Storia e Folklore Calabrese
di Domenico Caruso



Indice

Storia della Calabria

Poesia dialettale

S.Martino: un paese e un Santo

Fatti straordinari in Calabria

Ricordi di scuola

L'autore

Lettere e contributi

La nostra Piana

Da libri, giornali e riviste

Folklore calabrese

La donna calabrese: ieri e oggi

Jettatura e malocchio in Calabria

Quarant'anni di tradizioni popolari

La licantropìa

S. Elia e il diavolo

Dizionarietto dialettale della Piana di Gioia Tauro

Canti popolari calabresi

Dalla Quaresima alla Pasqua nella Piana di Gioia Tauro

Calabresella mia

Pietro e il Divino Maestro

"Sorella Morte, non mi fai paura!"

Aneddoti e arguzia popolare

Indovinelli calabresi

San Giuseppe, ieri e oggi

Detti pisani e calabresi a confronto

Li belli festi e li belli Natali

'U rivòggiu da Passioni

Li molti vuci

'A mugghjeri

I "Giganti" di S. Martino

Folklore calabrese

Jettatura e malocchio in Calabria

In una famosa commedia di Pirandello, il protagonista Rosario Chiarchiaro pretende che gli sia rilasciata una pubblica patente di jettatore per trarne profitto:
"Signor giudice, mi hanno assassinato. Lavoravo. Mi hanno fatto cacciar via... con la scusa che, essendoci io, nessuno più veniva a far debiti e pegni; mi hanno buttato in mezzo alla strada, con la moglie paralitica da tre anni e due ragazze nubili, di cui nessuno vorrà più sapere, perché son figlie mie...".
Conosciamo, per esperienza, individui che appena s'inseriscono in un gruppo procurano discordia e disgrazie, altri all'opposto che emanano gioia e benessere.
Mentre i primi vengono sfuggiti dalla società perché portatori di jella, dei secondi si gradisce la piacevole compagnia.
A ragione si definisce malocchio la carica d'influenze negative che certe persone invidiose mandano col semplice sguardo.
Naturalmente, prima di attribuire energie nefaste ad alcuni, bisogna escludere le varie cause di salute o di suggestione che possono dipendere dall'influsso dell'occhio malevolo. Tra le tante storie in materia, una racconta di un uomo che riusciva a uccidere col semplice sguardo e del quale ne approfittò il re per fare eliminare i condannati a morte.
Dalle umane debolezze non sono esenti tanti austeri personaggi, i quali nei riguardi del fàscino malefico affermano: "Non è vero, ma ci credo!".
Molti scongiuri e precauzioni vengono, quindi, adottati per allontanare il malocchio.
"Aglio, fravaglie, fatture ca nun quaglie; corna, bicorna, cape 'e alice e cape d'aglio" ripeteva Pappagone nelle sue commedie di successo.
Chi non ricorda il Presidente della Repubblica Giovanni Leone con il pugno chiuso e l'indice col mignolo aperti ad "U" ?
Nel suo libro Gestures (i gesti) Desmond Morris asserisce che noi italiani siamo il Paese in cui l'atteggiamento delle corna è vivo e vitale. Nessun popolo si sottrae. Perciò condividiamo il primato con Spagna, Portogallo, Francia, Grecia, Turchia, Jugoslavia, Belgio, Danimarca ed alcuni Stati dell'Africa settentrionale e dell'America latina.
Poichè l'allegria è l'antidoto della jettatura, rammentiamo quanto lamentava Stecchetti nella sua Palinodìa circa la scomparsa delle corna per l'eccessiva virtù delle spose:

    "O le donne, le donne
    che virtù portentose,
    che modello di mamme,
    di ragazze, di spose:
    se questo tempo dura
    non ci son corna per la jettatura"
    .

