La bèla indormenzada - La bella
addormentata vai al disegno 1°
edizione
Poiché siamo in tema di montagne, ecco un'altra
storia. Cosi la sentii quand'ero ragazzo, durante un "filò" in una stalla
e così, come la ricordo ve la ripropongo. Viveva dunque, in un
meraviglioso castello sui dirupi del Col Visentin, proprio sul versante
rivolto verso l'Alpago, una felice coppia di sposi. Si erano sposati da
poco Principe lui principessa lei. Vigoroso e coraggioso lui, fragile e
bella lei. I due sposini aspettavano il loro primo figlio ed ingannavano
la trepida attesa alternando ad amene passeggiate sui declivi del monte,
dalla parte del Bellunese perché più dolci. allegri banchetti e feste
danzanti. Naturalmente a queste feste vi erano sempre ospiti illustri,
i nobili del luogo, i principi del monte Dolada e le fate della Val
Salàtis. Ognuna di queste tate possedeva una facoltà magica. Una soltanto.
C'era, ad esempo, colei che col solo tocco della sua bacchetta magica
sapeva trasformare tutto in puro oro zecchino. Un'altra aveva il potere di
farsi obbedire dalle piogge e dai venti. C'era colei che, dovunque posasse
lo sguardo, faceva sbocciare come d'incanto i più splendidi fiori
rupestri. Ad un'altra era sufficiente pronunciare una parola per far
apparire una tavola riccamente imbandita con tutte le leccornie possibili
ed immaginabili. lnfine c'era colei che... Ma non anticipiamo i tempi.
Conoscerete in seguito il suo magico potere. Per ora basti sapere che era
una fatina dall'aspetto esile esile, dal carattere dolce dolce e che aveva
una particolare predilezione per la giovane principessa di questo
racconto. Unico a non partecipare mai a queste feste era uno strano
personaggio, mezzo mostro e mezzo gigante, che viveva rintanato nel "Bus
de l'Agnelésa" e nella sottostante caverna detta "Bùsa de fèr" in quel di
Tarnbre. Suoi amici erano i terribili gnomi e le streghe Anduane del
Cansiglio. L'eco delle musiche e dei canti che si svolgevano nel castello
dei due sposi giungeva spesso alle orecchie del mostro-gigante, che
cominciò a nutrire sentimenti di invidia verso tutti, ed in modo
particolare nei confronti dei due ignari sposini. Dall'invidia all'odio il
passo fu breve. L'odio ed il piacere di fare del male e di godere del male
altrui, portarono il mostro a concepire un piano diabolico per portare
disperazione e lutto dove c'era gioia e dove si attendeva una nuova vita.
Per farla breve la principessa fu rapita e nascosta nell'antro del mostro.
A nulla valsero le sue grida disperate, le sue implorazioni, le sue
lacrime. Per lunghissimi, interminabili mesi la poveretta rimase
prigioniera del mostro le continue ed affannose ricerche effettuate da
tutti furono vane. lnfine, riuscì a fuggire. La notte era serena,
iliuminata dalla luna e ricca di stelle. Appena fuori dalla spelonca la
principessa si sentì sola ed impaurita. Non sapeva dove dirigersi. Fuggire
in direzione del proprio castello sarebbe stato pericoloso, avrebbe devuto
attraversare il Cansiglio e correre il pericolo di essere vista dai
genietti malefici del bosco che nelle chiare notti di luna uscivano a
gozzovigliare. Scendere dalla parte del torrente Valturcana sarebbe stato
pericoloso a causa dei numerosi anfratti e per la ripida discesa. L'unica
via di salvezza le sembrò quella di correre in direzione della Val
Salàtis. Là le sue amiche fate l'avrebbero sicuramente aiutata. E così
fece. Camminò, la poverina, per l'intera notte e l'alba la trovò nei
dintorni di Mont, in quel di Chies d'Alpago, stanca ma felice. poiché
pensava di aver ormai raggiunto la salvezza. Credendosi ormai al sicuro,
sfînita, si sdraiò sull'erba e si addormentò. Quel sonno durò assai poco.
