Questo opuscolo commemorativo è stato stampato in 200
copie numerate
N° 015
Forse
fra i vari e numerosi riconoscimenti tributati alla memoria di Gian Francesco
Malipiero ne è mancato uno, altamente qualificante, della di Lui personalità
di umanista, riferito alla Sua riscoperta dell'Arte monteverdiana.
Si
è scritto, invero, anche molto sugli studi e sulle ricerche condotti da
Gian Francesco Malipiero e culminati con la pubblicazione, nel Vittoriale
degli Italiani, tra il 1926 ed il 1940, dell'OPERA OMNIA di Claudio Monteverdi.
Non
si è toccato, però, il lato più pregnante di tali studi e ricerche e si
è guardato soprattutto alla mole del lavoro ed al suo valore bibliografico
e divulgativo.
Il
Centro Studi Rinascimento Musicale crede di far cosa opportuna, puntualizzando,
in questo affettuoso omaggio all'insigne Maestro, il portato culturale
dei Suoi studi volti principalmente a ritrovare l'essenza fonico-semantica
della creazione del Cremonese.
Questo
nostro breve quaderno vuole essere, perciò, la maniera forse più gradita
all'indole schiva eppur caustica, bonaria eppur dominante di Gian Francesco
Malipiero, che ha onorato ed onora il Centro Studi Rinascimento Musicale
della propria adesione, di ricordarlo ai Soci offrendo, altresì, ai giovani
studiosi elementi validi alla conoscenza dei temi culturali del '500 e
'600 che furono alla base del definirsi della espressione musicale di
Malipiero.
Ci
accingevamo nel lontano 1965 ad approfondire lo studio sull'Arte musicale
del XVI e XVII secolo in genere e di Monteverdi in particolare e, dopo
aver consultato e schedato tutto quanto era stato scritto sul grande Claudio,
eravamo ragionevolmente pronti ad iniziare la vera e propria ricerca su
quel periodo fascinoso e sull'artista eccelso.
Un
concetto ci aveva particolarmente colpito, un concetto espresso dal Prunières
(vedi — Henry Prunières, « La vie et l'oeuvre de C. Monteverdi », Paris
1924-1926; pagg. 7-8): « .... En face de Zarlino, défenseur de la tradition,
se dresse Vicentino dont le traité " L'Antica Musica ridotta alla
Moderna prattica " (1555), fut le bréviaire des musiciens d'avant-garde
» e ripreso con una punta polemica da Malipiero nel suo « Claudio
Monteverdi » (Milano 1930): «….Il
Monteverdi, senza né punto né poco rinunciare alle risorse infinite dell'intuizione,
preferì seguire le teorie di Nicola Vicentino (. . .), ma non si può dire
per questo che il "Monteverdi disponeva male le parti"! . .
. (cfr. op, cit. pagg. 26-27) ».
Fu
questa la molla che fece scattare il congegno e ci portò a trascrivere
i 5 libri del battagliero Don Nicola. L'approfondito studio di questa
opera e la conoscenza dei teorici e pratici dell'epoca: Aaron, Agazzari,
Artusi, Banchieri, Berardi, Bononcini, Bottrigari, Caccini, Diruta, Foliani,
Peri, Lanfranco, Zacconi, Tevo, Zarlino, ecc. e soprattutto l'analisi
dei concetti espressi nelle due lettere di Monteverdi del 1633 e 1634
(gli autografi si trovano presso la biblioteca del Conservatorio di Musica
« L. Cherubini » di Firenze) ci consentivano una notevole apertura conoscitiva.
Ed era questa maturata conoscenza che ci portava a collegarci con Colui
che, molto prima di noi e lavorando su basi dedotte da una metodologia
indubbiamente ancora lacunosa, era pur riuscito a sollevare il velo sul
segreto della 2ª pratica monteverdiana. Il collegamento fu semplice,
spontaneo e fortemente stimolante. Il carteggio stringato, essenziale
e chiarissimo che ho avuto con Gian Francesco Malipiero doveva fugare
le ultime perplessità circa una nuova interpretazione da dare alla semeiografia
monteverdiana soprattutto riferita alle alterazioni.
Proprio
nel 1967 (anno del bailamme delle commemorazioni monteverdiane) usciva,
per i tipi di Schweiwiller, il caustico « Così parlò Monteverdi »
di Gian Francesco Malipiero che il Maestro mi fece pervenire con una dedica
quanto mai significativa
che
fu per noi incentivo a durare su un itinerario pur estremamente difficile;
itinerario
ingombro di pregiudizi, di lezioni male apprese, di incallita e diffusa
misconoscenza del reale essere della grande Arte cinqueseicentesca
e segnatamente della 2ªpratica.
