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LA VOCE UMANA
E LA SECONDA PRATICA
di Annibale Gianuario
(dagli Atti del II Convegno Internazionale di
Musicologia - Artimino 1976)
II tema del nostro Convegno « Poesia e
Musica nell'estetica del XVI e XVII secolo », è stato determinato, nella scelta
e nella enunciazione, dalle risultanze della Tavola Rotonda dell'ottobre 1974,
dedicata all’Archicembalo di Nicola Vicentino. Dalle discussioni di
allora emerse la necessità di approfondire la conoscenza non solo dello
strumento, ma, soprattutto, di ricercare, data per acquisita la ragione che
aveva determinato il Vicentino a proporre lo strumento stesso, il rapporto fra
PAROLA E CANTO che veniva a configurarsi in maniera diversificata nei vari
idiomi al punto tale da spingere il Vicentino a costruire uno strumento da tasto
(quindi a suoni fissi) in grado di permettere l'intonazione di quegli intervalli
dal comma alla diapason che il Vicentino andava individuando nelle
flessioni verbali della dizione modulata in lingua toscana, latina, ungarica,
francese, ebraica, tedesca, etc.
Altri elementi determinanti il tema
base del Convegno sono state le lettere del 22 ottobre 1633 e del 2 febbraio
1634, scritte da Claudio Monteverdi presumibilmente a G. B. Doni.
Vi è da precisare subito che, con la
enunciazione della 2ª
pratica musicale, non siamo limitati a ricercare il rapporto fra parola e
musica, parola intesa come significato ed enunciazione di un pensiero e
musica intesa come interpretazione armonico-ritmica di quanto viene significato
dalla parola stessa; né nella seconda pratica possiamo essere portati a
riconoscere una mera costruzione sonora diversa da una altrettanto mera
costruzione sonora di prima pratica.
Siamo invece, sollecitati a ricercare,
nella seconda pratica, le implicazioni armoniche e ritmiche che la
parola, in contemporaneità fonica e significante, determina. È’ ovvio, altresì,
che prima e seconda pratica si riferiscano essenzialmente alla
musica vocale anche perché lo strumentale di allora è chiaramente di derivazione
vocale. Lo Zarlino nel riportare il passo di Lucrezio (vedi « Sopplimenti
», 1588), « De rerum natura», Lib. I, ci indica esplicitamente il
concetto della sua epoca circa la musica; scrive Lucrezio, difatti, che gli
uomini tentarono dapprima di imitare con la Voce (primo strumento assolutamente
soggettivo) il canto degli uccelli, lo stormir delle fronde, etc. Da tale
tentativo vocale si passò a realizzazioni strumentali ad hoc. E’ logico pensare
che tutto quanto dovesse essere eseguito su strumenti non potesse non essere di
derivazione vocale, non derivare, cioè, da capacità vocali trasferite per
imitazione su gli strumenti stessi. Penso per un momento ai madrigali di
Luzzasco Luzzaschi (1601) nei quali la Voce esegue passaggi di quasi
proibitiva difficoltà, passaggi che si addirebbero senza dubbio a
strumenti quali il Flauto o il Cornetto.
Secondo il mio parere con la 2ª
pratica si realizza, nel campo dell'Arte Musicale, la ricerca
umanistico-rinascimentale di una realtà poetico-musicale di continuità
greco-latina. E’ questo convincimento che ci porta ad indicare quale MUSICA
RINASCIMENTALE la produzione artistica di 2ª
pratica che va posta tra il 1550 ed il 1650. Difatti, determinatosi dopo la metà
del '600 l'impoverimento culturale della conoscenza umanistica, l'estetica si
rivolgerà alla ricerca costruttiva di armonie che manifestino impressioni ed
aneliti trasmessi all'ascolto al quale viene lasciata la più ampia libertà
fantastica della ricezione; ed una tale ricerca nulla ha, esteticamente
parlando, a che spartire con la profonda introspezione della espressione verbale
che viene promossa nel periodo umanistico-rinascimentale, introspezione che
porta alla affermazione di quella 2ª
pratica che è, appunto, l'alto traguardo del Rinascimento.
