, ma molte volte. Scrive l'apostolo:
-
“Quando dunque vi radunate insieme, il
vostro non è affatto un consumare la cena del Signore!” (1 Corinzi
11,20, Garofalo).
-
L'espressione greca, che corrisponde
al quando, è “ogni volta che vi radunate”. E' chiaro che i primi
cristiani non si radunavano “una sola volta” all'anno, (cf. Atti
2,44-47), ma più volte anche alla settimana. Dal modo dunque come si
esprime l'Apostolo è fuor di dubbio che la celebrazione eucaristica
non avveniva una sola volta all'anno, ma ogni volta che i veri
discepoli di Cristo si riunivano in assemblea piccola o grande.
- Alcune testimonianze più antiche
-
1 - Nel tempo che seguì la morte degli
Apostoli, e poi sempre, i veri cristiani hanno continuato a
celebrare la Cena del Signore, così come aveva comandato Gesù e come
avevano fedelmente fatto i suoi immediati discepoli. Tra le
testimonianze più antiche va ricordata quella della Didachè, detta
anche Dottrina degli Apostoli, la cui composizione risale alla fine
del primo secolo Era Cristiana ed è perciò quasi contemporanea del
quarto vangelo e della Apocalisse:
-
“Ogni domenica, giorno del Signore,
riuniti, spezzate il pane e rendete le grazie, dopo che avrete
confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro.
Chiunque ha qualche lite con il suo compagno, non si riunisca a voi
prima che siano riconciliati, affinché non sia profanato il vostro
sacrificio. Così infatti ha detto il Signore: " In ogni luogo e in
ogni tempo, mi sia offerto un sacrificio mondo, poiché io sono un
gran re, dice il Signore, e il nome mio è ammirevole tra le
genti”,
-
2. - Anche Ignazio, vescovo di
Antiochia, morto martire a Roma nel 107,d.C., testimoniava che
“l'Eucaristia è la carne del Salvatore nostro Gesù Cristo, quella
carne che sofferse per i nostri peccati e che il Padre, nella sua
bontà, risuscitò”. Per Ignazio il pane dell'Eucaristia è “farmaco
d'immortalità, antidoto per non morire ma per vivere in Gesù Cristo
sempre”. Vedendo approssimarsi il suo martirio scriveva: “Non mi
compiaccio di un nutrimento di corruzione né dei piaceri di questa
vita. Voglio pane di Dio, che è carne di Gesù Cristo, del seme di
David; e come bevanda voglio il suo sangue, che è amore
incorruttibile”.
-
3,. - Riportiamo ancora la
testimonianza di Giustino, che come Ignazio finì la sua vita col
martirio verso la metà del secondo secolo:
-
“Questo alimento noi lo chiamiamo
Eucaristia Noi non lo prendiamo come un pane comune e una comune
bevanda; ma come Gesù Cristo Salvator nostro, incarnatosi in virtù
del Verbo di Dio, prese carne e sangue per la nostra salvezza, cosi
il nutrimento, consacrato con la preghiera di ringraziamento formata
dalle parole di Cristo e di cui si nutrono per assimilazione il
sangue e le carni nostre, è, secondo la nostra dottrina, carne e
sangue di Cristo incarnato. Gli Apostoli infatti, nelle loro Memorie
dette Evangeli, tramandarono che Gesù Cristo lasciò loro questo
comando: preso un pane e rese grazie Egli disse loro: Fate ciò in
memoria di me; questo è il mio corpo; e preso similmente il calice e
rese grazie, disse: Questo è il mio sangue; e a loro soli li offerse”
- Fedeli amministratori
-
“Ognuno ci consideri come ministri di
Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede
negli amministratori, è che ognuno risulti fedele” (1 Corinzi
4,1-2).
-
Queste parole dell'Apostolo possono
essere fatte proprie dalla Chiesa Cattolica anche a riguardo
dell'amministrazione della Santa Cena, che è uno dei più grandi
misteri di Dio. Ha seguito e segue l'insegnamento e la prassi del
divino Maestro e come gli Apostoli e i cristiani dei primi tempi dei
cristianesimo crede ed insegna il carattere sacrificale della Santa
Cena e la presenza reale del Signore nel pane e nel vino consacrati,
pur nello sforzo legittimo di penetrare mediante lo Spirito la
profonda realtà del mistero.
-
Riportiamo la professione di fede di
Paolo VI: “Noi crediamo che la Messa, celebrata dal sacerdote che
rappresenta la persona di Cristo in virtù del potere ricevuto nel
sacramento dell'ordine, e da lui offerta nel nome di Cristo e dei
membri del Corpo mistico, è il Sacrificio del Calvario reso
sacramentalmente presente sui nostri altari. Noi crediamo che, come
il pane e il vino consacrati dal Signore nell'ultima Cena sono stati
convertiti nel suo Corpo e nel suo Sangue, che da li a poco
sarebbero stati offerti per noi sulla Croce, allo stesso modo il
pane e il vino consacrati dal sacerdote sono convertiti nel Corpo e
nel Sangue di Cristo gloriosamente regnante nel Cielo; e crediamo
che la misteriosa presenza del Signore, sotto quello che continua ad
apparire come prima ai nostri sensi, è una presenza vera, reale e
sostanziale (... ). Tale conversione misteriosa è chiamata dalla
Chiesa, in maniera assai appropriata, transustanziazione.
-
Ogni spiegazione teologica, che tenti
di penetrare in qualche modo questo mistero, per essere in accordo
con la fede cattolica, deve mantenere fermo che nella realtà
obiettiva, indipendente dal nostro spirito, il pane e il vino han
cessato di esistere dopo la consacrazione, sicché da quel momento
sono il Corpo e il Sangue adorabili del Signore Gesù .( ... ).
