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LO STRANIERO

Al volante della mia utilitaria percorro le vie del territorio comunale dove risiedo, continuamente attratto e distratto da scenari in mutazione. La necessità di dovermi spostare sempre in fretta finisce per farmi abbandonare la buona pratica di camminare. E così perdo il contatto con la realtà che mi circonda; stento quasi a riconoscere il mio paese, non tanto per la metamorfosi edilizia quanto perché mi sento straniero al paesaggio. Ma che cosa significa straniero? Estraneo, altro, diverso? Per assonanza il termine che più gli assomiglia è forestiero ma si tratta di una definizione di carattere catastale, sorta durante il Medio Evo, con lo scopo di tassare in maniera diversa il forestiero dal cittadino. Dobbiamo andare molto indietro nel tempo per conoscere il significato etimologico di questa parola. Con il termine hospes i Romani definivano la persona ospitata ed anche il nemico, colui che veniva da fuori con intenzioni ostili. La lingua gotica mutuò questo termine trasformandolo in gast e, nei paesi germanici è tuttora prefisso di parecchi sostantivi riferiti all’accoglienza (gasthaus, gasthof). Anche i Greci con il termine xenos designavano l’altro, inteso sia come nemico di guerra sia come ospite. Nella lingua italiana l’unica parola che contiene questa radice è xenofobia, termine che, nella sua durezza lessicale, sembra esprimere un concetto negativo ma la paura dello straniero non lo è poi così tanto. Questa ricerca sull’origine della parola straniero è lo spunto per una riflessione di grande attualità su tutto ciò che è altro rispetto a me e su tutte le implicazioni che ciò comporta. Per gli antichi, dai quali trae fondamento la nostra cultura, l’ospitalità era sacra e dovuta a prescindere dalle ragioni dell’avvicinamento di uno straniero. Ma come posso definirmi io quando ignoro il vicino di casa e mi scopro a diffidare della società a cui appartengo? Non è solo la perdita del contatto fisico con il territorio a rendermi un estraneo. Allora quello che si scatena in me di fronte ad un volto sconosciuto, ad un abbigliamento diverso, ai ragionamenti di una cultura incomprensibile si può ricondurre ad una finale considerazione, la stessa che mi suggerisce la voce del programma radiofonico che sto ascoltando. Viaggiare in auto ha pure i suoi risvolti positivi. Di fronte all’altro non resto turbato dalla pienezza di un volto ma dal senso di vuoto che si crea dentro di me. In questa cavità abita lo straniero, colui che mi rende consapevole della mia identità. Da questa scoperta deve scaturire il desiderio di avvicinamento al diverso. La sua presenza è riuscita a farmi capire chi io sia veramente.

Tiziano Biasi - ottobre 2006