PADRE NICOLA TORNESE
PICCOLA COLLANA
"I TESTIMONI DI GEOVA"
 
 
Uomini di serie B Vivi o morti? Geova chi era costui? E' prossima la fine.. E voi chi dite che...
Bibbia sangue e medicina La croce E  le croci La Madonna contestata Trinità Amore o falsità? Pietro e la Pietra
Bibbie a confronto Immagini e Santi Il Natale festa pagana... Regno di Dio o... .? Appello a Cesare
Battesimi e Battesimo Inferno La Cena del Signore Purgatorio Paradiso
Con quale autorità? Risurrezzione La Crocifissione   INDEX
 
INFERNO
 
 
 
OPUSCOLO   N° 17
PICCOLA COLLANA
 
"I TESTIMONI DI GEOVA"
 
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Padre Nicola Tornese
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PRIMA PARTE
SIGNIFICATO DELLE PAROLE
 
Con la guida dei migliori dizionari biblici diamo anzitutto i significati di alcuni termini o parole attinenti al nostro problema. E' una precisazione doverosa a motivo soprattutto della confusione che i testimoni di Geova (tdG) creano nella mente di chi li ascolta, equivocando per malafede o ignoranza sui diversi significati che lo stesso termine o parola può avere e di fatto ha nella Bibbia secondo il contesto. Esamineremo in seguito alcuni casi di questo equivoco geovista.
Sceol
1 - Il termine Sceol lo si incontra nei libri dell'Antico Testamento. Il suo significato fondamentale è quello di “soggiorno o regno o dimora o regione dei morti”, dove gli Ebrei immaginavano che si radunassero tutti i defunti, buoni e cattivi i Refaim.
“Questa parola (Sceol) designa nell'A.T. la dimora dei morti, concepita come un luogo oscuro (cf. Giobbe 10, 21 ss.) e situato al di sotto dell'oceano (cf. Giobbe 26, 5), che dietro le sue 'porte' (cf. Isaia 38, 10; Giobbe 38, 17) racchiude per sempre (cf. Giobbe 7, 9 ss; 16, 22; Ecclesiaste 12, 5) tutte indistintamente (cf. Salmo 89, 49) le 'ombre' dei trapassati (cf. Isaia 14, 9)”.
Osservazioni:
a) E' dunque fuor di dubbio che gli Ebrei, molto tempo prima di Gesù Cristo, credevano nella sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte. Lo Sceol non significa “la distruzione completa” dell'uomo, ma “un modo di essere” dopo la morte. L'esistenza dell'uomo continua, anche se in modo diverso.
A conferma sta il fatto che agli Ebrei era severamente proibito non solo di consultare gli spiriti, di praticare cioè lo spiritismo, ma anche di evocare i morti (cfr. Deuteronomio 18, 11). Il comando divino riguardava sia gli spiriti sia i morti. Se esistono gli spiriti, devono esistere anche i morti, altrimenti la duplice proibizione divina non avrebbe senso.
E' perciò errato affermare che le parole dette da Dio ad Adamo: " Tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere sei e in polvere tornerai " (Genesi 3, 19) significano che Adamo quando morì “tornò in quello stesso stato di inesistenza in cui si trovava prima della creazione”. La Bibbia non dice questo. Lo dicono i tdG.
b) Con questa chiara dottrina biblica della sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte non contrastano le parole dell'Ecclesiaste (Qoèlet):
“I vivi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla, non c'è più salario per loro, perché il loro ricordo svanisce (...). Tutto quello che trovi da fare, fallo finché ne sei in grado, perché non ci sarà né attività, né ragione, né scienza, né sapienza giù negli ìnferi (Sceol), dove stai per andare” (9, 5.10).
Infatti:
- L'autore di Qoèlet non nega  la  sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte. Non dice: “stai per andare nel nulla”, ma “stai per andare nello Sceol” ossia nella “regione” delle “ombre”, dei “Refaim”.
- Egli si limita a descrivere la vita dell'aldilà secondo le idee del suo tempo (terzo secolo a.C.): una vita o modo di essere in forte contrasto con quella sulla terra. Senza attività, senza passioni, senza conoscenza. Non è comunque uno stato di inesistenza.
- In effetti, lo Sceol era immaginato come la fine delle attività terrene, anche della lode di Jahve (cfr. Salmo 6, 6), la fine della potenza e prepotenza umana, ma non dell'esistenza in modo assoluto. In Ezechiele 32, 17-32 sono passati in rassegna i re e i guerrieri caduti di spada, che giacciono impotenti nello Sceol; tuttavia continuano ad esistere. Isaia presenta gli abitanti dello Sceol in grande  agitazione all'arrivo del  re di Babilonia (cfr. Isaia 14, 9-20).In Giobbe è detto che “i Refrain tremano sotto terra” (26, 5). Tutto questo non si può conciliare con uno stato di inesistenza, di distruzione completa.
c) Parimenti non è contro la dottrina biblica della sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte un altro testo di Qoèlet che dice:
“La sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa; come muoiono queste muoiono quelli; c'è un soffio vitale per tutti. Non esiste superiorità dell'uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità. Tutti sono diretti verso la medesima dimora: tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna alla polvere. Chi sa se il soffio vitale dell'uomo salga in alto e se quello delle bestie scenda in basso?” (3, 19-21).
Infatti:
- Ciò che Qoèlet intende mettere in rilievo è la universalità della morte: ogni essere vivente sulla terra - uomo, bestia e anche pianta - è soggetto alla legge della morte. Da questo punto di vista, la sorte di tutti i viventi è, comune. Tutti sono diretti verso la terra o polvere, che è per tutti la medesima dimora.
- Ma da ciò non segue che dopo la morte vi sia per tutti il medesimo destino. L'autore esprime i suoi dubbi circa il destino dell'uomo a differenza di quello della bestia:
“Chi sa se il soffio vitale dell'uomo salga in alto?”. In seguito affermerà che l'uomo, e solo l'uomo, discende nello Sceol (9, 10). Infine ricorderà che lo spirito torna a Dio che l'ha dato (12, 7) e ammonisce: “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo per l'uomo è tutto. Infatti, Dio citerà in giudizio ogni azione, tutto ciò che è occulto, bene o male” (12, 13-14).
- E' lecito domandarsi: com'è possibile che l'uomo sia citato in giudizio, se con la morte piomba nel nulla? In uno stato di inesistenza? Notate che Qoèlet non parla di un vago ricordo di Dio, che darebbe ai morti una seconda vita in un futuro regno millenario, come insegnano i tdG. Egli si riferisce al giudizio di Dio sulle azioni dell'uomo alla fine di questa vita.
 
2 - In secondo luogo Sceol ha il significato di tomba o morte. Andare nello Sceol equivale alcune volte, secondo il contesto, a morire, a scendere nella tomba. Questo secondo significato è logicamente legato al primo, com'è comprensibile.
Cosi, per esempio, David nel suo testamento raccomanda al figlio Salomone di punire con la morte alcuni colpevoli. Dice Davide: “Non permetterai che la sua vecchiaia scenda in pace negli inferi (Sceol)” e “Farai scendere la sua canizie agli ìnferi (Sceol) con morte violenta” (1 Re 2, 6.9). In questo caso e in altri simili Sceol significa morte, o tomba e “scendere agli ìnferi” (Sceol) equivale a “morire”.
La comune tomba del genere umano
.Alla luce di questa dottrina biblica appare evidente quanto sia equivoca la definizione che dello Sceol danno i tdG, quando dicono che lo Sceol “è la comune tomba del genere umano”.
Riflettete:
- Stando alle parole usate dai geovisti la cosa più ovvia sarebbe immaginare lo Sceol come “una immensa fossa o tomba”, dove vanno a finire le ossa di tutte le creature umane. Sono miliardi! Ma non è questo il pensiero dei tdG.
- Si potrebbe anche legittimamente pensare che la frase geovista desse allo Sceol il significato di morte, nel senso che tutti dobbiamo scendere nella tomba, ossia morire, come abbiamo appena spiegato. Ma neppure questo intendono dire i geovisti.
- Scoprendo a poco a poco le carte, i tdG vorrebbero farvi credere che “tomba comune del genere umano” equivalga a “distruzione completa”, al passaggio cioè dalla vita alla non-esistenza. Nulla è più contrario alla Bibbia, come abbiamo già provato e come proveremo ancora meglio appunto con testimonianze bibliche.
- E' vero che i geovisti, nello sforzo di convincervi dell'errore, vi parlano del dopomorte come di uno stato inconscio. Ma poi spiegano (e convincono gli ignoranti) che “stato inconscio” significa “non-esistenza”. A loro avviso, colui che dorme, che è cioè in uno stato inconscio, è senza vita, non-esistente!
Ma chi ha un po' di senno pensa ed obietta: “Non è possibile che il sonno sia uno stato, un modo di essere, migliore della vita attiva? Colui che dorme non è forse libero dalle sofferenze fisiche e morali, che la vita di chi è sveglio necessariamente comporta? Non è forse il sonno un ristoro, un tempo di pace? Sapientemente i discepoli fecero notare a Gesù in una circostanza ben nota: “Signore, se l'amico Lazzaro si è addormentato, guarirà” (Giovanni 11, 12).
 
3 - Un terzo significato di Sceol connesso coi due precedenti è quello di potenza invincibile, la potenza appunto della morte e della caducità di tutte le cose. E' una potenza diabolica, dopo il peccato (cf. Romani 5, 12). Diceva Giobbe: “Come siccità e calore assorbono le acque nevose, così lo Sceol (la morte) rapisce il peccatore” (24, 19).
Sotto questo aspetto, Isaia paragona lo Sceol a un mostro, che apre le fauci per divorare, “spalanca senza misura la bocca. Vi precipitano dentro nobiltà e popolo” (5, 14). L'uomo nulla può fare contro questo mostro, ma Jahve ha potere anche sullo Sceol (cf. Osea 13, 14).
 
4 - Sinonimo di Sceol è, nell'Antico Testamento, la parabola Abaddon, che ha quindi gli stessi significati, secondo il contesto. In Giobbe 26, 6 Abaddon significa “la regione dei morti”, come Sceol che l'accompagna; altrove indica la “morte” (Giobbe 28, 22), altrove “la tomba” (cf. Salmo 88, 12; Proverbi 15, 11).
Abaddon come Sceol non ha mai il significato di “completa distruzione”, bensì quello di rovina o perdizione: distruzione della vita e dei beni presenti, ma non distruzione assoluta, passaggio alla non-esistenza.
 
