PADRE NICOLA TORNESE
PICCOLA COLLANA
"I TESTIMONI DI GEOVA"
 
 
Uomini di serie B Vivi o morti? Geova chi era costui? E' prossima la fine.. E voi chi dite che...
Bibbia sangue e medicina La croce E  le croci La Madonna contestata Trinità Amore o falsità? Pietro e la Pietra
Bibbie a confronto Immagini e Santi Il Natale festa pagana... Regno di Dio o... .? Appello a Cesare
Battesimi e Battesimo Inferno La Cena del Signore Purgatorio Paradiso
Con quale autorità? Risurrezzione La Crocifissione   INDEX
 
LA CENA
DEL
SIGNORE
 
 
OPUSCOLO   N° 18
PICCOLA COLLANA
 
"I TESTIMONI DI GEOVA"
 
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Padre Nicola Tornese
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PARTE PRIMA
LA VERITA'
La testimonianza di san Paolo
Le testimonianze più antiche sulla istituzione della Santa Messa, come pure sulla volontà del Signore di celebrarla fino alla sua seconda venuta, sono quelle di san Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi. Mi riferisce a due testi in particolare, che vanno esaminati attentamente. Da questo esame risulterà in modo inequivocabile che la fede e il culto dell'Eucaristia sono preservati nella Chiesa Cattolica con la massima fedeltà agli insegnamenti del Signore.
1 Corinzi 10, 14-21
Il primo dei due testi paolini comprende i versetti 14-21 del capitolo 10 della Prima ai Corinzi. Riportiamo fedelmente le parole di san Paolo:
“Perciò, miei cari, fuggite il culto degli idoli. Parlo a voi come a gente assennata; giudicate voi stessi quanto io dico. Il calice di benedizione, che noi benediciamo, non è forse una comunione col sangue di Cristo? Il pane che spezziamo non è forse una comunione col corpo di Cristo? Dal momento che vi è un solo pane, noi, che siamo molti, formiamo un solo corpo; poiché noi tutti siamo partecipi di quest'unico pane. Guardate l'Israele terrestre! Non sono forse in comunione con l'altare, quelli che mangiano le vittime? Che intendo dunque dire? Che la carne immolata agli idoli abbia un qualche valore? Ovvero che un idolo sia qualcosa? No, ma che quanto sacrificano i pagani, lo sacrificano ai demoni e non a Dio. Ora, non voglio che voi siate in comunione con i demoni; non potete prendere parte alla mensa  del Signore e alla mensa dei demoni” (dalla Bibbia a cura di Salvatore Garofalo).
Cenni storici
I. - Come già accennato, la Prima Lettera ai Corinzi va collocata tra gli scritti più antichi del Nuovo Testamento, anteriore ai vangeli e agli Atti degli Apostoli. Secondo l'opinione più comune fu scritta nella primavera del 55 dopo Cristo, e forse anche prima, a distanza di appena venti anni dall'ultima Cena del Signore. Erano ancora in vita quasi tutti gli Apostoli e gran parte dei discepoli immediati di Gesù. Tutti predicavano la stessa dottrina (cf. 1 Corinzi 15,11). A riguardo poi della Cena del Signore, Paolo precisava nella stessa Lettera: “Ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso” (1 Corinzi 11,22).
2. - L'occasione della Prima ai Corinzi fu data a Paolo da informazioni giuntegli ad Efeso nella odierna Turchia dove si trovava, riguardanti anche certi abusi invalsi nella comunità di Corinto. Alcuni membri di quella chiesa provenienti dalla gentilità partecipavano a banchetti con amici pagani, in casa o presso il tempio, dove erano servite le carni immolate agli idoli con grande scandalo di altri (cf. 1 Corinzi 10,23-3:3).
La Santa Cena come sacrificio
In questo contesto l'apostolo espone la dottrina ricevuta dal Signore e fa chiaramente capire che la Santa Cena, celebrata dai primi cristiani durante le loro riunioni, in ogni tempo dello anno (cf. Atti 20,7, infra, pp. 26-30) ha un carattere sacrificale, è cioè un vero sacrificio.
1  - San Paolo spiega il suo pensiero con due riferimenti. Il primo riguarda gli Israeliti rimasti osservanti della Legge, ossia i Giudei non cristiani. “,Guardate l'Israele terrestre!”. Essi hanno i loro sacrifici e mangiano la carne delle vittime nella convinzione di entrare in comunione con l'altare, ossia con Dio.“Non sono forse in comunione con l'altare, quelli che mangiano le vittime?”
E' chiaro che questo riferimento o piuttosto accostamento non è fatto a caso. Ha la sua motivazione. L'Apostolo vuol far capire che anche l'Israele di Dio - ossia i cristiani (cf. Galati 6,16) - hanno la loro vittima sacrificale e quindi il loro sacrificio. Come gli Israeliti, consumando la carne delle vittime, compivano un rito sacrificale, così i cristiani, consumando il Corpo e il Sangue di Cristo nella Santa Cena, compiono un rito sacrificale. Tutto questo suppone che la Cena del Signore o celebrazione eucaristica deve avere un carattere sacrificale, altrimenti il ragionamento o accostamento di Paolo non avrebbe senso.
2. - All'Apostolo, tuttavia, sta maggiormente a cuore il dissuadere i cristiani da eventuali abusi idolatrici. A tal fine egli fa un altro accostamento, ma questa volta su base antitetica ossia di contrasto. Ammette che anche i pagani hanno i loro sacrifici e mangiano le carni immolate agli idoli. Ma precisa di non voler dire con ciò che i sacrifici dei pagani siano veri sacrifici. In se stessi, ossia oggettivamente, non sono sacrifici. Sono infatti immolazioni fatte agli idoli, che sono un nulla, e come gli idoli anche i sacrifici sono un nulla. Anzi vi è di peggio: sono riti diabolici perché sotto o dietro l'idolo si cela il demonio. I pagani, comunque, credono che si tratti di veri sacrifici.
Al contrario, i cristiani hanno il vero sacrificio e la comunione con l'unico vero Dio nella Santa Cena, dove consumano la vera vittima offerta a Dio mediante il pane e il vino consacrati:
“Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il Sangue di Cristo? Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il Corpo di Cristo?” (1 Corinzi 10,16).
Da questa constatazione l'apostolo dichiara la incompatibilità per il cristiano di partecipare ai banchetti dei pagani: “Non potete bere il calice dei Signore e il calice dei demoni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni” (1 Corinzi 10,20).
L'Apostolo dunque fa un raffronto-contrasto tra “il calice del Signore” e “il calice dei demoni”, tra “la mensa del Signore” e “la mensa dei demoni”. Ma alla base di questo raffronto-contrasto vi è la convinzione che ì cristiani hanno il vero sacrificio nella celebrazione della Cena del Signore. Egli afferma chiaramente la natura sacrificale della Santa Messa.
La presenza reale
Nel testo di 1 Corinzi 10,14-21, oltre alla natura sacrificale della Santa Cena, l'apostolo insegna anche la presenza reale del Corpo e Sangue di Cristo nel pane e nel vino consacrati.
a) In effetti, san Paolo dichiara senza il minimo dubbio che tra il calice della benedizione, ossia il vino consacrato, e il Sangue di Cristo vi è una identità oggettiva. La stessa cosa è affermata del pane rispetto al Corpo di Cristo. Scrive l'apostolo.
“Parlo come a persone intelligenti; giudicate voi stessi quello che dico: il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il Sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il Corpo di Cristo” (1 Corinzi 10,1,5.16).
Da queste chiare parole s'impone una conclusione certa al di là d'ogni dubbio, vale a dire che bere il vino consacrato equivale a comunicare con il Sangue di Cristo; parimenti mangiare il pane spezzato, ossia offerto nella Santa Cena, vuol dire nutrirsi del Corpo di Cristo. E com'è possibile tutto questo senza che il Sangue e il Corpo del Signore siano realmente, anche se misteriosamente, presenti nel vino e nel pane consacrati?
b) Notate come l'apostolo parla indifferentemente di pane e di Corpo, come se fossero la stessa realtà. Coloro che si cibano di quel pane si trasformano nel Corpo Mistico di Cristo. Contrariamente a quanto avviene in natura, dove il cibo e la bevanda si trasformano in colui che li riceve, nella comunione eucaristica il credente si trasforma nel cibo e nella bevanda, ossia nel Cristo.  L'albero domestico assimila a sé il ramo selvatico (cf. Romani 11,17). Questa trasformazione è possibile perché Cristo è veramente presente nel pane e nel vino consacrati. Il suo sangue è vera bevanda e la sua carne, vero cibo (cf. Giovanni 6,55).
Si tratta dunque d'una presenza reale, benché misteriosa, non meramente simbolica. Ma reale non vuol dire carnale, sensibile, materiale, come falsamente spiegano i tdG, ripetendo il grossolano errore dei Giudei di Cafarnao (cf. Giovanni 6,52).
1 Corinzi 11, 17-29
Il secondo testo eucaristico della Prima Lettera ai Corinzi si trova nel capitolo 11, dal versetto 17 al 29. Riportiamo le parole dell'Apostolo nella traduzione fedele dei veri cristiani con a fianco quella infedele dei tdG. In corsivo le principali differenze o distorsioni dei geovisti:
Bibbia dei cristiani
E mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi per il fatto che le vostre riunioni non si svolgono per il meglio, ma per il peggio.
Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. E' necessario infatti che avvengano divisioni tra voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi.
Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l'altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? 0 volete gettare il discredito sulla chiesa di Dio e far vergognare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo!
lo, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse:
“Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte dei Signore finché egli venga. Per. ciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice, sarà reo del corpo e ;del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. (Traduzione della Conferenza Episcopale Italiana - CEI).
 
