CRITICA  LOCALE

LA  LETTERA  DI  RALPH  NADER

( nostra esclusiva la versione italiana )

[07 Febbraio 2011]

Nell’Interesse Pubblico

“Il Tempo per la Democrazia in Egitto”

Di Ralph Nader

Le persone politicamente di buon senso convinte che l’uomo forte, Hosni Mubarak, sarebbe caduto entro la fine della prima settimana della sommossa egiziana farebbero bene a ripensarci.

Per 30 anni Mubarak ha sviluppato quello che può essere detto un regime dittatoriale molto radicato con accesso regolare alla White House e con una generosità annuale di quasi $1,3 miliardi in equipaggiamenti militari e libro paga.

Mubarak è un ex militare, egli è stato molto attento a ciò che serve per mantenere le fedeltà della polizia, delle forze di sicurezza segrete e dell’esercito.

Se lui vuole, decine di migliaia di quelli sul suo libro paga perderebbero i loro soldi e sarebbero finiti se il governo fosse sostituito davvero.

Inoltre, egli gode del supporto sia degli Stati Uniti che di Israele per i quali egli è stato una forza “stabile” contro le pressioni che vengono dall’Iran e dai suoi alleati in Medio Oriente.

Schierati contro di lui ci sono vari protestatori, meglio noti per la loro occupazione di Piazza Tahrir a Il Cairo e per le loro rivendicazioni che sono state mostrate ora dopo ora dai media internazionali intralciati, inclusa Al-Jazeera la più attaccata.

Del tutto chiari sono la solidarietà, l’auto-aiuto, l’energia e la natura democratica della ribellione.

La TV controllata dallo stato, tuttavia, rimane nelle mani di Mubarak.

Egli ha mostrato che può tagliare fuori gli interi sistemi di telefonia mobile e Internet con quello che un commentatore ha definito “l’attiva complicità dei principali server aziendali”.

Entrando nella terza settimana della rivolta, il regime ha riaperto le banche, e sta sollecitando gli affaristi ad aprire le loro porte.

Il governo lotta per indebolire i protestatori le cui forniture ed energie quotidiane sono state fiaccate dalla forza schiacciante schierata contro di loro per intimidire, indebolire e limitare il loro numero non solo nella Piazza ma anche nelle altre città come Alessandria e Suez.

Finora l’esercito è rimasto largamente neutrale.

Le bande paramilitari dei regimi, con vestiti civili, attaccarono i protestatori provocando morti e feriti per vedere se essi sarebbero fuggiti di corsa.

Finora, i dimostranti sono ben organizzati nella Piazza e negli altri quartieri del Cairo e stanno resistendo nel loro terreno.

Ma le retate di alcuni dei principali dissidenti per brevi carcerazioni o peggio e i fermi o le aggressioni ai giornalisti continuano.

Ciò che tali sviluppi riflettono è che il regime Mubarak è ancora in carica, con una sufficiente retorica della riforma, mentre si cambiano i grandi capi e si caccia il consiglio del partito di Mubarak, per mostrare qualche concessione.

La tattica di Mubarak è di piegarsi poco per non rompersi.

Ma se i protestanti tecnici esperti in gran parte urbani non riusciranno a rifornire le loro fila e a portare più poveri agricoltori spaventati ai loro raduni, essi rischiano di essere percepiti come chi lotta senza forza.

Del resto, non possono essere visti come chi riceve aiuti esterni dato che il governo Mubarak lo riceve regolarmente dal contribuente USA.

Essi non possono essere visti come chi sposa “le ideologie radicali” dato che il governo Mubarak sposa l’uso radicale della violenza dittatoriale e della tortura, in passato e nel presente.

In un certo senso, le debolezze dei protestanti – nessuna guida centralizzata, niente risorse – sono anche le loro forze morali.

Questo è dovuto alla loro grande paura di essere infiltrati da provocatori organizzati per fare “incidenti” creativi e diffamazioni. Perciò hanno i loro punti di controllo intorno alla Piazza e cercano di avere buoni rapporti con i soldati che circondano il loro accampamento. L’Esercito è centrale per la perpetuazione delle forze di Mubarak e delle loro oligarchie.