Ades
Nel Nuovo Testamento l'ebraico Sceol ha come corrispondente il greco Ades, che come Sceol può avere diversi significati:
1 - Ades anzitutto significa “la dimora o soggiorno o regno dei morti”. Così in Atti 2, 31 dove leggiamo: “Questi (Gesù) non fu abbandonato nell'Ades né la sua carne vide la corruzione”. Qui san Pietro adatta alcune parole del Salmo 16, 8-11 e spiega come Cristo dopo la morte non rimase nella “regione dei morti” (Ades), ma risuscitò senza che ìì suo corpo subisse la corruzione del sepolcro.
Non si tratta evidentemente d'una discesa di Cristo all'inferno propriamente detto, anche se alcune versioni traducono Ades con la parola inferno. Infatti “inferno”, dal latino “infernus”, può avere anche il significato di “soggiorno dei morti”, ossia di Sceol o Ades come spiegheremo dopo.
Tuttavia, a differenza di ciò che credevano gli antichi Ebrei, l'Ades (o Sceol) non custodirà per sempre i suoi morti (cf. Apocalisse 20, 13). Questa è una novità rispetto all'A.T., dovuta al fatto che - come tutti sanno - la Rivelazione, specie circa il destino dell'uomo dopo la morte, è stata fatta progressivamente, e raggiunse il suo culmine nella predicazione del Figlio di Dio.
 
2 - Un secondo significato di Ades nel N.T. è quello di “potenza o forza ineluttabile o di caducità di tutte le cose”, ossia di “morte”.E' la potenza della morte contro cui l'uomo nulla può fare. San Paolo, per esempio, traduce Osea 13, 14 usando la parola morte, che corrisponde a Sceol in Osea: “La morte (Sceol in Osea) è stata ingoiata per la vittoria” 1 Corinzi 15, 54; cf. Isaia 25, 8). L'Apostolo vuol dire che la morte (Sceol, Ades) è stata vinta da Cristo, autore della vita (cf. Atti 3, 15). Egli, il Risorto, “ha il potere sopra la morte e sopra l'Ades” (Apocalisse 1, 18).
Identico significato in Matteo 16, 18,   dove Cristo assicura i suoi discepoli che “le porte dell'Ades non prevarranno  contro la sua Chiesa. Egli vuol dire che la potenza distruggitrice della morte o della caducità di tutte le cose non avrà alcun effetto negativo sulla sua Chiesa ancorata su Pietro.
 
3 - Qualche volta Ades nel N.T. indica lo stato o condizione di pena dei malvagi. Tale è il caso del ricco cattivo che subito dopo la morte va nell'Ades tra i tormenti (cf. Luca 16, 23), mentre Lazzaro, povero e buono, passa in uno stato di gioia.
Abbiamo qui un'altra novità rispetto all'A.T., ossia una migliore conoscenza circa il destino dell'uomo subito dopo la morte. Mentre, infatti, lo Sceol degli antichi Ebrei raccoglieva tutti i morti, buoni e cattivi, nel N.T. i malvagi hanno in sorte la sofferenza, i tormenti, ma ai buoni è riservata la felicità.
Sceol e Ades nelle traduzioni
Le precisazioni che seguono sono necessarie per sventare gli equivoci geovisti, che sono molti e gravi, come apparirà nella Terza Parte.
1 - Sceol. In alcune traduzioni è stata conservata la parola ebraica Sceol, che assume secondo il contesto uno dei significati indicati precedente. ente. In altre Sceol è tradotto con        “soggiorno o regione o regno dei morti” oppure “altro mondo”, oppure “tomba”. Più spesso è reso con “ìnferi” e alcune volte con “infernus” e “inferno”. Questi ultimi due termini (infernus, inferno) meritano precisazioni particolari per l'abuso o equivoco che ne fanno i tdG a danno sempre della verità di Dio.
a) Inferno (latino infernus) letteralmente significa “che sta sotto”, “inferiore” (in greco katòteros, cf. Efesini 4, 9). In quanto a concetto, inferno (e infernus) ha subìto una certa evoluzione. In molte religioni antiche “inferno” indicava il luogo o regione sotterranea, dov'erano relegati gli spiriti dei morti e anche gli dèi infernali.
Con questo significato, che corrisponde al primo significato di Sceol, si trova nella Bibbia detta Volgata (infernus) e anche in alcune traduzioni in lingue moderne: inferno in italiano, hell in inglese, Hólle in tedesco ecc. In tutti questi casi, quando cioè inferno o hell o Hólle traduce Sceol, non ha il significato di luogo (meglio stato) di eterno tormento per i malvagi. Inferno assume secondo il contesto uno dei significati di Sceol.
b) Con l'andare del tempo, a cominciare cioè dall'epoca dei profeti, gli Ebrei si posero il problema della diversa sorte dei buoni e dei cattivi dopo la morte (cf. Isaia 14, 9-20; 33, 14; 66, 24; Ezechiele 32, 33; Daniele 12, 2; Giuditta 16, 17; Siracide 7, 17), e assegnarono nella regione dei morti, cioè nello Sceol, un reparto speciale per i cattivi. Il Nuovo Testamento accetta e conferma questa fede (cf. Luca 16, 23).
Per indicare la sorte dei malvagi prevalse l'uso della parola “inferno” (inferno, enfer, hell, Hólle) che perciò venne ad avere due significati quello generico di “soggiorno dei morti” e quello specifico di “stato di pena” per i dannati (ossia di Geenna, cf. infra).
c) Oggi i traduttori della Bibbia preferiscono usare la parola “inferno” col significato specifico di “stato di pena” (Geenna). Ma in alcune traduzioni, specie del passato, inferno conserva il significato generico, ossia di “soggiorno dei morti” o di “pericolo di morte” (cf. Giona 2, 3) o di “potenza distruttiva della vita”. Prestare attenzione!
2 - Ades ha seguito la stessa sorte di Sceol. In alcune traduzioni è conservata la parola greca Ades, che in italiano diventa Ade, in inglese Hades, in francese Hadès. Altre volte Ades è reso con “mondo sotterraneo”, “regno dei morti”, “ìnferi”, “tomba” ecc.
Ma qualche volta è stato tradotto con la parola inferno.Così La Sacra Bibbia a cura dell'Istituto Biblico di Roma rende Atti 2, 31: “Né egli (il Messia) fu abbandonato nell'inferno (Ades)”. Identica traduzione in alcune Bibbie edite dalle Edizioni Paoline (EP). Ma in questi casi la parola “inferno” non indica lo stato di pena dei malvagi come falsamente insinuano i tdG (cf. infra, Terza Parte).
In tutti questi casi,   inferno  significa  “soggiorno dei morti”,  oppure  “morte”,  oppure   “tomba”, eccetto in Luca 16, 23, dove inferno (Ades) significa “stato di tormento”.
Geenna
1 - Nell'Antico Testamento Geenna ha due significati: uno letterale e uno simbolico.
a) Letteralmente Geenna vuol dire “valle dei figli di Hinnòn (ge-ben-Hinnòn)”, ed indica una valle a sud di Gerusalemme, che al tempo di alcuni re di Giuda divenne luogo di culti idolatrici. Ivi gli stessi re Achaz (736-721 a.C.) e Manasse (693-639 a.C.) sacrificarono i loro figli al, dio Moloch (cf. 2 Re 16, 3; 21, 6; 2 Cronache 28, 3; Geremia 7, 32).
Contro questi abomini tuonò la voce dei profeti in nome di Jahve: “Hanno costruito l'altare di Tofet, nella valle di Ben-Hinnòn, per bruciare nel fuoco i figli e le figlie, cosa che io non ho mai comandato e che non mi è mai venuta in mente” (Geremia 7, 31). Jahve maledisse quella valle e predisse che quel luogo avrebbe indicato punizione e sofferenza:
“Perciò verranno giorni - oracolo di Jahve - nei quali non si chiamerà più Tofet né valle di Ben-Hinnòn, ma valle della strage (...). I cadaveri di questo popolo saranno pasto agli uccelli dell'aria e alle bestie selvatiche e nessuno li scaccerà” (Geremia 7, 32-33).
In effetti, il pio re riformatore Giosia (640-609 a.C.) fece di quella valle un luogo impuro, dove venivano gettati i cadaveri dei giustiziati (cf. 2 Re 23, 10).
b) Sulla base di questi precedenti, la valle di Ben-Hinnòn divenne simbolo della futura punizione dei malvagi. Isaia, riferendosi ai tempi della futura restaurazione, intravede che quella valle offrirà ai veri adoratori lo spettacolo del castigo di Dio contro i ribelli:
“Uscendo (dal tempio), vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati contro di me (Jahve); poiché il loro verme non morirà, il fuoco non si spegnerà e saranno un abominio per tutti” 66, 24; cf. Marco 9, 48).
Questo testo di Isaia fu all'origine di una sempre più chiara designazione del luogo-stato di pena dei peccatori come “Geenna”. Su questa linea infatti continuò la letteratura apocalittica dei Giudei, che fece di quella valle in modo sempre più esplicito il simbolo della sofferenza dei malvagi dopo il giudizio finale (cf. Daniele 12, 2). La parola Geenna passò a indicare l'inferno propriamente detto.
 
