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IL CANAPIFICIO VENETO DI CROCETTA DEL MONTELLO

prima parte

Queste sono le vicende del celebre opificio di Crocetta del Montello.
L’ultimo atto è del dicembre 1968. A Milano viene deliberata l’incorporazione del Canapificio Veneto Antonini & Ceresa Spa nel Linificio & Canapificio Nazionale. La collaborazione col Linificio Nazionale risaliva agli anni 20 e già nel 1955 si era concordata la fusione tra le due società. A Milano dunque, capitale dell’industria italiana, negli anni della contestazione, delle lotte sindacali, della nascita di “potere operaio” viene decretata la sorte del Canapificio di Crocetta del Montello. Gli impianti verranno smantellati e lo stabile sarà venduto a pezzi.UNA VEDUTA DI OGGI
L’avventura industriale era cominciata nel 1883 con l’inaugurazione dello stabilimento di 7000 mq, costruito a tempo di record, in poco più di un anno, e con un investimento di 1.500.000 vecchie lire.
I soci erano Antonio e Andrea Antonini, padre e figlio, i fratelli Giacomo e Pacifico Ceresa e Angelo Zorzetto. I primi quattro erano possidenti della borghesia veneziana che, ancora una volta, cercava nell’entroterra quella supremazia che già aveva avuto nel passato con la costruzione delle residenze patrizie e soprattutto con il primato sul Montello. Zorzetto era trevigiano, proprietario di una fonderia che avrebbe tratto ottimo profitto dalle strutture metalliche necessarie per erigere il nuovo opificio.ANTICA STRUTTURA
Il più intraprendente di questi personaggi era senza’altro Andrea Antonini, già pratico di cordami. Aveva viaggiato molto in Europa rendendosi conto personalmente dello stato di industrializzazione di nazioni come l’Austria, la Germania, la Cecoslovacchia ed, in un casuale incontro al mercato di Montebelluna con Giovan Battista Marcato, conduttore di una filanda nella zona della Crocetta, in Comune di Cornuda, aveva espresso l’idea di costruire una fabbrica di corde.
Dopo essere stato ospite del Marcato si convinse che il luogo ideale era quello individuato nei pressi della filanda.
I terreni erano incolti, il canale Brentella, già derivato dal Piave nel 1400 per opera della Serenissima, sarebbe stato fonte di energia a sufficienza, la rete ferroviaria stava arrivando lì vicino. Quanto a manodopera, l’area del Montello pullulava di disoccupati, i bisnenti, due volte privi di ogni mezzo (né arte, né parte) e, paradossalmente la prima meccanizzazione dell’agricoltura stava alimentando questa schiera di salariati precari. Alcuni di loro erano già sulla via dell’emigrazione.
Antonini fiutò l’affare e, assieme ai suoi compagni di ventura, realizzò l’opera con capacità e professionalità, ricorrendo a laute offerte per i proprietari del terreno e i concessionari all’utilizzo dell’acqua del Consorzio Brentella.
I risultati non mancarono: furono centinaia le persone assunte e la produzione di filati di canapa e cordami di ogni tipo raggiunse i 120 q.li giornalieri.
La lavorazione della canapa iniziava con la cardatura poi si passava alla pettinatura per liberare le fibre dagli scarti. Seguiva la preparazione delle fibre di uguale lunghezza e consistenza, la sbiancatura con lo zolfo ed infine la filatura, preparatoria alla torcitura, per ricavare spago di diverso titolo. Questo veniva quindi avvolto in gomitoli. Nella corderia si producevano corde e cordami impiegate soprattutto in marina.
Le operaie e gli operai vennero anche da altri paesi e per risolvere il problema dell’alloggio, della mensa e di tutte le altre necessità del mondo dei lavoratori si provvide con la costruzione della casa operaia (dormitorio per le ragazze) e successivamente con delle vere case a schiera (140 abitazioni circa), tutte dotate di energia elettrica. Si delineò così il villaggio operaio, tipico di molte realtà tessili dell’alta Italia. Il “padrone” costruì l’asilo per i figli dei dipendenti, la cooperativa per i generi di prima necessità, il forno per il pane, le villette per i dirigenti, il campo sportivo, il circolo culturale, la chiesetta di S. Teresa in onore della moglie e allo scopo di consentire l’assolvimento del precetto domenicale alle maestranze; fece coltivare l’orto per dare la verdura a tutti i suoi dipendenti.
Poco lontano sorse magnifica ed austera la villa del padre padrone.
La trasformazione industriale sconvolse il territorio; l’espansione della fabbrica e delle abitazioni spinse Lodovico Boschieri, non più giovane rampollo di famiglia borghese e principe del foro, a reclamare un nuovo Comune, staccando le frazioni di Ciano e Nogarè dalla più aristocratica Cornuda, chiamandolo appunto Crocetta Trevigiana.
Fu veramente una scelta oculata o non piuttosto il sogno ambizioso di un ex garibaldino che vedeva popolarsi la landa semideserta della Croxetta?
Il lavoro crebbe, aumentarono i dipendenti fino alla soglia dei tremila e nel novembre del 1908 venne celebrato il XXV° del Canapificio in concomitanza con la nomina a Cavaliere del Regno di Andrea Antonini. Per l’evento si tenne un biblico banchetto sotto una pioggia sferzante, ma le nuvole all’orizzonte erano ben più tenebrose.