Bibbia dei tdG
Ma, mentre do queste istruzioni, non vi lodo, perché vi radunate non per il meglio, ma per il peggio.
Poiché prima di tutto, quando vi riunite nella congregazione, odo che esistono fra voi divisioni; e in parte lo credo. Poiché vi devono anche essere fra voi delle sette, affinché le persone approvate siano pur manifeste fra voi. Perciò, quando vi riunite in uno stesso luogo, non è possibile mangiare il pasto serale del Signore. Poiché, quando (lo) mangiate, ciascuno prende in anticipo il proprio pasto serale, così che uno ha fame, ma un altro è ebbro. Certamente avete delle case per mangiare e bere, non è vero? 0 disprezzate la congregazione di Dio e fate vergognare quelli che non hanno nulla? Che vi dirò? Vi loderò? In questo non vi lodo.
Poiché ho ricevuto dal Signore ciò che vi ho anche trasmesso, che il Signore Gesù nella notte in cui stava per essere consegnato prese un pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo significa il mio corpo che è a vostro favore. Continuate a far questo in ricordo di me”. E fece similmente riguardo al calice, dopo aver presi il pasto serale, dicendo: “Questo calice significa il nuovo patto in virtù del mio sangue. Continuate a far questo, ogni volta che ne berrete, in ricordo di me”. Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete questo calice, :continuate a proclamare la morte del Signore, finché egli arrivi. Quindi chiunque mangia il pane o beve il calice del Signore indegnamente sarà colpevole rispetto al corpo e al sangue del Signore. Prima l'uomo approvi se stesso dopo scrutinio, e così mangi dei pane e beva del calice. Poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro se stesso se non discerne il corpo. (Edizione del 1987).
Presenza reale
Anche a queste parole dell'Apostolo avevano dato occasione alcuni disordini a Corinto nella celebrazione della Cena del Signore. Quei cristiani usavano consumare un pasto ordinario nei locali dell'assemblea prima di celebrare l'Eucaristia. Si riunivano in gruppi socialmente differenziati a discapito dell'unione e dell'amore cristiano:
“Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l'altro è ubriaco” (1 Corinzi 11,21).
1. - Per riportare quei cristiani all'ordine e al rispetto l'apostolo ricorda loro che cosa è la Cena del Signore, ripetendo dettagliatamente il racconto della istituzione così come l'aveva appreso  da fonte sicura: “lo ho ricevuto, infatti, dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso” (1 Corinzi 11,23).
Sulla base del racconto dell'istituzione l'Apostolo ha parole forti di condanna per il comportamento di quei cristiani. Essi infatti, col loro modo di agire, mostravano di non distinguere come si conviene il pane e il vino comuni dal pane-Corpo e dal vino-Sangue del Signore. Tale comportamento è un reato contro il Corpo del Signore. Dio aveva già emesso un giudizio di condanna:
“Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del Corpo e Sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il Corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. E' per questo che tra voi vi sono molti ammalati ed infermi” (1 Corinzi 11,27-30).
 
2. - Qui dunque, come in 1 Corinzi 10,1,6, l'Apostolo stabilisce un parallelo d'identità reale tra il pane e il vino consacrati nella Santa Cena e il Corpo e Sangue del Signore. Coloro che. mancano di rispetto verso quel pane e verso quel vino, mancano di rispetto verso il Corpo e il Sangue di Cristo. Questo è comprensibile solo se nel pane e nel vino consacrati la fede accetta una presenza reale. anche se misteriosa, del Corpo e Sangue di Cristo.
Nelle Note autobiografiche di Santa Elisabetta Seton, la signora episcopaliana convertitasi al cattolicesimo, leggiamo:
“Quando entrai per la prima volta nella chiesa della Beata Vergine Maria di Montenegro a Livorno, un giovane inglese vicino a me, al momento della elevazione, dimenticando le norme di buona creanza, mormorò: "E' la loro presenza reale! " Provai vergogna a queste parole e la mia mente volò istintivamente al testo di san Paolo in 1 Corinzi 11,29 e pensai: Se Nostro Signore non è lì, perché l'apostolo minaccia? Come può egli rimproverare di non discernere il Corpo del Signore se il Corpo non è presente? Come potrebbero coloro che ne mangiano indegnamente, mangiare la propria condanna, se il Santo Sacramento non è altro che un pane comune? Com'è possibile essere colpevoli verso il Corpo e il Sangue del Signore, se in quel pane e in quel vino non vi è né Corpo né Sangue del Signore?”.
Natura sacrificale
Raccontando la storia dell'istituzione san Paolo ricorda le parole del Signore nel modo seguente:
“Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me. Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunciate la morte del Signore finché egli venga” (1 Corinzi 11,25-26).
Spiegazione:
a) Notate, anzitutto, che del calice, ossia del contenuto di un calice ben determinato, che è quello che Gesù teneva nelle mani la sera della Santa Cena, e anche quello che nelle assemblee dei cristiani di Corinto conteneva il vino consacrato, san Paolo dice che è, ossia attua, la Nuova Alleanza o Patto del Signore.
Ora sappiamo che la Nuova Alleanza è stata attuata mediante il Sangue dell'Agnello, ossia dì Gesù Cristo, offerto sulla Croce una volta per sempre (cf. Ebrei 9,26; Giovanni 1,29; Apocalisse 5,12 ecc.). Poiché anche il contenuto del calice attua la Nuova Alleanza, vi deve essere qualcosa di comune tra vino consacrato e sacrificio della Croce, altrimenti le parole dette sul calice non avrebbero senso.
b) Lo stesso Paolo ci aiuta a capire come stanno le cose quando subito dopo scrive:
“Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga” (1 Corinzi 11,26).
Mangiare dunque il pane consacrato, bere il contenuto del calice equivale ad annunziare, a rendere cioè presente la morte sacrificale del Signore. Il rito eucaristico è detto perciò memoriale, ossia ricordo effettivo, non meramente simbolico e tanto meno verbale o di sole parole, della morte-sacrifìcio di Cristo. Nella Santa Messa è ripetuto mediante segni l'unico valido sacrificio offerto da Cristo una volta per sempre, in forma cruenta, per stipulare la Nuova Alleanza. Non si tratta di nuovi sacrifici, ma di un unico sacrificio - quello della Croce - rinnovato sacramentalmente sui nostri altari per la salvezza del mondo fino alla seconda venuta dei Signore. Questa è la volontà di Cristo.

 
La testimonianza dei Vangeli
I primi tre evangelisti, detti comunemente sinottici, ci hanno conservato il racconto dell'istituzione dell'Eucaristia durante l'ultima Cena, prima della cattura di Gesù. Il quarto evangelista san Giovanni non racconta la storia dell'istituzione, ma ci ha conservato il discorso che Gesù fece a Cafarnao durante la sua vita pubblica, che è conosciuto come la promessa dell'Eucaristia (cf. Giovanni 6,25-65). Esaminiamo prima la testimonianza dei sinottici e poi quella di san Giovanni.
 
I vangeli sinottici
Bibbia dei cristiani
Matteo 26,26-28:  Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati”.
Marco 14,22-24: Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo” Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: “Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza versato per molti”.
Luca 22,19-20: Poi preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”.
 