2 - Nel Nuovo Testamento Geenna ha soltanto il significato simbolico di pena eterna dei ribelli dopo l'ultimo giudizio e “non è più localizzata nella valle a sud di Gerusalemme”.
a) I Giudei del tempo di Gesù conoscevano bene ciò che avevano detto Isaia, Geremia e la letteratura apocalittica in rapporto alla valle di Ben-Hinnòn; e quando Gesù parlava di Geenna, di fuoco inestinguibile ecc., non pensavano affatto a quella località a sud di Gerusalemme, ma unicamente a ciò di cui quella valle era divenuta simbolo.
Per farsi ben capire Gesù non solo usava le stesse parole dei profeti (cf. Marco 9, 47-48; Isaia 66, 24), ma precisava che il fuoco eterno della Geenna era stato preparato per il diavolo e i suoi associati (cf. Matteo 25, 41). E' chiaro che tale Geenna non poteva essere la valle a sud di Gerusalemme, dove solo per un tempo ben limitato nella storia furono bruciati i cadaveri dei giustiziati.
b) Nel N.T. la Geenna è sempre connessa con l'immagine del fuoco (cf. Matteo 5, 22; 18, 9; Giacomo 3, 6 ecc.); del fuoco inestinguibile (cf. Matteo 3, 12; Marco 9, 43 ecc.). L'immagine dei fuoco ricorre anche là dove la parola Geenna è sottintesa (cf. Matteo 3,10-12; 7,19; 18, 8-9; 25,41; Luca 3, 9-17).
Nell'Apocalisse l'immagine del fuoco si accompagna con quella dello zolfo e del lago o stagno (cf. Apocalisse 14, 10; 19, 20; 20, 9-15; 21, 8), che non è un'allusione alla valle di         Ben-Hinnòn, ma piuttosto all'ambiente del Mar Morto, triste ricordo della punizione divina di Sodoma e Gomorra (cf. Genesi 19, 23-25).
Altre immagini della Geenna sono quelle del verme roditore che non muore (cf. Marco 9, 46 = Isaia 66, 24), della prigione e della tortura (cf. Matteo 5, 29-30), del pianto e dello stridore di denti (cf. Matteo 8, 12; 13, 42-50; 22, 13; 24, 51; 25, 30), delle tenebre (cf. Matteo 8, 10-12; 22, 13; 25, 30; Giovanni 8, 12; 12, 44-46).
c) Altrove la grande verità biblica della Geenna è inculcata con espressioni più concrete e più comprensive come quelle dell'esclusione dal Regno di Dio, che è una comunità di gioia e di pace, di amore e di felicità'.
 Qui l'abbiamo voluto solo accennare per indicare che le immagini (fuoco, verme ecc.), proprie del giudaismo ai tempi di Gesù, devono essere prese per quello che sono, ossia come immagini, e non come affermazioni letterali.
Su questa base di indiscussa esegesi biblica appare quanto sia superficiale ed antibiblica l'affermazione dei tdG, secondo cui la Chiesa Cattolica insegnerebbe l'esistenza di un inferno di fuoco letterale, dove i dannati sarebbero arrostiti per tutta l'eternità. E' chiaro che né la Bibbia e tanto meno la Chiesa Cattolica ha mai detto o dice simili idiozia.
 
SECONDA PARTE
CHE COSA E' L'INFERNO?
Al di là delle immagini
Precisiamo, prima di tutto, che qui alla parola “inferno” diamo il significato di Geenna, usiamo cioè il termine “inferno” nel senso in cui comunemente s'intende, che è quello di “stato o condizione dei ribelli a Dio”.
a) Oltre dunque che con immagini (fuoco, zolfo, stagno di fuoco ecc.), la grande verità del destino definitivo dell'uomo indurito nel rifiuto di Dio ci viene inculcata nella Bibbia con espressioni più concrete, che aprono uno spiraglio per farsi un'idea di che cosa sia la Geenna, cioè l'inferno propriamente detto.
In san Luca leggiamo queste terribili parole di Gesù:
“Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità! Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel Regno di Dio e voi cacciati fuori” (13, 27-28). In Matteo 25, 34 Gesù dirà ai salvati: “Venite (..., ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo”; ma ai malvagi: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno”  (25, 41).
Fondamentalmente, dunque, e svestita dalle immagini, la condizione del peccatore indurito consiste nell'essere cacciato fuori del Regno, escluso dalla comunità del Re e dei salvati, ossia dei buoni.
San Paolo segue questa pista e afferma ripetutamente che coloro i quali non ubbidiscono al Vangelo non erediteranno il Regno di Dio (Cf. 1 Corinzi 6, 4-10; Galati 5, 19-21). Nella Lettera ai Filippesi 3, 19-20 assicura ai buoni “la patria nel cieli assieme a Cristo”, ma per i nemici della Croce di Cristo “la perdizione sarà la loro fine”. I peccatori saranno castigati con una rovina (non distruzione) eterna, lontano “dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza”                 (2 Tessalonicesi 1, 9).
Alla luce di queste e simili espressioni possiamo dire che, secondo la Bibbia, la Geenna è un modo di essere, un'esistenza radicalmente opposta al modo di essere, alla esistenza nel Regno di Dio. E' una esclusione, una lontananza dalla gloria del Signore Gesù e dalla compagnia dei giusti.
b) E che cosa sarà il Regno di Cristo e di Dio? (Cf. Efesini 5, 5).
Un barlume di questa futura realtà gioiosa ci è dato ancora dall'Apostolo là dove scrive: “Il Regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Romani 14, 17). Altrove san Paolo descrive le qualità del Regno con le parole: amore, pace, gioia, pazienza, benevolenza ecc., in forte contrasto con le opere della carne che sono:                 “fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizia, discordia (... ). Chi le compie non erediterà il Regno di Dio” (Galati 5, 19-22).
Si tratta di un barlume della futura realtà umana perché le parole dell'Apostolo si riferiscono direttamente alla vita dell'uomo ancora su questa terra, rinnovato o meno dallo Spirito, dentro cioè o fuori della comunità ecclesiale. Tuttavia la Chiesa “costituisce in terra il germe e l'inizio” del Regno nella sua pienezza. Tra la vita nel Regno su questa terra e quella piena dopo la restaurazione finale non vi è frattura o salto di qualità, ma rapporto di continuità come tra germe e frutto, tra inizio e compimento, tra imperfetto e perfetto (Cf. 1 Corinzi 13, 10).
Anche di questa pienezza del Regno la Bibbia scopre in qualche modo il velo, ma lo fa con immagini, di cui le più comuni sono quelle del banchetto e della luce (Cf. Luca 13, 29; 14, 14; Apocalisse 19, 9; Isaia 25, 6-9). Il Regno di Dio, nella sua futura realizzazione, sarà una gioiosa esistenza nella comunione con Dio e con i fratelli come in un banchetto perenne nella luminosità di un giorno senza tramonto: “I giusti risplenderanno come il sole nel Regno del Padre loro - (Matteo 13, 43).
c) Stando così le cose si può capire come, secondo la Bibbia, la Geenna, in quanto esclusione dal Regno, altro non è che la mancanza, la privazione, la perdita di tutto ciò che può rendere l'uomo veramente felice: amore, gioia, pace, bontà, fratellanza; e la presenza di tutto ciò che lo rende veramente infelice: libertinaggio, inimicizie, discordie, odio... Si può anche capire come sia possibile condannarsi alla Geenna fin da questa vita.
“Ho l'inferno nel cuore!”, disse l'innominato al buon Federico. La vita di quell'uomo era, infatti, tutta un intreccio di odio, ingiustizie, ipocrisie, crudeltà, nefandi delitti. Quando ci vide chiaro, riconobbe di avere scelto una vita infernale.
Così pure quando in una casa, in una famiglia, in un ambiente di lavoro non c'è armonia, rispetto, giustizia, ma piuttosto egoismo, sfruttamento, ingiustizia, odio, vendetta, si dice abitualmente. “Qui siamo in un inferno!”. Naturalmente nessuno pensa al fuoco che brucia materialmente, ma alla mancanza di tutto ciò che può far l'uomo felice come l'amore, la pace, la gioia. Sono pallide immagini della realtà infernale.
d) Quella finora descritta è chiamata nel linguaggio abituale dei cattolici pena del danno e consiste, come abbiamo detto, nella perdita o privazione del Regno di Dio, pienezza di giustizia e di pace, di amore e di gioia.
Ma nel linguaggio cattolico, con riferimento sempre alla Bibbia, si parla pure della pena del senso, che è indicata appunto nelle immagini bibliche soprattutto con quella del fuoco.
Che cosa significa questa immagine? Escludiamo assolutamente che si debba pensare a un fuoco materiale, che bruci eternamente le anime dei dannati! I tdG che attribuiscono alla Chiesa Cattolica tale insegnamento sono ignoranti (la base), in malafede (i dirigenti).
Per capire la pena del senso ricordiamo che il fuoco nella Bibbia è simbolo della santità di Dio nel suo duplice aspetto: attraente e terribile. Attira come irresistibile Amore che purifica (Esodo 19, 9-10; Isaia 6, 67), ma brucia o divora ogni impurità (cf. Deuteronomio 5, 25). Per coloro che hanno fatto la scelta del rifiuto e della ribellione, che non si sono purificati, il fuoco divino continua ad ardere, ma non attrae più né salva. Il malvagio indurito si strugge, soffre senza rimedio. La Bibbia esprime così che cosa può essere l'esistenza d'una creatura che, rifiutando di essere purificata dal fuoco, ne rimane bruciata .
e) Dov'è l'inferno?
Cominciamo col dire che nel Nuovo Testamento non troviamo nessuna “geografia” dell'aldilà (centro della terra, in fondo al mare, ecc.) come avviene in molti scritti dell'Antico Testamento specie del tardo giudaismo e anche del cristianesimo medievale (basti pensare alla Divina Commedia) e anche di alcune sette pseudo-cristiane del nostro tempo.
Quando gli scrittori del Nuovo Testamento parlano di Geenna o di “stagno o lago di fuoco e di zolfo” (cf. Apocalisse 20, 10-14; 21, 8), il luogo o paesaggio può essere la valle a sud di Gerusalemme dei tempi dei re Achaz o Manasse oppure quello del Mar Morto. Ma si tratta di immagini che non vanno prese alla lettera.
Ma se si pensa che l'inferno consiste nell'essere esclusi dalla gioia del Regno, in una vita senza bontà, senza bellezza, senza speranza, appare chiaro che l'essere qui o là è secondario. Dovunque il dannato si trovi, avrà l'inferno sempre con sé, come in una società o famiglia sana e gioiosa il malvagio è escluso o piuttosto si esclude dalla gioia e dalla pace degli altri.
Perdita non distruzione
La Geenna, dunque, non significa “la distruzione completa ed eterna” dell'uomo, come erroneamente affermano i tdG (cf. infra, Terza Parte). Le prove bibliche in contrario sono molteplici.
a) Già nell' A.T., i profeti intravedono come, dopo la morte, i malvagi andranno incontro a una sorte o retribuzione eterna, che è un modo di essere infelice e penoso. Isaia parla di “verme che non morirà e di fuoco che non si spegnerà'” (cf. 66, 24; 33, 14). Daniele poi è il primo esplicito messaggero di Dio circa il destino finale dell'uomo: “Molti di quelli che dormono nella polvere della terra sì sveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna” (12, 2). E' impossibile riferire questo linguaggio a uno stato di inesistenza o distruzione' completa. Per chi non esiste più, non vi può essere né verme né fuoco né vergogna né infamia eterna. C'è il nulla!
b) Ma è soprattutto nel N. T. dove la rivelazione di una esistenza penosa ed eterna dopo la morte si fa chiara. Sempre che nel N.T. si parla della sorte dei malvagi dopo la morte i termini che si usano indicano un cambiamento di stato o modo di essere, continuando nell'esistenza, non una distruzione completa. Gesù parla di gettare (greco bàllein) o di andare (greco èrchomai) nella Geenna (cf. Matteo 5, 29-30; 25, 46; Marco 9, 43). Parimenti Giovanni nell'Apocalisse (20, 10) dice che il diavolo fu gettato (greco bàllein) nello stagno di fuoco, dove assieme alla bestia e al falso profeta saranno tormentati giorno e notte pei secoli dei secoli. Senza un’esistenza, un modo di essere e di vivere, non si può essere tormentati.
In Luca 12, 4-5 Gesù dice: “Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far nulla (...). Temete Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare (greco embàllein) nella Geenna” (cf. Matteo 10, 28-31). A differenza dell'uomo che, dopo aver ucciso, nulla può fare verso un suo prossimo, il potere di Dio si estende anche dopo la morte dell'uomo. Egli può mandare nella Geenna. Su chi o su che cosa Dio esercita questo suo potere se dopo la morte l'uomo va incontro a una distruzione completa ed eterna?
Perciò quando nel passo parallelo di Matteo 10, 28-31 Gesù dice: “Temete piuttosto Colui che ha il potere di far perire (apùllumi) anima e corpo nella Geenna”, il pensiero è che l'uomo tutto intero può incorrere in una grave sciagura, in una tremenda rovina, non in una distruzione completa, anche dopo aver perso la vita terrena .
Dio è Amore (1 Giovanni 4, 8)
Fu lo Spirito Santo mandato dal Padre nel nome del Figlio a insegnare a Giovanni che Dio è Amore (cf. Giovanni 14, 16-21). Dio ha mostrato il suo amore fin da principio nella creazione, dando all'uomo il dono della libertà, che colloca l'uomo all'apice del creato, e lo fa simile a Dio (cf. Genesi 1, 27) e suo interlocutore. Senza la libertà l'uomo non è uomo.
Perciò Dio ha potuto dire all'uomo: “Vedi lo pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male;  poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio (...) perché tu viva (...)  Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu ascolti (...) altri dèi (...), io vi dichiaro oggi che certo perirete” (Deuteronomio 30, 15-18). L'uomo dunque può dire di no all'Onnipotente.
Ma anche di fronte al rifiuto aberrante dell'uomo, Dio rimane identico a se stesso e fedele. Egli è sempre Amore “perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Romani 5, 8; cf. 1 Timoteo 2, 4-6; 2 Timoteo 2, 13).
Ma l'uomo può dire ancora di no, può rifiutare per sempre l'amore di Dio.
Questo è l'inferno, ed esiste solo dalla parte dell'uomo perché è divinamente impossibile che Dio possa o voglia cooperare minimamente a tanta aberrazione.
E' bene perciò puntualizzare una verità spesso ignorata:
“Il Cristianesimo non è affatto una dottrina delle due vie, non mette cioè sullo stesso piano un 'paradiso' e un 'inferno' come due sbocchi possibili allo stesso modo. Anzi, per essere precisi. 'l'inferno' (…) in un certo senso non fa parte della escatologia cristiana. Per questa la storia degli individui e dell'umanità non ha due mète, ma una sola: la salvezza, il 'paradiso'...
Questa è la certezza del credente. Certezza che non cancella per i singoli, per ogni uomo,    per me stesso, la possibilità terribile e concreta di un totale fallimento. Forse all'inferno non c'è nessuno (...). ciò non toglie però la possibilità che io sia il primo a sperimentarlo. In ogni caso, se questo dovesse avvenire, non sarà per il giudizio di un Dio bisbetico e vendicativo; semmai per un 'auto-giudizio': all'inferno non si va, si resta come scelta radicale di tutta la vita” .
La Chiesa Cattolica ha ricordato che “Molto spesso gli uomini vivendo e morendo senza Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale”.
 
