CRITICA LOCALE
LA LETTERA DI RALPH NADER ( nostra esclusiva la versione italiana ) |
[14 Febbraio 2011] Nell’Interesse Pubblico Le Istituzioni Civiche Essenziali per la Rivoluzione dell’Egitto Di Ralph Nader Colman McCarthy, un ex scrittore del Washington Post e fondatore del Center for Teaching Peace, deve essere molto felice per le notizie che arrivano dall’Egitto. Per venticinque anni, McCarthy ha cercato di persuadere le scuole superiori e i college ad adottare gli studi della pace nei loro corsi (per più informazioni, contattatelo a cmccarthy@starpower.net). Ora lui ha un altro esempio di una rivoluzione largamente non violenta - guidata da persone giovani di ogni provenienza - che ha estromesso con successo un regime dittatoriale. La forza morale della non-violenza contro i tiranni è ridicolizzata dalla mentalità militarista. Dite ciò a Ghandi e Mandela e ai nostri leaders per i diritti civili. Quelli che dicono che esse sono eccezioni dovute alla brutalità relativamente più bassa dei loro avversari dovrebbero leggere la storia. Quei regimi fortificati erano stati molto brutali negli anni. Ma quando una protesta non violenta viene organizzata e disciplinata abbastanza da raggiungere la massa critica, la brutalità può solo rafforzare e accrescere le rivolte. Il dono involontario di H. Mubarak alla Rivolta del 25 Gennaio fu che unì i protestanti sotto le linee di classe, di religione e ideologiche. La sua oppressione, regolare negli anni, colpì il 6 aprile, 2008 il movimento dei giovani e gli scioperi fatti nelle fabbriche tessili. Una scintilla di speranza arrivò con lo sconvolgimento Tunisino di Dicembre. La scossa vergognosa delle immolazioni in Egitto per vincere la paura diffusa e la reticenza ad unirsi agli altri in quei primi raduni paurosi nella Piazza Tahrir del Cairo può essere esagerata in modo scarso. I 18 giorni che scioccarono l’Egitto saranno utili per studi affascinanti. L’autodisciplina e il potere del rispetto reciproco con le altre mani strette nelle mani saggiarono il regime e i protestanti. Prima venne la polizia con il gas lacrimogeno, pallottole di gomma, granate stordenti e cannoni ad acqua. GLI OPPOSITORI RESISTETTERO. Poi tre giorni dopo, la polizia fu ritirata e sostituita dall’esercito familiare e rispettato (l’Egitto ha la leva militare). I soldati mantennero soprattutto un tipo di ordine neutrale, ma alcuni mostrarono il loro supporto per i dimostranti permettendogli di decorare i carri con fiori e segni di libertà. Il 2 e il 3 Febbraio portarono in Piazza gli strani sostenitori di Mubarak vestiti da contadini. Ciò trascinò nuova determinazione tra le folle che superavano largamente quelle che vedevano come i teppisti del governo. GLI OPPOSITORI RESISTETTERO. Da allora in poi, sostenuti dalle dimostrazioni ad Alessandria - la seconda più grande città dell’Egitto - Suez e altri centri Metropolitani, il momento oscillò decisamente in favore dei ribelli le cui fila crescevano ogni giorno. Certamente, la televisione Al-Jazeera s’oppose alla televisione di stato per informare la gente, quasi ogni minuto su quello che traspirava nelle strade. Certamente Internet tenne i protestanti in contatto l’uno con l’altro, quantunque il governo l’avesse tagliato subito insieme alle reti di telefonia mobile. Ma lontano dalla gran parte delle telecamere, i residenti organizzarono i vasti quartieri del Cairo per difendere e rifornire se stessi. Essi furono la vera colla, la vera profondità che convinse il regime che esso era finito del tutto. La caduta di Mubarak condusse all’assunzione del potere del Consiglio Supremo delle Forze Armate il quale decise di sospendere l’odiata costituzione, dissolse il Parlamento senza importanza, e annunciò elezioni “libere e giuste” con candidati multi partitici entro i successivi sei mesi. Si impegnarono a rimuovere la disprezzata “legge di emergenza”, che permetteva gli arresti senza garanzie o processo, e promisero l’immunità per i protestanti che descrissero come “persone oneste che rifiutavano la corruzione e chiedevano le riforme”. ORA VIENE LA PARTE DURA. 3 “culture” sono ora le meglio organizzate – l’esercito, i gruppi commerciali e quelli religiosi. Per ultima viene la cultura civica che c’è ora,nel suo stadio festoso e formativo, il pane della nazione. Ma è la cultura civica – politica nei quartieri urbani e ai livelli di villaggio che formerà i processi democratici futuri e le strutture per evitare di cadere in una concentrazione di potere oligarchica e militare – una sostenuta dallo stesso e vecchio supporto USA a favore della stabilità autoritaria preferita alla democrazia. “Gran parte del vecchio regime resta” scrisse lo studioso del movimento rivoluzionario del Medio Oriente, David Porter. Come scrisse