-
L'unica ed invisibile esistenza del
Signore glorioso nel cielo non è moltiplicata, ma è resa presente
dal Sacramento nei numerosi luoghi della terra dove si celebra la
Messa”.
- Osservazioni
-
-
I. - In questa professione di fede la
prima verità è che “la Messa (...) è il Sacrificio del Calvario reso
sacramentalmente presente sui nostri altari”. Qual è il senso di
queste parole?
-
a) Non bisogna immaginare, anzitutto,
che la Santa Messa sia un nuovo sacrificio di Cristo, il quale “si è
offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di
molti” (Ebrei 9,28). Ma è anche vero che “egli, poiché resta per
sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta (... ), è sempre
vivo per intercedere” a nostro favore (Ebrei
7,24-25; cf. Romani 8,34).
-
Questo vuol dire che Gesù il Cristo
interviene continuamente nella storia facendo dono di se stesso al
Padre. Questa sua offerta, questo suo intervento salvifico, si
esprime soprattutto, in modo ,diretto ed esplicito, nel memoriale da
lui istituito, nella celebrazione cioè della Santa Messa. La quale
perciò è una nuova presenza, un nuovo aspetto dell'unico sacrificio,
quello cioè della Croce. Nella Santa Messa Cristo è la vittima,
Cristo l'offerente, perché egli stesso ha trovato il modo di
immolarsi mediante segni (il pane e il vino)
e col ministero
di coloro ai quali egli disse: “Fate questo in memoria di me”
(Luca 22,19: 1 Corinzi 11,24). Le Messe, anche se sono molte,
ricordano, rinnovandolo in modo efficace cioè salvifico, l'unico
sacrificio di Cristo, il suo impegno a salvarci.
-
b) Non è forse vero che gli uomini
usano commemorare, ossia rendere in qualche modo presente, un fatto
o evento storico di grande importanza? Gli Ebrei celebravano la
Pasqua per ricordare, qua si per rinnovare, il grande evento della
liberazione dal faraone (cf. Esodo, cap. 12; Deuteronomio, cap. 16).
Era un ricordo che rendeva presente il grande evento con la sua
carica religiosa e salvifìca. In modo analogo la Santa Messa non fa
dimenticare il sacrificio della Croce; al contrario lo rende
presente d'una attualità efficace per la salvezza di tutti gli
uomini.
-
-
2. - “Noi crediamo che la misteriosa
presenza del Signore (...) è una presenza vera, reale, sostanziale”.
E' il linguaggio abituare della Chiesa Cattolica per precisare il
modo, in cui essa crede presente la Persona del Signore nel pane e
nel vino consacrati, escludendo errori ed equivoci.
-
a) Vera esclude una presenza meramente
simbolica. Sarebbe troppo poco, anzi errato, dire che il pane e il
vino sono simboli del Corpo e Sangue di Cristo. Facciamo un esempio.
La freccia che un gruppo di scouts segna all'ingresso della foresta
serve a indicare la loro presenza nella foresta. Ma gli scouts o il
loro campo non sono nella freccia. Questo è solo un simbolo, un
indice, della loro presenza.
-
Non
così il pane e il vino consacrati. Essi non indicano che Cristo è
presente altrove. Presenza vera vuol dire che Cristo è là, nel pane
e nel vino consacrati: non bisogna cercare altrove per trovarlo.
-
b) Reale esclude pure una presenza
meramente simbolica o emblematica e allo stesso tempo mette in
risalto che nel pane e nel vino consacrati vi è la Persona di Cristo
che rinnova continuamente la sua offerta al Padre e si dona come
reale nutri- mento al suoi discepoli per la preservazione e la
crescita della loro vita soprannaturale. “La mia carne è vero cibo e
il mio sangue vera bevanda” (Giovanni 6,55).
-
c) Sostanziale infine vuol dire che il
Signore Gesù non solo agisce mediante il pane e il vino consacrati
per la salvezza dell'uomo, standosene lontano. No! Egli agisce di
presenza. L'Eucaristia non è solo un canale della virtù
santificatrice del Salvatore del mondo, ma è la stessa fonte della
salvezza. Nell'Eucaristia Cristo dona se stesso.
-
Noi possiamo dire che i tre termini
vera, reale e sostanziale hanno un identico significato di fondo e
si rafforzano reciprocamente in una perpetua affermazione che Cristo
è presente veramente, veramente, veramente nel pane e nel vino
consacrati.
- La transustanziazione
-
Per indicare questo modo di presenza
del Signore, che non è meramente simbolico o emblematico o virtuale,
la Chiesa Cattolica ha adottato la parola transustanziazione. Con
questo termine si vuole indicare un mutamento sostanziale del pane e
del vino, che vengono “transustanziati” nel corpo e sangue di Cristo
morto e risorto.
-
Nell'Eucaristia non vi è nessuno
spostamento locale del Corpo glorioso di Cristo assiso alla destra
del Padre dopo l'ascensione. Restando quello che, è, il Signore
glorioso si rende presente al posto di un'altra cosa, ossia del pane
e del vino della loro sostanza - che solo muta. Certo rimane il
mistero. Si tratta solo d'uno sforzo della mente umana, che trova il
modo migliore per esprimere ciò che dice la Parola di Dio, ciò che
dice la Bibbia, senza tradirla o minimizzarla o vanificarla. Per chi
capisce, il mistero è una dimensione inseparabile della fede, della
vera fede, che è accettazione di realtà invisibili sulla base della
Rivelazione divina. Senza il mistero, la religione diventa un
orgoglioso scientismo. Dicono i geovisti: Ma la parola
“transustanziazione” non c'è nella Bibbia.