TERZA PARTE
ERRORI E VERITA'
 
In questa Terza Parte prenderemo brevemente in esame ciò che sull'inferno hanno scritto i tdG in due loro recenti pubblicazioni. Dividiamo la trattazione in due serie e riportiamo prima l'errore e subito dopo la verità biblica.
Prima serie
1 - L'errore:
“A MILIONI di persone è stato insegnato dalle rispettive religioni che c'è un luogo di eterno tormento chiamato "inferno". Vi andranno i cattivi. Secondo l'Encyclopaedia Britannica "la Chiesa Cattolica Romana insegna che l'inferno (...) esiste per sempre; le sue pene non avranno fine". Questo insegnamento cattolico, prosegue l'enciclopedia, "è ancora mantenuto da molti gruppi protestanti conservatori". Anche gli indù, i buddisti e i musulmani insegnano che l'inferno è un luogo di tormento. Non sorprende che spesso le persone a cui è stato insegnato questo dicano che, se l'inferno è davvero così brutto, preferiscono non parlarne” (p. 81).
La verità:
a) Non è esatto, anzi è errato, dire che la Chiesa Cattolica insegna che l'inferno sia un luogo come fanno gli indù, i buddisti, i musulmani. Ancora più inesatto ed erroneo è l'equiparare l'insegnamento della Chiesa Cattolica a quello degli indù ecc. (...). L'affermazione o insinuazione geovista va qualificata come denigratoria. Fa parte del loro metodo abituale, calunnioso e menzognero.
b) Se alcune persone preferiscono non parlare dell'inferno o negarne l'esistenza, mostrano di non conoscere o di non voler conoscere la Bibbia. Tra questi vanno annoverati i tdG.
Da parte sua la Chiesa Cattolica e tutti i veri cristiani non hanno paura di parlare dell'inferno, con piena fedeltà, alla Bibbia, anche se ad alcuni non piace ricordare questa terribile verità. Ne ha parlato Papa Montini nella Solenne Professione di Fede, il 30 giugno 1968, ricordando che :
“Andranno alla vita eterna coloro che hanno risposto all'amore e alla misericordia di Dio, e andranno nel fuoco inestinguibile coloro che fino all'ultimo vi hanno opposto il loro rifiuto”.
 
2 - L'errore:
Questo, suscita una domanda: l'Iddio Onnipotente ha creato un simile luogo di  tormento? Cosa pensò Dio quando gli israeliti, imitando i popoli circonvicini, cominciarono a bruciare i loro figli nel fuoco? Nella sua Parola egli spiega: "Hanno edificato gli alti luoghi di Tofet, che è nella valle del figlio di Innòm, per bruciare i loro figli e le loro figlie nel fuoco, cosa che io non avevo comandata e che non mi era mai salita al cuore" - Geremia 7: 31” (p. 81).
La verità:
a) Si tratta, come in tantissimi altri casi, d'una grossolana manipolazione della Parola di Dio, a danno sempre degli ignoranti. In effetti, nel testo citato di Geremia 7, 31, Dio condanna la nefasta pratica di bruciare creature innocenti in culti idolatrici. Questo abominio Dio non aveva mai condannato e mai gli era salito al cuore.
Ma sappiamo bene dalla Bibbia, che l'Iddio Onnipotente bruciò col fuoco gli abitanti di Sodoma e Gomorra perché colpevoli di gravi delitti (cf. Genesi 19, 23-24; Salmi 11, 6; 97, 3; Isaia 33, 14; Ezechiele 10, 2 ecc.).
b) Mentre i tdG ignorano o fingono di ignorare questi, e tanti altri testi biblici, hanno scritto: “La cristianità sta, per finire col fuoco. Se amate la vita, evitate la distruzione col fuoco che sta per abbattersi sui suoi sostenitori che fanno 'cordoglio' su di lei”. Come mai è salita al cuore di Geova l'idea di arrostire col fuoco cinque miliardi di creature umane solo perché non appartengono alla setta geovista?
 