Bibbia dei tdG
Matteo 26,26-28: Mentre continuavano a mangiare, Gesù prese un pane e, dopo aver detto una benedizione, lo spezzò e, dandolo ai suoi discepoli, disse: “Prendete, mangiate. Questo significa il mio corpo”. E prese un calice e, avendo reso le grazie, lo die de loro, dicendo: “Bevetene, voi tutti; poiché questo significa il mio 'sangue del patto', che deve essere versato a favore di molti per il perdono dei peccati”.
Marco 14-22-24:  E mentre continuavano a mangiare, egli prese un pane, disse una benedizione, le spezzò e lo diede loro, e disse: “Prendete, questo significa il mio corpo”. E preso un calice, rese le grazie e lo diede loro, e tutti ne bevvero. E disse loro: “Questo significa il mio 'sangue del patto', che deve essere versato a favore di molti”.
Luca 22,19-20:  E preso un pane, rese grazie, lo spezzò, e lo diede loro, dicendo: “Questo significa il mio corpo che dev'essere dato in vostro favore. Continuate a far questo in ricordo di me”. E, il calice nella stessa maniera, dopo che ebbero preso il pasto serale, dicendo: “Questo calice significa il nuovo patto in virtù del mio sangue, che sarà versato in vostro favore”.
La presenza reale
Secondo il racconto di Luca, nell'istituzione dell'Eucaristia le cose sono andate così: verso la fine della Cena Gesù prese un pane azzimo, ossia non lievitato, come esigeva il rito pasquale, e oltre alla consueta formula “prendete e mangiate”, pronunziò parole nuove d'una estrema semplicità e chiarezza. Questo è il mio corpo. Poi ripeté lo stesso gesto sulla coppa del vino, pronunziando parole analoghe: Questo è il mio sangue (cf. Luca 22,19- 20; Marco 14,22-24; Matteo 26,26-28).
La Chiesa Cattolica e tanti altri cristiani hanno sempre creduto (e credono) che in virtù delle parole del Signore Questo è il mio corpo si attua una presenza reale della Persona di Gesù nel pane consacrato. Identico processo nel vino dopo le parole Questo è il mio sangue. Il verbo greco estìn ha il significato di è in senso reale, e non già di significa con senso simbolico come traducono e intendono i geovisti. Non poche ragioni militano a favore della interpretazione cattolica. Vediamone alcune:
a) La Bibbia si spiega con la Bibbia. San Paolo ha indubbiamente visto un sano realismo nelle formule eucaristiche.  Egli  vuole  che  i  cristiani  distinguano  bene tra pane comune e  pane-Corpo, e tra vino e contenuto di quel Calice. Con questa convinzione l'apostolo incrimina di reato contro il Corpo e Sangue di Cristo coloro che ricevono quel pane e quel vino senza le dovute disposizioni. Tutto il ragionamento dell'Apostolo non avrebbe senso, se nel pane e nel vino consacrati non fossero realmente presenti il Corpo e il Sangue del Signore.
b) Alla stessa conclusione ci fa arrivare l'analisi logica delle parole di Gesù. Dal racconto evangelico appare chiaro che quelle parole erano riferite a un pane e a un vino ben determinati, quelli appunto che Gesù aveva nelle mani e offriva a tutti i presenti. Gesù ha detto: Questo, cioè il pane che ho in mano, e non altro, è  il mio Corpo. In modo simile del vino.
In proposizioni come queste la logica del discorso esige che ciò che esprime il predicato sia realmente contenuto nel soggetto, altrimenti colui che parla commette un errore oppure inganna, perché afferma una cosa non vera, una identità non esistente.
Facciamo un esempio. Se un professore di scienze naturali ha tra le mani un oggetto sconosciuto agli alunni e dice: “questo (la cosa che ho nelle mani) è un pezzo di lava”, onestà e logica esigono che quell'oggetto sia veramente lava. Tra soggetto “questo” e predicato “lava” deve esistere una identità oggettiva. Il verbo è ha una significato reale, ed esprime questa identità, altrimenti il professore o inganna o cade in errore.
Certo il professore non trasforma in lava ciò che ha nelle mani. Egli afferma solo una identità reale, di cui è consapevole e di cui vuol far consapevoli gli alunni. Questi accettano l'affermazione del loro maestro perché sono sicuri che egli sa quel che dice e non vuole ingannare. L'oggetto che il professore mostra è veramente un pezzo di lava.
Identica esigenza logica nelle parole di Gesù: Questo (il pane che ho nelle mani) è il mio corpo. Tra soggetto “questo” e predicato “mio corpo” vi deve essere una identità reale, altrimenti Gesù avrebbe ingannato i suoi discepoli, affermando una cosa non vera. I discepoli non potevano neppur lontanamente pensare che il loro Maestro dicesse una cosa non vera o volesse ingannare.
Certo né il pane né il vino erano Corpo e Sangue di Cristo prima che egli pronunziasse quelle parole. Ma appena egli disse che era così, i discepoli hanno dovuto pensare che Gesù avesse effettuato una meravigliosa mutazione, al di sopra delle possibilità d'una creatura. A Dio tutto è possibile! (cf. Luca 1,37). Non molto tempo prima, davanti a un sepolcro, quello stesso Gesù aveva detto parole semplici e onnipotenti: “Lazzaro, vieni fuori!” E la vita cominciò a rifluire nell'uomo morto da quattro giorni (cf. Giovanni 11,43).
c) A conferma, ricordiamo che Gesù istituiva un rito sacrificale, mediante il quale l'immolazione sulla Croce potesse essere rinnovata fino alla sua seconda venuta. La Santa Cena è il memoriale della morte del Signore. E non vi può essere sacrificio senza la presenza del sacerdote e della vittima.
Il pane e il vino, dunque, su cui Gesù ha pronunziato quelle parole nell'Ultima Cena e su cui i suoi discepoli, in virtù d'un suo ordine, ripeteranno la stessa formula, rendono presente la sua persona d'una presenza reale, benché misteriosa. A Dio nulla è impossibile!
La Cena vero sacrificio
Il racconto dei sinottici è in perfetta armonia con la testimonianza di san Paolo anche per quanto riguarda la natura sacrificale della Santa Cena.
a) Tenendo presente il racconto di san Luca (cf. Luca 22,20), notiamo che egli esplicita la formula di Matteo e di Marco “Questo è il mio corpo” con l'aggiunta: “che è dato per voi”. E' una aggiunta che rende il vero significato delle parole di Gesù, un significato appunto sacrificale. In effetti, il pane-Corpo dato per essere mangiato dà chiaramente l'idea del sacrificio in uso presso gli Ebrei, che mangiavano parte delle vittime immolate al fine di partecipare ai benefici scaturiti dal sacrificio (cf. 1 Corinzi 10,18).
b) Il valore sacrificale appare assai chiaro nella formula di consacrazione del vino. Tutti e tre i sinottici riportano le parole di Gesù nel modo seguente: “Questo è il mio sangue sparso per molti o per voi” (Matteo 26,28; Marco 14-24, Luca 22,20)' Ora il sangue sparso per molti comporta necessariamente l'idea del sacrificio, tanto più che Matteo specifica: “In remissione dei peccati” (26,28). Il peccato o i peccati sono rimessi mediante il sacrificio (cf. Ebrei 9,22). E Gesù dice le parole “sparso per voi” con riferimento al contenuto del calice, anche se la sua natura o valore sacrificale non può essere disgiunta dall'effusione cruenta sulla Croce.
Tra Corpo dato per voi e Sangue sparso per voi vi è certamente un parallelismo, che obbliga a dare alle due espressioni lo stesso significato. Questo vuol dire che nella Santa Cena e nella ripetizione di essa nella Santa Messa Gesù si colloca in uno stato di offerta, compie cioè un rito sacrificale.
c) Il comportamento di Gesù è divinamente ingegnoso. Sarebbe stata cosa innaturale dar da mangiare ai suoi discepoli la sua carne, e da bere il suo sangue per farli partecipi dell'unico sacrificio che ci salva: quello della sua vita. Nella sua sapienza e onnipotenza divina ha fatto possibile questa partecipazione e i vantaggi o benefici che essa comporta mediante i segni reali ed efficaci del pane-Corpo e del vino-Sangue.
Questi non sono dunque solo simboli o emblemi. Cristo non è solo rappresentato nel pane e nel vino: egli è presentato. Non è solo ricordato, ma anche comunicato.
A conferma vale il fatto che tutti e tre i sinottici connettono il vino-Sangue con la Nuova Alleanza, che è certamente un richiamo al rito sacrificale mediante il quale era stata stipulata l'Antica o Prima Alleanza (cf. Esodo 24,8).
 
Il quarto vangelo
San Giovanni non racconta l'istituzione della Eucaristia. Questo silenzio non crea nessuna difficoltà perché scopo dei vangeli non era quello di dire tutti i fatti e i detti di Gesù (cf. Giovanni 20, 30-31; 21,24-25). Giovanni, comunque, ci ha conservato il discorso di Gesù a Cafarnao, che è conosciuto come la “promessa dell'Eucaristia”. I discepoli dovettero certamente ricordarsi di quella promessa durante la celebrazione dell'Ultima Cena.
a) Nel discorso a Cafarnao, dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù aveva detto:
“lo sono il pane vivo disceso dal cielo. Se qualcuno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Giovanni 6,51).
E'  comprensibile  l'immediata reazione dei Giudei che, scandalizzati, disputavano tra loro: “Come può dare in cibo la sua carne?” (Giovanni 6,52). Avevano capito, anche se in modo assai materiale, il realismo delle parole di Gesù. Il quale, rispondendo o piuttosto continuando il suo discorso, non ritratta né addolcisce le sue espressioni:
“In verità, in verità vi dico, se non mangiate la carne del Figlio dell'Uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda” (Giovanni 6,53-55).
b) A scanso, comunque, di equivoci e per far capire meglio il realismo della sua promessa Gesù aggiunge:
“E' lo Spirito che vivifica; la carne non giova a nulla” (Giovanni 6,i63). Come per dire: “I sensi e il ragionamento umano non possono far capire ciò che io dico. Solo lo Spirito può dare l'esatta intelligenza delle mie parole” (cf. Giovanni 14,26). Gesù fa appello al coraggio della fede, che è frutto gioioso dello Spirito. A nulla valgono i sofisticati ed orgogliosi ragionamenti dell'uomo carnale.
Gesù dunque non ritratta la sua dichiarazione su una reale equivalenza tra la sua carne e il suo sangue e il cibo e bevanda che egli avrebbe dato ai suoi discepoli affinché avessero la vita. Tuttavia non approva l'interpretazione carnale, che i Giudei di Cafarnao (i cafarnaiti) avevano dato alle sue parole. Non sarà la sua carne grondante sangue che egli avrebbe dato in cibo e bevanda. Solo l'uomo carnale, senza lo Spirito di Dio, poteva immaginare tali cose.
c) Ma l'esigenza di Gesù di accettare la realtà della sua carne come cibo e del suo sangue come bevanda non trovò i suoi uditori disposti a fare la scelta coraggiosa. “Molti si tirarono indietro e non andavano più con lui” (Giovanni 6,66). I Dodici, comunque, e tanti altri con loro e dopo di loro hanno protestato la loro fede con la dichiarazione chiara e coraggiosa: “Signore, a chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Giovanni 6,68).
Solo la fede accetta la reale presenza del Corpo e Sangue di Cristo nel pane e vino consacrati. Credere vuol dire aderire con coraggio a ciò che dice una persona degna appunto della nostra fede, anche se i sensi non percepiscono e gli occhi non vedono. E nessuno merita tanto la nostra fede quanto l' Emmanuele, ossia Dio presente nell'uomo Gesù, che è la Verità, il Testimone fedele e verace, la Parola di Dio (cf. Giovanni 14,6, 1,1; Apocalisse 3,14).
La Santa Messa
Nel raccontare come si svolsero i fatti nell'ultima Cena del Signore sia Paolo che Luca ci hanno conservato alcune parole di Gesù molto significative:
“Fate questo in memoria di me” (Luca 22,19). “Fate questo in memoria di me  Tutte le volte che lo bevete, fate questo in memoria di me” (1 Corinzi 11,24-25).
E' chiaro che Gesù si riferiva al futuro. Egli dava ai suoi discepoli il comando di ripetere anche durante la sua assenza, ciò che egli aveva fatto in quella memorabile Cena. E col comando conferiva anche il potere di compiere l'opera che egli aveva compiuto, vale a dire di perpetuare la sua presenza in mezzo ai suoi mediante il pane e il vino consacrati, e con la presenza anche il suo sacrificio.
Il potere che Gesù conferiva ai discepoli comportava dunque anche un carattere sacerdotale. Coloro ai quali era dato il comando di ripetere quella Santa Cena - possiamo dire quel rito - venivano costituiti anche sacerdoti. Non perché Cristo abbia dei successori, come il sacerdozio levitico presso l'antico Israele (cf. Ebrei 8,24; 7,11). Egli, Cristo, resta per sempre. Risorto da morte, rimane sempre vivo e possiede un sacerdozio che non tramonta (cf. Ebrei 7,24). Ma ha trovato il modo di esercitare il suo eterno sacerdozio mediante coloro che Paolo qualifica come “collaboratori di Dio” (1 Corinzi 3,9; 2 Corinzi 6,1).
I fedeli discepoli di Gesù capirono assai bene la volontà del loro Maestro e, a cominciare dai primissimi tempi dopo l'ascensione, si riunivano in assemblee liturgiche, ossia di servizio divino e di preghiera, per annunciare la morte del Signore mediante la celebrazione della Cena e comunicare col suo Corpo e col suo Sangue.
La testimonianza di san Paolo è chiara ed inequivocabile. Ai fedeli di Corinto egli ricordava con parole severe di celebrare convenientemente, ossia col massimo rispetto, la Cena del Signore: “Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più mangiare la Cena del Signore” (1 Corinzi 11,20).
Dal modo come l'apostolo si esprime è fuor di dubbio che nelle riunioni dei cristiani il punto centrale era la celebrazione della Cena del Signore. Questo avveniva sia con la parola, ossia ricordando quanto Gesù aveva fatto,   sia  col  rito, ossia ripetendo la Cena e comunicando al pane-Corpo e al vino-Sangue di Cristo. Ripetiamo: le riunioni dei primi cristiani avevano come punto culminante la celebrazione della Santa Cena.
L'esempio di Paolo (cf. Atti 20, 7-11)
Lo stesso Paolo osservava il comando di Gesù e celebrava la Cena del Signore, ossia la Santa Messa, durante i suoi viaggi apostolici. Un caso tipico è quello raccontato in Atti 20,7-11, anche per le circostanze straordinarie che l'accompagnarono.
“Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane e Paolo conversava con loro; poiché doveva partire il giorno dopo, prolungò la conversazione fino a mezzanotte. C'era un buon numero di lampade nella stanza al piano superiore dove eravamo riuniti; un ragazzo chiamato Eutico, che stava seduto sulla finestra, fu preso da un sonno profondo mentre Paolo continuava a conversare e, sopraffatto dal sonno, cadde dal terzo piano e venne raccolto morto. Paolo allora scese giù, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse. “Non vi turbate; è ancora in vita!”. Poi risalì, spezzò il pane e ne mangiò, e dopo aver parlato ancora fino all'alba, partì” (Atti 20,7-11).
 