Tra gli amuleti, oltre ai "corni" di ogni tipo che hanno sostituito l'antico "fallo", troviamo gobbetti , numeri 13, chiavi di ferro, manine nella tipica forma, gufette, nastrini di colore rosso. All'ingresso delle abitazioni come portafortuna, inoltre, vengono attaccati ferri di cavallo, grattugie, teste di cervo, artistiche maschere di ceramica create a Seminara (R.C.).
Anche se il progresso tecnologico ha raggiunto traguardi impensabili, l'uomo del Duemila è ancora schiavo delle superstizioni.
La scienza non è sufficiente a debellare il bene e il male che si nascondono nelle recondite pieghe della nostra anima, malgrado l'opera incessante dei mass media.
Fra le tante credulità greche, ereditate dalla nostra società agricola pastorale del passato, distinguiamo il fàscino (dal latino fàscinum, malìa) - dovuto talvolta allo sguardo involontario che colpisce con una lode specialmente i piccoli - dalla jettatura (dal latino jàcio, getto) - cattivo influsso determinato dalla presenza di certe persone.
Una sfumatura del malocchio è 'u pìcciu (la molestia) che si manifesta con sottili parole d'invidia verso chi ha successo ("Chi furtuna chi 'nd'eppi!" - Quale fortuna ha avuto!).
Diversi proverbi calabresi, come quelli raccolti a S. Martino, esprimono la preoccupazione per la jella.
Eccone qualcuno che ha come oggetto gli animali: "Mègghiu di' cani muzzicati, ca di mali vicini 'mbidiati". (E' preferibile venire azzannati dai cani che essere invidiati dai cattivi vicini). "Non duvi sedi, ma duvi meri la pìgula feri". (La civetta è di cattivo auspicio non dove si posa ma dove indirizza lo sguardo). "Quandu canta 'a gadina, 'a casa è china". (Quando la gallina imita il gallo in casa si raduna parecchia gente per lutto).
Ma c'è dell'altro:
A Giffone (R.C.), ha scritto l'amico N. Catalano, vi è della gente che fa curare la parotite in modo magico. Quando un bambino è affetto dal magulà (dal greco magulàs), la madre lo porta da un'esperta perchè venga sottoposto al pricantu (scongiuro) con la formula rituale: "Arricchiuni e magulà \ non passari cchiù di ccà! ..." seguita da alcuni segni di croce su un mattone e sulle guance dell'infermo. Ma il bello viene dopo: ecco, infatti, una giovane signora giungere trafelata dal medico col figlioletto in braccio coi sintomi della parotite in volto.
Al piccino si prescrive la cura del caso e la madre nel prendere la ricetta, con aria ingenua, domanda: "Chi diciti, dottori, o' figghiolu 'nci lu fazzu lu pricantu da' maistra Pascalina?". Al medico sorpreso non resta che guardare con un sorrisetto la donna e rispondere: "Sì, prima facitinci 'sta cura e... poi fàtilu puru pricantari!". (Dopo le cure mediche, praticate pure ogni scongiuro!).
Concludiamo con un rituale, da noi registrato negli anni sessanta a Laureana di Borrello (R.C.). Le formule, molto segrete, che per la prima volta pubblichiamo, venivano rivelate agli adepti soltanto in circostanze particolari - come la notte di Natale.
Una ragazza, avvertendo un malessere diffuso, spossatezza, inappetenza e - forse - un po' di febbre, riteneva d'essere adocchiata a motivo della sua avvenenza e si recò da donna Vincenza Femìa, che conosceva bene le formule di scongiuro.
Quest'ultima, invitò la giovane a sedersi, fece il Segno di Croce, recitò tre Gloria, un Pater Noster, il Credo e - quindi - ripetè a memoria:

    "Nesci, occhiu smalidittu,
    pemmu trasi Gesù Cristu.
    Pe' lu nomi di Gesù,
    nesci malocchiu e non tornari cchiù.
    E pe' la Santa Notti di Natali,
    mu squagghi
    (sciolga) comu l'unda di lu mari".

Intanto, su una bacinella predisposta con dell'acqua, per tre volte consecutive l'anziana donna fece il Segno di Croce con la mano; analogo gesto ripetè sul capo della paziente. Anche il recipiente venne passato sulla testa della giovane.
Donna Vincenza, a questo punto, fece cadere nell'acqua col pollice tre stille d'olio di oliva accompagnate dalla giaculatoria:

    "Occhiu, malocchiu, malincunia:
    nesci malocchiu di la vita mia,
    e pe' la Santa Notti di Natali
    mu squagghi comu l'unda di lu mari!".

Per fortuna le gocce d'olio, cadendo nell'acqua, rimasero integre; nel caso si fossero sciolte, si sarebbe dovuto ripetere il rito.
Così alla fine, incredibile ma vero: forse per la suggestione, la ragazza dichiarò di sentirsi pienamente in forma!


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