IL CANAPIFICIO VENETO DI CROCETTA DEL MONTELLO

seconda parte

Luglio 1913: un corteo di operai si stava dirigendo verso la villa del padrone per esprimere solidarietà al genero di Antonini, divenuto direttore generale, per certi articoli pubblicati dall’organo repubblicano sullo “stato dello sfruttamento” all’interno della fabbrica di Crocetta.
Ad un tratto successe qualcosa, quasi una folgorazione sul drappello degli operai. Tirarono fuori dei cartelli di protesta e cominciarono ad inveire contro il direttore, i suoi metodi di conduzione dell’azienda, la sua facilità nel licenziare per futili motivi, la bassa retribuzione, sottoscrivendo in pieno quanto riportava il giornale, a detta di qualcuno, calunnioso.
Il malcontento affiorò in tutta la sua dimensione e il Cav. Antonini sembrò non rendersi conto di quello che stava accadendo. Lui era generoso con i suoi operai, giocava a carte nelle osterie, pagava da bere. A suo dire gli operai avevano ottenuto tutto da lui, ma il confronto fu arduo. Ci furono 20 giorni di sciopero: intervennero la Camera del Lavoro, politici, notabili del paese ed anche le forze dell’ordine, temendo il peggio. Alla fine fu sottoscritto un accordo secondo il quale gli operai non avrebbero subito alcuna ritorsione per il loro comportamento, avrebbero avuto un aumento della retribuzione e una revisione dell’orario di lavoro; avrebbero partecipato con i loro rappresentanti all’amministrazione della cassa ammalati finora gestita esclusivamente dalla direzione aziendale.
Nei giorni successivi, comizi e brindisi non convinsero Antonini di questa apparente serenità. Il suo prestigio andava diminuendo.
Come se ciò non bastasse iniziò un periodo di crisi aziendale a cui seguì il primo conflitto mondiale. Gli aspri combattimenti nella zona del Piave e del Montello provocarono lutti e rovine dappertutto. Il macchinario del canapificio venne trasferito in altre sedi e all’indomani della vittoria del 1918 i danni si rivelarono ingenti. La direzione non si perse d’animo e, con l’aiuto di validi collaboratori e della gente che voleva dimenticare le brutture della guerra, anche l’attività del canapificio riprese. Fu necessario unire le forze con altre realtà per riconquistare i mercati perduti e fu appunto di questo periodo il passaggio del Canapificio Veneto sotto l’influenza del Linificio & Canapificio Nazionale. Andrea Antonini si ritirò, come gli altri soci della sua iniziale avventura.
In un ultimo disperato gesto fece demolire anche la sua splendida dimora di Crocetta, già danneggiata dalle granate della grande guerra.
Il commercio mondiale riprese ed anche la sorte dell’azienda conobbe nuovi successi. Il periodo fascista incentivò la lavorazione della canapa e non mancarono le grosse commesse governative. Le “sanzioni” applicate all’Italia a causa della guerra contro l’Etiopia incrementarono tutte le produzioni nazionali, ma la condivisione degli ideali bellici con la Germania, portò l’Italia alla disfatta.
Anche il nailon e la plastica cominciarono a trovare utilizzo a livello industriale a scapito della canapa. Furono necessarie nuove strategie ed alleanze per far fronte alla concorrenza delle fibre sintetiche. Tutto inutile: iniziò il grande declino che vide alla metà degli anni 50, la riduzione del personale in maniera drastica. Ci furono momenti in cui si sperò ancora ma le crisi che seguivano una minima ripresa erano sempre più gravi. Non mancò la mobilitazione delle forze politiche, sindacali e delle amministrazioni locali. L’ultima speranza crollò quando si cominciarono a vendere le case degli operai. L’azienda non era più in grado di provvedere alla loro manutenzione. Lo aveva fatto per tanti anni, conservando quello spirito iniziale del Cav. Antonini che a tutto provvedeva. Mi si racconta che fu sostituita gratuitamente una porta interna di un’abitazione nonostante che l’affittuario avesse candidamente dichiarato che la porta mancante gli era servita per far fuoco. Inesorabilmente si andò verso la soluzione finale: la chiusura.STRUTTURA ATTUALE (parziale)
Fu un duro colpo per il “bel paesello” di Crocetta. Questi 85 anni di attività avevano comunque gettato le basi per una nuova industrializzazione e la gente del posto si rimboccò nuovamente le maniche contribuendo, attraverso un’innata operosità, alla creazione del modello di sviluppo “nord-est”.
Oggi si discute anche di questo mito mentre il “gigante” è là, lungo l’acqua, a tratti seminascosto da acacie cresciute tra un ramo e l’altro del Bretella. Il vecchio canapificio appare ancora come un corpo unico sovrastato dall’alta ciminiera e dall’imponente serbatoio d’acqua. Vi convivono diverse aziende, ognuna delle quali cerca di imporre i propri connotati nel rispetto della primitiva struttura. Chi passa da via Erizzo volge lo sguardo verso questa grande costruzione ma sembra non avere la percezione dell’avventura industriale che si è consumata in questi luoghi. Ormai anche le persone che hanno lavorato nel vecchio stabilimento se ne vanno. E noi che cosa racconteremo ai nostri nipoti? Che siamo stati in Romania a fare scarpe... Dopo tutto ogni generazione ha la sua storia!
Recentemente ho incontrato un’anziana signora che entrò in Canapificio nel 1937. La madre l’aveva scortata alla portineria sussurrandole: “…sei fortunata, perché avrai da vivere per sempre…” Poco lontano un grammofono diffondeva la canzone “se potessi avere mille lire al mese”.
La giovinetta aveva 15 anni ed era felice delle sue tre lire al giorno
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Tiziano Biasi - giugno 2004