3 - L'errore:
“Riflettete: se a Dio l'idea di arrostire qualcuno nel fuoco non era mai venuta in mente, vi sembra ragionevole che abbia creato un inferno di fuoco per quelli che non lo servono? La Bibbia dice che "Dio è Amore" (1 Giovanni 4. 8). Un Dio di amore tormenterebbe qualcuno in eterno? Voi lo  fareste? Sapendo che Dio è amore, dovremmo volerci  rivolgere alla sua Parola per vedere se esiste davvero l’inferno" come luogo di eterno tormento” (pp. 81-82).
La verità:
a) Riflettete: chi mai ha detto che l'inferno consiste nell'idea o volontà determinata di Dio di arrostire qualcuno nel fuoco? Questo la Bibbia non lo dice e tanto meno lo dicono coloro che leggono e capiscono la Bibbia con intelligenza ed amore alla scuola dell'unico Maestro Gesù Cristo, non de La Torre di Guardia.
Certamente Dio è Amore ed ha fatto e fa di tutto per dare a tutti gli uomini la vita eterna nel suo Regno. Ma se l'uomo usa male la sua libertà e si ostina nel rifiuto di Dio, è lui, l'uomo, che si crea il suo inferno.
b) A questo punto i tdG interpellano il lettore - ossia l'uomo - con le patetiche parole: “Voi lo fareste?” (il corsivo è loro). Riflettete: i tdG si vantano di seguire sempre la Bibbia come unica norma di verità, ma in questo caso mettono da parte la Bibbia e preferiscono il sottile ragionatore di questo mondo (cf. 1 Corinzi 1, 20). Hanno dimenticato la Parola di Dio che dice: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri” (Isaia 55, 8).
Quando perciò subito dopo aggiungono: “Dovremmo volerci rivolgere alla Parola di Dio per vedere se esiste davvero I"'inferno"”, rivelano il loro abituale doppio gioco. Se infatti dobbiamo volerci rivolgere alla Parola di Dio, che senso ha il voler sapere che cosa pensa l'uomo? Non è questa un'offesa alla Parola di Dio?
I tdG rimproverano gli altri “di fare filosofia”, quando gli altri, Bibbia alla mano, mettono a nudo i loro grossolani errori contro la Bibbia. Essi però non si fanno scrupolo di ricorrere al pensiero umano, “di fare cioè filosofia”, pur di oscurare le verità bibliche.
Sceol e Ades
4 - L'errore:
“Per indicare il luogo in cui vanno gli uomini quando muoiono, la Bibbia usa nelle Scritture Ebraiche la parola "Sceol" e nelle Scritture Greche "Ades". Che queste parole indichino la stessa cosa è evidente da un confronto fra Salmo 16: 10 e Atti 2: 31. Notate che, citando Salmo 16: 10, dove compare "Sceol", Atti 2: 31 usa "Ades" ("inferno", Edizioni Paoline (EP). Alcuni dicono che Ades sia un luogo di eterno tormento. Ma si noti che Gesù andò nell'Ades. Dobbiamo pensare che Dio tormentasse Cristo in un "inferno" di fuoco? No di certo! Quando morì, Gesù andò semplicemente nella tomba” (p. 82).
La verità:
a) Abbiamo spiegato nella Prima Parte quali siano i significati sia di Sceol sia di Ades. Preghiamo il lettore che cerca sinceramente la verità di tenere presenti quelle nozioni e di accertarsi sulla loro accuratezza con l'aiuto di dizionari biblici e di altri scritti di autori seri e competenti. “Accertatevi dì ogni cosa!” (1 Tessalonicesi 5, 21).
Alla luce di quelle spiegazioni il lettore onesto e sincero capirà subito quanto sia equivoca l'affermazione geovista: “Alcuni dicono che l'Ades sia un luogo di tormento eterno”.
Chi sono questi alcuni? E' un linguaggio molto generico che piace tanto ai tdG perché si presta facilmente alla menzogna e alla calunnia.
La verità è che Sceol e Ades non indicano un luogo di eterno tormento. Solo in un caso, ossia in Luca (16, 23), Ades equivale alla condizione di chi dopo la morte è separato da Dio.
b) A sostegno della loro insinuazione i tdG citano una Bibbia edita dalle EP (Edizioni Paoline). il lettore ha il diritto di domandare: Qual'è questa Bibbia? Infatti le EP hanno pubblicato più di una traduzione della Bibbia e non sempre Atti 2, 31 è reso con la parola “inferno”.
La verità è che quando alcune Bibbie, a cominciare dalla Volgata, rendono Atti 2, 31 con la parola “inferno” o “infernus”, non danno ad essa il significato di “inferno come stato (non luogo) di tormento”.
Perciò deve dirsi assurda e ridicola la domanda geovista: “Dobbiamo pensare che Dio tormentasse Cristo in un inferno di fuoco?”.
Il paragrafo seguente farà capire meglio le cose.
Discese agli “inferi”
Nel cosiddetto “Simbolo Atanasiano” i veri cristiani fanno la seguente professione di fede: “Patì per la nostra salvezza, discese agli ìnferi (ad inferos), il terzo giorno risuscitò dai morti”.
Qual è il significato di questa antica formula di fede?
a) Deve essere bandita, anzitutto, qualsiasi idea che Cristo sia andato ad essere tormentato tra i dannati. Anche se alcune traduzioni del simbolo rendono le parole “ad inferos” con “all'inferno”, tutti sanno ed ammettono che qui “inferno” non significa Geenna, ossia lo stato di pena dei peccatori induriti, ma “soggiorno dei morti”.
Il significato delle parole del Simbolo è che Cristo, dopo la sua morte, comunicò i benefici della redenzione ai milioni di creature umane decedute prima che egli offrisse la sua vita per la salvezza di tutti (cf. Marco 10, 45; Matteo 20, 28; 1 Timoteo 2, 5-6). Oppure che egli, dopo la sua morte e in virtù del suo valore redentivo, ha fatto conoscere la sua signoria da ogni creatura (cf. 1 Pietro 3, 18-19; Filippesi 2, 10; Apocalisse 1, 17-18).
E' perciò una grossa bestemmia dire che “almeno per qualche tempo, Gesù sia stato nell'inferno”, come hanno scritto i tdG , in piena contraddizione con la loro affermazione che stiamo analizzando.
b) Il senso è che Cristo rimase nella tomba, cioè nel regno dei morti (Ade), solo tre giorni a differenza di Davide (cf. ivi verso 29); dopo di che in virtù della potenza divina tornò in vita, risuscitò.
Cristo non poteva essere sotto il potere di satana perché il principe del mondo, cioè il diavolo, dopo la sua passione, non poteva avere alcun potere su di lui (cf. Giovanni 14, 30). In rapporto all'inferno Cristo poteva avere solo potere di giudizio e di condanna come un magistrato che, in base alla sua autorità di giudicare e di condannare, può recarsi, se vuole, anche nel luogo di pena, ma sempre in veste di giudice; mai per essere trattato come un condannato.
 
5 - L'errore: “Genesi 37: 35 parla di Giacobbe che faceva lutto credendo che l'amato figlio Giuseppe fosse stato ucciso. La Bibbia dice. "(Giacobbe) si rifiutava di essere confortato e diceva- 'Perché scenderò facendo lutto da mio figlio nello Sceol'. Fermiamoci un attimo. Lo Sceol era luogo di tormento?   Giacobbe credeva forse che il figlio Giuseppe fosse finito in un luogo del genere per l'eternità? Voleva raggiungerlo li? Non pensava piuttosto che il figlio diletto fosse morto, nella tomba, per cui voleva morire anche lui?” (p. 82).
La verità:
a) Fermiamoci un attimo: i veri cristiani mai hanno detto che Giacobbe nel suo dolore pensasse a un luogo di eterno tormento. Solo la fantasia settaria dei tdG può indulgere in tali immaginazioni per oscurare la Verità di Dio.
Le parole di Giacobbe: “Voglio scendere in lutto da mio figlio nella tomba (Sceol)”, equivalgono alla nostra frase: “Voglio piangere mio figlio fino alla, mia morte, voglio conservare il lutto per tutta la. vita”. Qui non c'entra affatto qualsiasi riferimento all'inferno. Giacobbe pensava che Giuseppe fosse finito nel ventre d'una belva!
b) Tutto il ragionamento sofisticato dei geovisti si può esprimere nel modo seguente:          “Giacobbe non poteva pensare che lo Sceol fosse un luogo di eterno tormento. Dunque l'inferno non esiste”. Il presupposto di tutto il sofisma è l'insinuazione che Sceol potesse significare           “luogo di eterno tormento”. Questo presupposto è falso'. Dunque tutto il ragionamento è falso e inconcludente.
6 - L'errore:
“Sì, anche i buoni vanno nello Sceol. Pensate per esempio a Giobbe, famoso per la sua integrità e fedeltà a Dio. Poiché soffriva molto, chiese aiuto a Dio. La sua preghiera si trova in Giobbe 14: 13: "Oh mi nascondessi tu nello Sceol, ... mi stabilissi un limite di tempo e ti ricordassi di me!. Riflettete: se lo Sceol fosse un infuocato luogo di tormento, Giobbe avrebbe espresso il desiderio di andarvi e rimanervi finché Dio non si fosse ricordato di lui? Chiaramente Giobbe voleva morire e andare nella tomba per porre fine alle sue sofferenze” (p. 82).
La verità:
L'equivoco continua. Sì, ai tempi di Giobbe non si aveva ancora l'idea dell'inferno. Nel Libro di Giobbe Sceol ha il significato o i significati, di cui ci siamo occupati nella Prima Parte, secondo il contesto. Nel testo citato (14, 13) Sceol vuol dire “scendere nella tomba”, “morire” e finire di soffrire. Questo Giobbe chiedeva a Dio. L'equivoco geovista consiste nel dare alla parola Sceol un significato che non ha e che nessun lettore attento della Bibbia ha mai dato alle parole di Giobbe (14, 13).
 