l’editorialista del New York Times - N. D. Kristof dal Cairo dove una volta fu uno studente universitario: “Sbagliamo quando agiamo come se la democrazia fosse buona per USA e Israele ma non per il mondo arabo. Per troppo tempo, abbiamo trattato quel mondo come solo un campo petrolifero”. Il pericolo per i protestanti per prossimi 6 mesi critici è come mantenere il momento di unità mentre si va dietro una larga agenda universale che condurrà alle elezione senza aprire divisioni settarie laceranti. Nel 1990 io ero a Mosca come ospite dell’U.S: and Canada Institute dell’Unione Sovietica proprio prima che Boris Yeltsin sostituisse Mikhail Gorbachev. La gente era pazza di gioia per la prospettiva che si profilava di sostituire la dittatura sovietica con la democrazia. Ammonii che ci sarebbe stato un grande vuoto, questo ci fu, e che la gioia e la vivacità non avrebbero sostituito la creazione di istituzioni civiche, di giudici e accusatori indipendenti e la partecipazione civica più larga possibile della gente. D’altro canto, il vuoto si sarebbe riempito di forze che non erano di loro gradimento. Bastano certamente: le pratiche autoritarie e la distribuzione corrotta delle enormi risorse naturali della Russia a varie oligarchie riempì il vuoto. La resistenza Egiziana – politicamente formata dal confronto con anni di repressione – è solo appena nata. Essi sanno quello che devono fare ed entro quanto, non prendendo nulla per acquisito. Tale cautela, che resero chiara, include di non prendere per acquisita l’improvvisa lode di Washington alla loro ricerca di quella che il Presidente Obama chiamò una “democrazia genuina”. Non è sorprendente il cambiamento dove l’amministrazione Obama è decisamente con i lavoratori e i contadini in questo antico paese di 80 milioni di abitanti? -------------------------------------------- Dite agli amici di visitare Nader.Org e di iscriversi a E-Alerts.Tradotto da Franco Allegri il 24/07/2011 |
[February 14 2011] In The Public Interest Civic Institutions Essential for Egypt’s Revolution
Colman McCarthy, a former Washington Post writer and founder of the Center for Teaching Peace, must be very happy with the news from Egypt. For twenty-five years, McCarthy has been persuading high schools and colleges to adopt peace studies in their curriculum (for more information, contact him at cmccarthy@starpower.net). Now he has another example of a largely non-violent revolution - led by young people of all backgrounds - successfully ousting a dictatorial regime. The moral power of non-violence against tyrants is ridiculed by the militaristic mind. Tell that to Ghandi and Mandela and to U.S. civil rights leaders. Those who say these are exceptions due to the relative lower brutality of what they were up against should read the history. Those entrenched regimes were plenty brutal over the years. But when non-violent protests became organized and disciplined enough to reach critical mass, brutality only strengthened and enlarged the uprisings. Hosni Mubarak’s inadvertent gift to the January 25 Revolution was that he united the protestors beyond class, religious and ideological lines. His regular oppression over the years led to the April 6, 2008 Youth movement, and organized labor strikes at textile mills. An auspicious spark came with the Tunisian upheaval of December. The shaming jolt of immolations in Egypt to overcome widespread fear and reticence to join with others in those frightening early rallies in Cairo’s Tahrir Square can scarcely be exaggerated. The 18 days that shook Egypt will make for fascinating study. The self-discipline and power of mutual self-respect with others locked arm-in-arm tested the regime and the protestors. First came the security police with tear gas, rubber bullets, concussion grenades and water cannons. The resisters held. Then three days later, the police were pulled back and replaced by the respected and familiar Army (Egypt has a draft). The soldiers mostly kept a kind of neutral order, but some soldiers showed their support for the demonstrators by allowing them to decorate the tanks with flowers and freedom signs. February 2 and 3 brought the ominous pro-Mubarak plain-clothesmen into the Square. That drew new resolve among the crowds that vastly outnumbered what they saw as the government’s thugs. The protestors held. From then on, bolstered by demonstrations in Alexandria - Egypt’s second largest city - Suez and other Metropolitan centers, the momentum swung decisively in favor of the rebels whose ranks swelled with each day. Certainly, Al-Jazeera television countered the state-run television to inform the people, almost by the minute about what was transpiring in the streets. Certainly the Internet kept the protestors in