RICUCIRE LA PACE
Le bandiere dell’arcobaleno
hanno segnato un momento di questa nostra epoca ma, come un prodotto
di consumo, stanno scomparendo. Quelle rimaste, un po’ sciupate,
hanno sventolato poco mentre si consumava l’ultima guerra
del Vicino Oriente. Il copione si ripete senza che la ragione possa
intervenire prima delle armi. Soltanto dopo ci accorgiamo tutti
che le guerre sono evitabili attraverso la trattativa ma prima devono
tuonare i mortai. Ahimé i trattati e gli accordi di pace
avvengono sempre a guerra guerreggiata. Dopo il secondo conflitto
mondiale, nel 1945, una cinquantina di nazioni sottoscrisse un trattato
per mantenere la pace e la sicurezza internazionali costituendo
l’ONU. Da quel giorno all’Organizzazione non è
mancato il lavoro ed anche adesso che Israele e gli Hezbollah hanno
consolidato le loro postazioni strategiche la diplomazia ha richiesto
l’intervento dei caschi blu, invocando precise regole d’ingaggio.
Non è che le forze di pace si piazzino fra i due contendenti
con mazzi di fiori. Tanto per intenderci, non risponderanno con
lanci di petali alle raffiche di mitra. Tuttavia questa è
un’operazione di peace keeping. Ben lungi dal pretendere di
essere un commentatore politico lancerei due sassi nello stagno,
nascondendo le mani per non far capire se è stata la destra
o la sinistra a scagliare le pietre. Queste precipiteranno nel fondo,
le onde si ricomporranno a riva e tutto sarà come prima (?).
Siamo soliti attribuire gli avvenimenti bellici alla sfasatura esistente
nella crescita dei vari paesi del mondo. Se il divario economico
è alla base di molte contese credo che lo sarà ancora
per molto. In alcune aree le Nazioni hanno consolidato la loro idea
di essere tali. Sembra pure che esse abbiano superato le fughe verso
il nazionalismo anche se i conti con la storia e la memoria non
sono completamente chiusi (…conoscere e ricordare perché
i tragici eventi non abbiano a ripetersi). Tanta parte dell’umanità
sta ancora mettendo assieme gli individui che hanno in comune lingua,
razza, tradizioni e storia. Le cause di tale ritardo sono il colonialismo
e lo stato di sottocultura in cui sono stati soggiogati i popoli
dalle nazioni più forti. Un’altra parte dell’umanità
sta vivendo il proprio medio evo ed ha ritenuto di portare la rivoluzione
fuori dal territorio di appartenenza ingaggiando una guerra contro
l’Occidente stanco, malato e alla ricerca di nuovi modelli
di sviluppo, quell’Occidente che, un tempo contrapposto ai
regimi totalitari, si è trovato il terrorismo, infido avversario
dopo la caduta dei muri e delle utopie comuniste. Che si tratti
di una nuova lotta di classe? I nostri vicini d’Oriente la
chiamano guerra santa, predicando che lo stato d’Israele deve
tornare una realtà virtuale, vivo solo nelle menti della
gente alla quale si vuol negare perfino l’olocausto. Fu un
atto di giustizia assegnare parte della Palestina ad un popolo decimato
nei forni crematori, un cuscinetto tra Oriente ed Occidente dove
sarebbe stata possibile una pacifica convivenza. Le vicende degli
ultimi sessant’anni stanno dimostrando che quel luogo è
diventato una polveriera sulla quale incombono troppe micce. Intanto
il contingente italiano con tempismo da primato e con i gioielli
di terra di mare e d’aria è arrivato in Libano. L’intervento
definito doveroso non ha richiesto nuovi sventolii di bandiere;
pure le istanze di rientro delle altre forze italiane sparse per
il mondo si sono attenuate. Alla fine ci risiamo. Protagonisti a
tutti i costi, con un forte desiderio di riscatto nell’agone
internazionale, siamo arrivati sulle rive del fiume Leonte per primi,
ancor prima dei Francesi. Potremo rinunciare ad un punto del cuneo
fiscale per sostenere il costo di una missione impossibile? Tanti
sono gli interrogativi e troppi i rischi. Nel frattempo chi ci osserva
da vicino dice che il PIL crescerà più del previsto.
Effetto vittoria nei recenti mondiali di calcio si dirà ma,
dopo una serie interminabile di autunni caldi, questa sì
che è una notizia sensazionale. E la pace? Quella arriverà
sulle ali di una colomba.
Tiziano Biasi - agosto 2006
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