Il Fabraterno 2007/01


CRONACA DI UN VIAGGIO

dove si posano le cicogne


di Antonietta Tiberia

Da un fugace viaggio in terra di Spagna ogni viaggiatore torna con ricordi diversi: io sono tornata con il ricordo indelebile delle cicogne bianche dalle ali bordate di nero e il becco rosso, in volo nel cielo limpido di Avila e Segovia. La prima che ho visto volava bassa, incurante delle teste all’insù dei numerosi turisti, portando nel becco un sarmento secco per rinforzare il nido dove il/la partner già covava le uova. Ho seguito il suo volo fino al campanile del duomo di Avila per scoprire, sulle mensole aggettanti, diversi nidi con la cicogna a covare. Altre cicogne zampettavano sui raccordi di pietra, intente alle incombenze della loro vita in attesa della prossima schiusa delle uova, indifferenti ai rumori della betoniera sottostante, che impastava cemento per il restauro della facciata. A Segovia, invece, i nidi li hanno fatti sulle sequoie del giardino di fronte all’Alcazar. Si vedono volare dappertutto, anche tra le possenti arcate dell’acquedotto romano, con i suoi ciclopici blocchi di granito sovrapposti senza malta, che sta lì da duemila anni e sembra fatto ieri. Sui prati d’intorno c’erano anche dei grifoni, forse attirati da qualche carogna abbandonata; ma brulicavano le cicogne, bianchi batuffoli con i becchi affondati nella terra a raccattare lombrichi per il pranzo. Ho imparato che questi trampolieri depongono le uova nel mese di aprile e le covano per un mese intero. Sarebbe bellissimo, tra giugno e luglio, assistere ai tentativi di volo dei cicognini. Mi era capitato una sola volta, a Ceccano, di assistere al passaggio di uno stormo di oche migratorie: volavano molto in alto, ma guardarle fu emozionante. La stessa emozione l’ho provata qualche anno fa in autunno, trovandomi a passare alle Pezze di Cosa, dove moltissime rondini si erano radunate per la partenza, e aspettavano le ultime ritardatarie appollaiate sulle travi dell’orto e sui fili della corrente. Passeggiando per Madrid la sera del 23 aprile (giorno della Festa del Libro, pubblicizzata da stendardi appesi su tutti i lampioni delle arterie principali), ho avuto la gradita sorpresa di vedere, nelle numerose librerie e bancarelle rimaste aperte fino a mezzanotte, anche libri di autori italiani tradotti: A passo di gambero di Umberto Eco, I sette messaggeri di Dino Buzzati, le favole di Gianni Rodari... Nella calle de Fuencarral verso piazza Quevedo, là dove le automobili passano sotto il manto stradale, sulla piattaforma al centro della carreggiata erano stati allestiti dei punti di lettura, con panchine per sedersi. Dalle travi pendevano fili d’acciaio che passavano al centro dei libri, per mantenerli aperti per la lettura. Ce n’era per tutti i gusti. Mentre sfogliavo i libri appesi soffermandomi a leggere alcune poesie, ben due televisioni diverse mi hanno chiesto il permesso di farmi delle domande. Volevano sapere che ne pensavo di quell’iniziativa, se credevo che la gente leggesse molto o poco, se ero andata a Madrid apposta per la Noche de los libros. Non mi sono fatta pregare: ho parlato dei circoli di lettura delle biblioteche comunali di Roma, dell’invito alla lettura, fatta per quello stesso giorno, del libro di Carolina Invernizio offerto dal comune di Mantova, che quest’anno tutti i mantovani leggeranno. Siamo forse da meno dei madrileni? Il mio spagnolo non è perfetto, ogni tanto ci infilavo qualche parola in italiano, ma non me ne preoccupavo, tra latini non è troppo difficile capirsi; e poi chissà quanto avranno tagliato. Attraversando le strade di Madrid sulle strisce zebrate in corrispondenza dei semafori si sente un chiurlio di uccelli: sono i dispositivi sonori adottati per i ciechi, presumo. Avrei parlato volentieri e a lungo con gli spagnoli veraci, ma quattro giorni sono passati in fretta. Le visite al Prado, all’Escorial e a Toledo hanno lasciato solo il tempo di scambiare qualche battuta con le guide turistiche, che hanno parlato delle strade piene di alberi e dei bei giardini di Madrid; del traffico caotico della capitale; della gente che l’ha lasciata per andare ad abitare fuori, in case meno care, e che ogni giorno intasa le strade per tornare a lavorarci; del clima che è “nove mesi d’inverno e tre d’inferno”. - A Toledo si sta bene,- mi ha detto un amico che ci vive da trent’anni, perché “c’è molto per pochi abitanti”: Nella ex-capitale del regno di Castilla le acque del Tago tengono ancora ben celato un ingrediente segreto, indispensabile per temprare le lame più famose del mondo.