-
Si risponde :
-
a) Non c'è la parola, ma c'è
certamente la cosa, la realtà soprannaturale che tale parola esprime
con piena fedeltà alla Bibbia. In questo caso, la parola
transustanziazione vuol esprimere l'autentico significato delle
formule eucaristiche usate dal Signore: “,Questo è il i mio corpo,
questo è il mio sangue”.
-
b) I geovisti usano tante parole che
non sono nella Bibbia per diffondere i loro errori. Per esempio,
dicono che il pane e il vino benedetti sono emblemi. Nella Bibbia
non vi è la parola emblema. Come mai i geovisti non si fanno
scrupolo di usarla? (Leggere Matteo 7,3-5).
-
- PARTE SECONDA
- L'ERRORE
- Presenza reale
-
1. - L'errore:
-
“Il pane rappresenta il corpo carnale
di Gesù. Il calice rappresenta il versato sangue di Gesù. Pane e
vino benedetti sono emblemi del corpo, e sangue di Cristo”.
-
La verità:
-
Il verbo è (greco estìn) usato dai tre
evangelisti ha un significato reale, non simbolico. Significa essere,
non rappresentare. Ricordiamo la giustificazione biblica di questa
spiegazione.
-
a) San Paolo rimprovera i cristiani di
Corinto di essere colpevoli verso il Corpo e il Sangue del Signore.
Questo rimprovero seguito dalla punizione divina non avrebbe senso,
se quel pane e quel vino dopo la consacrazione continuassero ad
essere ancora sostanzialmente pane e vino comuni con un rivestimento
esteriore di simbolo (cf 1 Corinzi 11, 27-29).
-
b) Nella stessa lettera ai Corinzi (1
Cor. 10,16) l'apostolo afferma che il calice è una comunione col
Sangue di Cristo e il pane consacrato è una comunione col suo Corpo.
Comunione vuol dire unione con qualcuno o con qualcosa realmente
presente. Se nel pane e nel vino della Santa Cena Cristo non fosse
realmente presente, Paolo non avrebbe potuto parlare di comunione
col suo Corpo e col suo Sangue.
-
c) Nel discorso della promessa (cf.
Giovanni 6, 48-66, supra, pp. 23-24) Gesù dichiarò che avrebbe dato
in cibo la sua carne e in bevanda il suo sangue. I Giudei diedero
alle parole di Gesù un significato troppo reale, cioè carnale. Gesù
corresse la loro interpretazione carnale, ma non negò che bisognava
intendere la sua dichiarazione in senso realistico, non emblematico.
-
-
2. - L'errore:
-
Nella Bibbia leggiamo spesso frasi
come queste.- “lo sono la via” (Giovanni 14,6); “lo sono la porta”
(Giovanni 10,7); “lo sono la vite” (Giovanni 15,1); “lo sono
la luce del mondo” (Giovanni 8,12). Così pure nel Vangelo è detto:
“Il seme è la parola di Dio” (Luca 8,1 1). In tutti questi casi e in
tanti altri simili il verbo è (greco estìn) equivale a significa, ha
cioè un significato emblematico. La stessa cosa deve dirsi delle
formule eucaristiche.
-
La verità:
-
a) Negli esempi citati e in altri
simili, Gesù non ha detto: Questa via o questa
porta o questa vite ecc. sono io. Non si è riferito cioè a una via o
porta o vite ecc. determinata, specifica, limitata, escludendo le
altre. Egli ha usato un linguaggio generico e ha detto: la via, la
porta, la vite ecc. Questo dice chiaramente che egli voleva indicare
la via (= qualunque via) ecc. come simbolo o emblema della sua
persona. Il verbo è (estìn) equivale a significa.
-
Se Gesù avesse detto: “Questa via o
questa vite ecc. sono io”, indicando una via o vite ben determinata
a esclusione di tutte le altre, si potrebbe giustamente pensare a
una sua presenza di diversa natura in una via o vite specifica,
particolare, ben determinata. Il verbo è (estìn) conserverebbe il
suo significato fondamentale, reale, e non quello simbolico.
-
b) Questo appunto è il caso delle
formule eucaristiche. Gesù ha detto: Questo, cioè il pane che ho
nelle mani, a esclusione di altro pane, è il mio Corpo. E così del
vino. Questo modo di esprimersi non può indicare altro che tra lui e
quel pane (e vino) vi deve essere un rapporto unico, reale,
sostanzialmente diverso da ogni altro pane e vino.
-
-
3. - L'errore:
-
Nella frase biblica: “Quella Roccia
era Cristo” (1 Corinzi 10,4) il verbo era ha un significato
simbolico ed equivale a “significa”. Lo stesso deve dirsi del verbo
è delle formule eucaristiche.
-
La verità:
-
a) Nella Bibbia dell'Antico Testamento
sono gli scrittori sacri a usare l'immagine o simbolo della roccia -
di qualunque roccia - per indicare che Jahve è un sicuro fondamento
e sostegno o luogo di rifugio per il suo popolo. Jahve mai ha detto:
“Questa roccia sono io”. Quando perciò gli scrittori sacri dicono:
“Jahve è roccia” (cf. Deuteronomio 32,4; 2 Samuele 22,3; 23,3 ecc.)
usano un linguaggio simbolico. il verbo è equivale a
“significa”.
-
b) In 1 Corinzi 10,4 san Paolo applica
l'immagine della Roccia a Cristo. Le parole “quella roccia era
Cristo” è lui che le dice, non Dio, non Cristo. E Paolo non aveva né
il potere né l'ordine divino di cambiare una roccia nella Persona di
Cristo.
-
Il verbo era della frase paolina, in
questo contesto, non può non avere che un significato simbolico,
come lo aveva negli scrittori dell'Antico Testamento, da cui Paolo
prende il suo modo di esprimersi.