Osservazioni:
a) Qui si tratta indubbiamente della Cena del Signore, ossia di una celebrazione eucaristica, accompagnata forse o inserita in una refezione ordinaria come probabilmente usavano fare i primi cristiani a Gerusalemme (cf. Atti 2,46). In effetti, l'espressione “spezzare il pane” (greco klasai arton) era divenuta per i cristiani la formula per indicare la Santa Cena.               Così si esprimono i sinottici nel racconto della istituzione (cf. Matteo 26,26; Marco 14,22; Luca 22, 19). In questo modo si esprime san Paolo in 1 Corinzi 10,16 dove parla certamente della Cena del Signore: “Il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il Corpo di Cristo?” (Vedere anche Luca 24,30).
b) La struttura della celebrazione corrisponde sostanzialmente a quella della Santa Messa, che perpetua nel tempo il sacro rito in conformità al comando del Signore (cf. 1 Corinzi 11,26). Vi era la liturgia della Parola indicata chiaramente dalla lunga conversazione di Paolo, che senza dubbio parlava del Signore e delle proprie esperienze missionarie, cose tutte che contribuiranno alla formazione del Nuovo Testamento. E vi era la liturgia eucaristica, i cui momenti essenziali sono indicati dallo spezzare il pane e dal mangiarne, ossia fare la Santa Comunione.
c) Possiamo anche precisare il tempo dell'anno e il giorno della settimana, in cui ebbe luogo quella celebrazione. Non si era nei giorni della Pasqua perché poco prima, al verso 6 dello stesso capitolo, lo storico Luca nota accuratamente che Paolo e i suoi compagni (tra cui lo stesso Luca) erano partiti da Filippi dopo i giorni degli Azzimi, ossia dopo la Pasqua, e raggiunsero Troade, dove avvennero i fatti che stiamo narrando, cinque giorni dopo. A Troade si trattennero una settimana. La Pasqua dunque era passata da parecchi giorni.
In quanto al giorno della settimana ci è detto esplicitamente che quel rito di “spezzare il pane” avvenne “nel primo dei sabati”, ossia il primo giorno dopo il sabato, che è il primo giorno della settimana ebraica. Quel giorno, per i cristiani, era divenuto “giorno di assemblea” (cf. 1 Corinzi 16,2), in ricordo della risurrezione del Signore (cf. Matteo 28,1). Fin dai tempi antichissimi veniva chiamato “il giorno del Signore”, dies dominicus, ossia Domenica (Cf. infra, pp. 59-63).
Paolo dunque celebrò a Troade la Santa Messa la domenica dopo il suo arrivo, molti giorni dopo la Pasqua.
d) Dalla stessa testimonianza di Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi possiamo ricavare un'altro importante particolare, vale a dire che la Cena del Signore non era celebrata una sola volta all'anno, ma molte volte. Scrive l'apostolo:
“Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è affatto un consumare la cena del Signore!” (1 Corinzi 11,20, Garofalo).
L'espressione greca, che corrisponde al quando, è “ogni volta che vi radunate”. E' chiaro che i primi cristiani non si radunavano “una sola volta” all'anno, (cf. Atti 2,44-47), ma più volte anche alla settimana. Dal modo dunque come si esprime l'Apostolo è fuor di dubbio che la celebrazione eucaristica non avveniva una sola volta all'anno, ma ogni volta che i veri discepoli di Cristo si riunivano in assemblea piccola o grande.
Alcune testimonianze più antiche
1 - Nel tempo che seguì la morte degli Apostoli, e poi sempre, i veri cristiani hanno continuato a celebrare la Cena del Signore, così come aveva comandato Gesù e come avevano fedelmente fatto i suoi immediati discepoli. Tra le testimonianze più antiche va ricordata quella della Didachè, detta anche Dottrina degli Apostoli, la cui composizione risale alla fine del primo secolo Era Cristiana ed è perciò quasi contemporanea del quarto vangelo e della Apocalisse:
“Ogni domenica, giorno del Signore, riuniti, spezzate il pane e rendete le grazie, dopo che avrete confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro. Chiunque ha qualche lite con il suo compagno, non si riunisca a voi prima che siano riconciliati, affinché non sia profanato il vostro sacrificio. Così infatti ha detto il Signore: " In ogni luogo e in ogni tempo, mi sia offerto un sacrificio mondo, poiché io sono un gran re, dice il Signore, e il nome mio è ammirevole tra le  genti”,
2. - Anche Ignazio, vescovo di Antiochia, morto martire a Roma nel 107,d.C., testimoniava che “l'Eucaristia è la carne del Salvatore nostro Gesù Cristo, quella carne che sofferse per i nostri peccati e che il Padre, nella sua bontà, risuscitò”. Per Ignazio il pane dell'Eucaristia è “farmaco d'immortalità, antidoto per non morire ma per vivere in Gesù Cristo sempre”. Vedendo approssimarsi il suo martirio scriveva: “Non mi compiaccio di un nutrimento di corruzione né dei piaceri di questa vita. Voglio pane di Dio, che è carne di Gesù Cristo, del seme di David; e come bevanda voglio il suo sangue, che è amore incorruttibile”.
3,. - Riportiamo ancora la testimonianza di Giustino, che come Ignazio finì la sua vita col martirio verso la metà del secondo secolo:
“Questo alimento noi lo chiamiamo Eucaristia Noi non lo prendiamo come un pane comune e una comune bevanda; ma come Gesù Cristo Salvator nostro, incarnatosi in virtù del Verbo di Dio, prese carne e sangue per la nostra salvezza, cosi il nutrimento, consacrato con la preghiera di ringraziamento formata dalle parole di Cristo e di cui si nutrono per assimilazione il sangue e le carni nostre, è, secondo la nostra dottrina, carne e sangue di Cristo incarnato. Gli Apostoli infatti, nelle loro Memorie dette Evangeli, tramandarono che Gesù Cristo lasciò loro questo comando: preso un pane e rese grazie Egli disse loro: Fate ciò in memoria di me; questo è il mio corpo; e preso similmente il calice e rese grazie, disse: Questo è il mio sangue; e a loro soli li offerse”
Fedeli amministratori
“Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede negli amministratori, è che ognuno risulti fedele” (1 Corinzi 4,1-2).
Queste parole dell'Apostolo possono essere fatte proprie dalla Chiesa Cattolica anche a riguardo dell'amministrazione della Santa Cena, che è uno dei più grandi misteri di Dio. Ha seguito e segue l'insegnamento e la prassi del divino Maestro e come gli Apostoli e i cristiani dei primi tempi dei cristianesimo crede ed insegna il carattere sacrificale della Santa Cena e la presenza reale del Signore nel pane e nel vino consacrati, pur nello sforzo legittimo di penetrare mediante lo Spirito la profonda realtà del mistero.
Riportiamo la professione di fede di Paolo VI: “Noi crediamo che la Messa, celebrata dal sacerdote che rappresenta la persona di Cristo in virtù del potere ricevuto nel sacramento dell'ordine, e da lui offerta nel nome di Cristo e dei membri del Corpo mistico, è il Sacrificio del Calvario reso sacramentalmente presente sui nostri altari. Noi crediamo che, come il pane e il vino consacrati dal Signore nell'ultima Cena sono stati convertiti nel suo Corpo e nel suo Sangue, che da li a poco sarebbero stati offerti per noi sulla Croce, allo stesso modo il pane e il vino consacrati dal sacerdote sono convertiti nel Corpo e nel Sangue di Cristo gloriosamente regnante nel Cielo; e crediamo che la misteriosa presenza del Signore, sotto quello che continua ad apparire come prima ai nostri sensi, è una presenza vera, reale e sostanziale (... ). Tale conversione misteriosa è chiamata dalla Chiesa, in maniera assai appropriata, transustanziazione.
Ogni spiegazione teologica, che tenti di penetrare in qualche modo questo mistero, per essere in accordo con la fede cattolica, deve mantenere fermo che nella realtà obiettiva, indipendente dal nostro spirito, il pane e il vino han cessato di esistere dopo la consacrazione, sicché da quel momento sono il Corpo e il Sangue adorabili del Signore Gesù .( ... ).
L'unica ed invisibile esistenza del Signore glorioso nel cielo non è moltiplicata, ma è resa presente dal Sacramento nei numerosi luoghi della terra dove si celebra la Messa”.
Osservazioni
 
