¤  MONDO PICCINO  ¤

Vecchi e nuovi continenti

INTRODUZIONE

Torna Lester R. Brown e ci parla del crollo degli stati deboli in questi anni di crisi prolungata e perdurante.

Egli spiega i crolli sulla base di un indice calcolato dopo aver fatto 12 rilevazioni diverse, ma soprattutto incrociando 2 fattori principali: la sicurezza alimentare e la natalità.

Dentro la sicurezza alimentare si inseriscono anche le speculazioni sugli alimenti e le penurie dovute alle calamità e alla siccità.

Se volete approfondire leggete pure.

Le Forze Ambientali e Demografiche Minacciano il Fallimento Statale

www.earth-policy.org

By Lester R. Brown

Earth Policy Release

World on the Edge Book Byte

9 Febbraio 2011

Le rivolte in Tunisia, Egitto e attraverso il Medio Oriente all’inizio del 2011 hanno ricordato al mondo proprio quanto alcuni stati siano politicamente fragili.

Ma il centro delle politiche internazionali è stato cambiato da poco di tempo finalmente. Dopo un mezzo secolo di formazione di nuovi stati dalle ex colonie e dalla frantumazione dell’Unione Sovietica, la comunità internazionale oggi è davanti alla situazione opposta: la disintegrazione di stati.

Come dice l’articolo di Foreign Policy: “Gli stati falliti hanno girato un’Odissea importante dalla periferia al centro vero delle politiche globali”.

Il Failed States Index, realizzato dal Fund for Peace e pubblicato su ogni numero di Foreign Policy dei mesi luglio/agosto, classifica 177 paesi secondo la “loro vulnerabilità ai conflitti interni violenti e il deterioramento societario”, basato su 12 indicatori sociali, economici e politici.

Nel 2005, solo 7 paesi avevano risultati di 100 o di più oltre 120.

(Un risultato di 120 significherebbe che una società sta fallendo del tutto con ogni misura.) Nel 2010 erano 15.

I punteggi più alti dei paesi al vertice e il raddoppio dei paesi con risultati di 100 o più alti dice che il fallimento dello stato è sia diffuso che in approfondimento. Gli stati falliscono quando i governi nazionali perdono il controllo di parte o tutto il territorio e non assicurano a lungo la sicurezza della gente.

Gli stati falliti degenerano spesso nella guerra civile fra opposti gruppi in lotta per il potere. In Afganistan, per esempio, i signori della guerra locali o i Talebani, non il governo centrale, controllano il paese fuori di Kabul.

Una ragione per le rotture del governo che di recente è divenuta più rilevante è l’incapacità di fornire la sicurezza del cibo – non necessariamente perché il governo è meno competente ma perché l’ottenere abbastanza cibo è divenuto più difficile. Il fornire cibo sufficiente si è dimostrato particolarmente arduo dall’aumento dei prezzi del cibo che inizio nei primi mesi del 2007.

Sebbene i prezzi del grano fossero sussidiati ancora per un po’ di tempo, essi sono rimasti ben al di sopra dei livelli storici e, all’inizio del 2011, si avvicinano veloci ai livelli simili al picco della primavera del 2008.

Tra i 20 stati in cima alla lista degli Stati Falliti del 2010, non tutti ma alcuni perderanno la corsa tra il produrre cibo e la crescita di popolazione.

Le popolazioni in 15 dei primi 20 stati in fallimento crescono tra il 2 e il 4% all’anno.

Molti governi soffrono la fatica demografica, incapaci di affrontare la contrazione stabile dei terreni da raccolto e di acqua fresca per persona o di costruire scuole abbastanza velocemente per le schiere in aumento dei bambini.

In 14 dei primi 20 stati al fallimento, almeno il 40% del popolo è sotto i 15 anni, un indicatore  che alza la probabilità di instabilità politica futura. Molti sono presi nella trappola demografica: si sono sviluppati abbastanza economicamente e socialmente per ridurre la mortalità ma non abbastanza per abbassare la fertilità.

Come risultato, grandi famiglie generano povertà e la povertà genera grandi famiglie. Virtualmente tutti i primi 20 paesi stanno impoverendo i loro beni naturali – foreste, pascoli, suoli, e falde – per sostenere la loro rapida crescita di popolazione.