Con l’ordine di apparire neutrale e di mantenere l’ordine, l’Esercito, come la maggioranza degli Egiziani, aspetta la prossima mossa delle 2 parti, con l’allarme per i suoi interessi che includono investimenti d’affari.

Le dicerie sono diffuse.

Ma sembra che alcune persone designate dai protestanti e rappresentativi della Fratellanza Musulmana soppressa politicamente da tempo si siano incontrati con la gente di Mubarak. Il di nuovo nominato vice di Mubarak e capo da tempo dei servizi segreti, Omar Suleiman, con contatti a Washington per le operazioni segrete, pare che stia per decidere se dare solo l’impressione che Mubarak stia cedendo per sperare di rimanere come un presidente formale fino alla fine del suo mandato di fine anno.

Tale immagine falsa di moderazione potrebbe essere la via del regime per aspettare il momento giusto e per prepararsi meglio a deprimere o distruggere la rivolta popolare in vari modi anche con la massima violenza vista dal mondo intero in tempo reale.

La scelta dell’ultima rotta potrebbe scatenare le forze in questo paese impoverito e brutalizzato di 80 milioni di persone che da un lato l’esercito non potrebbe contenere e dall’altro l’economia già fragile non potrebbe tollerare.

Se, come si dice, i sindacati useranno la loro indipendenza e faranno comitati operai per organizzare uno sciopero generale, allora una struttura di supporto alternativa si unirebbe ai protestanti per avere riforme economiche, come l’aumento dei salari e i sussidi al consumatore.

Comunque, il governo Mubarak ha anche una guardia interna decisa a non far materializzare nulla di tale iniziativa.

Il regime propaganda che non c’è alternativa a se stesso per la transizione, qualunque possa essere, oltre al caos e alla rivoluzione radicale contro l’Occidente.

Che fa l’Amministrazione Obama dietro le quinte, oltre la sua esposizione a favore di un governo di transizione che prepari “elezioni aperte e giuste?”

Essa starà con la gente dell’Egitto e i diritti umani se dovrà andare contro quello che l’analista Samah Selim descrisse come “il silenzio terrificante e nudo delle multinazionali e dello stato della sicurezza nazionale contro la società civile?”

Il tempo certamente lo dirà.

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Tradotto da Franco Allegri il 17/07/2011

[February 07 2011]

In The Public Interest

“Time for Democracy in Egypt”

By Ralph Nader

Those politically savvy people who thought strongman, Hosni Mubarak would be out before the end of the first week of the Egyptian uprising better rethink the odds.

For thirty years Mubarak has developed what can be called a deeply rooted dictatorial regime with regular White House access and annual largesse of some $1.3 billion in military equipment and payroll.

A former military man, he has been very alert to what is needed to maintain the loyalties of the police, the intelligence security forces and the army.

If he goes, tens of thousands of those on his payroll could lose their patronage and be on the outs if his government is really replaced.

Moreover, he enjoys the support of both the United States and Israel for whom he has been a “stable” force against the pressures coming from Iran and its allies in the Middle East.

Arrayed against him are a variety of protestors, best known for their occupation of Tahrir Square in Cairo and whose grievances are being reported hour-by-hour by the harassed international media, including the much attacked Al-Jazeera.

Widely noted are the solidarity, self-help, stamina and democratic nature of the rebellion.

The state-controlled media, however, remains in Mubarak’s hands.

He has shown he can cut off the entire Internet and mobile phone systems with what one commentator called “the active complicity of the major corporate servers.”

Going into the 3° week of the uprising, the regime has reopened the banks, and is urging businesses to open their doors.

The government is striving to wait out the protestors, whose daily supplies and energies are being sapped by the overwhelming force arrayed against them to intimidate, weaken and keep their numbers down not just in the Square but also in other cities like Alexandria and Suez.

So far the army is remaining largely neutral.

The regimes’ paramilitary gangs, in plain clothes, attacked the protestors inflicting fatalities and injuries to see if they will cut and run.

So far, the demonstrators are well-organized in the Square and in other Cairo neighborhoods and are holding their ground.

But roundups of some of the leading dissidents for brief imprisonments or worse and detaining or beating journalists continue.

What these developments reflect is that the Mubarak regime is still in charge, with just enough rhetoric of reform, while replacing some top leaders and dismissing the board of Mubarak’s political party, to show some slack.

