Il Fabraterno 2007/01


una collega ricorda
Quando lo scambio di emozioni ed esperienze avviene nella leggerezza


di Daniela Marro
(Docente di Italiano e Latino presso il Liceo Scientifico di Ceccano)

Il ricordo che ho di Carmina non appartiene al passato: è il mio presente, tutti i giorni, quando entro a scuola, siedo alla cattedra, faccio lezione, lavoro con gli studenti, correggo i compiti. Quando penso alle loro vite difficili di adolescenti. Quando mi immedesimo – senza mostrarlo, però – nella sofferenza che provano, inevitabilmente, con il crescere. Ho avuto il privilegio di conoscerla nel 1998, anno del mio primo incarico annuale presso il “Martino Filetico” di Ferentino. La scuola che lei mi ha fatto amare non era affatto quella prospettata all’università, né quella dei tanti (inutili?) corsi abilitanti o di specializzazione all’insegnamento; e non era nemmeno quella che vuole, secondo i più consueti stereotipi, l’insegnante di consolidata esperienza impartire lezioni e dispensare consigli ai docenti più giovani e inesperti dall’alto della propria “anzianità di servizio”. La scuola che abbiamo condiviso passava necessariamente attraverso uno scambio continuo (alla pari, insieme ad altre giovani colleghe) di impressioni, valutazioni, informazioni, emozioni, passava attraverso la sospirata pausa caffè alla campanella della ricreazione, passava attraverso la spensieratezza delle gite, passava attraverso i pranzi a base di frittata di asparagi e salsicce sott’olio (indimenticabili) organizzati dalle care Maria e Jole in quelle lunghe, lunghissime giornate trascorse nelle aule a lavorare insieme, a incontrare genitori, a recuperare alunni spesso pigri e svogliati. Quante risate con Carmina, che modo leggero e profondo, signorile e umile aveva di affrontare le cose, anche le più complicate. Io, per indole tendente al serioso e all’introverso, credo di aver preso da lei la difficile arte della collaborazione reciproca, l’ascolto e il rispetto, credo di aver imparato, dalla sua grande lezione di umanità, ad avere la consapevolezza dei miei limiti e la forza delle mie ragioni. Carmina è stata la presenza costante, discreta e preziosa, nella grande avventura del concorso ordinario, che mi ha “regalato” il ruolo: mi piace pensare che senza il suo aiuto, senza i suoi incoraggiamenti (mai ispirati ai libri, ma a un innato, sano buonsenso), le cose sarebbero andate diversamente. Non ha mai giocato a fare la primadonna: amava la teatralità solo nell’illusione dell’arte, dato che nella quotidianità, paradossalmente, allontanava i riflettori, parlava piano e lentamente, restava nell’ombra, non faceva mostra di sé. Non è retorica: anche per il nostro privato, per il modo in cui abbiamo guardato alla vita grazie a lei, le dobbiamo tutti, e sottolineo “tutti”, qualcosa.
P.S. Mi chiedo ancora perché, proprio lunedì 9 aprile 2007, io avessi tanta premura nel portare a termine entro la mattinata la traduzione in italiano dell’intervista impossibile a Giulio Cesare che Carmina aveva scritto in latino per i ragazzi del Progetto Comenius…