I 3 paesi in cima alla lista – Somalia, Ciad e Sudan – perdono i loro suoli a causa dell’erosione del vento che indebolisce la produttività della terra.

Vari paesi tra i primi 20 sono in crisi idrica e sfruttano eccessivamente le loro falde.

Ad un certo punto, con la popolazione in crescita rapida, il deterioramento dei sistemi di supporto ambientale, e con la povertà che li rafforza, l’instabilità risultante rende difficile l’attrazione di investimenti dall’estero.

Pure i programmi di assistenza pubblica dai paesi donatori qualche volta sono eliminano gradualmente mentre la rottura della sicurezza minaccia le vite di lavoratori aiutati. Le condizioni del fallimento statale possono essere realizzabili nel lungo periodo, ma il collasso stesso può arrivare velocemente.

Prima che la rivoluzione in Tunisia alimentasse la scintilla in Yemen nel Gennaio del 2011, il paese già lottava con varie tendenze minacciose.

Esso sta esaurendo sia il petrolio che acqua, e ha la popolazione più povera tra i paesi Arabi.

Il debole governo Yemenita contrasta una rivolta degli Sciiti nel nord (un conflitto profondo tra il nord e il sud) e un numero stimato di 300 operativi di Al Qaeda che tramano dentro i suoi confini.

Con il suo confine lungo e poroso con l’Arabia Saudita, lo Yemen potrebbe divenire un ingresso per Al Qaeda se si movesse verso tal paese.

Gli stati in fallimento di rado sono un fenomeno isolato. I conflitto possono facilmente diffondersi ai paesi vicini, come quando il genocidio in Ruanda si espanse nella DRC, dove un conflitto civile in corso pretese più di 5 milioni di vite tra il 1998 e il 2007.

In modo simile, le uccisione nella regione del Darfur in Sudan si diffondono velocemente in Ciad perché le vittime scappano oltre il confine.

Gli stati in fallimento possono divenire zone franche per gruppi terroristici internazionali, come in Afganistan, Iraq, Pakistan e Yemen, basi per pirati, come in Somalia, o fonti di droga, come in Afganistan e Myanmar (Burma).

Fortunatamente, il fallimento statale non è sempre una strada a senso unico.

Il Sud Africa, che avrebbe potuto finire in una corsa alla guerra una generazione fa, ora è una democrazia funzionante.

Liberia e Colombia che una volta avevano entrambe alti punteggi nel Failed State Index, hanno fatto un notevole miglioramento.

Nondimeno, mentre il numero di stati in fallimento cresce, l’occuparsi delle crisi internazionali diviene più difficile.

Le situazioni che sarebbero gestibili in un ordine mondiale sano: il mantenere la stabilità monetaria o il controllare l’epidemia di una malattia infettiva, diventa difficile e forse impossibile in un mondo con molti stati in disintegrazione.

Pure il mantenimento dei flussi internazionali di materie prime potrebbe divenire una sfida. Prima o poi, la diffusione dell’instabilità politica potrà spezzare il progresso economico globale.

Una delle sfide principali davanti alla comunità internazionale è come prevenire quella scivolata nel caos.

Il continuare con gli affari come sempre con i programmi d’aiuto internazionale non funziona.

Il rovesciare il processo del crollo statale è sempre più una sfida, richiede un processo e non di rifare stati devastati dopo la 2° guerra mondiale, ciò richiede un tipo di cooperazione stretta che nessun stato donatore può dare finora.

Poiché il fallimento statale è, per sua natura, sistemico, una risposta sistemica è necessaria – una che risponda alle molte fonti di fallimento messe in relazione.

Nel governo USA, gli sforzi per occuparsi degli stati deboli e in fallimento sono frammentari.

Quello che serve ora è un nuovo ministero – a livello di agenzia – un Department of Global Security (DGS) – che modelli una politica coerente verso ogni stato debole. Questo consiglio, inizialmente stabilito in un rapporto della Commission on Weak States e U.S. National Security, riconosce che le minacce alla sicurezza ora vengono meno dal potere militare e di più dalle tendenze sociali e ambientali che indeboliscono gli stati.