I. - In questa professione di fede la prima verità è che “la Messa (...) è il Sacrificio del Calvario reso sacramentalmente presente sui nostri altari”. Qual è il senso di queste parole?
a) Non bisogna immaginare, anzitutto, che la Santa Messa sia un nuovo sacrificio di Cristo, il quale “si è offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti” (Ebrei 9,28). Ma è anche vero che “egli, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta (... ), è sempre vivo    per intercedere” a nostro favore (Ebrei 7,24-25;  cf. Romani 8,34).
Questo vuol dire che Gesù il Cristo interviene continuamente nella storia facendo dono di se stesso al Padre. Questa sua offerta, questo suo intervento salvifico, si esprime soprattutto, in modo ,diretto ed esplicito, nel memoriale da lui istituito, nella celebrazione cioè della Santa Messa. La quale perciò è una nuova presenza, un nuovo aspetto dell'unico sacrificio, quello cioè della Croce. Nella Santa Messa Cristo è la vittima, Cristo l'offerente, perché egli stesso ha trovato il modo di immolarsi mediante segni  (il pane e il vino)  e  col  ministero  di coloro ai quali egli disse: “Fate questo in memoria di me” (Luca 22,19: 1 Corinzi 11,24). Le Messe, anche se sono molte, ricordano, rinnovandolo in modo efficace cioè salvifico, l'unico sacrificio di Cristo, il suo impegno a salvarci.
b) Non è forse vero che gli uomini usano commemorare, ossia rendere in qualche modo presente, un fatto o evento storico di grande importanza? Gli Ebrei celebravano la Pasqua per ricordare, qua si per rinnovare, il grande evento della liberazione dal faraone (cf. Esodo, cap. 12; Deuteronomio, cap. 16). Era un ricordo che rendeva presente il grande evento con la sua carica religiosa e salvifìca. In modo analogo la Santa Messa non fa dimenticare il sacrificio della Croce; al contrario lo rende presente d'una attualità efficace per la salvezza di tutti gli uomini.
 
2. - “Noi crediamo che la misteriosa presenza del Signore (...) è una presenza vera, reale, sostanziale”. E' il linguaggio abituare della Chiesa Cattolica per precisare il modo, in cui essa crede presente la Persona del Signore nel pane e nel vino consacrati, escludendo errori ed equivoci.
a) Vera esclude una presenza meramente simbolica. Sarebbe troppo poco, anzi errato, dire che il pane e il vino sono simboli del Corpo e Sangue di Cristo. Facciamo un esempio. La freccia che un gruppo di scouts segna all'ingresso della foresta serve a indicare la loro presenza nella foresta. Ma gli scouts o il loro campo non sono nella freccia. Questo è solo un simbolo, un indice, della loro presenza.
 Non così il pane e il vino consacrati. Essi non indicano che Cristo è presente altrove. Presenza vera vuol dire che Cristo è là, nel pane e nel vino consacrati: non bisogna cercare altrove per trovarlo.
b) Reale esclude pure una presenza meramente simbolica o emblematica e allo stesso tempo mette in risalto che nel pane e nel vino consacrati vi è la Persona di Cristo che rinnova continuamente la sua offerta al Padre e si dona come reale nutri- mento al suoi discepoli per la preservazione e la crescita della loro vita soprannaturale. “La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda” (Giovanni 6,55).
c) Sostanziale infine vuol dire che il Signore Gesù non solo agisce mediante il pane e il vino consacrati per la salvezza dell'uomo, standosene lontano. No! Egli agisce di presenza. L'Eucaristia non è solo un canale della virtù santificatrice del Salvatore del mondo, ma è la stessa fonte della salvezza. Nell'Eucaristia Cristo dona se stesso.
Noi possiamo dire che i tre termini vera, reale e sostanziale hanno un identico significato di fondo e si rafforzano reciprocamente in una perpetua affermazione che Cristo è presente veramente, veramente, veramente nel pane e nel vino consacrati.
La transustanziazione
Per indicare questo modo di presenza del Signore, che non è meramente simbolico o emblematico o virtuale, la Chiesa Cattolica ha adottato la parola transustanziazione. Con questo termine si vuole indicare un mutamento sostanziale del pane e del vino, che vengono “transustanziati” nel corpo e sangue di Cristo morto e risorto.
Nell'Eucaristia non vi è nessuno spostamento locale del Corpo glorioso di Cristo assiso alla destra del Padre dopo l'ascensione. Restando quello che, è, il Signore glorioso si rende presente al posto di un'altra cosa, ossia del pane e del vino della loro sostanza - che solo muta. Certo rimane il mistero. Si tratta solo d'uno sforzo della mente umana, che trova il modo migliore per esprimere ciò che dice la Parola di Dio, ciò che dice la Bibbia, senza tradirla o minimizzarla o vanificarla. Per chi capisce, il mistero è una dimensione inseparabile della fede, della vera fede, che è accettazione di realtà invisibili sulla base della Rivelazione divina. Senza il mistero, la religione diventa un orgoglioso scientismo. Dicono i geovisti: Ma la parola “transustanziazione” non c'è nella Bibbia.
Si risponde :
a) Non c'è la parola, ma c'è certamente la cosa, la realtà soprannaturale che tale parola esprime con piena fedeltà alla Bibbia. In questo caso, la parola transustanziazione vuol esprimere l'autentico significato delle formule eucaristiche usate dal Signore: “,Questo è il i mio corpo, questo è il mio sangue”.
b) I geovisti usano tante parole che non sono nella Bibbia per diffondere i loro errori. Per esempio, dicono che il pane e il vino benedetti sono emblemi. Nella Bibbia non vi è la parola emblema. Come mai i geovisti non si fanno scrupolo di usarla? (Leggere Matteo 7,3-5).
 
PARTE SECONDA
L'ERRORE
Presenza reale
1. - L'errore:
“Il pane rappresenta il corpo carnale di Gesù. Il calice rappresenta il versato sangue di Gesù. Pane e vino benedetti sono emblemi del corpo, e sangue di Cristo”.
La verità:
Il verbo è (greco estìn) usato dai tre evangelisti ha un significato reale, non simbolico. Significa essere, non rappresentare. Ricordiamo la giustificazione biblica di questa spiegazione.
a) San Paolo rimprovera i cristiani di Corinto di essere colpevoli verso il Corpo e il Sangue del Signore. Questo rimprovero seguito dalla punizione divina non avrebbe senso, se quel pane e quel vino dopo la consacrazione continuassero ad essere ancora sostanzialmente pane e vino comuni con un rivestimento esteriore di simbolo (cf 1 Corinzi 11, 27-29).
b) Nella stessa lettera ai Corinzi (1 Cor. 10,16) l'apostolo afferma che il calice è una comunione col Sangue di Cristo e il pane consacrato è una comunione col suo Corpo. Comunione vuol dire unione con qualcuno o con qualcosa realmente presente. Se nel pane e nel vino della Santa Cena Cristo non fosse realmente presente, Paolo non avrebbe potuto parlare di comunione col suo Corpo e col suo Sangue.
c) Nel discorso della promessa (cf. Giovanni 6, 48-66, supra, pp. 23-24) Gesù dichiarò che avrebbe dato in cibo la sua carne e in bevanda il suo sangue. I Giudei diedero alle parole di Gesù un significato troppo reale, cioè carnale. Gesù corresse la loro interpretazione carnale, ma non negò che bisognava intendere la sua dichiarazione in senso realistico, non emblematico.
 