7 - L'errore: “In tutti i casi in cui ricorre nella Bibbia, Sceol non è mai messo in relazione con vita, attività e tormento. Al contrario, è spesso collegato con la morte e l'inattività. Per esempio, Ecclesiaste 9: 10 dice: "Tutto ciò che la tua mano trova di fare, fallo con la medesima potenza, poiché non c'è lavoro né disegno né conoscenza né sapienza nello Sceol, il luogo al quale vai. La risposta è quindi molto chiara. Sceol e Ades non indicano un luogo di tormento, ma la comune tomba del genere umano (Salmo 139: 8). Nello Sceol vanno sia buoni che cattivi” (p. 83).
La verità:
a) Sì, la risposta è molto chiara: in tutti i casi in cui ricorre nella Bibbia, Sceol non è mai messo in relazione col tormento. E allora, perché tanto parlare di esso come se fosse un luogo di tormento? “Servo malvagio, dalle tue stesse parole ti giudico” (Luca 19, 22). Perché insinui che la parola “inferno”, che in alcune Bibbie traduce Sceol, ha il significato di “luogo di tormento”? Non sarebbe onesto dire chiaramente che in quei casi la parola “inferno” non significa “luogo di tormento”? Non è un inganno insinuare il contrario?
b) Dal fatto, comunque, che Sceol non è messo in relazione con un luogo di tormento, non ne segue che non vi sia un “inferno” come stato di pena. La Bibbia non comprende solo gli scritti dell'Antico Testamento. Tante verità poco chiare o sconosciute agli Ebrei sono state insegnate da Gesù e dagli Apostoli. Tra queste il destino dei malvagi, come appare chiaro dal caso del ricco cattivo (cf. Luca 16, 23). Gesù poi parlò espressamente della Geenna, che nel linguaggio corrente è indicata con la parola “inferno”. L'abbiamo spiegato diffusamente nella Prima Parte.
8 - L'errore:
“Dall'inferno" si può uscire.
Si può uscire dallo Sceol (Ades)? Prendete il caso di Giona. Quando Dio lo fece inghiottire da un grosso pesce per salvarlo dall'annegamento, Giona pregò dal ventre del pesce: "Dalla mia angustia chiamai Geova, ed egli mi rispondeva. Dal ventre dello Sceol ("inferno", versione cattolica di Douay) invocai soccorso. Tu udisti la mia voce". - Giona 2: 2” (p. 83).
La verità:
a) Ancora equivoci, sempre, tanti equivoci nella penna geovista. Per sventarli, ricordiamo il caso di Giona con piena fedeltà alla Bibbia. Giona si venne a trovare nel ventre del pesce, ossia in grande pericolo di morte, nella morsa della morte, nelle grinfie della potenza della morte.
Ora - certamente ve ne ricordate - Sceol ha anche il significato di morte (cf. pp. 7-8). Qui non c'entra affatto l'“inferno” come luogo o stato di tormento!
In quelle tragiche  circostanze  Giona  si rivolse al Signore perché lo liberasse dalla morte: “Quando mi sentivo venir meno la vita, ho ricordato il Signore. La mia preghiera è giunta fino a te       ...” (Giona 2, 8). Si trattava dunque di pericolo di morte, non d'inferno come luogo d'eterno tormento. Giona uscì da quel pericolo sano e salvo, non dallo Sceol e tanto meno dall'inferno.
b) Per puntellare il loro contorto ragionamento i tdG citano la versione cattolica detta di Douay, che traduce Sceol con la parola hell (inferno): “I cried out of my affliction to the Lord, and he heard me. I cried out of the bell of hell, and thou hast heard my voice” (Giona 2, 3).
Questa citazione non ha alcun valore probativo. La Bibbia detta di Douay è stata tradotta nel 1609, ossia 378 anni fa. Allora, come del resto anche adesso, la parola hell (inferno) poteva avere (e può avere), secondo il contesto, anche il significato di morte o pericolo di morte. E' il terzo significato della parola ebraica Sceol (cf. pp. 7-8). E' chiaro che in Giona 2, 3 hell (inferno) ha appunto questo significato.
A conferma vale il fatto che le traduzioni odierne, eccetto qualche raro caso, traducono Giona 2, 3, senza usare la parola hell. Perché i geovisti non citano queste versioni più aggiornate nello stile?
 
9 - L'errore:
“Cosa voleva dire Giona con le parole "dal ventre dello Sceol" ("inferno", Douay)? Certo il ventre di quel pesce non era un infuocato luogo di tormento, ma sarebbe potuto diventare la tomba di Giona. Infatti Gesù Cristo disse riguardo a sé: “Come Giona fu nel ventre del grosso pesce tre giorni e tre notti, così il Figlio dell'uomo sarà nel cuore della terra tre giorni e tre notti”. - Matteo 12: 40” (pp. 83-84).
La verità:
a) Se il ventre dello Sceol non era un infuocato luogo di tormento, ma solo una potenziale tomba di Giona, il caso di Giona non prova che si possa uscire dall'“inferno”. Prova solo che Dio può liberare da una morte incombente. Qui l'inferno come stato di pena non c'entra affatto. Volercelo fare entrare equivale a ingannare, pur sapendo di ingannare.
b) Il caso di Gesù è molto diverso da quello di Giona. Gesù non venne fuori né dal ventre di un grosso pesce né da un pericolo di morte e tanto meno da un “luogo di eterno tormento”.
Gesù fa riferimento al caso di Giona non perché vi sia identità tra lui e Giona, ma solo per spiegare, mediante un'analogia, come egli dopo' tre giorni sarebbe certamente risuscitato. Come Giona effettivamente dopo tre giorni era stato liberato dal pericolo di morte, così egli dopo tre giorni sarebbe effettivamente tornato da morte a vita.
 
10 - L'errore:
“Gesù rimase morto nella tomba per tre giorni. Ma la Bibbia dice che "non fu abbandonato nell'Ades ("inferno", EP)... Questo Gesù ha Dio risuscitato" (Atti 2: 31, 32). Similmente, per comando di Dio, Giona fu tirato fuori dallo Sceol, cioè da quella che avrebbe potuto essere la sua tomba. Questo accadde quando il pesce lo vomitò sull'asciutto. Sì, si può uscire dallo Sceol! Infatti la rincuorante promessa contenuta in Rivelazione (Apocalisse) 20: 13 è che 'la morte e l'Ades (I"'inferno", EP) daranno i morti che sono in essi!'. Che differenza fra l'insegnamento biblico circa la condizione dei morti e ciò che hanno insegnato molte religioni!” (p. 84).
La verità:
a) Che differenza tra ciò che insegna la Bibbia con molta chiarezza e la grande confusione degli insegnamenti geovisti a danno sempre della gente ignorante!
Cominciamo col dire o col ripetere che il caso di Gesù non è simile a quello di Giona. Gesù andò veramente nel “regno dei morti” (Ades); Giona fu solo in pericolo di morte. Anche se qualche Bibbia edita dalle EP traduce Atti 2, 31 usando la parola “inferno”, non intende dire che Gesù sia andato nel ventre di un grosso pesce o la luogo di eterno tormento. Non sarebbe stato onesto fare questa precisazione? Né il caso di Giona, dunque, e tanto meno quello di Gesù è una prova che si possa uscire dall' “inferno”, come i tdG intendono dimostrare.
b) Ma a questo punto l'anonimo redattore del libro geovista tenta di fare un'abile sterzata. Mentre aveva iniziato dicendo: “Dall'inferno si può uscire”, ora conclude dicendo: “Sì, si può uscire dallo Sceol!”. Dunque, ci si può legittimamente domandare:  non  era  questione          dell'“inferno”, anche se qualche Bibbia usa la parola “inferno”! Dunque il termine inferno, che si trova nella Bibbia edita dalle EP, non significa “luogo di eterno tormento”!
c) Prendiamo atto, infine, della consolante promessa dell'Apocalisse 20, 13 che “la morte e l'Ades daranno i morti che sono in essi!”. Se queste parole, nella spiegazione che danno i geovisti, significano che dallo Sceol si può uscire, ne segue che con la morte l'uomo non torna in uno stato di inesistenza come insegnano gli stessi geovisti. E' vero dunque il contrario, e cioè che dopo la morte la vita dell'uomo continua come insegna la Bibbia e come sempre ha insegnato la Chiesa Cattolica.
Geenna e lago di fuoco
11 - L'errore:
“Ma qualcuno obietterà: 'La Bibbia però parla di fuoco dell'inferno e del lago di fuoco. Non è una prova che c'è un luogo di tormento?'. E' vero che alcune traduzioni della Bibbia, come quella di Eusebio Tintori, parlano di "fuoco dell'inferno" e dell'essere gettati "nell'inferno, al fuoco inestinguibile" (Matteo 18: 9; Marco 9: 44, 45). In totale nelle Scritture Greche Cristiane ci sono Il versetti in cui questa versione cattolica usa "inferno" per tradurre la parola greca Geenna. Mentre Ades non è altro che la tomba, la Geenna è davvero un infuocato luogo di tormento?” (p. 85).
 
La verità:
a) La prima cosa da precisare è che non solo la versione cattolica di Eusebio Tintori, ma molte altre versioni anche non cattoliche traducono la parola greca Geenna con “inferno”. La ragione è che nella lingua corrente (italiana, inglese, francese ecc.) la parola “inferno” significa principalmente lo “stato di pena dei dannati”, ed è usata abitualmente per tradurre Geenna.
b) Va pure precisato che a parlare di “essere gettati nel fuoco inestinguibile” non sono alcune traduzioni della Bibbia, come quella cattolica di E. Tintori. Infatti, di “fuoco che non si estingue” ne parla il testo biblico originale (cf. Marco 9, 48). Forse ai geovisti interessa gettare un po' di acqua sul fuoco ed insinuare che del “fuoco inestinguibile” parlano solo le versioni cattoliche. Ma si tratta d'una astuzia puerile, che non è difficile sventare.
 
12 - L'errore:
“E' chiaro che la parola ebraica "Sceol" e la parola greca "Ades" indicano la tomba. Ma cos'è la Geenna? Nelle Scritture Ebraiche la Geenna è "la valle di Innom". Come ricorderete, Innom era il nome della valle appena fuori delle mura di Gerusalemme dove gli israeliti sacrificavano i loro figli nel fuoco. A suo tempo il buon re Giosia rese quella valle non idonea per tale mostruoso rito (11 Re 23: 10). Fu trasformata in un immenso carico di rifiuti” (p. 85).
La verità:
a) Come ricorderete, la parola ebraica “Sceol” e la parola greca “Ades” non indicano principalmente la tomba. li loro significato fondamentale è quello di “regione dei morti”. Possono indicare tomba e anche morte (cf. pp. 3-12). La indicazione geovista tende a minimizzare la verità biblica e negare la sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte, come abbiamo spiegato precedentemente (cf. pp. 8-9).
b) Monca e dimezzata è pure la nozione che i geovisti danno della Geenna. Essi che si vantano di conoscere la Bibbia meglio di tutti, hanno dimenticato in questo caso di informare i loro lettori che la valle di Hinnòn, fin dai tempi di Isaia, era divenuta simbolo del castigo divino per i ribelli negli ultimi tempi:
“Uscendo, vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati contro di me; poiché il loro verme non morirà, il loro fuoco non si spegnerà e saranno un abominio per tutti” (Isaia 66, 24).
E Geremia:
“Perciò verranno giorni - oracolo del Signore - nei quali non si chiamerà più Tofet né valle di Ben-Hinnòn, ma valle della Strage” (7, 32; cf. 19, 6).
 