-
-
4. - L'errore:
-
Se il pane e il vino consacrati
diventano carne e sangue di Cristo, Gesù faceva anche in modo che i
suoi fedeli apostoli si rendessero cannibali mangiando letterale
carne umana e bevendo letterale sangue umano, questo in violazione
della legge che Dio aveva dato ai Giudei contro il bere o mangiar
sangue. (Levitico 17:10.11).
-
La verità:
-
a) “Non c'è niente di nuovo sotto il
sole” (,Qoèlet 1,9). I testimoni di Geova, accusando i veri
cristiani di cannibalismo, ripetono la stessa grossolana calunnia
dei pagani contro i cristiani dei primi secoli. La mentalità pagana,
carnale e grossolana, non poteva elevarsi alla sublimità dei riti
cristiani. Essi perciò, con chiara allusione alla Cena del Signore
celebrata dai cristiani, fantasticavano calunniosamente di
cannibalismo, di sacrifici umani ecc. I testimoni di Geova vanno
collocati tra le file degli antichi pagani ignoranti e denigratori.
-
b) L'errore dei geovisti ripete pure
l'errore dei Giudei di Cafarnao, a cui fu lo stesso Gesù a dare la
risposta appropriata (cf. pp. 23-24). Egli li ammonì di non dare
alle sue parole un significato letterale e carnale; ma non ritrattò
ciò che aveva affermato, vale adire che la sua Carne è vero cibo e
il suo Sangue vera bevanda (cf. Giovanni 6,55).
-
Il Signore non può ingannare anche se
i sensi non aiutano a capire. Solo il coraggio della fede accetta
ciò che dice il Signore. Simon Pietro e con lui moltissimi altri
hanno protestato e protestano la loro fede nella Parola del Figlio
di Dio (cf. Giovanni 6,68).
-
-
5. - L'errore:
-
a) “Gesù non
poteva né voleva dire che il pane diventasse suo corpo perché il
corpo di Gesù supera di molto, le dimensioni della pagnotta del
pane, che egli aveva nelle mani”.
-
La verità:
-
a) Gesù non disse che avrebbe dato in
cibo il suo Corpo con le dimensioni naturali di un uomo adulto o di
un bambino. La parola “corpo” non indica le dimensioni, ma la
“persona”; e non sono le dimensioni che costituiscono la persona.
L'uomo è persona, qualunque siano le sue dimensioni anche se minime
come quelle di un neo-concepito. La formula “Questo è
il mio Corpo”
equivale a: “Questo sono io”. Gesù voleva dire: “Con questo pane
consacrato io do me stesso”.
-
b) Qualche immagine ci aiuta a capire.
Il pane che noi mangiamo è sempre pane sia che ne prendiamo un
boccone sia che ne consumiamo un intero filone. L'oro è sempre oro,
qualunque siano le sue dimensioni. E' vero che nel caso dell'oro la
quantità accresce il valore. Ma l'essere oro rimane identico,
malgrado la quantità. E così pure nel caso del pane.
-
Nell'Eucaristia il valore salvifico -
la nostra comunione col Corpo e col Sangue di Cristo (cf. 1 Corinzi
10,16) - non dipende dalla quantità del pane e del vino. Cristo dà
tutto se stesso qualunque siano le dimensioni del pane e del vino.
-
-
6. - L'errore:
-
In Matteo 26,29 Gesù dice: “D'ora
innanzi non berrò più di questo succo della vite, fino a quel giorno
in cui lo berrò con voi, nuovo, nel regno del Padre mio”. Queste
parole indicano che Gesù si
riferì al contenuto del
calice come a “questo succo della vite”,
e ciò dopo aver detto “questo è il mio sangue”.
-
La verità:
-
a) Bisogna sapere o ricordare che
nella Cena pasquale celebrata da Gesù secondo il rituale giudaico
erano serviti quattro bicchieri o calici di vino. Gli evangelisti ne
ricordano solo uno, - il secondo con precisione - sul quale Gesù
disse le parole: “Questo è il mio sangue”. Di tutta la celebrazione
pasquale gli evangelisti non dicono altro.
-
b) Descritto o ricordato solo quel
gesto di Gesù, cioè la consacrazione del secondo calice, gli
evangelisti ricordano qualche altra espressione di Gesù. Questa
espressione, estranea alla Cena, sono appunto le parole ricordate in
Matteo 26,29: “Non berrò ecc.”.
-
Queste parole non si riferiscono al
vino del secondo calice consacrato, ma sono un riferimento a tutta
la Cena. Finita la Cena, Gesù, mentre forse era fuori la sala, dice:
“Non berrò ecc.”, cioè non celebrerò più con voi questo tipo di
banchetto pasquale; infatti celebreremo insieme la nuova Pasqua,
ossia staremo insieme nella gioia del Regno di Dio. La Cena pasquale,
e in generale il banchetto, è un simbolo della gioia del paradiso o
Regno di Dio (cf. Matteo 8,11; Luca 13,29; 22,30).
-
Anziché dire: Non celebrerò più questo
tipo di Pasqua, Gesù dice: Non berrò più di questo succo della vite.
il vino infatti era un elemento o componente essenziale della Cena.
-
c) A conferma di quanto detto finora
sta il fatto che Luca ricorda questo particolare prima della Cena,
cioè senza riferimento al vino del calice consacrato: “Venuta l'ora,
Gesù si mise a tavola con gli apostoli e disse loro: Ho ardentemente
desiderato di mangiare questa pasqua con voi, prima del mio patire.
Vi dico infatti, che non la mangerò più finché essa non sì compia
nel Regno di Dio” (Luca 22,14-15).
-
Luca non parla di succo della vite, ma
di banchetto pasquale, e colloca le parole di Gesù prima della
consacrazione del vino. Quindi le parole di Gesù: “non berrò ecc.”
oppure “Non mangerò questa pasqua ecc.”, non si riferiscono al vino
del calice consacrato, ma a tutto il festino pasquale, simbolo e
prefigurazione del festino eterno, cioè del paradiso.
