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Folklore calabrese
Dalla Quaresima alla Pasqua nella Piana di Gioia Tauro
Fin dalla domenica precedente alla quinquagesima gli artistici carri
allegorici, in alcuni Centri della nostra Piana, richiamano un
eccezionale afflusso di persone.
La libertà del Carnevale si scontra quindi con l'austerità della
Quaresima, momento privilegiato dell'anno liturgico che prepara alla
solenne festività in ricordo del tempo in cui Dio riscattò il popolo
d'Israele dalla sua schiavitù. Gesù, infatti, prima d'iniziare la sua
missione salvifica rimase solo per quaranta giorni nel deserto a
pregare e a meditare.
In Calabria i nostri avi appendevano ai balconi una rudimentale
pupattola di stoffa vestita di nero ("monacheda"), raffigurante la
Quaresima ("Corajsima"), moglie di Carnevale, rimasta vedova la notte
di "martedì grasso". Costei, nello scacciare il marito crapulone,
ripeteva:
"Nesci tu, porcu luntruni, / trasu jeu sarda salata!".
La vecchia segaligna teneva in mano il fuso e la conocchia e poggiava
su un'arancia o una patata dov'erano infilate sette penne di gallina
che venivano estratte una alla settimana. L'ultima penna corrispondeva
alla Pasqua la quale, subentrando all'anziana grinzosa, recitava:
"Nesci tu, sarda salata, /trasu jeu la ricrijata!".
Ancora, restano molto suggestivi nella Piana di Gioia Tauro i riti
della Settimana Santa, tanto cari alle passate generazioni.
Essi hanno inizio la Domenica delle Palme ("'a dominica d'a 'liva"),
con la benedizione in chiesa delle palme e dei ramoscelli di olivo.
Sono caratteristiche le crocette e le "conocchie" di candida palma
intrecciata, che poi vengono conservate in un angolo del letto o
dietro l'uscio di casa.
Segue la sera del mercoledì l'ufficio delle "tenebre", che consiste
nello spegnimento graduale di tredici candele durante il Miserere
cantato dal celebrante.
Al momento del buio si batte energicamente sui banchi e sugli altari
per simulare il terremoto verificatosi dopo la morte di Gesù.
Abbastanza nutrito è pure il programma del Giovedì Santo. Fin dal
mattino, davanti all'altare principale della chiesa si allestisce il
"Sepolcro" - che oltre ai ceri accesi presenta i vasi ricolmi di
piantine di grano e di altri cereali fatti germinare al buio. Le
campane vengono "legate" ed i ragazzi invitano i fedeli all'adorazione
del Santissimo per mezzo delle "tocche" e dei "carìci" (raganelle).
In serata si può assistere all'abluzione e al bacio dei piedi di
dodici fedeli in camice bianco, rappresentanti gli Apostoli, i quali
ricevono anche il pane benedetto dalle mani del celebrante. Lo stesso,
durante l'omelia, col Crocifisso in mano procede alla "chiamata",
invoca - cioè - la Vergine Addolorata: "Vieni, Maria, a prendere il
Tuo caro Figlio!". Si spalanca, quindi, il portone centrale del tempio
e la Madonna viene recata di corsa verso il predicatore. Ma prima di
ricevere il Figlio morto, sbigottita e incredula della tragedia, torna
alcune volte indietro fra la commozione di tutti.
Nei paesi con più chiese si procede alla visita dei "Sepolcri", che si
protrae fino alle quindici del giorno successivo, allorquando si
rievoca l'agonia del Signore.
La "chiamata", in diverse località, avviene pure il venerdì - giorno
di lutto e di digiuno. Per la triste circostanza, una volta le donne
rimanevano spettinate, donde il detto: "Beniditta chida pasta chi di
vènnari s'impasta; smaliditta chida trizza chi di vènnari
s'intrizza!". (Benedetta la pasta che si lavora il venerdì; maledetta
la treccia che s'intreccia il Venerdì Santo). Le processioni e le
rievocazioni della Passione, con la partecipazione delle
Confraternite, dell'intera cittadinanza e talvolta anche della banda
musicale, ci tramandano un'autentica testimonianza di fede. L'umana
sofferenza di Cristo viene espressa dai canti religiosi, i quali
raggiungono toni altamente drammatici:
Matina di lu vènnari
a la strata di Maria,
e cu' vo' sentìri pianti
pemmu va' vàsciu a la Cruci,
ca dà c'è Maria chi piangi:
- Fìgghiu caru, Fìgghiu duci! -
La Via Crucis si conclude al Calvario con l'invito del sacerdote
all'amore e alla speranza. La notte del giorno successivo, Sabato
Santo, (e prima ancora in qualche luogo) finalmente le campane suonano
a distesa per annunciare la vittoria di Cristo sulla Morte. Una volta
chi era in casa, come buon auspicio, batteva su porte e finestre per
allontanare la cattiva sorte; non mancava chi per la gioia
s'inginocchiava a baciare la terra.
Per la Domenica di Pasqua, ieri come oggi, i fedeli si ritrovano in
chiesa a scambiarsi gli auguri. Lo straordinario evento della
Risurrezione si rievoca "ab antico" - in parecchi Centri della Piana -
dopo la Santa Messa delle undici con l'"Affruntata", cioè con
l'incontro prima tra Gesù e S. Giovanni - latore della buona novella -
e poi tra Madre e Figlio. Seguono le "Varette" (statue sacre della
Passione).
Al termine ognuno fa ritorno a casa per il lauto pranzo, in cui gli
avi non facevano mancare la carne e i maccheroni ('i maccarruni 'i
casa). Le nostre donne, comunque, mantengono viva la tradizione
aggiungendo al menu cibi particolari e dolci caratteristici.
Il Lunedì dell'Angelo con familiari e conoscenti si trascorre
all'aperto una spensierata giornata, la Pasquetta ("Pascarella" o
"Pascuni"), che oltre al riposo fisico rinsalda i vincoli d'affetto e
d'amicizia con gli altri.
In tempi remoti, prima della nascita di Gesù, gli uomini accoglievano
con giubilo il ritorno della primavera sulla Terra. Il Cristianesimo,
dando un nuovo significato a questa ricorrenza, ha fatto della Pasqua
la grande festa di primavera.
- Se il Salvatore non fosse risorto -, sostiene S. Paolo, -
risulterebbero vane la predicazione e la fede -.
La risurrezione, dunque, sta al centro della catechesi apostolica.
Come la natura riprende il suo vigore dopo il torpore invernale, così
la nostra vita spirituale si rinnova nella Pasqua.
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