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Folklore calabrese
Detti pisani e calabresi a confronto
Per comprendere le condizioni di un popolo occorre rifarsi
alla sua storia e approfondire lo studio dei suoi usi e
costumi. In particolare, dal modo di esprimersi si denotano
le caratteristiche e le virtù proprie della gente. Il
dialetto rappresenta un inestimabile patrimonio culturale e
sottovalutarlo significherebbe rinunciare a lunghi secoli di
saggezza tramandataci per via orale dagli avi.
La città di Pisa, nota nel mondo per la sua suggestiva Torre
pendente, ad eccezione dei "Cento sonetti" (1872) di Renato
Fucini che le hanno "conferito indiscussa dignità
artistica", non rivela nella letteratura in vernacolo radici
abbastanza solide, non avendo "mai trovato modo di
esplicarsi in spazi autonomi". E' quanto si afferma nella
pregevole opera di Guido Guidi: " A Pisa si dice 'osì" -
("Il Portone" Pisa - 1991), della quale fra l'altro ci siamo
valsi per la nostra ricerca.
Abbiamo voluto mettere a confronto dei nostri alcuni "detti"
della bella provincia toscana, così differenti come origine,
per dimostrare la verità dell'aforisma:
"Ogni mundu è paisi". (Tutto il mondo è paese).
Alle frasi idiomatiche pisane seguono, pertanto, le
corrispondenti voci calabresi.
"Accapponà' la pelle". (Far venire la pelle d'oca).
"Jizàri 'u pilu". (Far rabbrividire, con la pelle che
s'increspa).
"A cchiòdo". (In conto).
"A cridènza". (A credito).
"A qquesti lumi di luna". (A questi chiari di luna; con i
tempi che corrono).
"Cu' 'stu luci 'i luna". (In questa situazione particolare).
"Arrègge' 'r mòccolo". (Reggere il moccolo a qualcuno).
"Tenìri 'a candìla". (Tenere la candela; facilitare chi
lavora nell'ombra).
"Arrivà' la 'artolina". (Ricevere la cartolina precetto).
"Arrivari 'a cartolìna". (Venire chiamato alle armi).
"Bada alla lèrgna!". (Bada che non ti venga l'ernia!).
"Nommu ti cala 'a guàdara!". (Attento che non ti scenda
l'ernia!).
"Bècio". (Lombrico).
"Cacasèntula". (Dal greco: lombrico).
"Borraccìna". (Borracina; muschio).
"Muscu". (Musco; lichene).
"Bulàno". (Becero; zotico; grossolano).
"Vedhànu". (Villano; ineducato).
"Carta-suga". (Carta assorbente).
"Cartasciùca". (Carta asciugante).
"Cécca". (Diminutivo di Francesca).
"Cicca". (Diminutivo di Francesca).
"Chi vvòle vadi e cchi non vòle mandi". (Chi vuole vada e
chi non vuole mandi).
"Cu' voli anda e cu' non voli manda". (Chi fa da sé fa per
tre, non fidarsi degli altri).
"Cicciobòmba o Cicciòne". (Grassone, obeso, trippone).
"Zàssu". (Ciccione).
"Còccio; tegàme di 'òccio". (Terracotta; pentola di
terracotta).
"Crita; tijàna 'i crita". (Argilla; tegame di terracotta).
"Come ll'Avermarìa". (Come l'Ave Maria).
"Comu a Di Marìa". (Conoscere bene a memoria).
"Dio ce ne scampi e lìbberi!". (Dio ce ne scampi e liberi!).
"'U Signùri 'u ndi lìbbara!". (Che il Signore ci liberi!).
"Esse' ccòme ll'òva sòde, che ppiù cche bòllano e più
doventan dure!". (Essere come
le uova sode, vale a dire di scarsa intelligenza).
"Jèsti comu l'ovu o' focu!". (E' come l'uovo al fuoco, cioè
un testone).
"Felicenòtte; feliceséra!". (Felice notte; buona sera!).
"Filìci sira!". (Felice sera!).
"Grònchio". (Rattrappito dal freddo).
"Ggrancàtu". (Contratto dal freddo).
"'Hjàro e ttòndo". (Chiaro e tondo, senza equivoci).
"Chjàru e tundu". (Parlare apertamente).
"Le 'hjàcchere 'un fan farina". (Con le chiacchiere non si
conclude nulla).
"Chi chjàcchjari non si pìgghjanu pisci". (Con le ciance non
si prendono pesci).
"Màfia; pieno di màfia". (Superbia, boria).
"Zzorriùsu". (Pieno di spocchia; arrogante). Màfia ha
tutt'altro significato.
"Meglio 'n òvo sùbbito 'he 'na gallin'a Ppasqua". (Meglio un
uovo subito che una
gallina a Pasqua).
"Mègghju n'ovu oji ca 'na gadìna domani". (E' preferibile un
uovo oggi anziché una
gallina domani).
"'N sacco e 'na spòrta". (Un sacco e una sporta).
"'Nu saccu e 'na sporta". (In grande abbondanza).
"Occhio nun véde, còre nun dòle". (Occhio non vede, cuore
non duole).
"Occhju non vidi e cori non doli". (Non si dispiace di ciò
che non si vede).
"Puzzòne". (Persona malvagia, cattiva).
"Fetùsu; cosa fetùsa". (Avaro schifoso; persona ripugnante).
"Quand'er diavol' accarézza, gliè sségno 'he vvòle
ll'anima". (Quando il diavolo ti
accarezza è segno che vuole l'anima).
"Quandu 'u diavulu t'accarìzza voli l'ànima". (Diffidare
degli adulatori).
"Rinculà'". (Indietreggiare).
"Rreculàri". (Retrocedere).
"Segnàssi 'òlla mancìna". (Farsi il segno di croce con la
mano sinistra).
"Fari 'a cruci c''a mancìna". (Ascoltare cose inaudite).
"Tir'e mmòlla e llassa 'ndà'!". (Tiremmolla e lascia
andare).
"Fari tiremmolla". (Tergiversare; incominciare a stancare).
"Unge' per mùnge'". (Ungere per ottenere: la corruzione è di
tutti i tempi).
"Se non lungi no' mungi!". (Purtroppo è così: bisogna ungere
le ruote per ottenere
favori!).
"'Vande uno è rimasto scottato dall'acqua 'arda, ha ppaura
anco di 'vélla diàccia!".
(Dopo essersi scottati dall'acqua calda, si ha paura anche
di quella fredda).
"'A pècura castijàta non torna o' vadu". (La pecora
castigata non torna al precipizio:
le cattive esperienze non si ripetono).
"Zibìbbi". (Chicchi di uva zibibbo appassita).
"Zzibìbbu". (Qualità di uva dolce e pregiata).
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