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Ultimo, un eroe da fiction tv
Chi protegge Bernardo Provenzano capo indisturbato dell’odierna Cosa Nostra? In 37 anni di latitanza è stato capace di acquistare sempre maggior potere e di essere pronto a rinsaldare l’intera organizzazione dopo l’arresto di Salvatore Riina. Nuovo potere, nuova strategia, ma soprattutto imprendibile. Di certo lo Stato, costituito da Istituzioni, magistratura e società civile non ha reso la vita facile a Cosa Nostra dopo le stragi del ‘92; catturati Salvatore Riina, Leoluca Bagarella, Nitto Santapaola, Michelangelo La Barbera, Francesco Madonia e figli, Matteo Motisi, Giuseppe Farinella, Giovanni Brusca, Pietro Aglieri, Raffaele Ganci e figli, i Buscemi, e imprenditori collusi come gli Ienna, i Sansone ecc. Infine Salvatore Cancemi, uomo d’onore, membro della Commissione di Cosa Nostra, si è costituito ai carabinieri spontaneamente: un caso senza precedenti nella storia della mafia. Dal ‘93 al ‘97 lo Stato aveva decisamente vinto la maggior parte delle battaglie, anche se a prezzo della vita di non pochi uomini, ma ad un passo dalla vittoria si è ritirata costringendo all’esilio i suoi combattenti migliori. E tutto è tornato come prima, leggi in ritardo e zoppicanti, silenzio stampa, delegittimazione dei magistrati in prima linea, disinformazione sui collaboratori di giustizia, depotenziamento degli organi preposti all’azione di contrasto a Cosa Nostra. La storia del capitano “Ultimo” è esemplare, in questo senso. 15 gennaio 1993, viene arrestato il boss dei boss, Salvatore Riina. Pagine e pagine vengono scritte sulla sua cattura, dubbi, sospetti e polemiche. E’ invece molto lineare la ricostruzione del capitano “Ultimo”, l’uomo che ha tenuto la sciarpa stretta al collo del capo dei corleonesi fino a quando non l’ha chiuso in galera. Lunghi pedinamenti, intercettazioni ambientali e telefoniche, ore e ore di osservazione, la collaborazione del mafioso “pentito” Baldassarre Di Maggio, e l’azione finale, ferma e veloce per entrare nell’auto di Riina e prenderlo. Niente misteri, un’operazione da manuale per questo corpo dei ROS, niente gloria, non interessa a Ultimo. Ha scelto questo nome proprio perché fosse chiaro, sempre, a lui stesso e ai suoi ragazzi che per quanto importante sia l’azione portata a termine, si tratta solo e semplicemente del loro lavoro. Umiltà, impegno e fierezza, come un guerrigliero del Chiapas, pronto a dare la vita per la libertà, Ultimo non è soltanto un eccellente professionista, ma anche e soprattutto un devoto servitore dello Stato. E allora proprio non capiamo come mai alla sua richiesta di ottenere più uomini da poter addestrare ed impiegare con continuità, invece di essere sostituiti a rotazione ogni sei mesi, lo Stato, l’Arma ha risposto no per ben due anni. E quando lui, rivolgendosi alla stampa ha dichiarato che con i mezzi a disposizione non era pensabile eseguire un lavoro serio di ricerca e cattura di Bernardo Provenzano e dei suoi complici, la sola reazione che i suoi superiori sono stati capaci di avere è stato il trasferimento. L’Italia rinuncia ad un ufficiale dei carabinieri disposto a rischiare tutto insieme ai suoi uomini pur di assicurare alla giustizia i grandi latitanti mafiosi, e sradicare dall’interno l’organizzazione criminale più pericolosa di tutto il mondo occidentale. All’indomani della cattura di Riina, la Commissione di Cosa Nostra si è divisa in tre differenti correnti, (Brusca, Vito Vitale, i Graviano, Matteo Messina Denaro e Bagarella e altri - i cosiddetti “palermitani” Calogero Ganci, Michelangelo La Barbera, Matteo Motisi, Salvatore Cancemi e altri - il vecchio patriarca Bernardo Provenzano con Pietro Aglieri, Carlo Greco, Leonardo Greco di Bagheria, Antonino Giuffré, Salvatore Lo Piccolo, e i capi di Cosa Nostra nella Sicilia occidentale e orientale) minando l’equilibrio dell’intero stato mafioso. Il nemico ha dovuto mostrare il fianco, e invece del colpo di grazia, si è fatta marcia indietro, ora stiamo quasi rassegnando le armi. Chi protegge Provenzano e quindi tutta Cosa Nostra? Chi non vuole