- La Messa come sacrificio
-
1. - L'errore:
-
“Gesù offrì il sacrifìcio di se stesso
una volta, non c'è mai bisogno che lo 'rinnovi' - Ebrei 9.24-28;
7:25; 27; 10-'11,12,14-18”.
-
La verità:
-
a) Nei testi citati dalla Lettera agli
Ebrei l'autore sacro non fa nessun riferimento alla Santa Cena né
per affermare né per negare il suo valore sacrificale. Non era sua
intenzione parlare di queste cose. Egli concentra il suo argomento
sul sacrifìcio della Croce per contrapporlo ai sacrifìci cruenti ,degli
Israeliti dell'Antico Patto. Sarebbe perciò un abuso della Parola di
Dio voler dedurre che nei testi citati vi sia una formale negazione
della natura sacrificale della Santa Cena.
-
b) Nella Santa Messa non è rinnovato
il Sacrificio della Croce nel senso che si offre a Dio un nuovo
sacrificio. Cristo si è offerto sulla Croce una volta per tutte (cf.
Ebrei 9,7-8) Egli tuttavia ha trovato il modo di essere sempre in
mezzo a noi come sacerdote e vittima nel pane e vino consacrati,
applicando gli effetti salvifici dell'unico sacrificio della Croce.
(Cf. supra pp. 5-7 e 13-15).
-
-
2. - L'errore:
-
“Chi ne 'rinnova' di continuo il
sacrificio non lo considera di valore maggiore dei sacrifici animali
che si facevano sotto la Legge. - Ebrei 10,1-4”.
-
La verità:
-
a) La Santa Messa non 'rinnova' il
sacrificio cruento del Calvario in senso numerico o quantitativo.
Essa è lo stesso unico Sacrificio del Calvario “ricordato” (cf. i
Corinzi 11,26) in una forma effettiva mediante la presenza del
Signore nel pane e nel vino consacrati. La S. Messa in tanto ha
valore in quanto è connessa col sacrificio della Croce: ad esso non
aggiunge nulla, ma ne applica il valore saivifico attraverso il
tempo.
-
b) Al contrario, i sacrifici che si
facevano sotto la Legge erano indipendenti l'uno dall'altro: il
valore salvifìco di uno era limitato e separato dal valore salvifico
dell'altro o degli altri. L'autore della Lettera agli Ebrei
puntualizza il contrasto tra i sacrifici antichi e quello unico e
irripetibile di Cristo, non già tra il Sacrificio della Croce e la
S. Messa.
-
-
3. - L'errore:
-
“Cristo è in cielo, non è portato
quotidianamente nel sacrificio della messa. - Efesini 1:20,21; Ebrei
9:24”.
-
La verità:
-
a) Certamente Cristo è in cielo col
suo corpo glorioso. Ma essere in cielo non vuol dire essere nella
stratosfera, sulle nostre teste, come grossolanamente insinuano i
tdG. Essere in cielo non va preso in senso spaziale, ma indica un
modo di essere, e vuol dire che Cristo appartiene all'ambito del
divino in contrapposizione alla “terra” come ambito del puramente
umano.
-
b) Malgrado questa sua condizione o
modo di essere invisibile egli ci ha assicurato di voler essere
presente nel pane e nel vino consacrati con una presenza che ricorda
in modo effettivo la sua azione salvifica mediante il sacrificio
della Croce. Certo, è una presenza misteriosa, che non va accertata
o misurata con un ragionamento meramente umano. “E' lo Spirito che
dà la vita, la carne non giova a nulla” (Giovanni 6,63). Noi
crediamo alla parola di vita del Figlio di Dio come hanno creduto i
primi discepoli (cf. Giovanni 6,67-70), tra i quali c'era tuttavia
Giuda. Nulla è impossibile a Dio! (cf. Luca 1,37).
-
-
4. - L'errore:
-
“Gesù disse: " Continuate a fare
questo in ricordo di me , non in sacrificio. - Luca 22: 19”.
-
La verità:
-
Il punto è sapere che tipo di
commemorazione o ricordo intendeva Cristo. Vi sono infatti vari tipi
di commemorazione o ricordo. Si può commemorare una persona con un
discorso in suo onore o con una lapide o con un monumento o anche
con una visita al cimitero o al luogo del suo martirio ecc.
-
Gesù ha voluto e l'ha detto
espressamente che il ricordo di Lui fosse fatto mediante un'azione,
un gesto, un rito, ossia mediante la consumazione in un pasto
comunitario, di natura prettamente religiosa, del pane-Corpo e del
vino-Sangue.
-
San Paolo in questo tipo di
commemorazione. vedeva il sacrificio proprio
dei cristiani, la comunione al Corpo e al Sangue del Signore, in
contrasto coi sacrifici dei pagani e somigliante a quelli degli
Israeliti (cf. 1 Corinzi 10,17-21).
-
-
5. - L'errore:
-
“Il sacrificio incruento non potrebbe
rimettere i peccati. - Ebrei 9,11,12,22; Levitico 17:11”.
-
La verità:
-
Cristo ha rimesso i peccati mediante
il sacrificio cruento della Croce. La S. Messa in tanto ha valore
sacrificale, e quindi di rimettere i peccati, in quanto è connessa
col sacrificio cruento della Croce. Nel pane e vino consacrati
Cristo è presente come Sacerdote e Vittima, avendo egli trovato il
modo misterioso di perpetuare l'azione salvifica del Calvario fino
alla sua seconda venuta.
-
-
6. - L'errore:
-
“Gesù disse: "il mio sangue sarà
sparso", non che fosse stato sparso. Matteo
26:27,28; Luca 22:20”.
