La donna Adultera


Vangelo: La donna adultera

Monastero

Gesù incontra una donna Adultera
Gesù incontra una donna adultera, che non è solo un simbolo del peccato, ma una persona con una storia, con sentimenti di vergogna, paura e il desiderio di essere accettata. La sua esperienza riflette le lotte interiori che molti affrontano nella ricerca della propria identità e dignità.

Gesù non la condanna; le offre invece una seconda possibilità dicendo: "Neanch'io ti condanno; va’ e non peccare più d’ora in poi". Questo messaggio di misericordia è centrale nel cristianesimo e rappresenta l'essenza del suo insegnamento: non siamo definiti dai nostri peccati, ma dalla nostra capacità di ricevere e offrire perdono.

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Vangelo - Giovanni [8,1-11]

«In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere con il dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”».
(Gv 8,1-11).

Meditazione - Donna Adultera

La domanda posta a Gesù ha l’obiettivo di coglierlo in contraddizione, mettendolo davanti a un dilemma difficile da risolvere. Deve scegliere se attenersi alla legge e pronunciare una sentenza di morte, oppure optare per una soluzione diversa violando così la legge. La vita di quella donna dipende dunque dalla decisione di Gesù, di cui questi personaggi fingono di riconoscere l’autorità morale, per trarlo in inganno e avere il pretesto di condannarlo.

Per tale motivo, colta in flagranza di adulterio, portarono la donna da Gesù e gli chiesero: «tu che ne dici?». Una riflessione sorge spontanea: come mai solo la donna fu condotta in giudizio e non anche il suo complice che, secondo la Legge di Mosè, doveva essere parimenti condannato a morte? Solo lei venne esposta, nell’infamia e nella vergogna, all’opinione pubblica; e intorno a lei c’erano solo giudici, nemici, accusatori.

Alla domanda di costoro Gesù, inaspettatamente, non disse nulla: si chinò e iniziò a scrivere nella terra senza proferire parola. Scrive sulla terra con il suo dito: gesto enigmatico, che alcuni hanno interpretato come Gesù nell’atto di scrivere i peccati degli accusatori, altri frasi bibliche. Tuttavia la narrazione di Giovanni porta all’attenzione il fatto che, di fronte a tale “distrazione” di Gesù, gli accusatori non desistettero nell’interrogarlo.

La risposta di Gesù è il silenzio, il rifiuto di stare al gioco di chi gli stava tendendo una trappola, la ricusa di soccombere alla richiesta del “gregge”; è il coraggio di essere diverso, di non reagire in modo scontato di fronte alle accuse e alle critiche. È un silenzio potente, che urla, che parla, che dice più di tante parole; e il gesto di chinarsi, per rimettersi a scrivere, lo è ancora di più. Gesù non infrange la legge, non dice che la legge non è buona, ingiusta, o che non è più valida. Egli alza il capo e “risponde”, ma non lo fa con un’affermazione diretta, bensì con un’espressione che contiene in sé un’altra domanda: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». Gesù conferma così la validità della legge, secondo la quale il testimone dell’adulterio deve essere il primo a lapidare il colpevole ma, nel citare la prescrizione esatta, ricorda anche che il testimone, per compiere questo gesto, deve risultare lui per primo senza peccato (cfr. Dt 13,9-10; 17,7).

A questo punto, Gesù non attende nemmeno che gli accusatori rispondano: si china di nuovo e si rimette a scrivere; l’osservazione-domanda, posta a loro, scuote e fa leggere in profondità in sé stessi: ha piantato un seme nella coscienza di ciascuno di loro e, ora, bisogna lasciare che il seme lavori. Con quelle parole li fa pensare: la differenza tra intelligenza e ignoranza sta proprio in questo, nel pensiero. Le parole di Gesù sono piene della forza disarmante della verità, che abbatte il muro dell’ipocrisia e apre le coscienze a una giustizia più grande, quella dell’amore.

Più si avanza in età, più numerosi sono i peccati commessi nel corso della vita: chi può affermare di non essere caduto in qualche colpa? Eppure spesso e velocemente dimentichiamo quante volte ci siamo appellati alla Misericordia per ricevere il perdono di Dio. Certo, è facile correre con il gregge, ma bisogna stare attenti affinché il gregge non ci porti alla distruzione.

Di fronte all’affermazione di Gesù, gli accusatori dell’adultera furono convinti dalla loro stessa coscienza di aver sbagliato in qualche cosa, di aver commesso errori; ed allora, lapidare quella donna, avrebbe significato immediatamente meritare la stessa condanna. Riuscire a pensare da sé, riflettere e prendere coscienza dei propri sbagli, è l’inizio del risveglio, perché se non c’è una convinzione consapevole, non ci può essere alcun risveglio nella propria vita, che porti alla trasformazione. Quando ci stancheremo di accettare le nostre debolezze e ci impegneremo a essere migliori?

Gesù si chinò a terra e uno dopo l’altro lasciarono cadere le loro pietre di odio: anche noi abbiamo sicuramente qualche sasso da lasciare cadere, nonostante le volte in cui ci hanno traditi, ingannati, ci hanno spezzato il cuore. Quando ci accingiamo a dire qualcosa su qualcuno, dobbiamo essere consapevoli delle nostre debolezze: la consapevolezza ci farà chiudere la bocca, ci costringerà a chiedere scusa, a dare alla persona caduta in fallo un’altra possibilità.

«Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra». Questa “sentenza” è rivolta a me, a voi, a ciascuno di noi per ogni volta che ci permettiamo di giudicare il fratello, la sorella, l’uomo, la donna che ha un peccato manifesto e pubblico. È sulla base di tali presupposti che S. Agostino commenta sapientemente il passo evangelico. A seguire «il testo non ci dice se la donna si era pentita, e rimasero solo loro due, la misera e la misericordia; Gesù non condanna e offre a quella donna la possibilità di cambiare. Non ci viene detto se essa cambiò vita, se si convertì, o fece penitenza. Sappiamo solo che, affinché cambiasse vita, Gesù l’ha inviata verso la libertà: “Va’, va verso te stessa e non peccare più”».