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La guerra giusta non esiste 29 ottobre 2002
Shekhar Kapur parla di colonialismo, terrorismo, Oriente e Occidente
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Incontrare un regista orientale non è facile. Primo perché rischi di non capirlo, e non per la lingua, per quella c'è l'interprete. Secondo perché tu sei occidentale e non ci puoi fare proprio niente. Quindi parti prevenuto, soprattutto di questi tempi, che basta un cammello per pensare a un kamikaze imbottito di tritolo. Poi ti siedi, lo ascolti parlare, e ringrazi il cielo che sia venuto in Italia, e che esista. Perché mette in discussione un sacco di certezze, il che, sempre di questi tempi, non guasta mai troppo. "Lui" si chiama Shekhar Kapur, salito alla ribalta internazionale per il film "Elizabeth" che nel 1998 ha ricevuto 7 nomination all'Oscar e ha vinto il Golden Globe. Il suo nuovo film è intitolato "Le quattro piume" e uscirà in Italia il prossimo 31 ottobre.

Mister Kapur, qual è il senso di un film sull'onore oggi?
Innanzitutto c'è da chiedersi: il protagonista, un soldato che abbandona la guerra colonialista inglese in Sudan nel 1785 per tornarci solo in seguito, compie un gesto di vigliaccheria o di coraggio? Per l'Inghilterra di allora era vigliaccheria. Per noi, oggi, è coraggio:  chi ammette di aver paura della guerra, paura di morire, mette in dubbio un obbligo che non lo convince è sicuramente coraggioso. Che cos'è l'onore? Chi è in grado di dirlo? Il film si chiede: è giusto che un Paese colonizzi un altro? E come si fa a parlare di onore e coraggio in un film quando questo mette in dubbio la guerra stessa? Nella mia pellicola il protagonista sceglie di ritornare a combattere per superare i suoi dubbi e le sue paure. A quel tempo i giovani non mettevano in discussione il fatto di dover combattere per la regina e per il proprio Paese. Ecco anche questo suo gesto fu un atto di codardia o di grande coraggio? Ecco il senso del mio film: sono queste domande.

È vero che nel film è stata tagliata una scena in cui il protagonista dice esplicitamente di rifiutare la guerra per un problema morale?
La risposta è sì e no allo stesso tempo. Sì, nel senso che abbiamo materialmente tagliato una scena: volevamo fosse il pubblico a giudicare immorale una guerra coloniale, non il protagonista. No, nel senso che il film è stato girato prima dell'11 settembre e quindi non abbiamo eliminato la battuta per opportunità politica, anche se naturalmente abbiamo riflettuto molto sui possibili riferimenti alla guerra americana in Iraq.

Secondo lei, oggi, c'è rispetto per le culture "diverse" da quella occidentale?
Prima dell'11 settembre forse sì. Poi, dopo quello che è successo, si è tornati indietro. In Occidente c'è paura degli altri, di quello che non si capisce. In Oriente la filosofia di vita è totalmente diversa: il destino è al di sopra di ogni cosa, anche dell'individuo, della sua volontà. Da voi è esattamente il contrario. Io ho cercato di rappresentare questa contrapposizione nel mio film, nel rapporto tra Henry e Abou Fatma, un guerrigliero mercenario africano. Se non riusciremo a superare questo abisso presto saremo di nuovo in guerra.

Nell'ambito delle differnze tra popoli, come giudica il terrorismo e gli ultimi eventi di questi giorni?
Il fatto è che non si tratta solo di accettare le differenze tra popoli, bisogna anche capirle. Il terrorismo deriva dalla paura, la quale a sua volta deriva dall'ignoranza. Sicuramente sono molte le cause del terrorismo. Una di queste, anche se in occidente si fa fatica ad accettarla come tale, è il colonialismo. I Paesi colonizzati non si sviluppano in maniera naturale, secondo la loro cultura. E questo è fonte di notevole contrasto che poi sfocia anche nel terrorismo.

Esistono secondo lei casi in cui si può parlare di guerra "giusta"?
Cerco di ricordarmi a memoria una guerra che è stata soluzione permanente di un problema: non esiste.

Perché ha girato molti dei suoi film in costume?
Io vedo la vita in maniera melodrammatica. Da dove vengo io, in Oriente, la vita si percepisce in maniera mitica, epica. In Occidente no, solo il passato è un po' mitico. E allora io rivolgo il mio sgurdo di regista proprio lì.

Il film su Nelson Mandela a che punto è?
Si tratta di un lavoro molto complesso: è difficile scrivere una sceneggiatura che racconti la vita di questo personaggio in due ore e mezza. È difficile anche scegliere il taglio. Quella su cui sto lavorando è una sceneggiatura emotiva, più che storica e sociale, del personaggio. Ho già scelto l'attore che interpreterà Mandela da vecchio e sarà Morgan Freeman, ma devo ancora scegliere anche chi lo interpreterà da giovane...

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