Storia e Folklore Calabrese
di Domenico Caruso



Indice

Storia della Calabria

Poesia dialettale

S.Martino: un paese e un Santo

Fatti straordinari in Calabria

Ricordi di scuola

L'autore

Lettere e contributi

La nostra Piana

Da libri, giornali e riviste

Folklore calabrese

La donna calabrese: ieri e oggi

Jettatura e malocchio in Calabria

Quarant'anni di tradizioni popolari

La licantropìa

S. Elia e il diavolo

Dizionarietto dialettale della Piana di Gioia Tauro

Canti popolari calabresi

Dalla Quaresima alla Pasqua nella Piana di Gioia Tauro

Calabresella mia

Pietro e il Divino Maestro

"Sorella Morte, non mi fai paura!"

Aneddoti e arguzia popolare

Indovinelli calabresi

San Giuseppe, ieri e oggi

Detti pisani e calabresi a confronto

Li belli festi e li belli Natali

'U rivòggiu da Passioni

Li molti vuci

'A mugghjeri

I "Giganti" di S. Martino

Folklore calabrese

Detti pisani e calabresi a confronto

Per comprendere le condizioni di un popolo occorre rifarsi alla sua storia e approfondire lo studio dei suoi usi e costumi. In particolare, dal modo di esprimersi si denotano le caratteristiche e le virtù proprie della gente. Il dialetto rappresenta un inestimabile patrimonio culturale e sottovalutarlo significherebbe rinunciare a lunghi secoli di saggezza tramandataci per via orale dagli avi.
La città di Pisa, nota nel mondo per la sua suggestiva Torre pendente, ad eccezione dei "Cento sonetti" (1872) di Renato Fucini che le hanno "conferito indiscussa dignità artistica", non rivela nella letteratura in vernacolo radici abbastanza solide, non avendo "mai trovato modo di esplicarsi in spazi autonomi". E' quanto si afferma nella pregevole opera di Guido Guidi: " A Pisa si dice 'osì" - ("Il Portone" Pisa - 1991), della quale fra l'altro ci siamo valsi per la nostra ricerca.
Abbiamo voluto mettere a confronto dei nostri alcuni "detti" della bella provincia toscana, così differenti come origine, per dimostrare la verità dell'aforisma:
"Ogni mundu è paisi". (Tutto il mondo è paese).
Alle frasi idiomatiche pisane seguono, pertanto, le corrispondenti voci calabresi.

"Accapponà' la pelle". (Far venire la pelle d'oca).
"Jizàri 'u pilu". (Far rabbrividire, con la pelle che s'increspa).

"A cchiòdo". (In conto).
"A cridènza". (A credito).

"A qquesti lumi di luna". (A questi chiari di luna; con i tempi che corrono).
"Cu' 'stu luci 'i luna". (In questa situazione particolare).

"Arrègge' 'r mòccolo". (Reggere il moccolo a qualcuno).
"Tenìri 'a candìla". (Tenere la candela; facilitare chi lavora nell'ombra).

"Arrivà' la 'artolina". (Ricevere la cartolina precetto).
"Arrivari 'a cartolìna". (Venire chiamato alle armi).

"Bada alla lèrgna!". (Bada che non ti venga l'ernia!).
"Nommu ti cala 'a guàdara!". (Attento che non ti scenda l'ernia!).

"Bècio". (Lombrico).
"Cacasèntula". (Dal greco: lombrico).

"Borraccìna". (Borracina; muschio).
"Muscu". (Musco; lichene).

"Bulàno". (Becero; zotico; grossolano).
"Vedhànu". (Villano; ineducato).

"Carta-suga". (Carta assorbente).
"Cartasciùca". (Carta asciugante).

"Cécca". (Diminutivo di Francesca).
"Cicca". (Diminutivo di Francesca).