touch with one another, though the government briefly shut it down along with the mobile phone networks. But far from most cameras, residents organized Cairo’s vast neighborhoods to defend and supply themselves. They were the real glue, the real depth that convinced the regime that it was all over. The fall of Mubarak led to the assumption of power by the Supreme Council of the Armed Forces which suspended the disliked constitution, dissolved the rubber-stamp Parliament, and announced “free and fair” elections with multi-party candidates in six months. They pledged to remove the despised “emergency law,” allowing arrests without charges or trial, and promised immunity for the protestors whom they described as “honest people who refused the corruption and demanded reforms”. Now comes the hard part. Three “cultures” are presently the best organized - the military, commercial and religious groups. Least established is the civic culture that is now, in its revelry and formative stage, the toast of the nation. But it is the civic - political culture at the urban neighborhood and village levels that will shape the future democratic processes and structures to avert falling back into a military-oligarchic concentration of power - one backed by the same old U.S. support for authoritarian stability over democracy. “Much of the old regime remains” wrote author of Middle-East revolutionary movements, David Porter. As the New York Times columnist - Nicholas D. Kristof, wrote from Cairo where he once was a university student: “We tie ourselves in knots when we act as if democracy is good for the United States and Israel but not for the Arab world. For far too long, we’ve treated the Arab world as just an oil field.” The peril for the protestors in the critical next six months is how to keep the momentum of unity going behind a broad universal agenda that would lead to the election without opening up rending sectarian divisions. In 1990 I was in Moscow as a guest of the Soviet Union’s U.S. and Canada Institute just before Boris Yeltsin replaced Mikhail Gorbachev. The audiences were overjoyed at the looming prospect of democracy replacing Soviet dictatorship. I cautioned that there would be a large vacuum, should this occur, and joy and relief should not supplant the creation of civic institutions, independent judiciaries and prosecutors and the broadest possible civic participation by the people. Otherwise, the vacuum would be filled with forces not to their liking. Sure enough, authoritarian practices and the corrupt give-away of Russia’s massive natural resources to a dozen oligarchs filled the vacuum. The Egyptian resistance - politically savvy from dealing with years of repression - is anything but naïve. They know what they have to do and by when, taking nothing for granted. This wariness, they have made clear, includes not taking for granted Washington’s sudden praise of their unfolding quest for what President Obama called a “genuine democracy.” Wouldn’t it be a surprising change were the Obama administration to stand resolutely with the workers and the peasants in this ancient land of 80 million? -------------------------------------------- Tell your friends to visit Nader.Org and sign up for E-Alerts. |
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SOMMARIO DELLE ULTIME LETTERE:
193 - “Il Tempo per la Democrazia in Egitto”
192 - Lettera Aperta al Presidente Obama sui diritti di voto nel distretto di Columbia (a partire dall'Egitto)
191 - L'abuso di antibiotici in USA
190 - L’azzardo di King (sindacati in USA)
189 - Lettera Aperta al Presidente Obama (sul lavoro, il salario e il nucleare)
188 - Sfidate la destra delle multinazionali e la copertura unilaterale dei media
187 - Cinguettando Continuamente sul Tempo (contro il consumismo tecnologico)
186 - La frode dell’industria farmaceutica
185 - Wikimania e il Primo Emendamento (sulle reazioni alle divulgazioni di Wikileaks)
184 - Maggioranza di Uno (sulla maratona di oratoria politica e denuncia sociale del Sen. Bernie Sanders)
183 - Delirio Istituzionale (critica ai repubblicani USA)
182 - Mancare il Bersaglio sui Deficits
181 - Il mio amico Barack (Nader scrive una lettera immaginaria di George Bush a Obama)
180 - Da USA TODAY --- Nader: il TSA esprime la nuda insicurezza
179 - Su Bush nel dettaglio (sul suo libro e contro la sua presidenza)
178 - I Democratici Dissipano il Voto Oscillante
177 - La strada per la schiavitù multinazionale (l'appello per le elezioni di mid - term di Nader)
176 - Dieci domande per i Tea Partiers
175 - I media di destra e la genesi del Tea Party (prima riflessione)
174 - Cercando contratti onesti (contro le grandi banche USA e il MERS)
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