Intervista
al regista di "Windtalkers", "Face/off" e "Mission impossible II"
Il re delle sparatorie,
dei proiettili e delle arti marziali sul grande schermo, odia la guerra
e la violenza. L'abbiamo scoperto solo ora, grazie al suo ultimo film:
John Woo, regista di veri e propri cult
come Face/Off e Mission impossible 2 (con Tom
Cruise) è venuto in Italia per presentare "Windtalkers",
storia di guerra e di amicizia tra il sergente Joe Anders (Nicolas
Cage) e un soldato Navajo a cui deve proteggere la vita perché è in
grado di trasmettere messaggi cifrati nella propria lingua natia.
John Woo si racconta spiegandoci i motivi per cui ha scelto di girare
un film come questo.
Quanto c'è di vero nel film, quanto di falso e
quanto si è documentato per la sua realizzazione? La parte che riguarda i codetalkers e i codici è tutta vera:
sul set avevamo un consulente che spiegava come parlare e come agire
in proposito. Parte dei momenti drammatici invece sono il frutto delle
mie idee e della mia fantasia...
Una delle cose più interessanti del film è il punto
di vista con cui si narra la guerra. Non si identifica nè con quello
giapponese nè con quello occidentale. Forse perché lei ha vissuto
in Asia? Nel film alcuni personaggi combattono una guerra che li cambia,
cambia i loro rapporti, la loro amicizia. Non ci sono John Wayne qui.
E questo vale anche per i nemici. Il vero nemico è dentro ai soldati
americani, non fuori. All'interno del gruppo i bianchi trattano male
gli indiani. Ho cercato di rappresentare la guerra per quello che
realmente è: una cosa tremenda e terribile senza alcuna utilità per
niente e per nessuno.
Ma Hollywood non la pensa come lei... ha avuto
problemi per questo? No, devo dire di no. Ho saputo che alcuni hanno detto: ma come
può un cinese raccontare una storia tutta americana? Io ho pensato
che se gli americani raccontano i cinesi io posso fare tranquillamente
il contrario, e così sono partito. Gli Studios ci hanno creduto e
mi hanno aiutato.
Sembra che tra i personaggi vi sia una sorta di
repulsione per la morte... L'idea centrale della storia è proprio questa: i protagonisti
sono vittime della guerra. La guerra li segna e li colpisce. Gli rimane
soltanto l'amicizia.
Alcuni temi, come la violenza, la guerra e l'amicizia,
tornano spesso al centro dei suoi film. C'è una nota biografica in
tutto questo? Per me l'amicizia è fondamentale. Da piccolo spesso mi picchiavano:
solo l'amicizia e la Chiesa mi hanno dato una mano. Anche nella scuola
superiore ho trovato violenza. Per cui, anche se non mi sono mai arruolato,
la guerra di strada l'ho vissuta tutta sulla mia pelle. Da ragazzo
e da giovane ero arrabbiatissimo contro le diseguaglianze tra i ricchi
e i poveri, tra gli sfruttatori e gli sfruttati. Per cui quando ho
realizzato "Bullet in the head" l'ho fatto con tanta rabbia tanto
dolore e tanta passione. Questa volta ho raccontato gli stessi sentimenti,
ma senza quella rabbia che avevo qualche tempo fa. Anche in "Windtalkers"
come in "Bullet in the head" abbiamo un messaggio contro la guerra.
Entrambi i film mostrano come la guerra rovini tutto, compreso l'animo
umano.
Progetti futuri, Mission impossible 3? No, hanno già ingaggiato un altro regista! Ma lavorerò di nuovo
con Tom
Cruise, ci siamo trovati
bene davvero, insieme...
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