Evidentemente
Malipiero non si era crogiuolato nel beato godere del ricercatore soddisfatto;
era andato anche Lui approfondendo la propria conoscenza che, rinnovata,
(insisto su tale termine evocatore di vivificante divenire) quasi novantenne,
trasmetteva in quello stupendo messaggio medianico che è « Così parlò
Monteverdi », messaggio che contiene l’imperativo categorico di un
ulteriore approfondimento della materia sonora monteverdiana, e di tutto
il cinqueseicento, che è lungi dall'esser stata completamente esplorata
ed analizzata.
Mi
sembra indispensabile per la esatta valutazione degli elementi critici
contenuti in quel messaggio, riportare in fotocopia alcuni passi illuminanti
del carteggio avuto con il Maestro, senza di che la presente pubblicazione
mancherebbe al compito prefisso di commemorazione della figura dell'umanista
Malipiero dall'interesse culturale in continuo fermento perché è proprio
l'ansia di approfondire la conoscenza che si acclara nel breve e copioso
scritto di Malipiero come pure nel prezioso carteggio tenutosi fra noi.
Scrive
Malipiero in « Cosi parlò Monteverdi
»:
«...
il 1967 sarà una gran festa per la musicologia
e questa certamente mi farà la festa, eppure ci vorrebbe molto poco per
riammettermi com’ero nel consorzio di quei musicisti che parlarono un
linguaggio nuovo, ma chiaro e che graficamente ebbero sempre a disposizione
il segno corrispondente al suono desiderato . . ».
«...
Non ci sono problemi per decifrarmi e i miei editori non ammettevano
l’errore di stampa ... ».
«...
Non valgono nemmeno i documenti, il più
importante è il libretto della "Proserpina rapita " di Giulio
Strozzi, purtroppo la musica è andata perduta, ma in esso sono precisati
i modi di ogni singola Aria, vale a dire il Frigio, il Lidio, il Missolidio
e l'Eolio . . . ».
Ed
in APPENDIX Malipiero fa precedere alcune fotocopie da:
«...
Da trent'anni insisto pubblicando il fac-simile di queste importantissime
testimonianze, ma è troppo comodo annullarle alterando gli accidenti che
determinano appunto i modi ai quali gli elaboratori preferiscono le armonie
care a Saverio Mercadante».
Questi
concetti collimano perfettamente con quanto ebbe a scrivermi Malipiero,
onorandomi della Sua stima, in risposta a miei quesiti pressanti e che
riporto qui in fotocopia:
Profondamente
polemico eppur umano, quanto scritto a pagg. 19 e 20
(«
Così parlò Monteverdi »):
«...
Il più martoriato fra i grandi musicisti fu ed è tuttora Claudio Monteverdi.
Vi sono evoluzioni inevitabili e spesso provocate dallo spirito di conservazione,
che il fossilizzarsi è morire e questo fu appunto il caso Monteverdi,
innovatore dalla nascita, era fatale che non gli si perdonasse la sua
seconda pratica ... ».
E
Malipiero fu effettivamente polemico ed umano e polemico anche con se
stesso tanto che si potrebbe, nella evoluzione della Sua conoscenza, ravvisare
la celebrazione tutta malipieriana di un « processo a Malipiero ». Ciò
che più colpisce, difatti, nel Suo carattere è di esser stato e di aver
fatto tutto a misura d'uomo; non è il mostro che tutto sa, colui che non
sbaglia mai; Malipiero ha esposto i Suoi giudizi e li ha documentati rendendoli
ineccepibili e lo ha fatto anche quando poteva con ciò contradire se stesso;
alcune Sue valutazioni possono essere discutibili o non condivise completamente
alla luce di ulteriori documentazioni che gli sono mancate e non certo
per colpa sua. Ma ciò che si evidenzia sempre nella Sua opera è la ricerca
della verità e la affermazione di essa.
È
così che certe Sue perplessità che lo fecero soffrire nella propria intimità
culturale, erano sul punto di essere fugate; una, principalmente, (lo
accennava nel 1930 e ne parla ancora nel 1967 ):
«...
In molti casi Claudio Monteverdi cambiò le parole riducendo la stessa
composizione da profana a religiosa. Senza ammettere la profanazione nell’arte
è però in contradizione con se stesso; se, come egli vuole, la musica
deve essere schiava delle parole, come può adattarsi la stessa musica
a due differenti poesie? ».
