CANZONI DA OSTERIA

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INTRODUZIONE

 

ENOLOGIA:

la pianta vitis vinifera

maturazione e raccolta

il mosto

torchiatura

effetti e controindicazioni

 

MITOLOGIA

la leggenda dell'uva

la leggenda del vino

riti dionisiaci

Bacco a Roma

Satiro danzante

 

BIBBIA

la benedizione di Noè

dal cantico dei cantici

parabola cattivi vignaioli

 

STORIA:

origine della viticoltura

il vino: la sua storia

il vino nell'antica Roma

come si beveva a Roma

Roma e le osterie

 

LETTERATURA

la locandiera

la vendemmia

er vino de li frati

er vino novo

er vino

la gabella del vino

canzone di bacco

ode al vino

 

MUSICA

carmina burana

canzoni da osteria

 

PAGINE DEI RAGAZZI

barzelletta

cruciverba classico

cruciverba

zig zag

elisa

francesca

giulia

giuliano

marzia

noemi

serafin

valentina

Fino alla prima metà del Novecento la vita sociale del proletario romano si svolgeva all’ osteria: luogo d’incontro e di giuoco che spesso si concludeva con sbornie.

Nei locali che erano numerosi per le vie di Roma convenivano – nei giorni di festa – le famigliole, gli uomini per discutere di sport, di politica e a tarda ora le donne che venivano a riprendersi i mariti ubriachi. Le riunoni si chiudevano con canti non proprio raffinati del tipo:

 

                                                                       E noi! E noi

                                                                       Saremo sempre noi!

                                                                       Se ce pijamo ‘ na sbornia

                                                                       Ce la pagamo da noi…

                                                                       CORO: Sì da noi ce la pijamo

                                                                       Sì, da noi ce la pagamo…

Nell’osteria, dev’ essere nata La società dei magnaccioni, rielaborata e portata al successo da Gabriella Ferri:

Fatece largo che passamo noi sti giovanotti de stà Roma bella

Semo ragazzi fatti cor pennello

E le ragazze famo innamorà.

E le ragazze famo innamorà.

 

Ma che ce frega, ma che ce importa

Se l’oste ar vino ci ha messo l’acqua

E noi je dimo, e noi je famo, c’hai messo l’acqua

Nun te pagamo, ma però:

noi semo quelli che j’arrisponnemo’n coro

è mejo er vino de li castelli di questa zozza società

E si per caso la società more

Se famo dù spaghetti amatriciana

Bevemo’n par de litri a mille gradi

S’ambriacamo e ‘n ce penzamo più.

S’ambriacamo e ‘n ce penzamo più.

 

Che ciarifrega, che ciarimporta…

Ce piaceno li polli, l’abbacchi e le galline

Perché so senza spine, nun so come er baccalà

La società dei magnaccioni, la società della gioventù

A noi ce piace de magnà e beve

E nun ce piace de lavorà! Oste:

Portace ‘nantro litro, che mo ce lo bevemo

E poi jarrisponnemo: “Embè, embè! Che c’è?”

E quando er vino-embè-c’arriva al gozzo

Embè-ar gargarozzo-embè-ce fa ‘n ficozzo

Embè-pe falla corta, pe falla breve

Mio caro oste portace da beve, da beve, da beve, olè!

 

(la terza strofa è sostituibile a piacere con la seguente):

e si per caso vi è er patron de casa

de botto te la chiede la piggione

e noi jarrisponnemo a sor  cojone:

“T’amo pagato e ‘n te pagamo più!”

“T’amo pagato e ‘n te pagamo più!”