UN
GIORNO DA BADANTE
Ogni giorno dobbiamo fare i conti
con nuovi termini e non è poi una sorpresa, ma il buon
Fernando Palazzi non avrebbe mai pensato nella stesura del suo
nuovissimo dizionario della lingua italiana di creare una voce
specifica per il participio presente del verbo badare: badante
appunto. Il verbo badare ha una etimologia ignota, questo significa
che non possiamo farlo derivare dalla lingua nostra madre, il
latino, nemmeno dal greco, da cui derivano parole di alta specializzazione.
Badare vuol dire fare attenzione, prendersi cura. I genitori devono
badare ai figliuoli senza badare a spese: questa sarebbe la forma
intransitiva del verbo; se la rendiamo transitiva sembra calare
un po’ di tono perché rivolta ad un genere inferiore.
Si dice infatti badare gli animali. No, non è corretto
scendere a questi paragoni e non intendo mancare di rispetto a
chi, raggiunta una venerabile età, e il caso non è
poi così raro, si trova ad essere accudito da un’avvenente
e compiacente signora che viene dall’est. Così è
intervenuta l’Accademia della Crusca per decretare l’utilizzo
del termine badante: la parola indica persona, nella maggior parte
dei casi immigrata, che si occupa di anziani o disabili soprattutto
presso privati.
L’immigrazione è solo uno dei grossi problemi del
nostro tempo; l’Italia si è trovata disarmata di
fronte a questo fenomeno e a dover gestire emergenze proprio per
il fatto che molta gente arriva dal mare. Lungaggini burocratiche
e allarmismi sfociano in leggi non sempre condivisibili, ma pur
sempre leggi ed infine arriva la sanatoria che mette in pace,
si fa per dire, le esigenze del mercato del lavoro con i timori
della nostra società. Bisognerà riscrivere alcune
norme di carattere sociale per consentire l’integrazione
alla gente che dimostra di volersi integrare prima che razze,
culture e religioni entrino in rotta di collisione. Che sia già
troppo tardi?
Il Veneto dopo aver conosciuto sulla propria pelle l’emigrazione,
dopo essersi messo al servizio di un padrone in terra straniera,
arriva finalmente a riscattarsi attraverso tenacia e laboriosità
ma si trova a fare i conti con i vecchi di casa. A loro un tempo
“badava” la figlia zitella con buona pace degli altri
famigliari. Oggi mancano le vocazioni per questo tipo di missione
e così, quando le maglie delle frontiere si sono allargate,
sono arrivate anche le badanti.
Anche loro hanno bisogno dei momenti di stacco e, mentre vagano
a gruppi, cercando di coalizzare per il riconoscimento del loro
operato e adeguare il loro “cartello” qualcuno deve
supplire alla loro meritata vacanza.
Sono stato da mia madre ieri per tutto il giorno. La badante era
partita di buonora con le sue colleghe amiche. “Mamma come
va”? “Bene - risponde - ma tu la conosci la ragazza
che sta qui con me”? “Si mamma, la conosco bene”.
“E’ proprio una brava figliola, pensa che ha preparato
anche il pranzo per oggi”. Il dialogo tra me e mia madre
è fatto soprattutto di sguardi. La vedo inquieta, preoccupata
della sua sorte. “Mamma sei solamente invecchiata ma stai
bene”. Le è difficile accettare questa condizione,
la pensa una malattia, non avrebbe mai voluto invecchiare. Cerco
di farle capire che la sua è una condizione serena circondata
da tanti affetti compreso quello dell’ultima arrivata. Ogni
tanto si alza. Si trascina verso la porta che dà sulla
terrazza e dopo un lungo sospiro ritorna a sedersi vicino al ricevitore
sintonizzato su radio maria. “No, non è l’ora
della preghiera - dice - puoi anche cambiare stazione”.
Giro la manopola della vecchia radio e mi ritrovo nel mezzo di
una trasmissione aperta alle telefonate del pubblico. Sono i nonni
a chiedere la parola e tutti esprimono le loro trepidazioni per
l’identità veneta che sta scomparendo soppiantata
da gente che viene da lontano. All’ora del pranzo ci gustiamo
la buona pietanza preparata dalla nostra badante e la mamma mi
chiede mezzo bicchiere di vino…”aggiungici un po’
di zucchero - dice con tono deciso - perché mi piace dolce”.
Nel primo pomeriggio lei si lamenta di avere freddo ai piedi.
“Ti posso mettere una coperta per riscaldarli”. “No,
no perché non me li fai mettere in acqua tepida”?
Il calore le deve entrare da tutti i pori della pelle. Penso alla
sensazione di un bambino nel grembo della madre. Attraverso il
liquido si stabilisce l’osmosi dei corpi ed è così
anche per i piedi di mia madre che trovano conforto nell’immersione
in una bacinella d’acqua riscaldata. Siamo andati in camera
da letto e la mamma mi ha insegnato come assestare il copriletto
per la notte. L’avevo imparato da bambino ma non ricordavo
questo rituale. Passano le ore ed anch’io, ogni tanto, vado
sul terrazzo. Il traffico fuori è continuo: macchine e
moto vanno e vengono, i ciclisti sfrecciano approfittando di questa
mite giornata autunnale. Vedo passare quattro autobus…vuoti.
Che vita monotona per l’autista. Lontano il sole tramonta
ed io accartoccio quello straccio di giornale di cui sto leggendo
i titoli da stamattina. Pian piano s’apre l’uscio
di casa. “Marina sei tu? - chiede mia madre - stavo in pensiero
per te”. Poi gli sguardi si incontrano e s’aprono
ad un tenero sorriso.
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Tiziano Biasi - settembre 2004