(cfr.
G. F. Malipiero: « Claudio Monteverdi » — Milano 1930, pag. 35).
E
in « Così parlò Monteverdi » a pag. 11:
«...
Forse Claudio Monteverdi trasformando l'umanissimo "Lamento
d'Arianna" in "Pianto della Madonna" ha dato
il cattivo esempio, ma il dolore tiene sempre aperte le porte di tutti
i paradisi ».
È
stata la Sua perplessità che ci ha spinto ad analizzare queste pagine
monteverdiane, imponendoci di trovare la ragione di quelle realizzazioni
di Monteverdi, ragione che pur doveva esserci dato che il Cremonese
« non faceva le sue cose a caso ».
È,
ancora, effettivamente essenziale definire il valore espressivo della
alterazione sia per la individuazione della modalità, sia per riconoscerne
il genere.
Le
asserzioni esatte che Malipiero fa nel 1967 pongono indubbiamente grossi
problemi di realizzazione, di interpretazione ed esecuzione e sposta completamente
gli angoli di osservazione armonica delle composizioni di 2ªpratica
(vedi a tale proposito il Cavalieri, il Tropea, il Vicentino, Domenico
Mazzocchi, ecc.).
Se
è vero, come è vero, (e Malipiero tra il 1930 ed il 1967 ha certamente
approfondito la questione) che in Monteverdi (la documentazione è ineccepibile)
l’alterazione valeva per la sola nota davanti a cui era posta,
ne decorre che molte, troppe pagine monteverdiane sono state lette male
e da ciò è derivato un evidente appiattimento della tensione emotiva ed
un impoverimento delle espansioni armoniche del « continuo
».
Questo
dato di fatto che si desume quale corollario dalla esposizione di Malipiero,
è stato il punto di avvio per una nuova impostazione da dare alla esplorazione
dell’opera monteverdiana; nuova impostazione alla cui realizzazione il
Centro Studi Rinascimento Musicale subito si accinse. Ed ancora e sempre
illuminante giunse il parere stringato, quasi lapidario del Maestro che
a precise mie domande rispondeva:
Eloquente
e oltremodo significativa la chiusa nella sua laconicità e chissà quanti
pensieri, volutamente non espressi, affluirono alla mente di Lui mentre
vergava il commiato cordiale.
Procedendo
da una attenta disamina della prassi semeiografica dell’epoca, seguendo
una serrata casistica prettamente monteverdiana e confortati dalle preziose
affermazioni espresse da Malipiero nei Suoi scritti dal 1967 in avanti,
a quarant’anni dalla pubblicazione maestosa dell’Opera Omnia, dovremmo
oggi impegnarci tutti alla redazione di una edizione critica delle opere
di Claudio Monteverdi. Scriveva Friedrick Blume nel saluto rivolto al
Convegno di Siena del 28-30 aprile 1967 (cfr. Rivista Italiana di Musicologia,
Voi. II, 2 -pag. 205, Olschki - Firenze 1967 ):
«...
Ma tutti gli sforzi si basano ancor oggi
su fondamenta oscillanti, perché ci manca un'Opera omnia critica e fedele
alle fonti. L'edizione di Francesco Malipiero iniziò negli anni venti:
nessuno misconoscerà i suoi grandi meriti, ed io posso attestare ancor
oggi per mia propria esperienza, quale ìlluminazione essa sia stata allora,
per noi. . . ».
«...
Quasi tutte le edizioni che conosco direttamente,
contengono sbagli: errori di notazione, errori nel basso continuo, modifiche
arbitrarie, ritocchi, ecc. ecc. . . ».
L'argomento
è rimasto di pressante attualità, mentre abbiamo a disposizione la preziosa
realtà dell'Opera Omnia ordinata da Malipiero su cui impostare
la realizzazione di una completa edizione critica alla luce di prove documentate
dalle recenti osservazioni dello stesso Malipiero e dalle positive ricerche
seguite a tali osservazioni. Occorre perciò procedere al confronto delle
diverse edizioni originali apportando alla monumentale Opera Omnia
quelle precisazioni indispensabili alla determinazione indiscutibile del
testo esatto.
