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QUETTO - figlio di
Bolingia e di Siliando
schiavo nero
1826-1883
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da Michele Lessona - Volere è potere –
Ho cominciato
colla vita di un principe di Sicilia e finisco con un nero d'Africa: due
uomini degni di stare vicini, perchè la virtù sopprime le distanze e adegua
ogni disuguaglianza.
MICHELE AMATORE
Bersagliere nero dei Savoia
… Io dirò qui qualche parola
intorno al capitano Michele Amatore, che ebbe vicenda più che singolare.
Cominciò a diventar popolare in Torino e nelle varie guarnigioni
dell'antico Stato Sardo da una ventina d'anni a questa parte un giovane
bersagliere, nero come l'ebano, di belle forme, svelto, piacevole
favellatore, guardato con occhio curioso dalla gente, e chiamato
senz'altro il bersagliere moro. …. cosi iniziava il racconto di
Michele Lessona, (20/9/1823 – 20/7/1894 docente, insegnante di zoologia
e divulgatore scientifico letterario)
La storia in
effetti comincia lontano dal Piemonte nell’alto Egitto o Nubia (Sudan)
come si suol dire. Il governo mussulmano egiziano non ha mai fatto
segreto del commercio degli schiavi, che alimentava dai paesi interni
dell’Africa Nera. Inglesi, Francesi e gli stessi Americani lo avevano
già ridotto o stavano per dichiararlo illegale. Sotto le mentite
spoglie di ribellioni le guarnigioni di Kartum compivano incursioni
riportando gli schiavi più belli, giovani e robusti da vendere al
mercato. Il ricavato andava ad integrare la paga del soldato che era
sempre misera. I giallab (mercanti di schiavi) compravano tutto, e
partivano per il Cairo dove la cosa non veniva tenuta pubblicamente
nascosta innestando critiche da parte dei governi colonialisti che
utilizzavano ora anche questa protesta (erano i giornali a riportare le
vicende) per giustificare gli interventi in Africa. In questa maniera
il capitano Michele Amatore è venuto bambino a Kartum: egli è nato nel
1826, e si ricorda mirabilmente del nativo villaggio.
“Mio padre si chiamava Bolingia, mia madre Siliando, il mio nome era
Quetto”:
Era nel 1832 quando la solita
incursione punta sul suo villaggio. Fucili contro lance, e migliaia
contro centinaia di nativi. I soldati egiziani entrarono nel villaggio,
e fu una vera carneficina: uccisero i vecchi, e non lasciarono che un
mucchio di rovine. «I superstiti, donne e fanciulli la più gran parte,
furono legati e tenuti sotto custodia fino al giorno seguente. La
marcia verso Kartum si risolse in una ulteriore carneficina, per la
mancanza di cibo. Dice Michele Amatore
“Sebbene in quei
giorni di sventura io non avessi più di sei o sette anni, pur troppo mi
ricordo dei mali trattamenti che ci hanno fatto soffrire i soldati
egiziani nel doloroso tragitto. Il bastone di quella gente esecrata non
risparmiava nessuno: tutti, grandi e piccoli, erano barbaramente
percossi; e quelli che pel patimento e lo scarso cibo perdevano le
forze, spietatamente venivano uccisi. Il cibo era un po' di pane ed
acqua, e questa sovente ci mancava, per cui strada facendo buon numero
di schiavi perirono e furono lasciati insepolti”.
Quetto viene
diviso dalla famiglia di cui era responsabile come primogenito e come
capo villaggio dopo la morte del padre. Ma nulla poteva fare e di loro
non saprà più nulla. I pochi giunti al Cairo ora potevano sperare
almeno in un trattamento più umano e per Quetto la fortuna fu grande
perché a prenderlo in casa fu il dottor Luigi Castagnone, allora
protomedico del vicerè d'Egitto. L’Egitto allora era pieno di Italiani
impiegati nelle più varie attività ma sempre di altissimo profilo. Il
ragazzo venne educato e trattato umanamente e solo la paura di portarlo
lontano dalla sua terra impedì al Castagnone di trarlo seco in Piemonte
al primo viaggio. Toccò al Dr. Maurizio Bussa, di Felizzano il compito
di fargli conoscere la loro patria piemontese. Al suo nuovo paese
Michele si fece cristiano e qualche volta tornò anche in Egitto da
libero. Aveva 22 anni quando scoppiò la guerra e corse ad arruolarsi.
Così Lessona
“… la sua faccia nera
serviva di punto di rannodamento ai coraggiosi compagni, e di terrore al
nemico: parecchie volte dopo un combattimento i suoi capi corsero ad
abbracciarlo. In pace era un modello di disciplina e di operosità, amor
dei capi e dei compagni. Quando entrò soldato non sapeva leggere;
pigliava di soppiatto la chiave della scuola del reggimento per andarsi
ad esercitare sulla lavagna nelle ore del riposo. Imparò a leggere ed a
scrivere con ottima calligrafia; imparò l'aritmetica, la geometria, il
francese. “ Il 7 agosto 1848 viene
infatti arruolato come volontario nei bersaglieri. Partecipa alla
campagna del 1849 con il grado di sergente e in quella del 1859 come
sottotenente. Dopo S. Martino gli viene riconosciuta dai francesi la
decorazione al merito. Il 5 maggio 1861 è già tenente prima al secondo e
poi al terzo reggimento. Nel 1866 nella terza guerra di indipendenza è
capitano. Partecipa nel Sud d'Italia alle azioni contro il brigantaggio,
poi agli interventi a favore delle popolazioni colpite dal colera
(medaglia di bronzo). Conclude la carriera in anticipo all'8° reggimento
nel 1880. Il suo servizio non era più possibile a causa di una
sciabolata al volto (all'occhio sinistro visibile anche nella foto) che
gli aveva procurato la cecità. Si ritira con la moglie, da cui non aveva
avuto figli, a Rosignano, dove muore il 7 giugno 1883.
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