Ci troviamo così di fronte a due
tendenzialità: il soggettivo-oggettivo della espressione verbale ed il
soggettivo-soggettivo della manifestazione sonora; dalla oggettività della
introspezione del segnale verbale e musicale, alla labilità della fattura
musicale.
La 2ª
pratica vive della PAROLA e quindi nella VOCE UMANA, perché è una realizzazione
sonora sensitiva e razionale (anzi un FATTO sonoro sensitivo e razionale) ed è
espressione soggettiva del Pensiero che per la propria razionalità viene captata
oggettivamente.
E’ bene chiarire il mio pensiero circa
il dualismo SOGGETTIVO-OGGETTIVO e SOGGETTIVO-SOGGETTIVO; lungi dal voler
formulare una qualsivoglia preminenza di valore fra le due proposizioni, è ovvio
riconoscere la diversificazione in quanto a potere espressivo.
Il fatto artistico che urge nel
poeta (intendendo con questo termine, creatore) che è, inteso in
senso classico, musico, viene proposto soggettivamente e recepito, nella
formulazione significato-suono-ritmo, oggettivamente, perché gli elementi che
compongono la formulazione sono razionali pur con differenziate cariche emotive;
captata la formulazione del concetto,
il ricevente, partendo dalla base oggettivante della espressione, dà libero
sfogo alla propria sfera fantastica. Quando, invece, il fatto artistico è
soggettivamente formulato mediante una scelta di elementi sonori non oggettivati
da termini significanti, il ricevente capta una sollecitazione che, per non
essere qualificabile razionalmente, agisce direttamente nella sua sfera
fantastica e provoca, quindi, una sensazione soggettiva che non sempre, e se non
per caso fortuito, si riferisce alla sensazione soggettiva dell'emittente. Da
qui quella che potremmo chiamare labilità della fattura musicale quale arte del
suono in contrapposizione alla poesia-musica espressione fonetica del pensiero
perché essenzialmente razionale ed emozionalmente attiva. È evidente che la
musica strumentale assolve il compito di suscitatrice di sensazioni e di
creatrice di atmosfere sonore, mentre la musica vocale ha, in assoluto, la
facoltà di dire, nel canto, le sensazioni e le impressioni; è, cioè, la
linea più diretta della comunicazione umana.
Emerge la sottigliezza del Vicentino e
degli artisti musici del Rinascimento, proprio quando si pone mente al fatto che
essi, non solo andavano ricercando il sempre più stretto rapporto fra la
parola-significato e l'armonia ed il ritmo, ma, con la 2ª
pratica musicale, andavano realizzando la musicalità del linguaggio
ricercando la rilevazione emotiva della dizione modulata che si articola in quei
micro-intervalli, captabili dall'orecchio umano, presenti nella realizzazione
dell’ ARCHICEMBALO vicentiniano (della sua funzionalità dà notizia sicura anche
l’Artusi in Ferrara nel 1600) costruito proprio per riprodurre le accentuazioni
e le frequenze differenziate dei diversi idiomi.
Claudio Monteverdi nell'avvertire che
tratterà della
« seconda pratica » intorno
all'armonia, introduce perentoriamente il concetto di una armonia diversa da
quella di « prima pratica » e determinata dalla dizione modulata, cioè dalla
PAROLA da cui nasce l'armonia ed il ritmo; difatti il tema della sua lettera del
22 ottobre 1633 (al Doni -?-) è l'asserita realizzazione di una armonia
scaturita emozionalmente dalla espressione verbale in particolare fase emotiva e
non obbedente a tendenzialità sonore e a ricerca di un equilibrio di
architettura armonica che tenesse solo conto delle affinità dei suoni riferibili
ad un sistema da ascriversi al formarsi di un linguaggio musicale nel
quale la parola, se presente, assume solo carattere esplicativo delle intenzioni
emotive proposte dall'autore all'esecutore e, per esso, all'ascoltatore.
