BELVEDERE
C’è una località
in quel di Crocetta che a ragione viene chiamata Belvedere. Il
paesaggio che si offre a chi percorre questi luoghi è quello
del Piave col Montello ed oltre, i colli della sinistra Piave
fino ad allungare lo sguardo alle pendici delle cime prealpine.
E’ una scena incantevole e nelle giornate fredde d’inverno,
quando l’aria spazza ogni nuvola mentre il cielo si tinge
di sfumature celesti non si può non godere di questa visione.
Non è il Piave a farla da padrone: Il suo letto è
irriconoscibile; vi è una macchia di arbusti che frettolosamente
diventano alberi. L’acqua corre più in là,
sempre in agguato. Una volta la si vedeva scorrere fin sotto Rivasecca,
il rialzo del Zoppalon e la piana di Ciano e lo sguardo la seguiva
abbandonandosi alle “rimembranze” di storie di barcaioli,
di paesi scomparsi e poi della dolorosa grande guerra. A quel
pensiero un fremito d’orgoglio ci pervadeva. Grande fu il
tributo di sangue in quel conflitto mondiale dove la migliore
gioventù d’Europa prima di infierire sull’avversario
era costretta ad incontrarne lo sguardo smarrito. Poi vennero
le guerre tecnologiche…
Belvedere, come lo dice il termine stesso, è un luogo elevato
dal quale si domina un bel panorama ed è proprio qui che
sorge Villa Belvedere, la Casa di riposo di Crocetta del Montello.
Trattasi di moderna costruzione adiacente alla secolare chiesa
di S. Nicolò, luogo decretato a soggiorno per persone anziane.
Impreziosita da ampio giardino con fontana dell’artista
Toni Benetton, ha subìto ampliamenti e ristrutturazioni
con l’elevarsi dell’età media. Un luogo tranquillo
dove qualcuno trova la serenità della vecchiaia, barattando
la condizione di allontanamento dalla famiglia con la qualifica
di ospite. “Qua son servìa e riverìa, no me
devo preoccupar de gnente”. Non è difficile sentire
queste argomentazioni, soprattutto dalle donne che vorrebbero
ingannare anche se stesse ma non è sempre così.
I pensieri sono tanti e finchè il fisico regge c’è
tempo per trovare consolazione nei ricordi.
A volte ritorna anche l’argento vivo, magari in occasione
di qualche festa con l’arrivo di gente estranea e coinvolgente
come la”Gnuco Band”. Quel 26 ottobre le note della
fanfara facevano vibrare le grandi vetrate di Villa Belvedere
al suon di quelle arie tanto care non perché rievocassero
un momento particolare della storia ma per essere la rappresentazione
del periodo migliore dell’esistenza: la gioventù.
Si sa poi che quando l’euforia cresce si passa alla danza
e qualche arzilla signora, disdegnando di avere un partner femminile,
si rivolgeva al primo “ragazzo” sotto tiro. Anche
la Superiora, dopo aver osservato con esitazione, plaudiva e si
buttava, si fa per dire, nella mischia.
Ecco che cosa vogliono i nostri “vecchi”, vogliono
non sentirsi abbandonati. Essi sopravvivono anche alle stagioni
più strane e inclementi, sopportano con rassegnata pazienza
le canicole della torrida estate se hanno la certezza di non essere
soli, se possono contare su una stretta di mano, su un tenero
abbraccio.
Ma la festa finisce e ritorna la normalità. Fuori è
buio.
“Sior! i me à licensià a le çinque,
ma l’ultima coriera par Bigolin le già ‘ndata;
cossa oi da far?” Mi pense che stassera le meio che la se
ferme qua, i ghe lo trova un let par dormir. “Grassie sior,
el vae pur”.
Noi Veneti ringraziamo sempre congedandoci. Siamo fatti così:
ringraziamo anche chi ci ha appena venduto un’illusione.
Buone Feste amici miei, buone feste a tutti.
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Tiziano Biasi - dicembre 2003