CRITICA LOCALE
LA LETTERA DI RALPH NADER ( nostra esclusiva la versione italiana ) |
[18 Ottobre 2010] I media di destra e la genesi del Tea Party* Di Ralph Nader Il potente caso del libro di Eric Alterman What Liberal Media? (scritto nel 2003 contro la rivendicazione di tipo propagandistico delle destre che i mass media abbiano un’inclinazione liberale) è una consapevolezza crescente. Basta leggere le pubblicazioni recenti del The Washington Post e del The New York Times per vedere i più estremi reazionari ottenere il tipo di copertura che i loro pubblicisti amano. Proprio Domenica 10 ottobre 2010, sul New York Times, apparvero 2 pezzi molto lunghi e importanti sulla furiosa Ann Coulter e sulla blogger P. Geller – una grottesta anti Semita contraria agli Arabi che sventola il suo fanatismo totale come un emblema di orgoglio. La Geller definì se stessa ‘un’islamofobica razzista e una bigotta anti musulmana’. Un reporter veterano definì il disordinato articolo di due pagine con oltre 20 foto a colori “una pubblicità”. Nessuno con un tale odio aperto e ostentato contro gli Ebrei sarebbe ignorato o gettato via paragrafo dopo paragrafo con le denuncie che sono affidate al carattere malato nell’oblio dei media. L’ultimo articolo della Coulter, uno dei molti sui media principali in questi anni, annota i suoi sforzi di reinventare i suoi strilli da quando è stata aggirata “sulla destra dal Tea Party”. Il Times la definisce una “conservatrice”, offuscando i conservatori invece di quello che lei è realmente – un esecutore in farsesco che lancia carne rossa ai lettori che cercano fuori dal muro del divertimento. La Coulter denunciò pure le vedove del 11/09 del New Jersey perché strumentalizzavano le morti dei loro mariti per il piacere di farlo. Uno dei direttori del New Yorker si è meravigliato di quello che accade al senso del Times dell’importanza dell’editoriale. Replicai che nessuno nella Sinistra che conta ha tale trattamento promozionale, non importa quanto siano appariscenti a livello personale. Se ci siano delle controparti, che si definiscono di sinistra e comparabili con la Coulter e la Geller, nessuno conosce i loro nomi perché essi non hanno il Times, Rush Limbaugh, Sean Hannity e Glenn Beck per promuovere loro attraverso i mass media. Il programma radio locale e nazionale, che usa le nostre reti pubbliche senza spese, è dominato dalla declamazione estrema dei monologhi di destra che spesso mettono il tappo alle poche proteste che ricevono dagli sceneggiatori. La TV politica via cavo, a parte la MSNBC (che bruciò Phil Donahue nel 2003 per aver mostrato i 2 lati della campagna fabbricata da Bush per invadere l’Iraq) è una corsa tra i tipi molto isterici come Beck e B. O’Reilly che cerca con ansia di superare Beck: pure O’Reilly fa meglio. Comparate la copertura delle notizie e degli editoriali sul raduno di G. Beck a Washington, D.C. del 28 agosto con il raduno nello stesso posto del mese dopo, organizzato da 400 gruppi progressisti, religiosi, dei diritti civili, studenteschi e ambientalisti. Nel Washington Post, non fu nemmeno preciso. Per il raduno progressista di forza comparabile che rappresentò decine di milioni di Americani, il Post dedicò un breve articolo che preannunciò l’evento e una storia regolare della notizia di quel giorno a pagina 3 dove citò la stima assurda di Mr. Beck di 500.000 al suo raduno (una stima della CBS ritenuta solida stimò che il raduno di Beck avesse trascinato meno di 90.000). Per il raduno di Beck, il post si mobilitò. Una storia nell’enorme pagina 1 riversata con generosità nelle pagine interne. I portavoce della rete FOX in riunione fecero degli articoli prima e dopo l’adunanza. Il Times (che non fu così entusiasta) si fece guidare nel fare a Beck un titolo che fa gonfiare l’ego – Dove Una Volta si Trovò il Dr King, il Tea Party Reclama il Suo Mantello”. E Beck è uomo dei media TV che promuove un atto politico, un ruolo che era tabù, in teoria. Le pagine interne mostrano che le notizie tendono più a destra nei media che negli articoli. Le pagine interne del Post sono sovra-rappresentate da editoriali e contributi dei mercanti della guerra. Il controllore dei media FAIR riferì nel suo mensile Extra che, in un periodo di 9 mesi nel 2009, la ragione dei sostenitori delle guerre e degli interventi nelle pagine internei superò quella degli anti interventisti con un rapporto di dieci a uno. Questa è una città liberal Democratica in modo travolgente, niente di meno. Il professor Andrew Bacevich, un ex militare professionista e autore di libri di successo, ha avuto cinque tesi rifiutate nel periodo che va poco oltre gli ultimi due anni da Fred Hiatt – il capo della pagina editoriale del Post. Hiatt non si è preso nemmeno il fastidio di spedire a lui un rifiuto; sono diversi i rifiuti del più cortese David