Ad
esempio: il « Lamento d'Arianna » monodico esiste in un unicum
del 1623 (Biblioteca dell'Università di Gent) la cui stesura non trova
esatta corrispondenza con quello contenuto nell'Opera Omnia; così
dicasi (sempre ad esempio) per l’« Orfeo » di cui esistono due
edizioni originali del 1609 e del 1615 fra le quali non vi sono differenze
degne di nota, mentre l’« Orfeo » dell’Opera Omnia (come
tutte le edizioni moderne di esso) ha una stesura che sembra esser stata
redatta sulla scorta di un esemplare del 1615 (Biblioteca di Wrocław
- Polonia) nel quale furono apportate correzioni a mano visibilmente apocrife.
Procedendo
ad un auspicabile perfezionamento della conoscenza di Monteverdi, ci veniamo
a trovare di fronte al rinnovato problema del « continuo»; e su
questo tema la musicologia ufficiale segna indubbiamente il passo, irretita
come è in cognizioni inesatte della tecnica armonica dell'epoca e dei
cultori di 2ªpratica. Il « continuo » era certamente
un semplice sostegno alla espressione verbale (in caso contrario l'autore
lo avrebbe realizzato) e può darsi che fosse da improvvisare. Comunque
è solare che l'Armonia del cinqueseicento era molto più ricca e
complessa di quanto per strana ed inveterata consuetudine si continua
a credere, basando i giudizi sulle realizzazioni del settecento
e sulla non conoscenza della seconda pratica che è una luminosa
parentesi fra il mondo contrappuntistico che si dissolve e l’instaurarsi
di una estetica che avrà le proprie assisi nelle formule della regola
d’ottava e nella pararmonia con la completa perdita della
individuazione fonico-semantica della espressione verbale. È necessario
allora procedere ad un completo riesame della praxis compositiva dei Marenzio,
Mazzocchi, Peri, Caccini, Luzzaschi, Frescobaldi, di Venosa (il quale,
fra l'altro, scriveva come scriveva non perché i mezzi finanziari e patrimoniali
gli permettessero di fare il gigione o perché non conoscesse il contrappunto
e l'armonia, come qualche buontempone in vena di facezie ha creduto poter
ravvisare nelle composizioni del Principe, ma forse per far dispetto
… ai posteri largamente battuti sull’…anticipo!) e prendere in seria considerazione
la non peregrina eventualità che il mondo contrapuntistico di seconda
pratica doveva pur in qualche modo esser presente nelle individuazioni
armoniche delle composizioni monodiche; ricordando che senza voler qui
entrare nel merito di chi avesse torto e chi ragione, la dura polemica
Monteverdi-Artusi è pur sempre una bella ed eloquente testimonianza dell'affrontarsi
di due mondi, l’affermarsi di uno dei quali doveva portare la musica a
sfociare in quelle armonie di cui tutto sommato ed a ben guardare Saverio
Mercadante non fu e non è il solo … patito!
L'argomento
e la natura e l’opera dell’Uomo la cui memoria intendiamo onorare con
questo pur umile scritto, portano prepotentemente alla polemica;
polemica
con ciò che si è fatto male, polemica con quanto ancora non ci si decide
a fare, polemica, soprattutto, con la peccaminosa tendenza ad adagiarsi
nel comodo servizio di revisione, rielaborazione, ecc., che ha portato
alla deturpazione del volto sublime dell’Arte monteverdiana. Due spunti
di Gian Francesco Malipiero:
«...
La musicologia è forse un istituto di bellezza a rovescio? ... ».
«... e in questo fu un precursore degli specialisti raddrizzatori di
musica antica, persino di quella che va diritta al cielo e appunto perché
pochi riescono a seguirla, per comodità le tarpano le ali ... »
due
spunti che ci dicono ancora quale e quanta fosse l'ansia del Maestro di
ritrovare il vero Monteverdi da Lui presentito fin dal giorno (il 28 agosto
1902) in cui alla Marciana consultò il « Nerone » (cioè l’« Incoronazione
di Poppea ») del Cremonese; due spunti che giustificano il tono particolare
di questo atto commemorativo volto a fissare la validità culturale dell’opera
di Gian Francesco Malipiero.
Solo
una pur necessaria breve rassegna di vari tipici momenti del progredire
della conoscenza può, quasi sottile filo d'Arianna, guidare verso la verità
e conferire all’apprendimento quelle luci e quei chiaroscuri, fatti di
cose note, di cose da scoprirsi e di cose da correggere, fra cui si staglia
e da cui balza evidente il sapere.
Gian
Francesco Malipiero rimarrà lo scopritore più valido dell'Arte monteverdiana
ed occorre, ora, far sì che dal seme da Lui gettato mezzo secolo fa, fiorisca
la conoscenza completa del grande Claudio.