2. - L'errore:
Nella Bibbia leggiamo spesso frasi come queste.- “lo sono la via” (Giovanni 14,6); “lo sono la porta”  (Giovanni 10,7); “lo sono la vite” (Giovanni 15,1); “lo sono la luce del mondo” (Giovanni 8,12). Così pure nel Vangelo è detto: “Il seme è la parola di Dio” (Luca 8,1 1). In tutti questi casi e in tanti altri simili il verbo è (greco estìn) equivale a significa, ha cioè un significato emblematico. La stessa cosa deve dirsi delle formule eucaristiche.
La verità:
a) Negli esempi citati e in altri simili, Gesù non ha detto:  Questa via o questa porta o questa vite ecc. sono io. Non si è riferito cioè a una via o porta o vite ecc. determinata, specifica, limitata, escludendo le altre. Egli ha usato un linguaggio generico e ha detto: la via, la porta, la vite ecc. Questo dice chiaramente che egli voleva indicare la via (= qualunque via) ecc. come simbolo o emblema della sua persona. Il verbo è (estìn) equivale a significa.
Se Gesù avesse detto: “Questa via o questa vite ecc. sono io”, indicando una via o vite ben determinata a esclusione di tutte le altre, si potrebbe giustamente pensare a una sua presenza di diversa natura in una via o vite specifica, particolare, ben determinata. Il verbo è (estìn) conserverebbe il suo significato fondamentale, reale, e non quello simbolico.
b) Questo appunto è il caso delle formule eucaristiche. Gesù ha detto: Questo, cioè il pane che ho nelle mani, a esclusione di altro pane, è il mio Corpo. E così del vino. Questo modo di esprimersi non può indicare altro che tra lui e quel pane (e vino) vi deve essere un rapporto unico, reale, sostanzialmente diverso da ogni altro pane e vino.
 
3. - L'errore:
Nella frase biblica: “Quella Roccia era Cristo” (1 Corinzi 10,4) il verbo era ha un significato simbolico ed equivale a “significa”. Lo stesso deve dirsi del verbo è delle formule eucaristiche.
La verità:
a) Nella Bibbia dell'Antico Testamento sono gli scrittori sacri a usare l'immagine o simbolo della roccia - di qualunque roccia - per indicare che Jahve è un sicuro fondamento e sostegno o luogo di rifugio per il suo popolo. Jahve mai ha detto: “Questa roccia sono io”. Quando perciò gli scrittori sacri dicono: “Jahve è roccia” (cf. Deuteronomio 32,4; 2 Samuele 22,3; 23,3 ecc.) usano un linguaggio simbolico. il verbo è equivale a  “significa”.
b) In 1 Corinzi 10,4 san Paolo applica l'immagine della Roccia a Cristo. Le parole “quella roccia era Cristo” è lui che le dice, non Dio, non Cristo. E Paolo non aveva né il potere né l'ordine divino di cambiare una roccia nella Persona di Cristo.
Il verbo era della frase paolina, in questo contesto, non può non avere che un significato simbolico, come lo aveva negli scrittori dell'Antico Testamento, da cui Paolo prende il suo modo di esprimersi.
 
4. - L'errore:
Se il pane e il vino consacrati diventano carne e sangue di Cristo, Gesù faceva anche in modo che i suoi fedeli apostoli si rendessero cannibali mangiando letterale carne umana e bevendo letterale sangue umano, questo in violazione della legge che Dio aveva dato ai Giudei contro il bere o mangiar sangue. (Levitico 17:10.11).
La verità:
a) “Non c'è niente di nuovo sotto il sole” (,Qoèlet 1,9). I testimoni di Geova, accusando i veri cristiani di cannibalismo, ripetono la stessa grossolana calunnia dei pagani contro i cristiani dei primi secoli. La mentalità pagana, carnale e grossolana, non poteva elevarsi alla sublimità dei riti cristiani. Essi perciò, con chiara allusione alla Cena del Signore celebrata dai cristiani, fantasticavano calunniosamente di cannibalismo, di sacrifici umani ecc. I testimoni di Geova vanno collocati tra le file degli antichi pagani ignoranti e denigratori.
b) L'errore dei geovisti ripete pure l'errore dei Giudei di Cafarnao, a cui fu lo stesso Gesù a dare la risposta appropriata (cf. pp. 23-24). Egli li ammonì di non dare alle sue parole un significato letterale e carnale; ma non ritrattò ciò che aveva affermato, vale adire che la sua Carne è vero cibo e il suo Sangue vera bevanda (cf. Giovanni 6,55).
Il Signore non può ingannare anche se i sensi non aiutano a capire. Solo il coraggio della fede accetta ciò che dice il Signore. Simon Pietro e con lui moltissimi altri hanno protestato e protestano la loro fede nella Parola del Figlio di Dio (cf. Giovanni 6,68).
 
5. - L'errore:
a)  “Gesù non poteva né voleva dire che il pane diventasse suo corpo perché il corpo di Gesù supera di molto, le dimensioni della pagnotta del pane, che egli aveva nelle mani”.
La verità:
a) Gesù non disse che avrebbe dato in cibo il suo Corpo con le dimensioni naturali di un uomo adulto o di un bambino. La parola “corpo” non indica le dimensioni, ma la “persona”; e non sono le dimensioni che costituiscono la persona. L'uomo è persona, qualunque siano le sue dimensioni anche se minime come quelle di un neo-concepito. La formula “Questo è  il  mio  Corpo” equivale a: “Questo sono io”. Gesù voleva dire: “Con questo pane consacrato io do me stesso”.
b) Qualche immagine ci aiuta a capire. Il pane che noi mangiamo è sempre pane sia che ne prendiamo un boccone sia che ne consumiamo un intero filone. L'oro è sempre oro, qualunque siano le sue dimensioni. E' vero che nel caso dell'oro la quantità accresce il valore. Ma l'essere oro rimane identico, malgrado la quantità. E così pure nel caso del pane.
Nell'Eucaristia il valore salvifico - la nostra comunione col Corpo e col Sangue di Cristo (cf. 1 Corinzi 10,16) - non dipende dalla quantità del pane e del vino. Cristo dà tutto se stesso qualunque siano le dimensioni del pane e del vino.
 
6. - L'errore:
In Matteo 26,29 Gesù dice: “D'ora innanzi non berrò più di questo succo della vite, fino a quel giorno in cui lo berrò con voi, nuovo, nel regno del Padre mio”. Queste parole indicano che Gesù  si  riferì al  contenuto  del  calice  come a “questo succo della vite”, e ciò dopo aver detto “questo è il mio sangue”.
La verità:
a) Bisogna sapere o ricordare che nella Cena pasquale celebrata da Gesù secondo il rituale giudaico erano serviti quattro bicchieri o calici di vino. Gli evangelisti ne ricordano solo uno, - il secondo con precisione - sul quale Gesù disse le parole: “Questo è il mio sangue”. Di tutta la celebrazione pasquale gli evangelisti non dicono altro.
b) Descritto o ricordato solo quel gesto di Gesù, cioè la consacrazione del secondo calice, gli evangelisti ricordano qualche altra espressione di Gesù. Questa espressione, estranea alla Cena, sono appunto le parole ricordate in Matteo 26,29: “Non berrò ecc.”.
Queste parole non si riferiscono al vino del secondo calice consacrato, ma sono un riferimento a tutta la Cena. Finita la Cena, Gesù, mentre forse era fuori la sala, dice: “Non berrò ecc.”, cioè non celebrerò più con voi questo tipo di banchetto pasquale; infatti celebreremo insieme la nuova Pasqua, ossia staremo insieme nella gioia del Regno di Dio. La Cena pasquale, e in generale il banchetto, è un simbolo della gioia del paradiso o Regno di Dio (cf. Matteo 8,11; Luca 13,29; 22,30).
Anziché dire: Non celebrerò più questo tipo di Pasqua, Gesù dice: Non berrò più di questo succo della vite. il vino infatti era un elemento o componente essenziale della Cena.
c) A conferma di quanto detto finora sta il fatto che Luca ricorda questo particolare prima della Cena, cioè senza riferimento al vino del calice consacrato: “Venuta l'ora, Gesù si mise a tavola con gli apostoli e disse loro: Ho ardentemente desiderato di mangiare questa pasqua con voi, prima del mio patire. Vi dico infatti, che non la mangerò più finché essa non sì compia nel Regno di Dio” (Luca 22,14-15).
Luca non parla di succo della vite, ma di banchetto pasquale, e colloca le parole di Gesù prima della consacrazione del vino. Quindi le parole di Gesù: “non berrò ecc.” oppure “Non mangerò questa pasqua ecc.”, non si riferiscono al vino del calice consacrato, ma a tutto il festino pasquale, simbolo e prefigurazione del festino eterno, cioè del paradiso.
La Messa come sacrificio
1. - L'errore:
“Gesù offrì il sacrifìcio di se stesso una volta, non c'è mai bisogno che lo 'rinnovi' - Ebrei 9.24-28; 7:25; 27; 10-'11,12,14-18”.
La verità:
a) Nei testi citati dalla Lettera agli Ebrei l'autore sacro non fa nessun riferimento alla Santa Cena né per affermare né per negare il suo valore sacrificale. Non era sua intenzione parlare di queste cose. Egli concentra il suo argomento sul sacrifìcio della Croce per contrapporlo ai sacrifìci cruenti ,degli Israeliti dell'Antico Patto. Sarebbe perciò un abuso della Parola di Dio voler dedurre che nei testi citati vi sia una formale negazione della natura sacrificale della Santa Cena.
b) Nella Santa Messa non è rinnovato il Sacrificio della Croce nel senso che si offre a Dio un nuovo sacrificio. Cristo si è offerto sulla Croce una volta per tutte (cf. Ebrei 9,7-8) Egli tuttavia ha trovato il modo di essere sempre in mezzo a noi come sacerdote e vittima nel pane e vino consacrati, applicando gli effetti salvifici dell'unico sacrificio della Croce. (Cf. supra pp. 5-7 e 13-15).
 