Un rumore di passi la risvegliò. Più che di passi, in verità. le sembrava
il rumore di una grossa rnandria di mucche in fuga. La fuggiasca capì.
Quante volte, negli ultimi mesi, aveva sentito quel rumore! Era lui
l'orribile suo carceriere che, scoperta la sua fuga, seguendo le orme
sull'erba piegata ancor bagnata di rugiada, la stava raggiungendo. Si deve
sapere, a questo punto del racconto, che in quei tempi lontani. appena a
destra della vetta del monte Messèr. c'era un valico che metteva in
comunicazione la calle dell'Alpago con la Carnia. Proprio là, al valico,
c'era il confine tra due regni e, al di là di esso, il mostro-gigante, non
avrebbe potuto far più nulla contro la fuggiasca. Sentendosi perduta. la
principessa si diresse da quella parte, visto che l'inseguilore, che aveva
previsto il suo proposito, le aveva tagliato la strada per la Val Salàtis.
La poveretta gridava, gridava con quel po' di fiato che le era rimasto,
invocando l'aiuto delle fate. Per colmo di sfortuna, una sola delle fate
sue amiche era presente in Val Salatis; le altre si erano recate ad una
festa, ospiti della regina del monte Cavallo. La fatina presente era.....,
Si. era proprio lei, la fatina dal potere rimasto finora segreto. Udite
quelle invocazioni disperate, accorse, vide e capì tutto. Quando la nostra
principessa, ormai allo stremo delle torze, stava per essere raggiunta, la
fata intervenne con l'unica facoltà magica di cui era capace: quella di
"pietrificare" ogni cosa volesse. Eccolo il potere magico della fatina del
nostro racconto! Pronunciate le parole magiche appropriate, ecco compiersi
il prodigio. La giovane donna cominciò a gonfiarsi, ad ingigantirsi, ad
ampliarsi tanto da ostruire il valico esistente e, naturalmenle si
traformò in montagna. Una montagna vera, roccia e di sassi. Il mostro,
furibondo volse lo sguardo intorno. Vide la fatina e nulla di meglio trovò
che sfogare contro di lei la sua rabbia, uccidendola. Anche le fate,
talvolta, possono essere uccise dall'odio e dalla cattiveria. Così, di
solito, terminava il racconto. Siccome la storia non aveva il lieto fine e
lasciava aperti alcuni interrogativi, ricordo che molte erano le domande
che venivano rivolte alle nostre nonne. "Cosa acvenne del mostro-gigante?"
Anche lui, alla fine, morì. Ed era questo lo spunto che le nostre nonne
coglievano per tener quieti i loro attenti ascoltatori (vedi la leggenda
del lago di Santa Croce). "E delle altre fate?". Non vollero più
tornare nei luoghi dove era stata uccisa una loro sorella. Ecco perché, da
quella volta, in Alpago non vi sono più fate. "Che ne fu, poi, della
sventurata principessa?". Essendo morta l'unica fata capace di
richiamarla in vita, la povera principessa è ancora là, montagna, che pare
dormire un sonno profondo. Non ci credete? Guardate il profilo della
montagna a destra del monte Messèr. Là, contro li cielo azzurro, si
staglia preciso, stupendo, inconfondibile, il volto della "Bella
Addormentata". Essa è là, immobile, addormentata dall'odio e potrà essere
ridestata solo quando nel montdo intero odio, invidia, cattiveria, guerre,
saranno vinti dall'amore. Allora la nostra principessa si risveglierà, la
potremo rivedere, potrà ritornare al suo castello..... Potrà dare alla
luce quel bimbo che ancora racchiude nel grembo......E quel bimbo vivrà in
un mondo, forse, migliore. La "Bella Addormentata", è anche conosciuta
col nome di "Brut pas". "Brutto" in quanto difficilissima è la scalata
delle fiancate ripide e scoscese del monte. La nostra storia vuole che
nessun uomo possa riuscire a calpestare il volto della principessa
addormentata "Passaggio", forse per ricordare il valico che una colta
esisteva là nei pressi, ciò per dare, in certo qual modo un qualche
fondamento di verità alla nostra "storia", farla amare e farla ricordare.
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