Il problema della ricognizione
fonico-semantica della PAROLA fu presente a retori, oratori, poeti e musici
dell'Alta Antichità (vedasi la « Poetica » di Aristotele, il « De
Oratore » di Cicerone, il « De compositione verborum » di Dionigi d'Alicarnasso)
e fu recepito indubbiamente, sia pure con deduzioni differenziate, da teorici
poetico-musicali del Rinascimento (vedi « Versi e regole della nuova poesia
toscana » del Tolomei, « Bamberini ovvero degli ordinamenti del
verseggiare » del Chiabrera, le « Opere » del Trissino, l'« Opera
Omnia » di Marsilio Ficino, la « Françiade » del Ronsard, i tentativi
eloquenti della Pléiade). Non conosciamo quale metodologia dovessero allora
seguire i teorici per la soluzione del problema base e dei vari problemi da esso
decorrenti; ma è indubbio che risultati validi dovettero essere conseguiti se è
vero, come è vero, che le formulazioni acustiche giunte a noi dimostrano verità
scientifiche che possiamo validamente confrontare con risultati di indagini
condotte con apparecchiature moderne.
È evidente che dobbiamo (e lo possiamo)
verificare elementi acquisiti ed elementi ancora in fase di intuizione; elementi
che provengono da analisi particolari che possono ancora essere frammentarie e
che quindi rimangono valide solo se si considerano entro ragionevoli limiti di
tentativi e con piena coscienza che molto, ancora, deve essere lasciato alla
intuizione, cioè alla conoscenza diretta ed immediata d'una verità e, perciò,
non ancora logica e discorsiva.
I teorici classici e rinascimentali
riuscirono, ne abbiamo chiare testimonianze, ad individuare, conoscere ed
approfondirne lo studio, i rapporti più sottili, cioè le frequenze; Plutarco e
Antonio Lullo, ad esempio, che lo Zarlino cita nel Cap. IX del Lib. VI dei «
Sopplimenti Musicali », Venezia 1588. Il tema proposto dal Lull (Lullo
Baleario) è l'analisi di un verso di Terentio: IUNO LUCINA FER OPEM - SERVA ME
OBSECRO. Scrive lo Zarlino: « ... Il perché volendo egli / il Lullo /
incominciare a dimostrare il Genere della
Melodia, ch'è composta d'Oratione, Rhitmo & Harmonia; la differenza dei Modi o
Tuoni, contenuti nei Versi o Metri de Poeti;
& anco la forza del Parlare; cose che
non sono lontane dalla imitatione, dà principio a questo modo: Non si può dire o
finger cosa che sia men modulata di quello che esclama quella parturiente di
Terentio: IUNO LUCINA FER OPEM; SERVA ME OBSECRO e dice che s'egli dimostrerà il
Genere della Melodia, & la forza del parlare, che più niuno dubiterà più d'una
cosa certissima. La onde introduce il Monocordo Pitagorico
/ eccoci ad un sistema metodologico / diviso secondo i tre Generi di
Pitagora: nel quale percuote prima la Tritehyperboleon enharmonica, tre fiate
ascendendo alla Nete, & di nuovo continuamente ritornando indietro, cessa nella
Netediezeugmenon; & così vuole, che la voce piglia la modulazione Frigia di
quello Metro. IU—NO—LU—CI NAU. Dopoi quel
che segue:FERUOUPEM—: muove la Paranete chromatica
Yperboleon &- la Trite d'esso tetrachordo, facendo fine nella
Netediezeugmenon. Il resto SER—VA—ME OB— SEU
CROU vuol che sia pronunciata diatonicamente &
anco nel modo Eolico nel tetrachordo Diezeugmenon, percossa prima tre fiate la
Paranete, & dopoi anco la Nete; & ritornando dopo quello alla stessa Paranete,
che la voce venga a continuare, la quale ultimamente manchi nella Trite o Terza
... ».
Da notare, nella disquisizione del Lull,
la IMITATIONE riferita al PARLARE, e così, anche, la ricezione del Lul della
notizzazione contenuta in una particolare dizione emotiva di quelle parole poste
in quella precisa successione. Il Lull recepisce indubbiamente i suoni di una
dizione particolarmente emotiva e ne indica la collocazione nel SISTEMA PERFETTO
MODALE GRECO acquisendo anche la movenza ritmica dalle lunghe e brevi.