Mubarak’s tactic is to bend a little so as not to break.

But unless the largely urban, tech-savvy protestors can keep replenishing their ranks and bringing more of the frightened rural poor to their rallies, they risk being perceived as running out of steam.

After all, they cannot be seen as receiving aid from abroad as the Mubarak government receives regularly from U.S. taxpayers.

They cannot be seen as espousing “radical ideologies” as the Mubarak government espouses radical use of dictatorial violence and torture in the past and present.

In a way, the weaknesses of the protestors - no centralized leadership, no resources - are also their moral strengths.

That is why their great fear is being infiltrated by organized provocateurs to creative “incidents” and smears. So they have their own checkpoints leading to the Square and are trying to keep good relations with the soldiers surrounding their encampment. The Army is central to the perpetuation of the Mubarak forces and their oligarchies.

Under orders to appear neutral and maintain order, the Army, like most Egyptians, is waiting for the next move of the two sides, though alert to its own interests which include business investments.

Rumours are rife.

But it seems that some people designated by the protestors and representatives of the long politically suppressed Muslim Brotherhood have met with Mubarak’s people. Mubarak’s newly appointed vice-president, longtime intelligence chief, Omar Suleiman, with close operational contacts in Washington, appears to be making the decisions, if only to given the impression that Mubarak is relenting and may be willing to remain as a figurehead president until his term is up later this year.

All this disingenuous image of moderation may be the regime’s way of biding for time so as to more fully prepare to depress or destroy this popular uprising in various ways short of massive violence watched by the whole world in real time.

Choosing the latter course could unleash forces in this impoverished and brutalized country of 80 million people that both the army could not contain and the already fragile economy could not endure.

If, as rumoured, the trade unions exert their independence and form worker committees that could organize a general strike, then an alternative support structure could join the protestors to call for some economic relief, such as increasing wages and consumer subsidies.

However, the Mubarak government has an inside watch on anything like such an initiative materializing as well.

The regime is propagandizing that there is no alternative to itself being the transition, whatever that may be, other than chaos and radical revolution against the West.

What is the Obama Administration doing behind the scenes, beyond its statement in favor of a transition government planning “open and fair elections”?

Will it stand with the people of Egypt and human rights if it has to stand against what analyst Samah Selim described as the “terrifying naked silence of multinational corporations and the national security state against civil society?”

Time will surely tell.

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SOMMARIO DELLE ULTIME LETTERE:

192 - Lettera Aperta al Presidente Obama sui diritti di voto nel distretto di Columbia

191 - L'abuso di antibiotici in USA

190 - L’azzardo di King (sindacati in USA)

189 - Lettera Aperta al Presidente Obama (sul lavoro, il salario e il nucleare)

188 - Sfidate la destra delle multinazionali e la copertura unilaterale dei media

187 - Cinguettando Continuamente sul Tempo (contro il consumismo tecnologico)

186 - La frode dell’industria farmaceutica

185 - Wikimania e il Primo Emendamento (sulle reazioni alle divulgazioni di Wikileaks)

184 - Maggioranza di Uno (sulla maratona di oratoria politica e denuncia sociale del Sen. Bernie Sanders)

183 - Delirio Istituzionale (critica ai repubblicani USA)

182 - Mancare il Bersaglio sui Deficits

181 - Il mio amico Barack (Nader scrive una lettera immaginaria di George Bush a Obama)

180 - Da USA TODAY --- Nader: il TSA esprime la nuda insicurezza

179 - Su Bush nel dettaglio (sul suo libro e contro la sua presidenza)

178 - I Democratici Dissipano il Voto Oscillante

177 - La strada per la schiavitù multinazionale (l'appello per le elezioni di mid - term di Nader)

176 - Dieci domande per i Tea Partiers

175 - I media di destra e la genesi del Tea Party (prima riflessione)

174 - Cercando contratti onesti (contro le grandi banche USA e il MERS)

173 - Remare con Roz (dall'Atlantico al Pacifico e fino a Londra 2012 in difesa della vita del mare)

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Le lettere di Nader sono pubblicate anche su Empolitica.com!

Tra i molti scritti precedenti segnalo quello sulle multinazionali e le profezie di Ross Perot.

 

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