13 - L'errore:
“Perciò ai giorni in cui Gesù era sulla terra la Geenna era l'immondezzaio di Gerusalemme. Per incenerire le immondizie vi si tenevano accesi fuochi con l'aggiunta di zolfo. Un dizionario biblico (Smith's Dictionary of the Bible, Volume 1) spiega: "Divenne il comune immondezzaio dove si gettavano i corpi dei criminali e degli animali, ed ogni altra specie di sudiciume". Non vi si gettava nessuna creatura vivente” (p. 86).
La verità:
a) Ai tempi di Gesù, la Geenna era solo il simbolo della futura pena dei ribelli a Dio. Un dizionario biblico, dopo aver ricordato il significato letterale della Geenna. Scrive:
“Le minacce di giudizio pronunciate contro questa valle esacrata (cf. Geremia 7, 32; 19, 6; Isaia 31, 91- Isaia 66, 24) hanno suggerito alla letteratura apocalittica, a partire dal sec. Il a.C., di localizzare nella valle di Hinnom l'inferno di fuoco, che si sarebbe dischiuso dopo il giudizio finale. Ben presto il termine géhinnom passò a designare lo stesso inferno di fuoco della fine dei tempi.    Il Nuovo Testamento rispecchia questo stadio di evoluzione semantica”.
b) In effetti, “Per il Nuovo Testamento la ghéenna è una realtà pre-esistente (Mt. 25, 41), un abisso infuocato (Mt. 13, 42.50). Essa è il luogo della punizione definitiva, dopo l'ultimo giudizio, eterna nella sua durata (Mt. 25, 41.46; 23, 15.33) E' da distinguere quindi dall'ade, che accoglie le anime dei defunti nel periodo che precede la risurrezione delle anime”.
Non è quindi una località geografica, a sud di Gerusalemme, come faziosamente vorrebbero far intendere i geovisti. Non fu mai l'immondezzaio della città.
c) A sostegno della loro tesi i tdG citano un dizionario biblico. E' da notare che the Smith's Dictionary of the Bible è stato pubblicato a Boston nel 1889, circa un secolo fa ed è ormai superato. Citandolo i tdG hanno il vantaggio che tale dizionario è ormai fuori commercio e difficilmente può essere consultato. Ma questa non è serietà!
 
14 - L'errore: “Conoscendo l'immondezzaio della loro città, gli abitanti di Gerusalemme capirono cosa voleva dire Gesù quando disse ai malvagi capi religiosi: "Serpenti, progenie di vipere, come sfuggirete al giudizio della Geenna?” (Matteo 23: 33).Chiaramente Gesù voleva dire che quel capi religiosi sarebbero stati tormentati. Quando gli israeliti bruciavano vivi i loro figli in quella valle, Dio disse che non gli era mai venuto in mente di fare una cosa così terribile! Perciò è chiaro che Gesù si servì della Geenna, come appropriato simbolo di distruzione completa ed eterna. Voleva dire che quei malvagi capì religiosi non meritavano la risurrezione. Gli ascoltatori di Gesù erano in grado di capire che chi, come le immondizie, finiva nella Geenna, sarebbe stato distrutto per sempre” (p. 87).
La verità:
a) Gli abitanti di Gerusalemme conoscevano la Bibbia assai meglio dei tdG. Essi sapevano che la Geenna non era l'immondezzaio della loro città, ma solo simbolo della pena dei ribelli a Dio negli ultimi tempi, secondo le chiare profezie di Isaia (66, 24) e di Geremia (7, 32 19, 6). Una pena eterna (Mt. 25, 41.46; 23, 15.33), non una distruzione.
b) Gesù minacciava questo castigo non solo ai malvagi capi religiosi, ma a tanti altri (cf. Matteo 5, 20-22.29-30; 10, 28; 25, 31-46; Marco 9, 42-47; Luca 17, 1-2). I maestri geovisti si limitano a menzionare solo i malvagi capi religiosi, dimostrando ,così una assai scarsa conoscenza della Bibbia. Ma questo comportamento prettamente settario, abituale nei tdG, mira solo a denigrare i ministri delle religioni, specialmente il clero cattolico.
c) Certamente Dio aveva condannato l'immolazione di creature innocenti al dio Moloch nella valle della Geenna. Ma che c'entra questo con la punizione dei ribelli? In effetti, lo stesso Jahve ha castigato col fuoco gli abitanti di Sodoma e Gomorra (cf. Genesi 19, 23-28), e “farà piovere sugli empi brace, fuoco e zolfo; vento bruciante toccherà loro in sorte” (Salmo 11, 6; cf. Ezechiele 10, 2; 38, 22; 2 Pietro 3, 12 ecc.).
d) Com'è possibile che Gesù volesse intendere che quei malvagi capi religiosi non meritavano la risurrezione? Gesù ha esplicitamente affermato il contrario, ha detto cioè che tutti, buoni e malvagi, dovranno risorgere (cf. Giovanni 5, 28-29; Atti 24, 15; Apocalisse 20, 13). La risurrezione non è meritata dagli uomini; è una disposizione di Dio. Sarebbe comodo per i malvagi non risorgere! San Paolo dice proprio il contrario, tirando le logiche conseguenze:
“Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, che domani morremo” (1 Corinzi 15, 32).
e) A parere dei geovisti quei malvagi capi religiosi sarebbero stati tormentati mediante una distruzione completa ed eterna. Com'è possibile essere tormentati, se si è distrutti in modo completo? Chi non esiste più, non può essere tormentato.
La Bibbia comunque non parla mai di distruzione completa ed eterna. Parla sempre di rovina, perdita eterna (cf. pp. 27-28).
 
15 - L'errore: “Cos'è allora "il lago di fuoco" menzionato nel libro biblico di Rivelazione (Apocalisse)? Ha un significato simile a quello della Geenna. Non indica un tormento cosciente, ma la morte o distruzione eterna. E' la Bibbia stessa a dirlo, in Rivelazione 20: 14: "E la morte e l'Ades ("l'inferno", EP) furono scagliati nel lago di fuoco. Questo significa la seconda morte, il lago di fuoco". Sì, il lago di fuoco significa "la seconda morte", la morte da cui non c'è risurrezione. E' evidente che questo "lago" è simbolico, perché vi sono gettati la morte e I'”inferno" (Ades). La morte e I"'inferno" non possono essere bruciati in senso letterale. Ma possono essere eliminati e distrutti, come infatti avverrà” (p. 87).
La verità:
a) il “lago di fuoco” ha un significato non simile, ma identico a quello della Geenna. Ora la Bibbia dice che la Geenna non è uno stato di distruzione completa ed eterna come abbiamo dimostrato, e non lo è neppure il “lago di fuoco”. Ecco la testimonianza di un grande biblista:
“Nell'Apocalisse di solito il binomio fuoco e zolfo indica la dannazione eterna (...). Per indicare l'inferno, cioè la Geenna, oltre ad abisso, si usa l'immagine del lago sulfureo di fuoco (cf. Apocalisse 14, 10; 19, 20; 20, 10.14; 21, 8 (...) ed è suggerita evidentemente dal ricordo del castigo dei Sodomiti e della concezione del Mar Morto quale luogo di punizione degli spiriti cattivi”.
b) Che cosa è dunque la “seconda morte? Certo è detta seconda in relazione alla prima morte, cioè al passaggio dalla vita terrena a quella d'oltretomba. Come dopo la prima morte gli uomini non andavano distrutti, ma si radunavano nell'Ade (o Sceol), non tornavano cioè alla inesistenza, ma continuavano ad esistere, così dopo il giudizio finale di Dio, coloro che non saranno trovati scritti nel libro della vita non saranno distrutti, ma gettati nel lago di fuoco e di zolfo (Cf. Apocalisse 20, 15). Questa è la seconda morte, che non è quindi uno stato di distruzione, ma un modo nuovo di essere. Gettare (greco ballein) non vuol dire distruggere.
c) Il fatto poi che “la Morte e l'Ade sono scagliati nel lago di fuoco”, non annulla, anzi conferma la tremenda verità della “seconda morte”. Come altre volte nel corso dell'Apocalisse e anche in altri testi del N.T., Morte e Ades sono personificazioni di potenze avverse (Cf. Apocalisse 6, 8; 1 Corinzi 15, 26. 55). Giovanni parla di loro come se fossero due persone e può benissimo dire che “furono scagliati nel lago di fuoco”, senza perciò stesso voler indicare una “distruzione completa ed eterna”. Giovanni vuol dire che la Morte e l'Ade sono puniti come il diavolo e come il falso profeta (Apoc. 20, 10) e non avranno più nessun potere sull'uomo.
 
16 - L'errore:
“Ma la Bibbia dice che il Diavolo sarà tormentato per sempre nel lago di fuoco', dirà qualcuno. (Rivelazione 20: 10). Cosa significa questo? Al tempo in cui Gesù era sulla terra, i carcerieri erano a volte chiamati "torturatori". In una delle sue illustrazioni, Gesù disse di un certo uomo: "E il padrone, sdegnato, lo consegnò ai torturatori, fino a che non avesse pagato tutto il debito". (Matteo 18: 34 EP). Quelli gettati "nel lago di fuoco' subiscono la "seconda morte", dalla quale non c'è resurrezione, per cui è come se fossero incarcerati per sempre nella morte. Rimangono in essa come sotto custodia di carcerieri per tutta l'eternità. Ovviamente i malvagi non possono essere tormentati in senso letterale, perché, come abbiamo visto, una volta morta la persona non esiste più. E' inconscia” (pp. 87-88).
La verità:
a) Notate subito l'astuta manovra geovista. Dovevano spiegare che cosa significa che “il diavolo sarà tormentato per sempre nel lago di fuoco”, ma preferiscono parlare di quelli che subiscono la seconda morte, per cui è come se fossero incarcerati per sempre.
b) Noi vorremmo sapere se il diavolo e non altri, sarà tormentato per sempre nel lago di fuoco; se egli appartiene ai torturatori o ai torturati; se per essere torturatori o torturati, anche in senso non letterale, bisogna avere qualche esistenza o essere distrutti in modo assoluto.
 
