CRITICA  LOCALE

LA  LETTERA  DI  RALPH  NADER

( nostra esclusiva la versione italiana )

[15 giugno 2010]

Per la riscossa del giornalismo in USA

di Ralph Nader

La fine della carriera di 62 anni di Helen Thomas come giornalista pioniera contro il nonsenso è stata veloce e di una crudeltà interessante.

La causa primaria della sua fine iniziò quando era seduta su una panchina alla White House sotto un caldo estivo oppressivo.

L’ottantanovenne vecchia eroina del giornalismo onesto e dei diritti delle donne, il flagello dei presidenti ipocriti e degli addetti stampa della White House, rispose a una domanda di un visitatore su Israele con un commento iroso espresso in un modo che non voleva usare; subito si scuso per iscritto (vedi http://www.democracynow.org/2010/6/8/veteran_white_ house_ reporter_helen_thomas).

Registrato senza permesso su un video manuale, il breve scambio, che incluse una difesa dei Palestinesi espropriati, andò ad avvelenare internet Venerdì, 7 giugno.

Dal lunedì, Helen Thomas fu considerata finita, anche se lei incorporava un credo inflessibile, contenuto nelle parole lodevoli dell’editorialista del Washington Post, Dana Milbank: “Nessuno in piedi sul podio [alla White House] può essere considerato con scetticismo”.

Nel fine settimana, il suo agente per le conferenze l’abbandonò. Il suo consorzio editoriale, la Hearst company, la pressò per fermarla “effettivamente e subito”, e si credeva che la White House Correspondents Association, della quale lei fu la prima presidente donna, avesse deciso di portare via la sua agognata sedia in prima fila nella sala stampa della White House.

Poi, Helen Thomas annunciò il suo ritiro Lunedì, 10 giugno. Nessun dubbio che abbia avuto la sua quantità di epiteti etnici, sessisti e "ageist" urlati contro di lei negli anni –i  molti decenni che lei sfidò ampiamente il razzismo, il sessimo e di recente "l’ageism".

Sebbene il retro delle scene della storia ancora non sia venuto fuori, la rivelazione fu lanciata da 2 falchi della guerra a favore di Israele: Ari Fleischer e Lanny Davis.

Fleischer fu l’addetto stampa di George W. Bush che fu imbrigliato dalle domande di Helen Thomas riguardo agli orrori dei crimini di guerra e della tortura illegale di Bush e Cheney.

Egli non doveva rispondere alla donna arrogante ma deviare, schivare e coprire i suoi capi.

Davis fu il difensore designato ogni volta che Clinton era in acque calde.

Come fece notare il giornalista Paul Jay, ora lui è un lobbista a Washington e tra i suoi clienti include la crudele giunta corporativa che rovesciò il presidente eletto dell’Honduras.

Entrambi gli uomini racimolarono il pacco ululante degli odiatori della Thomas durante il fine settimana e riempirono la storia senza risposta su Fox e altri media agevolanti.

Quindi, tardivamente, qualche cosa di rimarcabile si è verificata.

La gente reagì contro questa punizione molto sproporzionata.

Ellen Ratner, collaboratrice di Fox News, scrisse – “Io sono ebrea e sostenitrice di Israele. Permettetemi di oppormi a questo: tutti abbiamo detto cose – o pensato cose – sugli ‘altri’ gruppi di persone, cose che non vorremmo vedere sulla stampa o in video. Chi rettifica non è un bugiardo. Datele [a Helen] una pausa”. Apparentemente molte persone concordano.

Nel sondaggio su internet del Washington Post, il 92% dei risponditori disse che lei non andava rimossa dalla sala stampa della White House.

Come scrisse R. Carey, ascoltatore di NPR: “Il D.C. sarebbe privo di giornalisti se loro tutti fossero fermati, bruciati o pensionati dopo aver fatto commenti potenzialmente offensivi”.

Ascoltiamo Michael Freedman (ex direttore amministrativo dell’United Press International): “Helen Thomas ha mostrato ora la più temuta delle vulnerabilità dopo sette decenni di modelli predisposti per il giornalismo di qualità e per demolire le barriere per le donne sul posto di lavoro – lei è umana …. Chi tra noi non ha sentimenti forti sulla guerra senza fine in Medio Oriente? Chi tra noi non ha detto qualcosa che noi dobbiamo rammaricarci? …. Non distruggiamo la signora Thomas ora”.