-
La verità:
-
a) Del pane-Corpo Gesù ha detto:
“Questo è il mio corpo, che è dato (greco didòmenon), participio
passato (Luca 22,19,). In 1 Corinzi è detto: “Questo è il mio corpo
per voi, oppure, che è per voi (1 Corinzi 11,24). L'una e l'altra
formula non indica un tempo meramente futuro, ma presente o appena
passato. Parimenti in 1 Corinzi 11,25 san Paolo ricorda le parole
del Signore nel modo seguente: “,Questo calice è la nuova Alleanza
nel mio sangue”. Non si tratta di un'azione e realtà futura, ma
presente o appena passata. Gesù iniziava allora la Nuova Alleanza'
-
b) Alla luce di queste chiare
espressioni anche le formule parallele riguardanti il sangue in
Matteo 2,6,27 e Luca 22,20 devono avere lo stesso significato,
devono cioè indicare un'azione non meramente futura, ma presente o
appena. passata, che si compie cioè mentre Gesù pronunzia quelle
parole. Molti traduttori rendono Matteo 26,27 con “versato per molti”
e Luca 22,20 “versato per voi”.
- La Santa Messa: quante volte?
-
1. - L'errore: “E' ragionevolmente una
celebrazione annuale, come lo fu la Pasqua, che si osservava a
ricordo della liberazione recata da Geova a Israele.
Esodo 12:14,18; Levitico 23:4,5”.
-
La verità:
-
a) Ragionevolmente qui vuol dire:
“secondo il ragionamento settario dei tdG”, non secondo il chiaro
insegnamento biblico. Ma contro il ragionamento geovista vi è la
inequivocabile affermazione dell'Apostolo che raccomanda ai fedeli
di Corinto di celebrare dignitosamente la Cena del Signore “quando
vi radunate insieme” (1 Corinzi 11,20). L'espressione originale
greca significa sempre che vi radunate.
-
Ora è certo che i cristiani al tempo
di san Paolo e in ogni tempo non si radunavano insieme una volta
all'anno, ma assai spesso, specialmente nel giorno del Signore”,
ossia la domenica (cf. 1 Corinzi 16,12; Atti 20,7; Apocalisse 1,10).
Sempre in quelle riunioni celebravano la Santa Cena (,cf. Atti
20,7-9), quindi più volte all'anno.
-
b) Oltre alla Santa Cena, più volte
all'anno, i cristiani fin dal tempo degli Apostoli celebravano anche
la Pasqua una volta all'anno, nell'anniversario della risurrezione
del Signore. E' l'antica Pasqua giudaica con un nuovo contenuto. I
Giudei celebravano nella Pasqua la loro liberazione dalla schiavitù
dei faraoni; i cristiani festeggiano nella Pasqua la loro
liberazione dal peccato e dalla morte (cf. 1 Corinzi 5,7-8; Romani
'5,25) in virtù della risurrezione del Signore.
-
Va notato infine che i tdG, mentre
dicono che la Santa Cena deve essere celebrata una volta all'anno
come la Pasqua, d'altra parte insegnano che la Pasqua è una festa
pagana
-
-
2. - L'errore:
-
“Poiché l'antitipico Agnello Gesù
Cristo morì il giorno di pasqua, il 14 Nisan, e poiché la notte
dello stesso giorno egli istituì il pasto serale del Signore, il 14
Nisan di ciascun anno è il solo tempo scritturale per osservarlo”.
-
Là verità:
-
a) In nessuna parte della Bibbia è
detto che la Santa Cena deve essere celebrata una sola volta
all'anno il 14 Nisan. Gesù non assegnò alcun tempo per celebrare la
Santa Cena. Egli disse soltanto: “Fate questo in memoria di me”.
(Luca 22,19; 1 Corinzi 11,24). Da san Paolo poi sappiamo che i
cristiani celebravano la Santa Cena “sempre che
si radunavano insieme” (1 Corinzi 11,20).
-
b) Lo stesso Apostolo celebrò la Santa
Cena in una data che non era certamente il 14 Nisan (cf. Atti
2:9,5-12); e la Didachè c'informa che i primi cristiani celebravano
la Santa Cena durante tutto l'anno, il giorno di domenica (cf.
supra, pp. 26-30).
- La comunione dei santi
-
1. - L'errore: Uno degli errori più
nefasti dei tdG riguarda l'uso degli “emblemi del pane e del vino”,
come essi dicono. A loro avviso, solo gli appartenenti alla classe
dello “schiavo fedele e discreto”, ossia i santi o unti, che Geova
ha destinato al comando per il tempo e l'eternità, possono cibarsi
degli emblemi del pane e del vino. E' la comunione dei santi del
“credo” geovista.
-
La verità:
-
a) La comunione dei santi non è la
partecipazione agli emblemi del pane e del vino riservata
arbitrariamente e arrogantemente ad alcuni privilegiati, ma la
comunità di tutti i discepoli di Cristo, che formano un solo corpo
(= comunità) senza sostanziali differenze tra loro. Questo insegna
chiaramente san Paolo (cf. i Corinzi 12,12-27) e questo crede la
Chiesa Cattolica. Tutti hanno il diritto di cibarsi del Corpo e del
Sangue del Signore.
-
b) In effetti,
san Paolo paragona la
Santa Cena ai
sacrifici di comunione degli Israeliti: “Guardate Israele secondo la
carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in
comunione con l'altare?” (1 Corinzi 10,18). Ora è assolutamente
certo che gli israeliti partecipavano tutti con eguale diritto alla
consumazione o comunione delle vittime, erano in comunione con
l'altare (cf. 1 Corinzi 10,18). Perché i cristiani, che formano
l'Israele di Dio (cf Galati 6,16) e che hanno il loro sacrificio
nella Santa Cena, devono essere da meno dell'Israele secondo la
carne?