2. - L'errore:
“Chi ne 'rinnova' di continuo il sacrificio non lo considera di valore maggiore dei sacrifici animali che si facevano sotto la Legge. - Ebrei 10,1-4”.
La verità:
a) La Santa Messa non 'rinnova' il sacrificio cruento del Calvario in senso numerico o quantitativo. Essa è lo stesso unico Sacrificio del Calvario “ricordato” (cf. i Corinzi 11,26) in una forma effettiva mediante la presenza del Signore nel pane e nel vino consacrati. La S. Messa in tanto ha valore in quanto è connessa col sacrificio della Croce: ad esso non aggiunge nulla, ma ne applica il valore saivifico attraverso il tempo.
b) Al contrario, i sacrifici che si facevano sotto la Legge erano indipendenti l'uno dall'altro: il valore salvifìco di uno era limitato e separato dal valore salvifico dell'altro o degli altri. L'autore della Lettera agli Ebrei puntualizza il contrasto tra i sacrifici antichi e quello unico e irripetibile di Cristo, non già tra il Sacrificio della Croce e la S. Messa.
 
3. - L'errore:
“Cristo è in cielo, non è portato quotidianamente nel sacrificio della messa. - Efesini 1:20,21; Ebrei 9:24”.
La verità:
a) Certamente Cristo è in cielo col suo corpo glorioso. Ma essere in cielo non vuol dire essere nella stratosfera, sulle nostre teste, come grossolanamente insinuano i tdG. Essere in cielo non va preso in senso spaziale, ma indica un modo di essere, e vuol dire che Cristo appartiene all'ambito del divino in contrapposizione alla “terra” come ambito del puramente umano.
b) Malgrado questa sua condizione o modo di essere invisibile egli ci ha assicurato di voler essere presente nel pane e nel vino consacrati con una presenza che ricorda in modo effettivo la sua azione salvifica mediante il sacrificio della Croce. Certo, è una presenza misteriosa, che non va accertata o misurata con un ragionamento meramente umano. “E' lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla” (Giovanni 6,63). Noi crediamo alla parola di vita del Figlio di Dio come hanno creduto i primi discepoli (cf. Giovanni 6,67-70), tra i quali c'era tuttavia Giuda. Nulla è impossibile a Dio! (cf. Luca 1,37).
 
4. - L'errore:
“Gesù disse: " Continuate a fare questo in ricordo di me , non in sacrificio. - Luca 22: 19”.
La verità:
Il punto è sapere che tipo di commemorazione o ricordo intendeva Cristo. Vi sono infatti vari tipi di commemorazione o ricordo. Si può commemorare una persona con un discorso in suo onore o con una lapide o con un monumento o anche con una visita al cimitero o al luogo del suo martirio ecc.
Gesù ha voluto e l'ha detto espressamente che il ricordo di Lui fosse fatto mediante un'azione, un gesto, un rito, ossia mediante la consumazione in un pasto comunitario, di natura prettamente religiosa, del pane-Corpo e del vino-Sangue.
San Paolo in questo tipo di commemorazione. vedeva il sacrificio proprio   dei cristiani, la comunione al Corpo e al Sangue del Signore, in contrasto coi sacrifici dei pagani e somigliante a quelli degli Israeliti (cf. 1 Corinzi 10,17-21).
 
5. - L'errore:
“Il sacrificio incruento non potrebbe rimettere i peccati. - Ebrei 9,11,12,22; Levitico 17:11”.
La verità:
Cristo ha rimesso i peccati mediante il sacrificio cruento della Croce. La S. Messa in tanto ha valore sacrificale, e quindi di rimettere i peccati, in quanto è connessa col sacrificio cruento della Croce. Nel pane e vino consacrati Cristo è presente come Sacerdote e Vittima, avendo egli trovato il modo misterioso di perpetuare l'azione salvifica del Calvario fino alla sua seconda venuta.
 
6. - L'errore:
“Gesù disse: "il mio sangue sarà sparso", non che fosse stato sparso.  Matteo 26:27,28; Luca 22:20”.
La verità:
a) Del pane-Corpo Gesù ha detto: “Questo è il mio corpo, che è dato (greco didòmenon), participio passato (Luca 22,19,). In 1 Corinzi è detto: “Questo è il mio corpo per voi, oppure, che è per voi (1 Corinzi 11,24). L'una e l'altra formula non indica un tempo meramente futuro, ma presente o appena passato. Parimenti in 1 Corinzi 11,25 san Paolo ricorda le parole del Signore nel modo seguente: “,Questo calice è la nuova Alleanza nel mio sangue”. Non si tratta di un'azione e realtà futura, ma presente o appena passata. Gesù iniziava allora la Nuova Alleanza'
b) Alla luce di queste chiare espressioni anche le formule parallele riguardanti il sangue in Matteo 2,6,27 e Luca 22,20 devono avere lo stesso significato, devono cioè indicare un'azione non meramente futura, ma presente o appena. passata, che si compie cioè mentre Gesù pronunzia quelle parole. Molti traduttori rendono Matteo 26,27 con “versato per molti” e Luca 22,20 “versato per voi”.
La Santa Messa: quante volte?
1. - L'errore: “E' ragionevolmente una celebrazione annuale, come lo fu la Pasqua, che si osservava a ricordo della liberazione recata da Geova a Israele.  Esodo 12:14,18; Levitico 23:4,5”.
La verità:
a) Ragionevolmente qui vuol dire: “secondo il ragionamento settario dei tdG”, non secondo il chiaro insegnamento biblico. Ma contro il ragionamento geovista vi è la inequivocabile affermazione dell'Apostolo che raccomanda ai fedeli di Corinto di celebrare dignitosamente la Cena del Signore “quando vi radunate insieme” (1 Corinzi 11,20). L'espressione originale greca significa sempre che vi radunate.
Ora è certo che i cristiani al tempo di san Paolo e in ogni tempo non si radunavano insieme una volta all'anno, ma assai spesso, specialmente nel giorno del Signore”, ossia la domenica (cf. 1 Corinzi 16,12; Atti 20,7; Apocalisse 1,10). Sempre in quelle riunioni celebravano la Santa Cena (,cf. Atti 20,7-9), quindi più volte all'anno.
b) Oltre alla Santa Cena, più volte all'anno, i cristiani fin dal tempo degli Apostoli celebravano anche la Pasqua una volta all'anno, nell'anniversario della risurrezione del Signore. E' l'antica Pasqua giudaica con un nuovo contenuto. I Giudei celebravano nella Pasqua la loro liberazione dalla schiavitù dei faraoni; i cristiani festeggiano nella Pasqua la loro liberazione dal peccato e dalla morte (cf. 1 Corinzi 5,7-8; Romani '5,25) in virtù della risurrezione del Signore.
Va notato infine che i tdG, mentre dicono che la Santa Cena deve essere celebrata una volta all'anno come la Pasqua, d'altra parte insegnano che la Pasqua è una festa pagana
 
2. - L'errore:
“Poiché l'antitipico Agnello Gesù Cristo morì il giorno di pasqua, il 14 Nisan, e poiché la notte dello stesso giorno egli istituì il pasto serale del Signore, il 14 Nisan di ciascun anno è il solo tempo scritturale per osservarlo”.
Là verità:
a) In nessuna parte della Bibbia è detto che la Santa Cena deve essere celebrata una sola volta all'anno il 14 Nisan. Gesù non assegnò alcun tempo per celebrare la Santa Cena. Egli disse soltanto: “Fate questo in memoria di me”. (Luca 22,19; 1 Corinzi 11,24). Da san Paolo poi sappiamo che i cristiani  celebravano la Santa Cena “sempre che si radunavano insieme” (1 Corinzi 11,20).
b) Lo stesso Apostolo celebrò la Santa Cena in una data che non era certamente il 14 Nisan (cf. Atti 2:9,5-12); e la Didachè c'informa che i primi cristiani celebravano la Santa Cena durante tutto l'anno, il giorno di domenica (cf. supra, pp. 26-30).
La comunione dei santi
1. - L'errore: Uno degli errori più nefasti dei tdG riguarda l'uso degli “emblemi del pane e del vino”, come essi dicono. A loro avviso, solo gli appartenenti alla classe dello “schiavo fedele e discreto”, ossia i santi o unti, che Geova ha destinato al comando per il tempo e l'eternità, possono cibarsi degli emblemi del pane e del vino. E' la comunione dei santi del “credo” geovista.
La verità:
a) La comunione dei santi non è la partecipazione agli emblemi del pane e del vino riservata arbitrariamente e arrogantemente ad alcuni privilegiati, ma la comunità di tutti i discepoli di Cristo, che formano un solo corpo (= comunità) senza sostanziali differenze tra loro. Questo insegna chiaramente san Paolo (cf. i Corinzi 12,12-27) e questo crede la Chiesa Cattolica. Tutti hanno il diritto di cibarsi del Corpo e del Sangue del Signore.
b)  In effetti,  san Paolo  paragona  la  Santa  Cena  ai sacrifici di comunione degli Israeliti: “Guardate Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con l'altare?” (1 Corinzi 10,18). Ora è assolutamente certo che gli israeliti partecipavano tutti con eguale diritto alla consumazione o comunione delle vittime, erano in comunione con l'altare (cf. 1 Corinzi 10,18). Perché i cristiani, che formano l'Israele di Dio (cf Galati 6,16) e che hanno il loro sacrificio nella Santa Cena, devono essere da meno dell'Israele secondo la carne?
c) Ma vi è molto di più. San Paolo insegna che l'effetto della Santa Cena consiste nel fare di tutti i credenti in Cristo un solo corpo, ossia una perfetta comunità: “Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo: tutti (greco pantes) partecipiamo all'unico pane” (1 Corinzi 10,17). E' assurdo pensare che Cristo abbia cambiato idea al tempo di Rutherford, nel 1935, creando nella sua comunità un deprecabile razzismo.  “Gesù, Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine” (Ebrei 13,-8-9).
d) Il pensiero di Paolo è in perfetta armonia con quello di Gesù, che nel discorso della promessa (cf. supra, pp. 23-24) era stato estremamente esplicito sulla necessità che tutti si cibassero della sua carne e del suo sangue: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (Giovanni 6,53). Gesù non parla di una vita eterna in cielo per alcuni, e di una vita eterna sulla terra per altri. San Paolo dirà: “Una sola speranza alla quale siete stati chiamati” (Efesini 4,4).
 