Non è pensabile che egli interpreti la emozione indicata dalla parola
collocandone la dizione, volontariamente ed arbitrariamente, anzi, nel sistema
degli intervalli musicali. Non si spiegherebbe l'avvertimento: «... ch'alcun
non si dee maravigliare se questa intenzione di voce ha superato la Sesquialtera,
& conclude il Dialetto tra la Consonanza Diapente: imperoche quella non è se non
Chiamore e non parlare; & la Femina quanto ella Puote alza la voce ».
Evidentemente il Lull ci propone una tesi affascinante: quella della essenza
musicale della composizione poetica e della capacità interpretativa, per le
implicazioni di conoscenza musicale, del lettore o del recitante.
Il fenomeno vocale e musicale denuncia
la propria caratterizzazione quando di esso si abbia una descrizione precisa ed
oggettiva nel dominio del tempo ed in quello della frequenza; se, cioè, il
concetto di RITMO può essere associato alla grandezza tempo ed il concetto di
ARMONIA e TIMBRO può essere associato alla grandezza frequenza. Il fenomeno
vocale, nella sua determinazione dalla razionalità e dalla emotività, ha
effettivamente in sé quegli elementi di ritmo, armonia e timbro, determinati
dalla scelta razionale di un particolare contesto e la spinta emotiva che esso
riceve all'atto della formulazione fonica, che possono essere individuati ed
analizzati.
L’ analisi elettroacustica del segnale
verbale e musicale ci consente di riconoscere alcuni parametri caratteristici
che, espressi sotto forma di grafici, permettono l’interpretazione del messaggio
trasmesso, messaggio che la tecnica moderna ci permette di analizzare con più
facilità, ma che fu indubbiamente presente alla ricerca tecnica ed estetica dei
grandi polifonisti e monodisti del '500 e '600 che, per comodità di espressione
e proprietà di classificazione, chiameremo di2ª
pratica.
Partendo da quanto scrive il Vicentino
nel suo trattato « Della Antica Musica ridotta alla moderna prattica »,
Roma 1555, Lib. IV, Cap. XXIX: « ...Molti Compositori che nelle loro
compositioni attendono a far un certo procedere di compositioni a suo modo,
senza considerare la natura delle parole, ne i loro accenti, ne quali sillabe
siano ne lunghe ne brevi, così nella lingua volgare come nella latina: et
secondo l'uso et le regole de i Latini et de Toscani si dè oservare le pronuntie
lunghe e brevi (in esempio) come se nella lingua Franzese, et Spagnuola, et
Tedesca, le sillabe loro lunghe fossero pronunziate brevi, et le brevi lunghe,
la natione loro riderebbe di tal pronuntia. Il medesimo occorre nelle pronuntie
musicali d'ogni natione. Hora il Compositore avvertirà quando comporrà sopra
parole Franzese, dè osservare i suoi accenti, et sopra parole latine osservare
l'uso latino /.../ et tutti potranno porre in musica il suo modo di cantare con
i gradi della divisione del nostro stromento (l’ARCHICEMBALO), che con la
musica che hora s'usa, non si può scrivere alcuna canzone Francese, ne Tedesca,
ne Spagnuola, ne Ungara, ne Turca, ne Hebrea, ne d’altre nationi, perché i gradi
et i salti di tutte le nationi del mondo secondo la sua pronuntia materna, non
procedono solamente per gradi di tono, e di semitoni naturali, et accidentali,
ma per Diesis, e semitoni, e toni, e per salti Enarmonici; sì che con questa
nostra divisione havremo accomodato tutte le nationi del mondo, che potranno
scrivere i loro accenti e comporli a quante voci a loro parerà; perché la musica
fatta sopra parole non è fatta per altro se non per esprimere il concetto, et le
passioni et gli effetti di quelle con l'harmonia... », è ovvio ritenere che
il Vicentino stesso e gli studiosi del suo tempo avessero modo di individuare ed
analizzare i vari accenti verbali ed anche di riprodurli su di uno strumento
musicale. Il Vicentino introduce chiaramente la conoscenza e la riproduzione
delle frequenze (concetto di armonia e timbro) e la osservazione acuta del ritmo
nelle pronuncie lunghe e brevi, conoscenza, riproduzione ed osservazione da
riferirsi alla razionalità della espressione (espressione del concetto) ed alle
componenti emotive da realizzarsi nell'armonia (esprimere
le passioni et gli effetti di quelle con l'harmonia).
