NonoBepi - agosto 2000

Nonobepi, su gentile concessione dell'autore, amico Osvaldo Noro.
Rende omaggio al poeta, cultore del nostro dialetto, al solo scopo
di divulgare quanto fatto e senza nessun scopo di lucro.


Le bèle storie de na òlta
di Osvaldo Noro


Al trói del musariól - Il sentiero del folletto
vai al disegno 1° edizione

Il termine dialettale "trói", sta ad indicare un sentiero di montagna, in genere poco frequentato e con il fondo sconnesso ed irregolare. Quanto, poi, al lermine "musariól" avete presente la descrizione fisica dei tradizionali folletti, e genietti, e gnomi che popolano le tante belle leggende che sono florite intorno alle Dolomiti, particolarmente nel Trentino? Tali folletti sono degli esserini minuscoli dall'aspetto di uomini, tanto piccoli da star comodamente nel palmo della mano. Vivono sotto terra durante il giorno e si riversano durante la notte sui prati e nei boschi. Alcuni sono dei tipetti buoni e pacifici, altri dei buontemponi matricolati che rnille ne pensano e duemila ne fanno; altri, infine, sono l'incarnazione del Male e non lasciano passare occasione per recar danno in quaiche modo a pastori e valligiani. Il loro abituale abbigliamento è costituito da una tutina attillata, generalmente di un rosso acceso; sopra di essa indossano un mantelletto svolazzante di vario colore, in capo hanno il tradizionale cappuccio a cono di gelato cadente con un grosso fiocco rosso od azzurro pendente da un lato, calzano stivaletti con la punta voltata all'insù come le calzature dei popoli orientali. Ebbene, per quanto riguarda la nostra "storia", il "mužariól" era un esserino del tutto simile a quelli delle celebri favole trentine, ma con una caratteristica che da questi lo differenziava era perennemente .. distratto! Alcuni anziani, nei loro racconti, lo fanno alto qualche spanna, altri circa un metro. Ma non è la statura che conta. Ciò che lo caratterizzava era proprso la sua distrazione. Non v'era giorno, o meglio notte che, alzatosi dal suo giaciglio sistemato di solito sotto il cappello di qualche grosso fungo porcino, nell'accudire alla sua personcina e nel vestirsi, non commettesse qualche errore. Ora infilava la tuta al rovescio o al rovescio erano le calze e le scarpe; ora il grosso fiocco del cappuccio gli penzolava sul naso e là rimaneva per l'intera nottata, perché il nostro amico neanche si accorgeva dell'errore. Insomma in lui c'era sempre qualcosa di storto ed era diventato la favola dei geni, giganti, folletti e streghe del bosco. Ora avvenne che una notte, preso dai suoi mille pensieri, si allontanò dal suo abituale fungo-dimora. Alcuni dicono con assoluta certezza che si fosse diretto verso una località detta "BaI de Sàre" (luogo dove le streghe si recavano a ballare). Altri lo vogliono diretto nel fitto della boscaglia, dove è difficilissimo l'orientamento. Altri dicono che è tutta fantasia e scuotono la testa con aria di sufficienza. Fatto sta che il nostro mužariól si perse nell'interno di un folto bosco di pini, larici e abeti. Camminava. camminava..., girava, girava in lungo ed in largo senza mai fermarsi, seguendo delle orme che vedeva sul terreno. Ma quelle orme erano le sue! Non si accorgeva che, gira e rigira, si ritrovava sempre al punto di partenza, ma non si disperava . Continuava a camminare ed a pensare. Quando era stanco riposava, dormiva, si nutriva con erba, radici bacche e quando si nsvegliava riprendeva a camminare e a pensare. Cosi continuò a girare per uno, due, tre anni! Ma che dico! Di più, assai di più! Forse cento, duecento anni continuò la sua marcia finché, essendo anche lui una creatura come tutte le creature lasciò questa terra per cieli migliori. Con tutto il suo girare, sempre ripassando sui propri passi, il mužariól aveva tracciato nel corso degli anni un sentiero quasi circolare all'interno del bosco. Appunto "al trói del mužariól" un labirinto naturale in cui è facile perdersi. Se qualcuno vuole andare in quel trói, chieda informazioni ai più anziani del luogo: tutti sanno che esiste, tutti l'hanno sentito nominare dai loro padri e nonni, ma nessuno vi saprà dire con certezza dove sia. Questa la nostra storia, come quella del "Bus de la lume" inventata chiaramente per tener vicini a sé i bambini, lontani dai numerosi pericoli del bosco. Da questa storia, però, le nostre nonne traevano ottimi spunti per indirizzarsi ai più piccoli. Così, ad esempio, al termine della storia esclamavano:

"E dès sta tènto"
de no ndar distante,
si no te te pèrde
te 'l trói de 'l mužariól''
''Ed adesso sta attento
a non allontanarti
altrimenti ti perdi
nel sentiero del folletto

Se qualche piccolo, poi, sbagliava nell'indossare qualche indumento, ridendo e scuotendo la testa gli sussurravano:

''Te me pàr pròpi ''
an mužariól!''
Mi sembri proprio
un folletto!".

Se qualcuno, infine, anche tra gli adulti, non riusciva a portar a buon termine un affare ed anzi ci rimetteva del suo, gli amici lo schernivano.

''Bòn da gnént!
Te te sé pèrs te 'l trói
de 'l mužariól!''.
''lncapace!
Ti sei perso nel sentiero
del folletto!''.

Nel 1989 questa bella storia mi ha ispirato la sua trasposizione in rime. Ne è nata questa bella filastrocca per la quale l'amico Rizieri Barattin di S. Martino ha elaborato una orecchiabile partitura musicale.

Al mužariól (o mužariól o mužariól o mužariól).

Quànt bèi chéi filò
da rènto na stàla,
tre bòce che i sènt
da na nòna le fòle,
cuciàdi par tèra
o te 'n pécol de scàla,
e àltri, te 'l fén,
che i fa scondariòle....

''Vegné, bèi bocéte!
Sté bòni 'n fiantìn !
la stòria 've cóntee
de 'n bòn picenìn....

De nòt se godéa
sto òn alt dói spàne,
a tuti i so amghi
de fàrghe matàne;

e po via pa 'l dì,
de sót an fonghèt,
bén stràc e sfinì
al féa on pisolét.

La tèsta par aria
al éa st'omenét,
tut chel che 'l é stòrt,
par lu 'l èra drét.

An dì che '1 penséa
a i so màti boréž
ca drénto, segùr,
te 'n bósc tut de péž.

Par nòt e par dì,
..camina.. camina ..
le bàleghe '1 vède,
le é chéle de prima!

El gira de in tóndo
par žènto mìla àni.
po, vècio e stremì,
finis i so afàni.

Co tut chél giràr
'l à fat fin an trói.
Sté tènti, bocéte,
no tóche ènca a vói!

La testa par aria
tegnèr no se pól;
ris-cé de ciapàrve:
"Te se 'n mužariól!''.
Corn'erano belli quei filò
dentro una stalla,
tre bimbi che ascoltano
da una nonna le favole,
accovacciati per terra
o su un piolo di scala,
ed altri, nel fieno,
che giocano a nascondino.

Venite, bei bambini!
State buoni un pochino!
La storia vi racconto
di un uomo piccolino .

Di notte si divertiva
quest'uomo alto due spanne,
a tutti i suoi amici,
combinare marachelle;

e poi, durante il giorno,
sotto un funghetto,
ben stanco e sfinito.
faceva un pisolino.

La testa per aria
aveva quest'ometto
tutto ciò che era storto
per lui era dritto.

Un gioorno che pensava
ai suoi strambi pensieri,
entra, sicuro,
in un bosco tutto di pini.

Per notti e per giorni
...cammina...cammina....
delle impronte vede
sono quelle di prima!

Egli gira in cerchio
per cento .... mille anni,
poi, vecchio e sfibrato.
finisce i suoi affanni.

Con tutto quel girare
ha fatto perfino un sentiero
state attenti, bambini,
che non capiti anche a voi!

La testa per aria
tener non si può,
rischlate di prendervi:
''Sei un folletto!''.


* Copertina * Dedica * Murale 1 * Murale 2 * Moreno  De  Col * dott. Martelli * Premessa * Bus la lume *
* Al Bus de'l béco * Al  lac de S. Crose * Parché 'l Alpago 'l é... * La  val de le Strìghe * La Valturcana *
* La ceséta de la Runal * La luna su te 'l péz * San  Danèl * La  ceséta  de San  Martin * Al  Teveron *
* La bèla indormenzada * Al malà che'l porta 'l san * Tant par òn * Co no se sa parlar * Paron la scòta *
* I quatro ciòdi che parla * Al trói de 'l musariól * Tesòro  de 'l  montanaro * Osvaldo Noro Home Page *

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