ARTIGIANATO
VIVO NELL’ALTA MARCA - CISON DI VALMARINO
Per arrivare a Cison di Valmarino,
bisogna andarci. Bisogna andare verso la montagna, la montagna
verde. E’ una barriera quella che si incontra davanti, percorrendo
la provinciale nei pressi di Follina ed ogni volta che mi avvicino
a luoghi come questo penso alla sicurezza che si prova nel guardare
la valle con le spalle alla montagna. E’ la sicurezza di
chi si sente le spalle coperte ma, al tempo stesso, non può
guardare indietro ed è privato di una parte del panorama.
Qualche volta ho perfino pensato che chi non ha la possibilità
di guardarsi attorno a 360 gradi, sia un po’ limitato. Bisogna
dire però che le sue osservazioni partono da un punto fermo
e non è cosa da poco. Mentre mi lascio andare a questi
pensieri sconclusionati mi accorgo di essere arrivato alla mèta.
Sono giunto nella piazza di questo paese affascinante, in un’ora
in cui si riposa. Quest’anno si svolge la XXIV^ edizione
della mostra dell’Artigianato Vivo. Alle tre del pomeriggio
i più svegli sono al caffè, i più intraprendenti
stanno riassestando i loro stands che meglio sarebbe chiamare
banchi, all’interno di edifici carichi di storia, di case
fiere per un passato illustre, di altre povere ma dignitose per
il costante lavoro di adattamento senza stravolgere un paesaggio,
un insieme magico.
Borghi e cortili come quelli che vorremmo vivere oggi ma è
il ricordo di un’infanzia protesa ad emergere da una povertà
cronica che torna alla mente. Pensate che erano giunti al punto
di farci credere che le tapparelle erano più comode dei
balconi, che l’intonaco doveva coprire le pietre di cui
erano fatte le nostre case. Erano di sassi raccolti lungo i corsi
d’acqua e si dovevano nascondere.
Ora abbiamo capito quanto valga il lavoro delle mani e lo ricordiamo
in manifestazioni come questa di Cison di Valmarino.
Pian piano le botteghe aprono i battenti, la gente accorre e il
paese si anima. Non è difficile immaginare come, in tempi
trascorsi, fossero le fiere ad attirare la gente nelle borgate
in valle, e qui ognuno dava mostra della sua capacità.
Succede così anche oggi: dall’incontro al divertimento,
dalla pittura alla musica, dalla poesia alle marionette e così
nasce l’aggregazione, lo scambio di idee, la cultura.
La fiera trae il suo nome dal latino “feria”, un grande
mercato che si teneva generalmente in occasione di festività
e quale miglior periodo del ferragosto per rinnovare questo appuntamento.
Ci domandiamo come si sia potuta mantenere questa Alta Marca così
diversa dal resto del territorio cui ci piace appartenere. Le
ragioni sono molteplici. L’essere stata zona di frontiera
in epoca romana, terra di transito da e verso l’Alemagna,
baluardo ben presidiato da poteri signorili come dimostrano le
testimonianze di castelli e costruzioni giunte fino ai nostri
giorni.
Era il 1436 quando Venezia assegnava la Contea di Valmareno a
Brandolino da Bagnacavallo e Erasmo da Narni, cavalieri di ventura,
per gli ottimi servizi militari resi contro i Visconti.
Quell’Erasmo altri non era se non il Gattamelata, condottiero
di carriera, che piaceva a papi e dogi per il suo ingegno militare
e soprattutto per la sua dichiarata rinuncia a pretese politiche,
indole rara e che forse gli derivava dall’essere figlio
di un panettiere. Egli ormai vecchio e malato lasciava al genero
Brandolino il riscatto del feudo di Valmareno.
Ed io mi trovo qui a risalire una stretta valle, costellata da
antiche ruote ad acqua che servivano sia alla molitura dei cereali
che alla lavorazione dei ferri. Nell’afoso pomeriggio mi
imbatto in personaggi di legno; alcuni rimandano al passato, altri,semplicemente
rappresentano la vita di tutti i giorni. Fra poco calerà
il buio: per le vie incontreremo folle di curiosi giunti quassù
per vivere il sogno di un mondo scomparso.
Ma no, non è scomparso proprio nulla. Quelli in mostra
sono i mestieri del futuro, dopo il passaggio dei marziani sulla
terra. Allora i nonni, avvolti nei tabarri neri, racconteranno
di marionette verdi e non di cavalieri in armatura mentre i bimbi
continueranno a sognare...
A due passi, fuori dal borgo, musica e frastuono si perdono in
un’eco lontana mentre il cielo è attraversato da
sciami di stelle cadenti.
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Tiziano Biasi - agosto 2004