Storia e Folklore Calabrese
di Domenico Caruso



Indice

Storia della Calabria

Poesia dialettale

S.Martino: un paese e un Santo

Fatti straordinari in Calabria

Ricordi di scuola

L'autore

Lettere e contributi

La nostra Piana

Da libri, giornali e riviste

Folklore calabrese

La donna calabrese: ieri e oggi

Jettatura e malocchio in Calabria

Quarant'anni di tradizioni popolari

La licantropìa

S. Elia e il diavolo

Dizionarietto dialettale della Piana di Gioia Tauro

Canti popolari calabresi

Dalla Quaresima alla Pasqua nella Piana di Gioia Tauro

Calabresella mia

Pietro e il Divino Maestro

"Sorella Morte, non mi fai paura!"

Aneddoti e arguzia popolare

Indovinelli calabresi

San Giuseppe, ieri e oggi

Detti pisani e calabresi a confronto

Li belli festi e li belli Natali

'U rivòggiu da Passioni

Li molti vuci

'A mugghjeri

I "Giganti" di S. Martino

Folklore calabrese

Dalla Quaresima alla Pasqua nella Piana di Gioia Tauro

Fin dalla domenica precedente alla quinquagesima gli artistici carri allegorici, in alcuni Centri della nostra Piana, richiamano un eccezionale afflusso di persone.
La libertà del Carnevale si scontra quindi con l'austerità della Quaresima, momento privilegiato dell'anno liturgico che prepara alla solenne festività in ricordo del tempo in cui Dio riscattò il popolo d'Israele dalla sua schiavitù. Gesù, infatti, prima d'iniziare la sua missione salvifica rimase solo per quaranta giorni nel deserto a pregare e a meditare.
In Calabria i nostri avi appendevano ai balconi una rudimentale pupattola di stoffa vestita di nero ("monacheda"), raffigurante la Quaresima ("Corajsima"), moglie di Carnevale, rimasta vedova la notte di "martedì grasso". Costei, nello scacciare il marito crapulone, ripeteva:
"Nesci tu, porcu luntruni, / trasu jeu sarda salata!".
La vecchia segaligna teneva in mano il fuso e la conocchia e poggiava su un'arancia o una patata dov'erano infilate sette penne di gallina che venivano estratte una alla settimana. L'ultima penna corrispondeva alla Pasqua la quale, subentrando all'anziana grinzosa, recitava: "Nesci tu, sarda salata, /trasu jeu la ricrijata!".
Ancora, restano molto suggestivi nella Piana di Gioia Tauro i riti della Settimana Santa, tanto cari alle passate generazioni.
Essi hanno inizio la Domenica delle Palme ("'a dominica d'a 'liva"), con la benedizione in chiesa delle palme e dei ramoscelli di olivo. Sono caratteristiche le crocette e le "conocchie" di candida palma intrecciata, che poi vengono conservate in un angolo del letto o dietro l'uscio di casa.
Segue la sera del mercoledì l'ufficio delle "tenebre", che consiste nello spegnimento graduale di tredici candele durante il Miserere cantato dal celebrante.
Al momento del buio si batte energicamente sui banchi e sugli altari per simulare il terremoto verificatosi dopo la morte di Gesù.
Abbastanza nutrito è pure il programma del Giovedì Santo. Fin dal mattino, davanti all'altare principale della chiesa si allestisce il "Sepolcro" - che oltre ai ceri accesi presenta i vasi ricolmi di piantine di grano e di altri cereali fatti germinare al buio. Le campane vengono "legate" ed i ragazzi invitano i fedeli all'adorazione del Santissimo per mezzo delle "tocche" e dei "carìci" (raganelle).
In serata si può assistere all'abluzione e al bacio dei piedi di dodici fedeli in camice bianco, rappresentanti gli Apostoli, i quali ricevono anche il pane benedetto dalle mani del celebrante. Lo stesso, durante l'omelia, col Crocifisso in mano procede alla "chiamata", invoca - cioè - la Vergine Addolorata: "Vieni, Maria, a prendere il Tuo caro Figlio!". Si spalanca, quindi, il portone centrale del tempio e la Madonna viene recata di corsa verso il predicatore. Ma prima di ricevere il Figlio morto, sbigottita e incredula della tragedia, torna alcune volte indietro fra la commozione di tutti.
Nei paesi con più chiese si procede alla visita dei "Sepolcri", che si protrae fino alle quindici del giorno successivo, allorquando si rievoca l'agonia del Signore.
La "chiamata", in diverse località, avviene pure il venerdì - giorno di lutto e di digiuno. Per la triste circostanza, una volta le donne rimanevano spettinate, donde il detto: "Beniditta chida pasta chi di vènnari s'impasta; smaliditta chida trizza chi di vènnari s'intrizza!". (Benedetta la pasta che si lavora il venerdì; maledetta la treccia che s'intreccia il Venerdì Santo). Le processioni e le rievocazioni della Passione, con la partecipazione delle Confraternite, dell'intera cittadinanza e talvolta anche della banda musicale, ci tramandano un'autentica testimonianza di fede. L'umana sofferenza di Cristo viene espressa dai canti religiosi, i quali raggiungono toni altamente drammatici:

      Matina di lu vènnari
      a la strata di Maria,
      e cu' vo' sentìri pianti
      pemmu va' vàsciu a la Cruci,
      ca dà c'è Maria chi piangi:
      - Fìgghiu caru, Fìgghiu duci! -

La Via Crucis si conclude al Calvario con l'invito del sacerdote all'amore e alla speranza. La notte del giorno successivo, Sabato Santo, (e prima ancora in qualche luogo) finalmente le campane suonano a distesa per annunciare la vittoria di Cristo sulla Morte. Una volta chi era in casa, come buon auspicio, batteva su porte e finestre per allontanare la cattiva sorte; non mancava chi per la gioia s'inginocchiava a baciare la terra.
Per la Domenica di Pasqua, ieri come oggi, i fedeli si ritrovano in chiesa a scambiarsi gli auguri. Lo straordinario evento della Risurrezione si rievoca "ab antico" - in parecchi Centri della Piana - dopo la Santa Messa delle undici con l'"Affruntata", cioè con l'incontro prima tra Gesù e S. Giovanni - latore della buona novella - e poi tra Madre e Figlio. Seguono le "Varette" (statue sacre della Passione).
Al termine ognuno fa ritorno a casa per il lauto pranzo, in cui gli avi non facevano mancare la carne e i maccheroni ('i maccarruni 'i casa). Le nostre donne, comunque, mantengono viva la tradizione aggiungendo al menu cibi particolari e dolci caratteristici.
Il Lunedì dell'Angelo con familiari e conoscenti si trascorre all'aperto una spensierata giornata, la Pasquetta ("Pascarella" o "Pascuni"), che oltre al riposo fisico rinsalda i vincoli d'affetto e d'amicizia con gli altri.
In tempi remoti, prima della nascita di Gesù, gli uomini accoglievano con giubilo il ritorno della primavera sulla Terra. Il Cristianesimo, dando un nuovo significato a questa ricorrenza, ha fatto della Pasqua la grande festa di primavera.
- Se il Salvatore non fosse risorto -, sostiene S. Paolo, - risulterebbero vane la predicazione e la fede -.
La risurrezione, dunque, sta al centro della catechesi apostolica.
Come la natura riprende il suo vigore dopo il torpore invernale, così la nostra vita spirituale si rinnova nella Pasqua.


Si autorizza la pubblicazione su Internet dei contenuti del presente sito, previa esplicita citazione della fonte.

Copyright © 1996 Domenico Caruso