Katrina Vanden Heuvel, direttore e editore della The Nation, scrisse: “La Thomas era l’unica corrispondente accreditata alla White House con il coraggio di fare a Bush le domande dure degne di una stampa libera … I suoi commenti furono offensivi, ma considerando la sua storia giornalistica e il coraggio di molti decenni – un contrasto tagliente con i fatti spregevoli commessi dai molti che ingombrano la scena politica di Washington – non c’è una stanza per uno che ha fatto un errore, si è scusato e vuole continuare a dire il vero al potere e porre le questioni dure?”.

La scorsa settimana, davanti alla White House, gente che si definisce “Jews for Helen Thomas” radunò una piccola dimostrazione.

Medea Benjamin – cofondatore di Global Exchange, dichiarò che “Noi abbiamo chiaro ciò che Helen Thomas voleva dire, ovvero che Israele deve cessare la sua occupazione della Palestina e noi siamo d’accordo con quello”.

Poi un altro dimostrante, Z. Zulkowitz, sostenne che “discreditando Helen Thomas, chi crede che Israele non può fare sbagli sposta l’attenzione dalla debacle delle relazioni pubbliche per le uccisione della Gaza Flotilla, e intimidiscono i giornalisti che farebbero domande dure sull’occupazione israeliana della Palestina e sulla politica estera americana”.

Helen Thomas, che crebbe a Detroit, è un’americana di discendenza araba.

Lei è comprensibilmente in allarme per la politica estera e militare unilaterale USA in tale regione. Le sue domande riflettono il pensiero sulla politica USA in Medio Oriente di molti americani inclusi militari, diplomatici e dirigenti dei servizi in pensione ma senza bavaglio.

Nel 2006 quando George W. Bush finalmente la convocò, lei iniziò il suo questionario dicendo: “La sua decisione di invadere l’Iraq causò le morti d’americani e iracheni. Ogni ragione data, almeno in pubblico, si è rivelata non vera”.

O quando lei sfidò il Presidente Obama il mese scorso, chiedendo: “Quando comincerete a venir via dall’Afganistan? Perché continuiamo a uccidere e morire là? Qual è la scusa reale?”. Il chiedere il  “perché” era il suo marchio di fabbrica .

Molti giornalisti auto-censurati evitano le domande del “perché” controverse e permettono l’evasione, la simulazione e anche il piano B.S. per dominare la sala stampa della White house.

Lei rifiutò le parole che zuccheravano o camuffavano i fatti macabri. Lei iniziava con i fatti macabri per esporre la doppiezza e le illegalità croniche della burocrazia.

Ciò che sgomentava di più la Thomas era il modo dei media di girare intorno e di non controllare i funzionari contabili.

(I reporter inglesi credono di essere più duri sul loro Primo Ministro).

Questo è un soggetto sul quale lei ha scritto libri e articoli – non esattamente il modo per lei di simpatizzare con i reporter che vanno AWOL e guardano altrove, in modo che essi possano continuare ad essere invitati o promossi dai loro superiori.

Il record abissale di New York Times e Washington Post prima dell’invasione dell’Iraq (riempiti con le bugie, la frode e le coperture di Bush-Cheney) è un caso puntuale. Come al solito, lei si dimostrava giusta, i reporter famosi e gli editorialisti non deprecavano il suo lavoro, incluso il critico della stampa del Post, Howard Kurtz.

La Thomas lavorava con un profondo rispetto per il diritto a sapere della gente. Per lei, come notò tempo fa A. Huxley: “i fatti non cessano di esistere perché sono ignorati”.

Ultimamente, c’è il doppio livello. Un commento mal-concepito, estemporaneo, come affermò il funzionario del NPR Alicia Shepard, lodando Ms. Thomas, finì una carriera di rottura.

Ma le carriere migliori e gli onorari per le conferenze grasse premiano i declamatori di un’ultra destra di radio e cavo o come A. Coulter l’editorialista che sollecita guerre, mutilazioni e rastrellamenti basati sul bigottismo, stereotipi e bugie dirette contro i Musulmani, con un antisemitismo manifesto contro gli arabi.

(vedi http://www.adc.org/education/educational-resources/ e il libro di Jack Shaheen e il documentario accluso sulla descrizione culturale degli stereotipi arabi: Reel Bad Arabs.)

La scrivania di Ms Thomas nell’ufficio Hearst è stata una settimana incustodita dopo il suo fratto.

Un giorno ritornerà per prendere la sua roba.

Lei può portare con se la soddisfazione di unirsi a quelli nella nostra storia che furono licenziati in apparenza per una gaffe, ma in realtà per essere troppo giusta, troppo presto e spesso.