Shipley, la sua controparte al Times. Nel giorno che il Presidente Obama annunciò la fine dell’attività di combattimento in Iraq, chi apparve sul Times con un pezzo interno del tutto incorreggibile sull’Iraq? Proprio il principale architetto di tale guerra di aggressione criminale e illegale – P. Wolfowitz. John Bolton, la lince dei sottoposti alla bugia dell’ex State Department che non poteva digerire il suo Secretary Colin Powell, riuscì ad ottenere uno spazio nel Times e sul Post nello stesso giorno! Altri punti di vista sono sollecitati raramente dal Times o dal Post. La tendenza di destra dei media principali, assurdamente ritenuti liberali dalle intimidazioni di successo dei corporativi e degli aggressori ideologici, continua anno dopo anno. I gruppi del dissenso producono inchieste e azioni che usano per costruire le notizie della rete televisiva, ma ora sono esclusi. Gli esposti dei gruppi civici sul crimine multinazionale imperversante e sulla corruzione politica sono sempre ignorati. I temi dei diritti civili, delle donne, del lavoro, dell’ambiente e dei consumatori hanno voce qualche volta al Phil Donahue Show e di rado nei programmi di M. Douglas e M. Griffin. Niente di più. Molti degli spettacoli che seguite, salvo Oprah, mostrano punti di vista crudi, violenti, aberranti, sadomasochistici e personali. Il media si piega anche all’indietro per evitare di essere definito liberal dagli articoli di molti corporativi o dai pensatori di destra. I dirigenti dei media dovrebbero fermarsi a contemplare come i loro predecessori negli anni Sessanta e Settanta trovarono un equilibrio e, facendo così, riuscirono a migliorare il nostro paese in molti modi. Perché non ora? ---------------------------- Dite agli amici di visitare Nader.Org e di iscriversi a E-Alerts.*Il titolo è una nostra scelta. Tradotto da Franco Allegri il 03/03/2011 |
[October 18 2010] Mainstreaming the extreme rightwing By Ralph Nader The strong case that Eric Alterman’s book What Liberal Media? made in 2003 against the propaganda-style claim by rightwingers, that the mass media has a liberal bias, is an expanding understatement. Just read recent issues of The Washington Post and The New York Times to see the most extreme reactionaries getting the kind of coverage their publicists love. Just last Sunday in the October 10, 2010 New York Times, two very lengthy features appeared on the rancid Ann Coulter and the blogger Pamela Geller - a grotesque anti-Semite against Arabs who flaunts her sweeping bigotry as a badge of pride. Geller even called herself a ‘racist-Islamophobic-anti-Muslim-bigot’. One veteran reporter called the sprawling two page feature, with all of twenty color photos “an advertisement.” Anyone with such open and flaunted hatred against Jews would either be ignored or slammed paragraph by paragraph with denunciations consigning the sick character into media oblivion. The latest Coulter feature, one of many in the mainstream media over the years, chronicles her efforts to reinvent her shouts since she is being outflanked “on the right by the Tea Party.” The Times called her a “conservative,” besmirching conservatives instead of what she really is - a burlesque performer throwing red meat to audiences looking for off-the-wall entertainment. Coulter even denounced the New Jersey 9/11 widows as exploiting their husbands’ deaths for enjoyment. One of the editors at the New Yorker wondered what is happening to the Times sense of feature worthiness. I replied that no one on the seriously important Left gets this kind of promotional treatment, no matter how flamboyantly personal they may be. If there are counterparts, calling themselves leftists, who compare with Coulter and Geller, no one knows their names because they don’t have the Times, Rush Limbaugh, Sean Hannity and Glenn Beck to promote them via the mass media. National and local talk radio, using our public airwaves free of charge, is dominated by extreme ranting rightwing soliloquists who often pull the plug on the few callers who get by the screeners. Cable political TV, apart from MSNBC (which fired Phil Donahue in 2003 for presenting both sides of Bush’s fabricated drive to invade Iraq) is a race between the wildly hysterical Beck-types and Bill O’Reilly pantingly trying to out-do Beck, even though O’Reilly knows better. Take the comparative news and feature coverage of Glenn Beck’s rally in Washington, D.C. on August 28 with the rally at the same place a month later, organized by 400 progressive labor, religious, civil rights, student and environmental groups. In the Washington Post, it was not even close. For the progressive rally of comparable size, representing tens of millions of Americans, the Post devoted a short article presaging the event and a regular news story that day on page 3, which cited