17 - L'errore:
“Il Ricco e Lazzaro. Cosa intendeva allora Gesù quando in una delle sue illustrazioni disse: "Il mendicante morì e fu portato dagli angeli nella posizione del seno di Abraamo. Morì anche il ricco e fu sepolto. E nell'Ades alzò gli occhi, esistendo egli nei tormenti, e molto lontano vide Abraamo e Lazzaro nella posizione del seno con lui"? (Luca 15: 19-31). Poiché, come abbiamo visto, l'Ades è la tomba del genere umano e non un luogo di tormento, è chiaro che Gesù stava pronunciando un'illustrazione, un racconto. Come ulteriore conferma che non si tratta di episodio letterale, ma di una illustrazione, considerate questo: si trova l'inferno letteralmente a portata di voce dal cielo, tanto che si possa fare un'effettiva conversazione? Inoltre, se il ricco era in un ardente lago letterale, come poteva Abraamo mandare Lazzaro a rinfrescargli la lingua con una semplice goccia ,d'acqua sulla punta del dito? Cosa voleva dunque illustrare Gesù?”.
La verità:
a) L'Ades era “il regno dei morti”. In seguito, basandosi sulle profezie di Isaia e di Geremia, gli Ebrei cominciarono a distinguere nell'Ades una sezione riservata ai cattivi. Gesù accetta e conferma questa dottrina. Il ricco cattivo è condannato a questa sezione dell'Ades, cioè all'inferno (cf. p. 12).
b) Certo si tratta d'una illustrazione o, come si dice meglio, di una parabola. Le immagini e le parole non vanno prese alla lettera, altrimenti dovremmo pensare che quando Gesù, p.c., parla della Parola di Dio come di un seme, la Parola di Dio, andrebbe cercata tra i solchi della terra (cf. Matteo 13, 3-23).
Tuttavia, con le immagini e le parole delle parabole, sono insegnate realtà e verità oggettive, non immaginarie. Il ricco cattivo, ossia coloro che in lui sono rappresentati, incorrono in una situazione di reale sofferenza dopo la morte, anche se non bisogna pensare a un fuoco letterale e a una distanza tra cielo e terra misurabile in metri.
c) Le considerazioni fatte dai tdG sono dunque contraddittorie e inconsistenti. Infatti, se si tratta d'una illustrazione, che senso ha domandare se l'inferno si trova letteralmente a portata di voce dal cielo? E che senso ha parlare di lago letterale, di lingua, di goccia d'acqua? In simili banali contraddizioni cadono spesso e volentieri i tdG e perciò si rendono ridicoli! Non sanno quel che dicono!
 
18 - L'errore: “Il ricco dell'illustrazione rappresentava gli arroganti capi religiosi che respinsero Gesù e in seguito lo uccisero. Lazzaro raffigurava la gente comune che accettò il Figlia di Dio. La morte del ricco e di Lazzaro rappresentava il cambiamento nella loro condizione. Questo cambiamento, ebbe luogo quando Gesù alimentò spiritualmente la trascurata classe di persone rappresentata da Lazzaro, così che questa ottenne il favore del più grande Abraamo, Geova Dio. Nello stesso tempo i falsi capi religiosi 'morirono' in quanto all'avere il favore di Dio. Essendo stati rigettati, subirono tormenti quando i seguaci di Cristo ne smascherarono le opere empie (Atti 7: 51-57). Quindi questa illustrazione non insegna che alcune persone morte sono tormentate in un letterale inferno di fuoco”.
La verità:
a) Per capire che cosa voleva insegnare Gesù bisogna tener conto del contesto, cosa che non fanno i tdG. Nel cap. 16 di san Luca, di cui fa parte la parabola del ricco cattivo e di Lazzaro, Gesù intende dare una lezione sull'uso, buono o cattivo, del denaro, e sulle conseguenze eterne secondo il giudizio di Dio, che conosce i cuori (verso 15).
Secondo questo contesto, il ricco cattivo non rappresentava gli arroganti capi religiosi, ma le persone attaccate disordinatamente al denaro, tra cui anche i farisei (verso 14). Questi non erano tutti capi religiosi. Molti erano gente comune. Anche ai geovisti piace molto il denaro.
b) Gesù parla del futuro giudizio di Dio nei riguardi di chiunque faccia un uso egoistico del denaro. Dopo la morte la situazione sarà capovolta:
il povero diventa felice, il ricco cattivo avrà in sorte una sofferenza eterna. Non è dunque la classe dei capi religiosi in quanto tale a cui Gesù si rivolge, ma la classe dei ricchi egoisti. In quanto alla classe dei capi religiosi, sappiamo che “un gran numero di sacerdoti aderì alla fede - (Atti 6, 7), mentre molta gente comune rifiutò di convertirsi al Vangelo (cfr. Atti 23, 9).
c) La nostra spiegazione della parabola del ricco cattivo e di Lazzaro, basata sulle norme più elementari di una sana esegesi, mette a nudo la strumentalizzazione che della Bibbia fanno i tdG, col solo scopo di gettare fango sui ministri delle religioni, soprattutto sui sacerdoti cattolici.
Seconda serie di errori
1 - L'errore:
I tdG sono del parere che i morti non possono soffrire. Dopo la morte infatti “non sono consci di nulla” (cf. Qoélet 9, 5). Inoltre nel giorno della morte “periscono i pensieri dell'uomo” (cf. Salmo 146, 4).
La verità:
Nell'uno e nell'altro testo sfruttato dai tdG non si parla assolutamente dell'inferno, se cioè l'uomo dopo la morte possa o non possa soffrire. Il pensiero sia di Qoélet sia del Salmista è che dopo la morte l'uomo in genere e in specie l'uomo potente o prepotente non possono fare nulla di ciò che avviene in questa vita.
2 - L'errore:
La Bibbia dice che anche i buoni vanno all'inferno. Come prova i tdG citano il caso di Giobbe (14, 13) e quello di Gesù (Atti 2, 25-27).
La verità:
Nell'uno e nell'altro testo non si tratta dell'inferno propriamente detto o Geenna, anche se qualche versione rende Giobbe 14, 13 e Atti 2, 25-27 con la parola inferno. Sia in Giobbe che in Atti si parla di Sceol o Ade, che non è la Geenna. Il significato è che Giobbe, nella sua sofferenza, vorrebbe essere lontano, nascosto nello Sceol, per non essere colpito dal dolore, “finché non passi la tua (= di Dio) ira” (Garofalo). Il testo di Atti 2, 25-27 l'abbiamo già spiegato (cf. p. 38).
 
3 - L'errore:
I geovisti si domandano perché c'è confusione su ciò che la Bibbia dice riguardo all'inferno. La colpa sarebbe dei traduttori della falsa religione, che hanno usati i termini delle lingue originali senza coerenza.
La verità:
Consigliamo le persone oneste, che cercano la verità sinceramente, di esaminare i singoli termini (Sceol, Ades, Geenna, Inferi, Inferno ecc.) usati dai traduttori e accertarsi se essi corrispondono o mene ai termini originali, al concetto cioè che i termini originali vogliono esprimere. Da questa analisi onesta e oggettiva troverà che solo i tdG nella lore unica traduzione della Bibbia e nell'uso che fanne di quei termini, hanno creato e creano volutamente confusione per inoculare astutamente i loro errori.
4 - L'errore:
A parere dei geovisti, non vi è punizione eterna perché la Bibbia parla solo e sempre di stroncamento, cioè distruzione assoluta dell'uomo dopo la morte. Come prova, citano Matteo 25, 26; 2 Tessalonicesi 1, 9; Giuda 7.
La verità:
a) In Matteo 25, 46 il testo greco ha kòlasis, che significa fondamentalmente diramatura, potatura, come quando sono tagliati i rami di un albero; e significa anche correzione, castigo, pena. Non è perciò questione di stroncare o distruggere in senso assoluto, ma di privare qualcuno di qualcosa. L'albero potato è privato dei rami, ma non è distrutto. Continua a vivere. Su questa base linguistica, nessun traduttore rende kòlasis con la parola stroncamento, ma con supplizio (Garofalo, CEI), punizione (Luzzi; Interconfessionale), eccetto naturalmente i tdG e i loro degni associati (p. e. l'Emphatic Diaglott).
b) Parimenti in 2 Tessalonicesi 1, 9 il termine originale greco è òlethros, imparentato con òllumi (= rovinare). Perciò il significato basilare di òlethros è rovina e vuol dire che coloro i quali si sono rifiutati di obbedire al Vangelo, saranno puniti con una rovina eterna .
c) In Giuda 7 si legge che “Sodoma e Gomorra e le città vicine (... ). stanno là come esempio, subendo il castigo di un fuoco eterno” (Garofalo).
Il senso è che quelle città rase al suolo per sempre assieme ai loro abitanti erano un monito perenne e un esempio della punizione che Dio poteva infliggere ai peccatori del tempo in cui Giuda scriveva. Identico significato in Luca 17, 29.
Non possiamo, comunque, escludere che Giuda, autore ispirato, poteva avere in mente qualche altro castigo al di là del fatto storico e della morte perché poco prima (verso 6) aveva illustrato il suo pensiero con un altro esempio, quello degli angeli che non hanno mantenuto la loro dignità e perciò furono messi sotto custodia nel regno delle tenebre, avvinti in catene eterne.
 
5 - L'errore:
Per i malvagi non esisterebbe una punizione eterna perché “il salario che il peccato paga è la morte” (Romani 6, 23), e anche perché “colui che è morto è stato assolto dal suo peccato” (Romani 6, 7).
La verità:
a) La morte di cui parla Paolo (Rom. 6, 23), non è la distruzione o stroncamento eterno. E' la morte spirituale, la inimicizia con Dio, la rovina dell'uomo che pecca, in contrapposizione alla vita nuova o prima resurrezione, che è data all'uomo che ubbidisce al Vangelo (cfr. Apocalisse 20, 5). Questa morte spirituale ha come conseguenza la esclusione dal Regno di Dio.
b) Parimenti in Romani 6, 7 l'apostolo non parla di morte fisica, ossia della fine della vita terrena. Il suo pensiero è che col battesimo “siamo diventati un essere solo con Cristo nella somiglianza della sua morte” (Romani 6, 5). In altre parole, il battesimo ci fa morire al peccato, ci affranca o ci assolve dai peccati commessi fino ad allora. Ma la vita fisica continua con la possibilità di peccare ancora. Tant'è vero che san Paolo poco dopo esorta i battezzati a non peccare più: “Il peccato, dunque, non regni più nel vostro corpo mortale” (Romani 6, 12).
Se fosse vera la spiegazione dei tdG, ne seguirebbe che al punto di morte il giusto si troverebbe nelle stesse condizioni del peccatore; il discepolo fedele di Gesù Cristo, al punto di morte, non avrebbe nessun vantaggio riguardo al criminale, perché la morte libera, assolve dal peccato. La spiegazione geovista è aberrante!