I suoi molti ammiratori sperano che scriva ancora, parli e motivi una generazione di nuovi giornalisti nello spirito  di un'idea di J. Pulitzer per i reporter di 100 anni fa – che il loro lavoro fosse di “conforto agli afflitti e affliggente per il confortevole”.

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Tradotto da Franco Allegri il 20/10/2010

[June 15 2010]

(Senza titolo)

By Ralph Nader

The termination of Helen Thomas’ 62-year long career as a pioneering, no-nonsense newswoman was swift and intriguingly merciless.

The event leading to her termination began when she was sitting on a White House bench under oppressive summer heat.

The 89-year old hero of honest journalism and women’s rights, the scourge of dissembling presidents and White House press secretaries, answered a passing visitor’s question about Israel with a snappish comment worded in a way she didn’t mean; she promptly apologized in writing (see http://www.democracynow.org/2010/6/8/veteran_white_ house_reporter_helen_thomas).

Recorded without permission on a hand video, the brief exchange, that included a defense of dispossessed Palestinians, went internet viral on Friday, June 7.

By Monday, Helen Thomas was considered finished, even though she embodied a steadfast belief, in the praiseworthy words of Washington Post columnist, Dana Milbank, “that anybody standing on that podium [in the White House] should be regarded with skepticism.”

Over the weekend, her lecture agent dropped her. Her column syndicator, the Hearst company, pressed her to quit “effective immediately,” and, it was believed that the White House Correspondents Association, of which she was the first female president, was about to take away her coveted front row seat in the White House press room.

Then, Helen Thomas announced her retirement on Monday, June 10. No doubt she’s had her fill of ethnic, sexist and ageist epithets hurled her way over the years – the very decades she was broadly challenging racism, sexism and, more recently, ageism.

Although the behind the scenes story has yet to come out, the evisceration was launched by two pro-Israeli war hawks, Ari Fleischer and Lanny Davis.

Fleischer was George W. Bush’s press secretary who bridled under Helen Thomas’ questioning regarding the horrors of the Bush-Cheney war crimes and illegal torture.

His job was not to answer this uppity woman but to deflect, avoid and cover up for his bosses.

Davis was the designated defender whenever Clinton got into hot water.

As journalist Paul Jay pointed out, he is now a Washington lobbyist whose clients include the cruel corporate junta that overthrew the elected president of Honduras.

Both men rustled up the baying pack of Thomas-haters during the weekend and filled the unanswered narrative on Fox and other facilitating media.

Then, belatedly, something remarkable occurred.

People reacted against this grossly disproportionate punishment.

Ellen Ratner, a Fox News contributor, wrote – “I’m Jewish and a supporter of Israel. Let’s face it: we all have said things - or thought things - about ‘other’ groups of people, things that we wouldn’t want to see in print or on video. Anyone who denies it is a liar. Giver her [Helen] a break.” Apparently, many people agree.

In an internet poll by the Washington Post, 92% of respondents said she should not be removed from the White House press room.

As an NPR listener, R. Carey, e-mailed: “D.C. would be void of journalists if they all were to quit, get fired or retire after making potentially offensive comments.”

Listen to Michael Freedman, former managing editor for United Press International: “After seven decades of setting standards for quality journalism and demolishing barriers for women in the workplace, Helen Thomas has now shown that most dreaded of vulnerabilities - she is human …. Who among us does not have strong feelings about the endless warfare in the Middle East? Who among us has said something we have come to regret? .... Let’s not destroy Ms. Thomas now.”

Katrina Vanden Heuvel, editor and publisher of The Nation, wrote: “Thomas was the only accredited White House correspondent with the guts to ask Bush the tough questions that define a free press …. Her remarks were offensive, but considering her journalistic moxie and courage over many decades - a sharp contrast to the despicable deeds committed by so many littering the Washington political scene – isn’t there room for someone who made a mistake, apologized for it and wants to continue speaking truth to power and asking tough questions?”

Last week, in front of the White House, people calling themselves “Jews for Helen Thomas” gathered in a small demonstration.

Medea Benjamin - cofounder of Global Exchange, declared that “We are clear what Helen Thomas meant to say, which is that Israel should cease its occupation of Palestine and we agree with that.”

While another demonstrator, Zool Zulkowitz, asserted that “by discrediting Helen Thomas, those who believe that Israel can do no wrong shift attention from the public relations debacle of the Gaza Flotilla killings, and intimidate journalists who would ask hard questions about the Israeli occupation of Palestine and American foreign policy.”