Mr. Beck’s preposterous estimate of 500,000 for his meeting (A CBS-retained consulting firm estimated Beck’s rally drew just under 90,000). For the Beck rally, the Post went all out. A huge page one story spilled generously onto the inside pages. The FOX network talkers’ assembly got articles proceeding and after the gathering. The Times, while not so gushing, did manage to give Beck a startling ego-inflating headline - “Where Dr. King Once Stood, Tea Party Claims His Mantle.” And Beck is a TV media man promoting political action, a role that formerly was taboo. The op-ed pages showcase the news media’s rightwing bent even more than the news articles. The op-ed pages of the Post are over-represented with war-mongering columnists and contributors. The media watchdog FAIR reported in their monthly magazine Extra that, in one nine-month period during 2009, the ratio of op-ed’s supporting wars and interventions outnumbered op-ed’s by the anti-interventionists by ten-to-one. This in an overwhelmingly liberal Democratic city, no less. Professor Andrew Bacevich, a former professional soldier and author of acclaimed books, has had five submissions rejected over the past two years or so by Fred Hiatt - the Post’s editorial page chief. Hiatt doesn’t even bother sending him a rejection, unlike his rejections by the more courteous David Shipley, his counterpart at the Times. On the day President Obama announced the end of combat activity in Iraq, who appears with a lengthy unrepentant op-ed piece on Iraq in the Times? None other than a major architect of that illegal, criminal war of aggression - Paul Wolfowitz. John Bolton, the falsehood-prone former State Department wildcatter, whom Secretary Colin Powell could not stomach, managed to get an op-ed in the Times and the Post on the same day! Other viewpoints are infrequently solicited by the Times or Post. The right-moving trend of the mainstream media, absurdly deemed liberal by successfully intimidating corporatists and ideological aggressors, continues year after year. Dissenting groups produce reports and actions that used to make the network television news, but are now shut out. Exposés by civic groups about rampant corporate crime and political corruption are regularly ignored. Civil rights, women’s rights, environment, labor, consumer issues were once given voice on the Phil Donahue Show and occasionally by the Mike Douglas and Merv Griffin Shows. No more. Many of the shows that followed, except for Oprah, showcase crude, violent, aberrant, sadomasochistic personal behaviors. The media bends over backwards to avoid being called liberal by featuring many corporatist or rightwing think tank views. Media executives should pause to contemplate how their predecessors in the Sixties and Seventies embraced balance and, in so doing, resulted in our country being improved in many ways. Why not now? ---------------------------- Tell your friends to visit Nader.Org and sign up for E-Alerts. |
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SOMMARIO DELLE ULTIME LETTERE:
174 - Cercando contratti onesti (contro le grandi banche USA e il MERS)
173 - Remare con Roz (dall'Atlantico al Pacifico e fino a Londra 2012 in difesa della vita del mare)
172 - Perché dire sì al partito del no? (10 critiche ai repubblicani e seconda profezia della sconfitta democratica)
171 - Da quando scrissi insicuro ad ogni velocità (sulla sicurezza nelle strade poco finanziata)
170 - Rovesciare l'oligarchia (le lotte di Public Citizen)
169 - Il bozzolo multinazionale del Democratico (la profezia della sconfitta democratica alle elezioni di medio termine)
168 - Onorare quelli che faticano (sui lavori umili)
167 - Le lotte di Katsuko Nomura (in Giappone e in comparazione)
166 - Per chi suona la campana (la corruzione in California)
165 - La presidenza Obama tra GM e la ShoreBank
164 - Tenere d’occhio Wall Street (sulla riforma finanziaria di Obama - sesto articolo)
163 - Votare per tassare la rendita a New York (oltre e prima della riforma finanziaria)
162 - La guerra in Afganistan vista dagli USA
161 - Le società non sono persone (gli impegni di Public Citizen)
160 - Il cattivo bipolarismo della California
159 - Se il Mississipi fa la sanità come l'Iran ......
158 - Libri da leggere in USA (e non solo)
157 - Martellare il povero e il vulnerabile
156 - 36 Domande per la Kagan, candidata alla corte Suprema
155 - La nuda insicurezza (sui rischi dei controlli negli aeroporti e il diritto al controllo alternativo)
Le lettere di Nader sono pubblicate anche su Empolitica.com e spedite alle agenzie di stampa e culturali che sono libere di diffonderle!Meritano di essere letti anche molti scritti precedenti, tra i tanti segnalo quello sulle multinazionali e le profezie di Ross Perot.
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