Storia e Folklore Calabrese
di Domenico Caruso



Indice

Storia della Calabria

Poesia dialettale

S.Martino: un paese e un Santo

Fatti straordinari in Calabria

Ricordi di scuola

L'autore

Lettere e contributi

La nostra Piana

Da libri, giornali e riviste

Folklore calabrese

La donna calabrese: ieri e oggi

Jettatura e malocchio in Calabria

Quarant'anni di tradizioni popolari

La licantropìa

S. Elia e il diavolo

Dizionarietto dialettale della Piana di Gioia Tauro

Canti popolari calabresi

Dalla Quaresima alla Pasqua nella Piana di Gioia Tauro

Calabresella mia

Pietro e il Divino Maestro

"Sorella Morte, non mi fai paura!"

Aneddoti e arguzia popolare

Indovinelli calabresi

San Giuseppe, ieri e oggi

Detti pisani e calabresi a confronto

Li belli festi e li belli Natali

'U rivòggiu da Passioni

Li molti vuci

'A mugghjeri

I "Giganti" di S. Martino

Folklore calabrese

Aneddoti e arguzia popolare

Gli aneddoti e i detti popolari, meglio di un ampio trattato, ci aiutano a riscoprire la saggezza dei nostri avi. In particolare, questi racconti costituivano il passatempo preferito dei contadini allorquando, stanchi per l'estenuante lavoro dei campi, sedevano d'estate davanti all'uscio di casa a godere il refrigerio della sera in compagnia dei vicini.
A volte bastava una battuta di spirito a rallegrarli e far loro dimenticare debiti e acciacchi.
Le disavventure degli innamorati formavano il boccone più appetitoso.

Dalle parti di Laureana di Borrello, nella provincia di Reggio Calabria, erano singolari le stringate confidenze che si facevano subito dopo le nozze due giovani sposi, ignari l'uno dei difetti dell'altro:

    "Scusati se vi gabbai: cu' n'anca di lignu mi maritai!".
    "E jeu gabbai a vui, ca l'haju di lignu tutti e dui!".
(- Scusate se v'ho gabbata: con una gamba di legno mi sono sposato! -
- Ed io ho gabbato voi, avendole di legno tutte e due! -).
E' da tenere presente che in quel tempo gli innamorati, nei loro incontri a casa della ragazza, stavano seduti distanti sotto gli occhi vigili dei severi genitori, senza potersi scambiare alcuna profferta d'amore e tantomeno a familiarizzare.

Spassosa è anche la storiella dei promessi sposi, raccolta sempre a Laureana di Borrello:
    "Bona sira, dissi me' patri, se mangiati nommu 'ndi vògghiu, ma se troppu mi pregati mu li pìgghiu du' broccati!".
Lo sciocco fidanzato, avvertito dal genitore di comportarsi educatamente con la ragazza e di mettersi a tavola soltanto dopo lunghe insistenze, così si presentò dai futuri suoceri: "Buona sera, mi ha pregato di dirvi mio padre, se cenate di non accettare ma, se proprio insistete, di prendere alcune forchettate!".

A S. Martino di Taurianova, invece, era ben nota l'ingenua storiella delle frittelle.
Si avvicinava il Natale e sulla zona imperversava il temporale.
Come consuetudine, l'innamorato ('u zzitu) si era recato dalla fidanzata ('a zzita) a trascorrervi la serata.
La giovane, intenta a cuocere le tradizionali frittelle ('i pittedi), si affrettò a nasconderle ancora bollenti sotto il sedere appena scorse da lontano il suo ragazzo.
Questo motivo la costringeva a rimanere seduta e, quando non ne poté più, così incominciò a canticchiare:
    "Quandu chiovi e tira ventu,
    oh chi malu friddu fa':
    cu' jè fora d''a so' casa
    'u pìgghia 'a via e mu si 'ndi va'!".
("Quando piove e soffia il vento, oh che grande freddo fa: chi è lontano dalla propria casa pigli la via e se ne vada!").
L'innamorato, che aveva ben intuito l'imbarazzo in cui si era cacciata la ragazza, alla terza volta così rispose con cinica indifferenza:
    "No' m'importa ca chiovi e mi sculu,
    basta ch' 'i pitti ti frijnu 'u culu!".
(- Non m'importa se piove e mi bagno, purché le frittelle ti scottino il sedere! -).

Concludiamo con due "trovate" reggine.
Un villano, recatosi nel capoluogo di provincia, calzava per la prima volta un paio di scarpe nuove. Non abituato a tale agio, inciampò nel marciapiede danneggiando la pelle delle stesse.
Togliendosele, allora, e procedendo scalzo esclamò:
    "Mègghiu lu pedi ca lu scarpu!".
(- E' preferibile rovinare il piede anziché la scarpa! - ).

Ed ancora, sempre a Reggio, un sagrestano - quando gli anziani fedeli giungevano in chiesa per le sacre cerimonie - approfittava per rubare loro i polli, che nascondeva sotto la casacca.
Il parroco, al corrente del losco affare, prima di dare inizio alle funzioni o durante le stesse, se notava qualche penna spuntare dagli indumenti dello scaccino, così lo avvertiva salmodiando:
    "Cumbogghiàtici li pìnduli (le penne),
    su' cardòli
    (di Cardeto) e non ci 'ntèndunu!".
(- Coprite le penne, sono di Cardeto e non ci comprendono! -).
Gli abitanti di quest'ultima località reggina, dediti all'agricoltura, erano senz'altro evoluti al pari degli altri, ma quelli del capoluogo ( i "cittadini") si ritenevano superiori ai "contadini".
Anche se i tempi sono mutati, i "detti" ci sono stati tramandati.



(Da "Storia e folklore calabrese" di Domenico Caruso - S. Martino (R.C.) - 1988 ).


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