-
c) Ma vi è molto di più. San Paolo
insegna che l'effetto della Santa Cena consiste nel fare di tutti i
credenti in Cristo un solo corpo, ossia una perfetta comunità:
“Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo
corpo: tutti (greco pantes) partecipiamo all'unico pane” (1 Corinzi
10,17). E' assurdo pensare che Cristo abbia cambiato idea al tempo
di Rutherford, nel 1935, creando nella sua comunità un deprecabile
razzismo. “Gesù, Cristo è lo stesso ieri, oggi e
sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine” (Ebrei
13,-8-9).
-
d) Il pensiero di Paolo è in perfetta
armonia con quello di Gesù, che nel discorso della promessa (cf.
supra, pp. 23-24) era stato estremamente esplicito sulla necessità
che tutti si cibassero della sua carne e del suo sangue: “In verità,
in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e
non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (Giovanni
6,53). Gesù non parla di una vita eterna in cielo per alcuni, e di
una vita eterna sulla terra per altri. San Paolo dirà: “Una sola
speranza alla quale siete stati chiamati” (Efesini 4,4).
-
-
2. - L'errore:
-
Insistono i geovisti: solo i santi
possono ricevere gli emblemi del pane e del vino. Fanno male i
cattolici che, benché pieni di difetti e di peccati, fanno la
comunione con tanta frequenza.
-
La verità:
-
a) Abbiamo già spiegato come, secondo
la Bibbia (cf. 1 Corinzi 12,12-27), comunione dei santi non vuol
dire che solo alcuni privilegiati, che si autodefiniscono santi,
possono ricevere gli emblemi del pane e del vino. Nella Bibbia sono
chiamati santi “tutti i battezzati” (cf. 1 Corinzi 1,2; 2 Corinzi
1,1; Colossesi 1,2; Filippesi 4,21-22 ecc.) perché tutti sono stati
purificati da Dio, mediante un unico battesimo dì acqua e di Spirito
(cf. Giovanni 3,5; Efesini 5,,26-27; Tito 3,5).
-
b) Tuttavia la purificazione,
conferita dal battesimo non significa perfezione. Rimane la
debolezza della carne, ossia della natura umana ferita dal peccato
di Adamo (cf. Romani 5,12; 7,14-25). San Paolo, benché battezzato
(cf. Atti 9,13), diceva di Se stesso: “Non però
che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla
perfezione; solo mi sforzo di correre per
conquistarlo...” (Filippesi 3,12).
-
c) In questa lotta contro il male e le
debolezze il Signore Gesù ci ha provveduto la medicina adatta, il
nutrimento che veramente ci fortifica dandoci come cibo il suo Corpo
e come bevanda il suo Sangue: “Se non mangiate la carne del Figlio
dell'uomo e non bevete il suo Sangue, non avrete in voi la vita”
(Giovanni 16,53).
-
-
3. - L'errore:
-
Le “altre pecore” non sono incluse nel
“nuovo patto” stipulato con l'Israele spirituale né nel “patto (...)
per un regno che Gesù fece con quelli scelti per partecipare con lui
alla vita celeste, e quindi, appropriatamente, esse non prendono gli
emblemi alla Commemorazione. - Luca 22,28-30”.
-
La verità:
-
a) Non vi è nella Bibbia nessuna
affermazione che limiti il Nuovo Patto a una classe di privilegiati.
Al contrario, Dio ha stipulato il Nuovo Patto con tutti i credenti
in Cristo, come aveva stipulato l'Antico Patto con tutti gli
Israeliti.
-
In effetti, nell'Antico Patto la
circoncisione praticata su ogni bambino israelita otto giorni dopo
la nascita (cf. Luca 1,59; 2,21) era il segno di appartenenza al
popolo di quel Patto, all'Israele secondo la carne. Nel Nuovo Patto
la circoncisione è stata sostituita dal battesimo (cf. Colossesi
2,11- 12), che aggrega: tutti coloro che lo ricevono alla comunità
del Nuovo Patto, all'Israele di Dio (cf. Galati 6,16).
-
b) il patto dunque di cui parla Gesù (Cf
- Luca 22,20; i Corinzi 11,23-25) non riguarda solo lo sparuto
numero di 144.000 privilegiati. Gesù non distingue un regno celeste
da un regno di Dio sulla terra. Egli parla sempre di Regno,
dell'unico Regno di Dio (o dei cieli), che promette a tutti coloro
che perseverano con lui: “Se con lui
persevereremo, con lui anche regneremo” (2 Timoteo 2, 12). Vi sono
stati e vi sono milioni di credenti in Cristo che hanno perseverato
e perseverano con lui fino a essere “decapitati a causa della
testimonianza di Gesù” (Apocalisse 20,4).
-
c) Va notato infine che le parole di
Gesù: “Affinché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno”
(Luca 22,29-30) non vanno riferite alla Santa Cena, come insinuano i
tdG nella loro settaria spiegazione della Bibbia. Esse sono immagini
abituali usate da Gesù e dai profeti per indicare la gioia e la
pace, di cui godranno tutti i credenti in Cristo, nell'unico Regno
di Dio, nella vita futura.
-
-
APPENDICE
-
Il Giorno del Signore
-
-
1. - Stando alle fonti bibliche, da
noi analizzate precedentemente (cf. supra, pp. 26-30), la Santa Cena
può essere celebrata in ogni giorno dell'anno. I veri cristiani, fin
dai tempi apostolici, la celebravano, sempre che si riunivano (cf. 1
Corinzi 11,18), e le loro riunioni religiose non erano certamente
tenute una sola volta all'anno, ma più volte anche durante la stessa
settimana. L'autore degli Atti degli Apostoli ci informa che “Tutti
coloro che erano diventati credenti (...) ogni giorno tutti insieme
frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i
pasti con letizia e semplicità di cuore” (Atti 2,44-46). Non pochi
commentatori vedono qui un chiaro riferimento al rito eucaristico,
che non veniva celebrato nel tempio, ma in qualche casa, e non era
disgiunto da un vero pasto come risulta anche da 1 Corinzi 11, 20-34
.
