Shekhar Kapur parla di colonialismo, terrorismo, Oriente e Occidente
Incontrare un regista orientale
non è facile. Primo perché rischi
di non capirlo, e non per la lingua, per quella c'è l'interprete.
Secondo perché tu sei occidentale e non
ci puoi fare proprio niente. Quindi parti prevenuto, soprattutto di
questi tempi, che basta un cammello per
pensare a un kamikaze imbottito di tritolo.
Poi ti siedi, lo ascolti parlare, e ringrazi il cielo che sia venuto
in Italia, e che esista. Perché mette in discussione
un sacco di certezze, il che, sempre
di questi tempi, non guasta mai troppo. "Lui" si chiama Shekhar
Kapur, salito alla ribalta internazionale per il film "Elizabeth"
che nel 1998 ha ricevuto 7 nomination all'Oscar
e ha vinto il Golden Globe. Il suo nuovo film è intitolato
"Le quattro piume" e uscirà in Italia il prossimo 31 ottobre.
Mister Kapur, qual è il senso di un film sull'onore
oggi?
Innanzitutto c'è da chiedersi: il protagonista, un soldato che abbandona
la guerra colonialista inglese in Sudan nel 1785 per tornarci solo
in seguito, compie un gesto di vigliaccheria o di coraggio? Per l'Inghilterra
di allora era vigliaccheria. Per noi, oggi, è coraggio: chi
ammette di aver paura della guerra, paura di morire, mette in dubbio
un obbligo che non lo convince è sicuramente coraggioso. Che cos'è
l'onore? Chi è in grado di dirlo? Il film si chiede: è giusto che
un Paese colonizzi un altro? E come si fa a parlare di onore e coraggio
in un film quando questo mette in dubbio la guerra stessa? Nella mia
pellicola il protagonista sceglie di ritornare a combattere per superare
i suoi dubbi e le sue paure. A quel tempo i giovani non mettevano
in discussione il fatto di dover combattere per la regina e per il
proprio Paese. Ecco anche questo suo gesto fu un atto di codardia
o di grande coraggio? Ecco il senso del mio film: sono queste domande.
È vero che nel film è stata tagliata una scena
in cui il protagonista dice esplicitamente di rifiutare la guerra
per un problema morale? La risposta è sì e no allo stesso tempo. Sì, nel senso che
abbiamo materialmente tagliato una scena: volevamo fosse il pubblico
a giudicare immorale una guerra coloniale, non il protagonista. No,
nel senso che il film è stato girato prima dell'11 settembre e quindi
non abbiamo eliminato la battuta per opportunità politica, anche se
naturalmente abbiamo riflettuto molto sui possibili riferimenti alla
guerra americana in Iraq.
Secondo lei, oggi, c'è rispetto per le culture
"diverse" da quella occidentale?
Prima dell'11 settembre forse sì. Poi, dopo quello che è successo,
si è tornati indietro. In Occidente c'è paura degli altri, di quello
che non si capisce. In Oriente la filosofia di vita è totalmente diversa:
il destino è al di sopra di ogni cosa, anche dell'individuo, della
sua volontà. Da voi è esattamente il contrario. Io ho cercato di rappresentare
questa contrapposizione nel mio film, nel rapporto tra Henry e Abou
Fatma, un guerrigliero mercenario africano. Se non riusciremo a superare
questo abisso presto saremo di nuovo in guerra.
Nell'ambito delle differnze tra popoli, come giudica
il terrorismo e gli ultimi eventi di questi giorni?
Il fatto è che non si tratta solo di accettare le differenze tra popoli,
bisogna anche capirle. Il terrorismo deriva dalla paura, la quale
a sua volta deriva dall'ignoranza. Sicuramente sono molte le cause
del terrorismo. Una di queste, anche se in occidente si fa fatica
ad accettarla come tale, è il colonialismo. I Paesi colonizzati non
si sviluppano in maniera naturale, secondo la loro cultura. E questo
è fonte di notevole contrasto che poi sfocia anche nel terrorismo.
Esistono secondo lei casi in cui si può parlare
di guerra "giusta"?
Cerco di ricordarmi a memoria una guerra che è stata soluzione permanente
di un problema: non esiste.
Perché ha girato molti dei suoi film in costume?
Io vedo la vita in maniera melodrammatica. Da dove vengo io, in Oriente,
la vita si percepisce in maniera mitica, epica. In Occidente no, solo
il passato è un po' mitico. E allora io rivolgo il mio sgurdo di regista
proprio lì.
Il film su Nelson Mandela a che punto è?
Si tratta di un lavoro molto complesso: è difficile scrivere una sceneggiatura
che racconti la vita di questo personaggio in due ore e mezza. È difficile
anche scegliere il taglio. Quella su cui sto lavorando è una sceneggiatura
emotiva, più che storica e sociale, del personaggio. Ho già scelto
l'attore che interpreterà Mandela da vecchio e sarà Morgan Freeman,
ma devo ancora scegliere anche chi lo interpreterà da giovane...
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