2. - L'errore:
Insistono i geovisti: solo i santi possono ricevere gli emblemi del pane e del vino. Fanno male i cattolici che, benché pieni di difetti e di peccati, fanno la comunione con tanta frequenza.
La verità:
a) Abbiamo già spiegato come, secondo la Bibbia (cf. 1 Corinzi 12,12-27), comunione dei santi non vuol dire che solo alcuni privilegiati, che si autodefiniscono santi, possono ricevere gli emblemi del pane e del vino. Nella Bibbia sono chiamati santi “tutti i battezzati” (cf. 1 Corinzi 1,2; 2 Corinzi 1,1; Colossesi 1,2; Filippesi 4,21-22 ecc.) perché tutti sono stati purificati da Dio, mediante un unico battesimo dì acqua e di Spirito (cf. Giovanni 3,5; Efesini 5,,26-27; Tito 3,5).
b) Tuttavia la purificazione, conferita dal battesimo non significa perfezione. Rimane la debolezza della carne, ossia della natura umana ferita dal peccato di Adamo (cf. Romani 5,12; 7,14-25). San Paolo, benché battezzato (cf. Atti 9,13), diceva  di Se stesso: “Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi   sforzo di correre per conquistarlo...” (Filippesi 3,12).
c) In questa lotta contro il male e le debolezze il Signore Gesù ci ha provveduto la medicina adatta, il nutrimento che veramente ci fortifica dandoci come cibo il suo Corpo e come bevanda il suo Sangue: “Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo Sangue, non avrete in voi la vita” (Giovanni 16,53).
 
3. - L'errore:
Le “altre pecore” non sono incluse nel “nuovo patto” stipulato con l'Israele spirituale né nel “patto (...) per un regno che Gesù fece con quelli scelti per partecipare con lui alla vita celeste, e quindi, appropriatamente, esse non prendono gli emblemi alla Commemorazione. - Luca 22,28-30”.
La verità:
a) Non vi è nella Bibbia nessuna affermazione che limiti il Nuovo Patto a una classe di privilegiati. Al contrario, Dio ha stipulato il Nuovo Patto con tutti i credenti in Cristo, come aveva stipulato l'Antico Patto con tutti gli Israeliti.
In effetti, nell'Antico Patto la circoncisione praticata su ogni bambino israelita otto giorni dopo la nascita (cf. Luca 1,59; 2,21) era il segno di appartenenza al popolo di quel Patto, all'Israele secondo la carne. Nel Nuovo Patto la circoncisione è stata sostituita dal battesimo (cf. Colossesi 2,11- 12), che aggrega: tutti coloro che lo ricevono alla comunità del Nuovo Patto, all'Israele di Dio (cf. Galati 6,16).
b) il patto dunque di cui parla Gesù (Cf - Luca 22,20; i Corinzi 11,23-25) non riguarda solo lo sparuto numero di 144.000 privilegiati. Gesù non distingue un regno celeste  da un regno di Dio sulla terra. Egli parla sempre di Regno, dell'unico Regno di Dio (o dei cieli), che promette a tutti coloro che perseverano con   lui: “Se con lui persevereremo, con lui anche regneremo” (2 Timoteo 2, 12). Vi sono stati e vi sono milioni di credenti in Cristo che hanno perseverato e perseverano con lui fino a essere “decapitati a causa della testimonianza di Gesù” (Apocalisse 20,4).
c) Va notato infine che le parole di Gesù: “Affinché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno” (Luca 22,29-30) non vanno riferite alla Santa Cena, come insinuano i tdG nella loro settaria spiegazione della Bibbia. Esse sono immagini abituali usate da Gesù e dai profeti per indicare la gioia e la pace, di cui godranno tutti i credenti in Cristo, nell'unico Regno di Dio, nella vita futura.

 
APPENDICE
Il Giorno del Signore
 
1. - Stando alle fonti bibliche, da noi analizzate precedentemente (cf. supra, pp. 26-30), la Santa Cena può essere celebrata in ogni giorno dell'anno. I veri cristiani, fin dai tempi apostolici, la celebravano, sempre che si riunivano (cf. 1 Corinzi 11,18), e le loro riunioni religiose non erano certamente tenute una sola volta all'anno, ma più volte anche durante la stessa settimana. L'autore degli Atti degli Apostoli ci informa che “Tutti coloro che erano diventati credenti (...) ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore” (Atti 2,44-46). Non pochi commentatori vedono qui un chiaro riferimento al rito eucaristico, che non veniva celebrato nel tempio, ma in qualche casa, e non era disgiunto da un vero pasto come risulta anche da 1 Corinzi 11, 20-34 .
Ma altre fonti bibliche ci fanno assistere a una progressiva, ma rapida evoluzione verso un giorno particolare della settimana, che non era il sabato, intorno al quale venne polarizzata l'attenzione e la vita stessa dei cristiani, soprattutto mediante la celebrazione della Santa Cena o Santa Messa.
 
2. - Una delle principali innovazioni introdotte dal Cristianesimo primitivo è la celebrazione della Domenica al posto del sabato. I cristiani dei tempi apostolici hanno abolito il sabato a favore della Domenica senza vedere in questo passaggio nessuna offesa contro il comandamento di Dio (cf. Esodo 20,8). L'hanno fatto certamente in forza d'una ispirazione dall'Alto, mediante la capacità che viene da Dio, “che ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera, ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita” ( 2 Corinzi 3,5-6).
La ragione di fondo di questa innovazione è il fatto che la Risurrezione del Signore, evento-base della Nuova Alleanza, avvenne “all'alba del primo giorno della settimana, passato il sabato” (Matteo 28,1).
 
3. - E' vero: in nessun passo del Nuovo Testa- mento sta scritto che invece del sabato si debba festeggiare la Domenica. Ma vi sono non pochi testi biblici che inducono necessariamente a questa conclusione.
a) E' significativo il fatto che il primo giorno della settimana, ossia la domenica, era dedicato alle riunioni religiose e liturgiche. In tali riunioni si facevano collette per i bisogni della comunità (cf. 1 Corinzi 16,1-2). Ed è pure significativo la menzione che di tale giorno fa l'autore degli Atti, che scrive: “A Troade ci trattenemmo una settimana. Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane e Paolo conversava con loro” (Atti 20,6-7). Perché la riunione non fu tenuta durante la settimana di permanenza di Paolo a Troade?
b) La denominazione di “Giorno del Signore” o semplicemente Domenica si incontra per la prima volta in Apocalisse 1,10. Giovanni ebbe la sua estasi “nel giorno del Signore”. “Rapito in estasi, nel Giorno del Signore, udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese” (Apocalisse
Commenta un biblista: “L'espressione giorno del Signore appare molte volte nell'Antico Testamento per designare un intervento particolare di Dio nella storia (...). Per i cristiani l'espressione giorno del Signore designa nello stesso tempo la commemorazione del trionfo pasquale e l’annunzio della parusìa che sarà la manifestazione piena e definitiva. Molto presto le comunità cristiane hanno celebrato cultualmente ogni domenica, questa commemorazione e questa attesa”.
c) L'antichità della Domenica come giorno festivo al posto del sabato è attestata anche dai più antichi scrittori cristiani. Nella Didachè o Dottrina degli Apostoli, che risale al principi del secondo secolo o alla fine del primo  è scritto: “Ogni domenica, giorno del Signore, riuniti, spezzate il pane e rendete grazie, dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro”. Nella Lettera di Barnaba, che va collocata attorno al 1301 viene anche dichiarato il motivo per cui i cristiani celebrano “con gioia” l'ottavo giorno, cioè il primo della nuova settimana, la Domenica: perché in questo giorno “Gesù è risorto da morte”
Attorno all'anno 107 il vescovo martire Ignazio di Antiochia testimonia che i cristiani “non osservano il sabato, ma impostano la loro vita in base alla domenica”. E intorno al 155 il filosofo e martire Giustino racconta:
“Nel giorno che prende il nome del sole tutti coloro che abitano nelle città e nei villaggi si radunano in un luogo per celebrare l'Eucarestia  Noi tutti insieme ci diamo appuntamento la Domenica perché è il primo giorno in cui Dio (...) ha creato il mondo, e ancora perché Gesù Cristo, nostro Redentore, in questo giorno è risorto da morte” .
 
4. - Né vale l'obiezione che fanno alcuni, dicendo che la Chiesa ha abolito il comandamento di Dio: “Ricordati di santificare il sabato” (Esodo 20,8).
In effetti, la Chiesa ha fatto ciò che il Signore ha detto di sé: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti. Sono venuto non per abolirli, ma per portarli a compimento” (Matteo 5,17). La Chiesa adempie, perfeziona e porta a compimento il comandamento del Signore, consacrando a Dio per buone ragioni non il settimo, ma il, primo giorno della settimana.
 Poiché il Signore è risorto nel primo giorno della settimana come glorioso vincitore del peccato e della morte, la Chiesa confessa ininterrottamente, festeggiando la Domenica, che Cristo ha realizzato una nuova creazione e ha istituito nel suo sangue una Nuova Alleanza, di cui l'Antica era solo ombra e  figura.
“Ecco io faccio nuove tutte le cose. Queste parole sono certe e veraci” (Apocalisse 21,5). “Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Corinzi 5,17).