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«Cattivi non si nasce, si diventa» 11 ottobre 2002
A tu per tu con Robin Williams, protagonista del film "One Hour Photo" Robin Williams è diventato cattivo.
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Nel suo ultimo film, "One Hour Photo" interpreta un maniaco ammalato di solitudine che si affeziona morbosamente a una famiglia sua cliente. Per chi è a caccia di interrogativi e di inquietudine è la pellicola adatta. Per chi invece è abituato a "Good moorning Vietnam", "Hook, Capitan uncino" e "Mrs. Doubtfire" forse lo è un po' meno. Pochissimi i dialoghi nel film e, visto il personaggio, è un vero peccato. Eppure Robin Williams non sembra affatto pentito: a lui, spiega, piace sperimentare, indagare la psiche umana e a 50 anni se lo può permettere. A Roma, tra una gag e l'altra, non si è sottratto alle domande dei cronisti: odia la violenza e la guerra ma, in alcuni casi, ritiene giusta la pena di morte. Pragmatico e ironico ha parlato di Bush e Berlusconi, internet e corruzione.

Mr. Williams, chi è Seymour Parrish?
È una persona infelice, sola, che scopre una famiglia di cui ha sviluppato le foto tenendone per sé una copia. Vive nella fantasia e quando il suo mondo crolla scatta la violenza. Grazie a lui ho scoperto che ogni personaggio negativo è diverso, supera la soglia della moralità a modo suo. Sy Parrish, ad esempio, non riesce a dar seguito concreto alla sua violenza.

Sy viene licenziato dai grandi magazzini per aver rubato foto. Secondo lei la disoccupazione può causare violenza?
Può capitare ma non sempre è così. Prendiamo ad esempio il caso di Washington, dove un folle sta uccidendo da giorni poveri innocenti. Lui è un pazzo creativo. Sta facendo tutto questo in maniera metodica, pianificata, non per uno scatto d'ira. Come vede, spesso la cattiveria non c'entra molto con la disoccupazione.

Quali sono le cose che la fanno arrabbiare terribilmente?
L'abuso sui bambini ma anche la violenza gratuita e pianificata. Mi riferisco a quelle persone che uccidono non perché perdono la testa, ma perché godono a farlo. Ecco, in questi casi capisco la pena di morte. Il carcere per queste persone non serve a niente: è l'università del crimine, di certo niente di rieducativo.

Come sceglie le sceneggiature?
A cinquant'anni scelgo quello che ancora non ho fatto. Amo fare l'attore perché mi permette di esplorare il comportamento umano. La cosa che mi affascina di più è vedere come una persona buona diventa cattiva e viceversa.

Cosa ne pensa di internet?
Internet è verità e falsità senza filtro, questo è il bello della rete. Entri in chat pensando di parlare con una ragazza di vent'anni e invece dall'altra parte c'è un uomo che di anni ne ha 60. Eppure proprio grazie al web siamo riusciti ad avere le immagini della rivolta degli studenti a Tienanmen.

Molti comici dicono di essere tristi, e lei?
Io sono realista. Mi sveglio la mattina e accendo la tv. Vedo le news e sono molto pessimista. Poi durante la giornata incontro le persone, sto con mia moglie e i miei figli e pian piano mi passa tutto. Alla fine della giornata sono incredibilmente ottimista.

Cosa pensa della guerra preventiva all'Iraq?
Non sono assolutamente d'accordo. Fare la guerra preventiva è come tentare di controllare le nascite con l'eiaculazione precoce. E poi, sulla base di quali informazioni dovremo agire? Tutto quello che ha saputo dirci l'intelligence Usa dopo l'11 settembre è di stare attenti a chi segue corsi da pilota ma non è particolarmente interessato all'atterraggio.

Conosce Silvio Berlusconi?
L'ho visto ieri in tv, è molto simile al nostro vicepresidente Dick Cheney che ha problemi di conti, di documenti che non vengono resi pubblici... Ma Berlusconi non era sotto indagine prima delle elezioni? Che ha fatto, ha «detto lasciamo perdere e parliamone più tardi»? È strano come chi è sospettato di aver compiuto reati di carattere economico in genere la passi liscia.

Quali personaggi interpreterà in futuro?
Un Napoleone comico sarebbe splendido, ma anche Barbara Bush, come machiavellica Lucrezia Borgia del Texas, non sarebbe niente male...

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