Helen Thomas, who grew up in Detroit, is an American of Arab descent.

She is understandably alert to the one-sided U.S. military and foreign policy in that region. Her questions reflect concerns about U.S. policy in the Middle East by many Americans, including unmuzzled retired military, diplomatic and intelligence officials.

In 2006 when George W. Bush finally called on her, she started her questioning by saying “Your decision to invade Iraq has caused the deaths of Americans and Iraqis. Every reason given, publicly at least, has turned out not to be true.”

Or when she challenged President Obama last month, asking “When are you going to get out of Afghanistan? Why are we continuing to kill and die there? What is the real excuse?” Asking the “why” questions was a Thomas trademark.

Many self-censoring journalists avoid controversial “why” questions, thereby allowing evasion, dissembling and just plain B.S. to dominate the White House press room.

She rejected words that sugarcoated or camouflaged the grim deeds. She started with the grim deeds to expose the doubletalk and officialdom’s chronic illegalities.

What appalled Thomas most is the way the media rolls over and fails to hold officials accountable.

(British reporters believe they are tougher on their Prime Ministers.)

This is a subject about which she has written books and articles - not exactly the way to endear herself to those reporters who go AWOL and look the other way, so that they can continue to be called upon or to be promoted by their superiors.

The abysmal record of the New York Times and the Washington Post in the months preceding the Iraq invasion filled with Bush-Cheney lies, deception, and cover-ups is a case in point. As usual, she was proven right, not the celebrated reporters and columnists deprecating her work, including the Post’s press critic, Howard Kurtz.

Thomas practiced her profession with a deep regard for the peoples’ right to know. To her, as Aldous Huxley noted long ago, “facts do not cease to exist because they are ignored.”

Lastly, there is the double standard. One off-hand “ill-conceived remark,” as NPR Ombudsman Alicia Shepard stated, in praising Ms. Thomas, ended a groundbreaking career.

While enhanced careers and fat lecture fees are the reward for ultra-right wing radio and cable ranters, and others like columnist Ann Coulter, who regularly urge wars, mayhem and dragnets based on bigotry, stereotypes and falsehoods directed wholesale against Muslims, including a blatant anti-semitism against Arabs.

(See http://www.adc.org/education/educational-resources/ and Jack Shaheen’s book and companion documentary about cultural portrayal of Arab stereotypes, Reel Bad Arabs.)

Ms. Thomas’ desk at the Hearst office remains unattended a week after her eviction.

One day she will return to pack up her materials.

She can take with her the satisfaction of joining all those in our history who were cashiered ostensibly for a gaffe, but really for being too right, too early, too often.

Her many admirers hope that she continues to write, speak and motivate a generation of young journalists in the spirit of Joseph Pulitzer’s advice to his reporters a century ago - that their job was to “comfort the afflicted and afflict the comfortable.”

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152 - Nader e la tragedia del Deepwater Horizon

151 -  OTA: lo svuotò Gingrich e la devolution (sul caso Deepwater Horizon)

150 - Non c'è tempo per la difesa del consumatore  (sulla riforma finanziaria di Obama - quinto articolo)

149 - Nell'Interesse pubblico - Cominciamo a conoscere Elena Kagan

148 - Il sostegno di Nader alla FCA (sulla riforma finanziaria di Obama - quarto articolo)

147 - La ricchezza per la giustizia (estendibile alla riforma finanziaria di Obama - terzo articolo)

146 - Rafforzate la gente! (sulla riforma finanziaria di Obama - secondo articolo)

145 - Nessun interesse per il risparmio (sulla riforma finanziaria di Obama - primo articolo)

144 - Lo stato miserabile della sicurezza in miniera

143 - Gli infortuni nei laboratori di genetica

142 - La decadenza USA e la forza delle lobbies*

141 - Idee contro la riforma sanitaria di Obama*

140 - Il vecchio film dell'ostruzionismo

139 - All'ombra del potere del Distretto di Columbia

138 - Impero, Oligarchia e Democrazia (sulla crisi Greca e sulla guerra in Afganistan, ma non solo)

137 - La fiaba di Re Obesità

136 - No Nukes (da Chernobyl alle nuove centrali pagate da Zio Sam)

135 - L'esempio di Howard Zinn contro la guerra

134 - Sullo stato dell'Unione (otto critiche ad Obama)

133 - La Corte Suprema e i costi della politica

132 - La privatizzazione illecita (vari esempi: da Blackwater ai casi statali)

 

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