Abbiamo qui già operante il tema
creativo (quindi poetico) di un messaggio musicale che non soffre ancora nessuna
di quelle costrizioni armoniche e formali che si affermeranno in seguito, nel
momento in cui, cioè, si sarà perduto il senso naturistico della espressione
basata (l'asserto del Vicentino è perentorio) sui riferimenti fra grandezza
tempo e grandezza frequenza dei segnali verbali nella gamma ricchissima delle
accentuazioni razionali ed emotive captate in descrizioni precise ed oggettive.
Considerando, poi, quanto Monteverdi,
come ho già detto, scrive nelle sue lettere del 22 ottobre 1633 e del 2 febbraio
1634 (al Doni -?-): « ...promisi... di far conoscere ad un certo Theorico di
prima pratica, che ve ne era un'altra da considerare intorno al armonia, non
conosciuta da lui, da me adimandata seconda... ». « II titolo del libro sarà
questo: Melodia, o vero seconda pratica musicale. Seconda (intendendo io)
considerata in ordine alla moderna, prima in ordine all'antica; divido il libro
in tre parti rispondenti alle tre parti della Melodia nella prima discorro
intorno al oratione, nella seconda intorno a l'armonia, nella terza intorno alla
parte Rithmica; Vado credendo che non sarà discaro al mondo posciache ho provato
in pratica che quando fui per scrivere il pianto del Arianna, non trovando libro
che mi illuminasse che dovessi essere imitatore, altri che Platone per via di un
suo lume rinchiuso così che appena potevo di lontano con la mia debil vista quel
poco che mi mostrasse; ho provato dicco la gran fatica che sia bisogno fare in
far quel poco ch'io feci d'immitatione... » « ...perloche rivoltai gli miei
studi per altra via appogandoli sopra a fondamenti de migliori filosofi
scrutatori de la natura, et perché secondo ch'io leggo, veggo che s'incontrano
gli affetti con le dette ragioni et con la soddisfatione de la natura mentre
scrivo cose praticali con le dette osservationi, et provo realmente che non ha
che fare queste presenti regole, con le dette sodisfationi, per tal fondamento
ho posto quel nome di seconda pratica... », siamo giunti al convincimento
che la 2ª
pratica fosse la realizzazione della espressione musicale contenuta nel segnale
verbale le cui componenti esecutive di tempo e di frequenza rispondevano alla
volontà oggettivante ed alla tensione emotiva che determinavano la scelta degli
elementi fonico-significanti per la manifestazione di un concetto foneticamente
espresso ed oggettivamente caratterizzato. Non, quindi, la collocazione del
testo e dell'impressione da esso suscitata, nella costruzione musicale, ma la
essenza sonora stessa del messaggio verbale modulato. Ciò ci riporta ovviamente
a Platone (Repubblica - Leggi -) sia per il concetto di
modalità che di imitazione.
Si afferma, cioè, la MELODIA (oratione
- armonia - ritmo) nascere nella mente del poeta-musico in contemporaneità di
volontà significante e di tensione emotiva ed essere il messaggio verbale
parlato o modulato caratterizzato dalla presenza oggettiva di particolari
elementi ritmici, armonici e timbrici propri della intenzione di scelta e di
espressione del parlante. Ciò ci porta ancora alla Repubblica di Platone (Lib.
III, 398 c, d, e, - 339 b, - 400 b, c, d, -) ed al concetto monteverdiano di
2ª
pratica musicale in cui armonia e ritmo nascono dalla parola, mentre il concetto
monteverdiano di IMITATIONE si riallaccia, in tema di «Lamento d'Arianna», ad
esempio, riferito alla realizzazione della Melodia, al «Cratilo» (384 d, &
segg.) nel quale Platone pone l'accento sulla derivazione fonico-semantica del
SUONO UMANO nella determinazione della PAROLA. Ci troviamo di fronte ad una tesi
che indica contemporaneità genetica tra la formulazione razionale della parola
ed il suono di essa, per cui non possiamo avere nel « parlar cantando »
monteverdiano una traduzione musicale del senso della parola detta, ma abbiamo,
necessariamente, una parola espressa con quella particolare emozione che ne ha
determinato la scelta lessicale in riferimento al suono ed al ritmo che
l'emozione stessa detta.