che il capitano Ultimo scovi i massimi capi e ferisca a morte la mafia? Se di misteri, dobbiamo parlare, ci si “Avevamo una miniera d’oro, abbiamo perfino visto macchine della polizia andare nel cantiere (dei Ganci ndr.) e poliziotti fermarsi amichevolmente a parlare alla presenza di Ganci, persone scendere da macchine del Ministero di Grazia e Giustizia di via Arenula a Roma ed entrare nella macelleria dei Ganci, persone scendere da macchine della Presidenza della Regione Siciliana e fare la stessa cosa”, testimonia il capitano nel libro di Maurizio Torrealta Ultimo . Oggi l’uomo sulla cui testa pende la condanna a morte sentenziata da Bernardo Provenzano in persona durante una riunione della Commissione che, a detta del collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi “poteva prenderselo vivo”, si muove senza scorta e il Comando Generale gli fa il regalo di rendere nota la sua identità finora tenuta segretissima. Rimane da chiedersi chi aveva promesso a Provenzano la possibilità di “catturare, torturare e uccidere” “Ultimo” con tutta probabilità per farsi dire come era riuscito ad arrestare Riina, forse per sapere se qualche altro mafioso l’aveva venduto ai carabinieri. “Ultimo” si trova ora a prestare servizio al NOE, Nucleo Operativo Ecologico dei carabinieri, dove comunque e sicuramente farà del suo meglio per smascherare le collusioni che si celano dietro al lucroso traffico dell’ambiente, ma noi cittadini, noi società civile che vogliamo Cosa Nostra “analizzata, seguita e annientata”, chiediamo che “Ultimo” possa tornare ad esercitare il suo compito valorizzando le sue migliori capacità professionali con i mezzi di cui necessita. E’ un dovere che sentiamo, noi che vogliamo essere “cittadini e non sudditi!”. Falcone: i latitanti si prendono solo se si collabora seriamente. A questo punto mi sembra significativo il tema della cattura dei latitanti. Quante volte, in questi ultimi anni, abbiamo sentito dire che il vero problema è la cattura dei latitanti? Ma il problema della cattura dei latitanti non è diverso da quello proprio dell’attività investigativa. Per poter pervenire alla cattura dei latitanti bisogna conoscere qual è il quadro di riferimento in cui essi si muovono. E quando si perviene all’arresto di un latitante si acquisiscono, per altro verso, notizie utilissime ai fini delle indagini. Non si possono impostare le indagini per la cattura dei latitanti se non si sa che cosa i latitanti fanno, in quali attività illecite sono impegnati, chi sono i loro fiancheggiatori, chi si occupa nel loro interesse di riciclare il denaro, quali siano le basi operative, e così via. Ecco quindi, che di fronte ad un’attività di contrasto così complessa non ci può essere spazio per le gelosie o diversità di vedute tra forze di polizia o tra magistrati di diversi uffici. Se non ci si rende conto che è necessario un armonioso coordinato svolgimento di tutte le indagini verso una direzione predeterminata ed accettata da tutti, non potranno giungere risultati significativi. Capita spessissimo di apprendere dai giornali di colleghi che si stanno interessando di indagini. A voi chissà quante volte vi sarà capitato, mentre pedinate qualcuno, di accorgervi che siete a vostra volta pedinati da personale appartenente ad un altro corpo di polizia. Se finalmente si riuscisse a capire che questi problemi non appartengono a questo o a quell’ufficio, a questa o a quella forza di polizia, ma sono problemi che appartengono allo Stato, e che tutti noi siamo servitori di un unico Stato, sono certo che faremmo davvero un notevole passo in avanti. Tratto dal libro Interventi e Proposte , per gentile concessione della fondazione “Giovanni e Francesca Falcone”. Incontro del 30 novembre 1990 presso la scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza in Roma.
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Scuola Media Statale "Giovanni XXIII" - Pietramelara http://smspietramelara.altervista.org Ipertesto realizzato e curato dal Prof. Giuseppe Landolfi Contatto: obiettivomafia@libero.it
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