La nuova agenzia incorporerebbe AID (ora parte dello State Department) e tutti i vari programmi di assistenza internazionale che al momento sono in altri dipartimenti governativi, così da assumere la responsabilità per l’assistenza allo sviluppo USA attraverso il ministero.

Esso sarebbe finanziato spostando risorse fiscali dal Department of Defense, di fatto diverrebbe una parte di un nuovo bilancio della sicurezza.

Si punterebbe alle fonti centrali del fallimento statale aiutando a stabilizzare la popolazione, a ripristinare i sistemi di supporto ambientale, a sradicare la povertà, e a rafforzare il regno della legge con l’appoggio alle forze di polizia, sistemi di tribunale, e, dove serve, con l’esercito.

Il DGS renderebbe le questioni come l’aiuto al debito e l’accesso al mercato una parte integrale della politica USA.

Si fornirebbe anche un forum per coordinare le politiche estere e domestiche, assicurando che queste politiche non indeboliscano le economie dei paesi a basso reddito o aumentino il prezzo del cibo a livelli non sostenibili per i poveri.

Questi investimenti sono in un senso una risposta umanitaria allo stato dei paesi più poveri del mondo.

Ma nel mondo integrato economicamente e politicamente del ventunesimo secolo, essi sono anche un investimento nel nostro futuro.

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Tratto dal capitolo 7 “Mounting Stresses, Failing States”, e dal capitolo 11, “Eradicating Poverty, Stabilizing Population, and Rescuing Failing States” in Lester R. Brown, World on the Edge: How to Prevent Environmental and Economic Collapse (New York: W.W. Norton & Company, 2011);

disponibile online a www.earth-policy.org/books/wote

Dati aggiuntivi e fonti di informazione su www.earth-policy.org

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Washington, DC 20036

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Tradotto da F. Allegri il 20 luglio 2011.

Environmental and Demographic Forces Threaten State Failure

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By Lester R. Brown

Earth Policy Release

World on the Edge Book Byte

February 9, 2011

Uprisings in Tunisia, Egypt, and across the Middle East at the start of 2011 have reminded the world just how politically fragile some countries are.

But the focus of international politics has been shifting for some time now. After a half-century of forming new states from former colonies and from the breakup of the Soviet Union, the international community is today faced with the opposite situation: the disintegration of states.

As an article in Foreign Policy observes, “Failed states have made a remarkable odyssey from the periphery to the very center of global politics”.

The Failed States Index, undertaken by the Fund for Peace and published in each July/August issue of Foreign Policy, ranks 177 countries according to “their vulnerability to violent internal conflict and societal deterioration”, based on 12 social, economic, and political indicators.

In 2005, just 7 countries had scores of 100 or more out of 120.

(A score of 120 would mean that a society is failing totally by every measure.) By 2010, it was 15.

Higher scores for countries at the top and the doubling of countries with scores of 100 or higher suggest that state failure is both spreading and deepening. States fail when national governments lose control of part or all of their territory and can no longer ensure people’s security.

Failing states often degenerate into civil war as opposing groups vie for power. In Afghanistan, for example, the local warlords or the Taliban, not the central government, control the country outside of Kabul.

One reason for government breakdowns that has become more relevant recently is the inability to provide food security - not necessarily because the government is less competent but because obtaining enough food is becoming more difficult. Providing sufficient food has proved to be particularly challenging since the rise in food prices that began in early 2007.

Although grain prices subsided again for a while, they have remained well above historical levels and, at the beginning of 2011, are fast approaching levels similar to the spring 2008 peak.

Among the top 20 countries on the 2010 Failed States list, all but a few are losing the race between food production and population growth.

The populations in 15 of the top 20 failing states are growing between 2 and 4 percent a year.

Many governments are suffering from demographic fatigue, unable to cope with the steady shrinkage in cropland and freshwater supply per person or to build schools fast enough for the swelling ranks of children.

In 14 of the top 20 failing states, at least 40 percent of the population is under 15, a demographic indicator that raises the likelihood of future political instability. Many are caught in the demographic trap: they have developed enough economically and socially to reduce mortality but not enough to lower fertility.