-
Ma altre fonti bibliche ci fanno
assistere a una progressiva, ma rapida evoluzione verso un giorno
particolare della settimana, che non era il sabato, intorno al quale
venne polarizzata l'attenzione e la vita stessa dei cristiani,
soprattutto mediante la celebrazione della Santa Cena o Santa Messa.
-
-
2. - Una delle principali innovazioni
introdotte dal Cristianesimo primitivo è la celebrazione della
Domenica al posto del sabato. I cristiani dei tempi apostolici hanno
abolito il sabato a favore della Domenica senza vedere in questo
passaggio nessuna offesa contro il comandamento di Dio (cf. Esodo
20,8). L'hanno fatto certamente in forza d'una ispirazione dall'Alto,
mediante la capacità che viene da Dio, “che ci ha resi ministri
adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera, ma dello Spirito;
perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita” ( 2 Corinzi 3,5-6).
-
La ragione di fondo di questa
innovazione è il fatto che la Risurrezione del Signore, evento-base
della Nuova Alleanza, avvenne “all'alba del primo giorno della
settimana, passato il sabato” (Matteo 28,1).
-
-
3. - E' vero: in nessun passo del
Nuovo Testa- mento sta scritto che invece del sabato si debba
festeggiare la Domenica. Ma vi sono non pochi testi biblici che
inducono necessariamente a questa conclusione.
-
a) E' significativo il fatto che il
primo giorno della settimana, ossia la domenica, era dedicato alle
riunioni religiose e liturgiche. In tali riunioni si facevano
collette per i bisogni della comunità (cf. 1 Corinzi 16,1-2). Ed è
pure significativo la menzione che di tale giorno fa l'autore degli
Atti, che scrive: “A Troade ci trattenemmo una settimana. Il primo
giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane e Paolo
conversava con loro” (Atti 20,6-7). Perché la riunione non fu tenuta
durante la settimana di permanenza di Paolo a Troade?
-
b) La denominazione di “Giorno del
Signore” o semplicemente Domenica si incontra per la prima volta in
Apocalisse 1,10. Giovanni ebbe la sua estasi “nel giorno del
Signore”. “Rapito in estasi, nel Giorno del Signore, udii dietro di
me una voce potente, come di tromba, che diceva: Quello che vedi,
scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese” (Apocalisse
-
Commenta un biblista: “L'espressione
giorno del Signore appare molte volte nell'Antico Testamento per
designare un intervento particolare di Dio nella storia (...). Per i
cristiani l'espressione giorno del Signore designa nello stesso
tempo la commemorazione del trionfo pasquale e l’annunzio della
parusìa che sarà la manifestazione piena e definitiva. Molto presto
le comunità cristiane hanno celebrato cultualmente ogni domenica,
questa commemorazione e questa attesa”.
-
c) L'antichità della Domenica come
giorno festivo al posto del sabato è attestata anche dai più antichi
scrittori cristiani. Nella Didachè o Dottrina degli Apostoli, che
risale al principi del secondo secolo o alla fine del primo
è scritto: “Ogni domenica, giorno del Signore, riuniti,
spezzate il pane e rendete grazie, dopo aver confessato i vostri
peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro”. Nella Lettera di
Barnaba, che va collocata attorno al 1301 viene anche dichiarato il
motivo per cui i cristiani celebrano “con gioia” l'ottavo giorno,
cioè il primo della nuova settimana, la Domenica: perché in questo
giorno “Gesù è risorto da morte”
-
Attorno all'anno 107 il vescovo
martire Ignazio di Antiochia testimonia che i cristiani “non
osservano il sabato, ma impostano la loro vita in base alla domenica”.
E intorno al 155 il filosofo e martire Giustino racconta:
-
“Nel giorno che prende il nome del
sole tutti coloro che abitano nelle città e nei villaggi si radunano
in un luogo per celebrare l'Eucarestia Noi tutti
insieme ci diamo appuntamento la Domenica perché è il primo giorno
in cui Dio (...) ha creato il mondo, e ancora perché Gesù Cristo,
nostro Redentore, in questo giorno è risorto da morte” .
-
-
4. - Né vale l'obiezione che fanno
alcuni, dicendo che la Chiesa ha abolito il comandamento di Dio:
“Ricordati di santificare il sabato” (Esodo 20,8).
-
In effetti, la Chiesa ha fatto ciò che
il Signore ha detto di sé: “Non crediate che io sia venuto ad
abolire la Legge e i Profeti. Sono venuto non per abolirli, ma per
portarli a compimento” (Matteo 5,17). La Chiesa adempie, perfeziona
e porta a compimento il comandamento del Signore, consacrando a Dio
per buone ragioni non il settimo, ma il, primo giorno della
settimana.
-
Poiché
il Signore è risorto nel primo giorno della settimana come glorioso
vincitore del peccato e della morte, la Chiesa confessa
ininterrottamente, festeggiando la Domenica, che Cristo ha
realizzato una nuova creazione e ha istituito nel suo sangue una
Nuova Alleanza, di cui l'Antica era solo ombra e
figura.
-
“Ecco io faccio nuove tutte le cose.
Queste parole sono certe e veraci” (Apocalisse 21,5). “Quindi se uno
è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate,
ecco ne sono nate di nuove” (2 Corinzi 5,17).
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