"Chi vvòle vadi e cchi non vòle mandi". (Chi vuole vada e chi non vuole mandi).
"Cu' voli anda e cu' non voli manda". (Chi fa da sé fa per tre, non fidarsi degli altri).

"Cicciobòmba o Cicciòne". (Grassone, obeso, trippone).
"Zàssu". (Ciccione).

"Còccio; tegàme di 'òccio". (Terracotta; pentola di terracotta).
"Crita; tijàna 'i crita". (Argilla; tegame di terracotta).

"Come ll'Avermarìa". (Come l'Ave Maria).
"Comu a Di Marìa". (Conoscere bene a memoria).

"Dio ce ne scampi e lìbberi!". (Dio ce ne scampi e liberi!).
"'U Signùri 'u ndi lìbbara!". (Che il Signore ci liberi!).

"Esse' ccòme ll'òva sòde, che ppiù cche bòllano e più doventan dure!". (Essere come
le uova sode, vale a dire di scarsa intelligenza).
"Jèsti comu l'ovu o' focu!". (E' come l'uovo al fuoco, cioè un testone).

"Felicenòtte; feliceséra!". (Felice notte; buona sera!).
"Filìci sira!". (Felice sera!).

"Grònchio". (Rattrappito dal freddo).
"Ggrancàtu". (Contratto dal freddo).

"'Hjàro e ttòndo". (Chiaro e tondo, senza equivoci).
"Chjàru e tundu". (Parlare apertamente).

"Le 'hjàcchere 'un fan farina". (Con le chiacchiere non si conclude nulla).
"Chi chjàcchjari non si pìgghjanu pisci". (Con le ciance non si prendono pesci).

"Màfia; pieno di màfia". (Superbia, boria).
"Zzorriùsu". (Pieno di spocchia; arrogante). Màfia ha tutt'altro significato.

"Meglio 'n òvo sùbbito 'he 'na gallin'a Ppasqua". (Meglio un uovo subito che una
gallina a Pasqua).
"Mègghju n'ovu oji ca 'na gadìna domani". (E' preferibile un uovo oggi anziché una
gallina domani).

"'N sacco e 'na spòrta". (Un sacco e una sporta).
"'Nu saccu e 'na sporta". (In grande abbondanza).

"Occhio nun véde, còre nun dòle". (Occhio non vede, cuore non duole).
"Occhju non vidi e cori non doli". (Non si dispiace di ciò che non si vede).

"Puzzòne". (Persona malvagia, cattiva).
"Fetùsu; cosa fetùsa". (Avaro schifoso; persona ripugnante).

"Quand'er diavol' accarézza, gliè sségno 'he vvòle ll'anima". (Quando il diavolo ti
accarezza è segno che vuole l'anima).
"Quandu 'u diavulu t'accarìzza voli l'ànima". (Diffidare degli adulatori).

"Rinculà'". (Indietreggiare).
"Rreculàri". (Retrocedere).

"Segnàssi 'òlla mancìna". (Farsi il segno di croce con la mano sinistra).
"Fari 'a cruci c''a mancìna". (Ascoltare cose inaudite).

"Tir'e mmòlla e llassa 'ndà'!". (Tiremmolla e lascia andare).
"Fari tiremmolla". (Tergiversare; incominciare a stancare).

"Unge' per mùnge'". (Ungere per ottenere: la corruzione è di tutti i tempi).
"Se non lungi no' mungi!". (Purtroppo è così: bisogna ungere le ruote per ottenere
favori!).

"'Vande uno è rimasto scottato dall'acqua 'arda, ha ppaura anco di 'vélla diàccia!".
(Dopo essersi scottati dall'acqua calda, si ha paura anche di quella fredda).
"'A pècura castijàta non torna o' vadu". (La pecora castigata non torna al precipizio:
le cattive esperienze non si ripetono).

"Zibìbbi". (Chicchi di uva zibibbo appassita).
"Zzibìbbu". (Qualità di uva dolce e pregiata).


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