L'espressione monteverdiana «rivestire
di note» è eloquente ed indica la notazione dell'atto creativo; per cui la «
imitazione » alla quale si riferisce Monteverdi è da individuarsi nella
creazione di un atto di vita (in caso specifico, il pianto di Arianna) nei
termini significanti e fonetici in contemporaneità della espressione emotiva ed
è la introspezione soggettiva-oggettiva della emozione che determina il
rivelarsi della parola modulata (il « parlar cantando ») che dà la variabilità
soggettiva agli elementi instabili che si trovano nella costituzione dei suoni
verbali sulla costante dei suoni basali; ed è dai suoni basali e dai suoni
scaturiti dagli elementi instabili che nasce l'ARMONIA ed il TIMBRO, mentre dai
nuclei dinamici da essi costituiti, nasce il RITMO; armonia (e timbro) e ritmo,
quindi, di assoluta natura emozionale, determinati dalla formulazione del
concetto, l’ORAZIONE, per cui, in ricezione, la espressione viene captata
oggettivamente; in caso contrario Monteverdi non avrebbe potuto scrivere,
riferendosi alla Melodia: « overo seconda pratica musicale» (lettera cit.
del 22 ottobre 1633); si potrebbe dire che Monteverdi, nel « parlar cantando
», dilati la verbalità fino a raggiungere la sonorità del CONCETTO. Questo
tema del tendere alla rivelazione espressiva della parola nel ricercare in essa
la realizzazione della Melodia in cui armonia e ritmo siano determinati e non
determinanti, lo troviamo ribadito nella lettera cit. del 2 febbraio 1634 nella
quale oppone la naturalità verbale della 2ª
pratica (secondo i « fondamenti de migliori filosofi scrutatori della
natura... ») alle « presenti regole » e «
ai principii de la prima pratica, armonica solamente ».
Dobbiamo quindi convenire che la
spiegazione della essenza della 2ª
pratica deve essere ricercata mediante l'analisi della PAROLA il profferire la
quale è prerogativa assoluta della razionalità manifestata mediante la VOCE
UMANA.
Quando Monteverdi cita una « seconda
pratica da considerare intorno al armonia » (lettera cit. del 22 ott. 1633)
è esplicito l'indice del fenomeno armonico colto da un diverso angolo percettivo
di quello da cui era colto il rapporto armonico di prima pratica e poiché egli
stesso cita fra i cultori di seconda pratica autori assolutamente polifonisti
quale Gesualdo da Venosa, è chiaro che il concetto di 2ª
pratica si allarga agli estremi limiti del contesto contrappuntistico e
dell'armonia verticale sempre (per ciò che asserisce Monteverdi) di derivazione
verbale per cui nella 2ª
pratica monteverdiana possiamo individuare, per ciò che ne è della ricerca della
dizione emotiva e per le citazioni del Cremonese, un chiaro addentellato
culturale ed estetico, oltre che armonico, con la modulazione verbale del Peri,
con la ricerca degli affetti di Giulio Caccini, con la raffinatezza della
espressività sonora, che quasi illumina il testo, di Marenzio, per raggiungere
il da Venosa che, scavando nel profondo della espressione verbale, dà risultati
d'ombra alle parole.
Si può pertanto affermare che: a)
la intenzione determina la scelta delle parole da dirsi; b) la intenzione
controlla, dopo averlo determinato, il modo di dire le parole scelte; c)
le parole scelte hanno particolari frequenze; d) il modo di dire le
parole scelte determina particolari SUONI caratteristici.
