PALERMO
- A due settimane dal tredicesimo anniversario della strage di
Via D’Amelio c’è chi si diverte a sporcarne la memoria.
Sulla lapide che ricorda il sacrificio del giudice Paolo
Borsellino e degli agenti della scorta qualcuno si è
sbizzarrito così come si potrebbe fare nei bagni di una scuola.
Con
della vernice nera o un grosso pennarello è stato
imbrattato il cippo in marmo verde posto ai piedi di un ulivo
davanti al palazzo in cui abitava la madre del magistrato e dove
oggi vive la sorella. Nella strage, assieme a Borsellino,
morirono gli agenti Agostino Catalano, Walter Cusina, Emanuela
Loi, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina. I loro nomi sono incisi
uno dopo l’altro proprio su quella lapide che ieri qualcuno ha
imbrattato disegnando un grosso simbolo fallico e una scritta
altrettanto oscena. Tutto lascia pensare all’opera di un
gruppo di ragazzini.
E’
questa l’ipotesi privilegiata anche dagli inquirenti
che comunque non tralasciano di indagare a tutto campo. Ma
chiunque ne sia stato l’autore quello spruzzo di vernice sulla
memoria di Borsellino è il segno evidente che è ancora tanta
la strada da fare sul fronte del radicamento della cultura
antimafia. Ed è per questo che nessuno sottovaluta o minimizza.
A cominciare dalla sorella del magistrato ucciso in quella
strage, Rita Borsellino, che ritiene «il gesto più grave della
profanazione di una tomba, perché per la gente normale Via
D’Amelio è un luogo sacro. E’ un po’ come l’albero
Falcone, anzi forse ha un valore maggiore perché proprio qui
sono stati uccisi mio fratello e gli uomini della scorta». E
non è affatto rassicurata neanche all’idea che gli autori
della profanazione possano essere «solo» dei ragazzini.
«Se
la lapide è stata sporcata da un ragazzino
la cosa è ancora più grave. Mi chiedo: in quale contesto si
fanno crescere i nostri giovani? Con quale educazione? Purtroppo
siamo ancora lontani dall’aver sconfitto la mafia e la
mentalità che la supporta». Scossa ed amareggiata Rita
Borsellino ha preferito non andare a vedere la lapide
imbrattata. «In questi anni la coscienza civile è certamente
cresciuta - afferma - ma non dobbiamo dimenticare che c’è una
fascia di popolazione quasi impermeabile a gesti come questo».
Un
giudizio condiviso anche dal procuratore di Palermo Piero
Grasso che è altrettanto preoccupato per quel che c’è dietro
a gesti del genere: «Hanno imbrattato la lapide che ricorda
Borsellino e gli agenti di scorta e questo lascia intravedere
quanto ancora c’è da fare con i giovani, non la maggioranza,
che hanno compiuto un gesto di becero vandalismo che non fa
onore a questa città». Tra i tanti messaggi di solidarietà
giunti alla sorella del magistrato ucciso in via D’Amelio
anche quello del vicepresidente del consiglio Gianfranco Fini
per il quale «anche se si dovesse trattare di una stupida
ragazzata è un atto da condannare con estrema fermezza».
Mentre
per il presidente della commissione antimafia Roberto
Centaro «è un gesto che deve farci riflettere anche se fosse
solo figlio dell’idiozia pericolosissima di chi non ricorda o
non vuole ricordare». Anche il segretario dei Ds Piero Fassino
ha telefonato a Rita Borsellino. Il presidente dei deputati
diessini Luciano Violante ritiene che «il prossimo 19 luglio,
tredicesimo anniversario della strage, deve essere l’occasione
per rilanciare l’impegno nella lotta alla cultura mafiosa». E
la stessa Rita Borsellino considera necessario «un gesto
riparatore da parte della gente, dovrebbe essere la collettività
a reagire». Ieri sera in via D’amelio sono ricomparsi i
lenzuoli come nei giorni successivi alle stragi di Capaci e Via
D’Amelio. Mentre il comune provvedeva a ripulire la lapide, a
poca distanza sventolava uno striscione con la scritta: «Chi
infanga la memoria vuole Palermo senza futuro».
Alfio Sciacca