As a result, large families beget poverty and poverty begets large families. Virtually all of the top 20 countries are depleting their natural assets - forests, grasslands, soils, and aquifers - to sustain their rapidly growing populations.

The 3 countries at the top of the list - Somalia, Chad, and Sudan - are losing their topsoil to wind erosion, undermining the land’s productivity.

Several countries in the top 20 are water-stressed and are overpumping their aquifers.

After a point, as rapid population growth, deteriorating environmental support systems, and poverty reinforce each other, the resulting instability makes it difficult to attract investment from abroad.

Even public assistance programs from donor countries are sometimes phased out as the security breakdown threatens the lives of aid workers. The conditions of state failure may be a long time in the making, but the collapse itself can come quickly.

Before revolution in Tunisia helped spark unrest in Yemen in January of 2011, the country already faced several threatening trends.

It is running out of both oil and water, and has the poorest population among Arab countries.

The shaky Yemeni government faces a Shiite insurgency in the north, a deepening conflict between the north and the south, and an estimated 300 Al Qaeda operatives within its borders.

With its long, porous border with Saudi Arabia, Yemen could become a gateway for Al Qaeda to move into Saudi Arabia.

Failing states are rarely isolated phenomena. Conflicts can easily spread to neighboring countries, as when the genocide in Rwanda spilled over into the DRC, where an ongoing civil conflict claimed more than 5 million lives between 1998 and 2007.

Similarly, the killings in Sudan’s Darfur region quickly spread into Chad as victims fled across the border.

Failing states can become training grounds for international terrorist groups, as in Afghanistan, Iraq, Pakistan, and Yemen; bases for pirates, as in Somalia; or sources of drugs, as in Afghanistan and Myanmar (Burma).

Fortunately, state failure is not always a one-way street.

South Africa, which could have erupted into a race war a generation ago, is now a functioning democracy.

Liberia and Colombia, both of which once had high Failed State Index scores, have each made a remarkable turnaround.

Nevertheless, as the number of failing states grows, dealing with various international crises becomes more difficult.

Situations that may be manageable in a healthy world order, such as maintaining monetary stability or controlling an infectious disease outbreak, become difficult and sometimes impossible in a world with many disintegrating states.

Even maintaining international flows of raw materials could become a challenge. At some point, spreading political instability could disrupt global economic progress.

One of the leading challenges facing the international community is how to prevent that slide into chaos.

Continuing with business as usual with international assistance programs is not working.

Reversing the process of state failure is an even more challenging, demanding process than the rebuilding of war-torn states after World War II, and it requires a level of interagency cooperation that no donor country has yet achieved.

Since state failure is, by its nature, systemic, a systemic response is called for - one that is responsive to the many interrelated sources of failure.

Within the U.S. government, efforts to deal with weak and failing states are fragmented.

What is needed now is a new cabinet-level agency - a Department of Global Security (DGS) - that would fashion a coherent policy toward each weak state. This recommendation, initially set forth in a report of the Commission on Weak States and U.S. National Security, recognizes that threats to security now come less from military power and more from the social and environmental trends that undermine states.

The new agency would incorporate AID (now part of the State Department) and all the various foreign assistance programs that are currently in other government departments, thereby assuming responsibility for U.S. development assistance across the board.

It would be funded by shifting fiscal resources from the Department of Defense, in effect becoming part of a new security budget.

It would focus on the central sources of state failure by helping to stabilize population, restore environmental support systems, eradicate poverty, and strengthen the rule of law through bolstering police forces, court systems, and, where needed, the military.

The DGS would make such issues as debt relief and market access an integral part of U.S. policy.

It would also provide a forum to coordinate domestic and foreign policy, ensuring that domestic policies do not weaken the economies of low-income countries or raise the price of food to unaffordable levels for the poor.

These investments are in a sense a humanitarian response to the plight of the world’s poorest countries.

But in the economically and politically integrated world of the twenty-first century, they are also an investment in our future.

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Adapted from Chapter 7, “Mounting Stresses, Failing States”, and Chapter 11, “Eradicating Poverty, Stabilizing Population, and Rescuing Failing States” in Lester R. Brown, World on the Edge: How to Prevent Environmental and Economic Collapse (New York: W.W. Norton & Company, 2011);

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