Quando Platone asserisce che non vanno
scelti i modi per dire le cose, ma vanno scelte le cose da dire, conferisce,
ovviamente alle cose scelte la determinazione dell'Armonia e del Ritmo;
analogamente quando asserisce (Rep. III) che fra le parole dette e le
parole modulate (cantate) non vi è differenza di struttura, è ovvio che
riconosce che parlando e cantando si hanno le medesime frequenze riferite ai
fonemi formanti le parole scelte e le frequenze caratteristiche (nel parlato e
nel cantato) proprie a quella intenzione che ha fatto scegliere le cose da dirsi
o da cantarsi. La SCELTA è, indubbiamente, in funzione della intenzione emotiva
e quindi le parole, in tal caso, danno i TEMI della modalità (armonia) nella
esaltazione interpretativa (anche questa, frutto di una intenzione in sintonia
con la volontà espressiva contenuta nella parola scelta) del poeta-musico, anche
(e forse soprattutto, sotto un certo aspetto), se poeta e musico sono due entità
pensanti diverse. In questo concetto sta, forse, il tema critico che Monteverdi
introduce laddove scrive (lettera cit. del 22 ott. 1633), «
illuminasse che dovessi essere imitatore», riferito al «pianto di
Arianna», concetto, cioè, di imitazione quale ricreazione dell'atto di vita
(il lamento di Arianna nella individuazione ed esaltazione delle
parole-significato-emozione).
La parola scritta viene presa da
Monteverdi quale emblema letterario ma egli, e questo è il momento realmente
qualificante, ne capta l'essenza fonico-semantica e ne intuisce la sua
portata emotiva rispetto alla verità dell'evento naturale. L'Arte è
facoltà intuitiva dell'evento naturale e noi dobbiamo (e possiamo) cercare di
verificare, mediante i mezzi a nostra disposizione, il grado di avvicinamento
dell'evento artistico all'evento naturale. Questo grado di avvicinamento alla
verità è verificabile nel concetto di IMITAZIONE secondo Platone (Rep.,
Lib. X, 596 b): abbiamo l'IDEA (l'essenza) del letto; abbiamo il costruttore del
letto; abbiamo il riproduttore del letto; la distanza del riproduttore
dell'immagine dalla verità è facilmente recepibile; meno facile è
comprendere la imitazione in riferimento, ad esempio, al pianto di
Arianna, abbiamo: pianto di Arianna (verità), trascrizione emblematica del
pianto nel testo, riproduzione dell'emblema letterario del pianto in quello
musicale; un tale procedere nella composizione porterebbe tutt'al più ad
uniformarsi al soggetto; Monteverdi, invece, compie il tragitto inverso; dalla
trascrizione emblematica del pianto nel testo risale all'Idea primigenia del
pianto stesso e ne rivela (questa è la sua imitazione) la emotività razionale e
fonica; in altri termini ricrea nella dizione, cioè nella parola-suono, l'Idea
atto del pianto di Arianna.
Credo che, dopo le varie considerazioni
ed osservazioni formulate, non possano sussistere dubbi sulla capacità dei
teorici e pratici, dall'Antichità al '600, di individuare le flessioni emotive
della dizione riproponendone l'ascolto. La dimostrazione del Lull e quanto
scrive il Vicentino a proposito delle caratteristiche del suo Archicembalo
sono prove eloquenti. Aggiungerò, a proposito della dimostrazione del Lull, che
la prova più valida in quanto a capacità di recezione e possibilità di verifica
ci è data da quanto riporta lo Zarlino (e che ho già menzionato) «...
introduce il Monochordo Pitagorico diviso secondo i tre Generi di Pitagora; nel
quale percuote la Tritehyperboleon ... ».
È evidente che il Lull è riuscito ad
intonare la dizione del verso in esame ai rapporti noti dei generi eseguibili
sul monochordo (lo Zarlino riporta anche le lunghezze delle corde riferite
all'altezza dei suoni della diapason). E’ evidente, altresì, che sia il Lull,
sia il Vicentino dimostrano la possibilità e la capacità di eseguire vocalmente
il diesis enharmonico ed il comma.
Questa disquisizione sul tema « LA VOCE
UMANA E LA 2ª
PRATICA » e quanto sono andato dimostrando ed ipotizzando vuole essere la
formulazione di una nuova metodologia di indagine sulla praxis compositiva di 2ª
pratica e sulla praxis esecutiva di opere che per essere essenzialmente
decorrenti dalle prerogative espressive della Voce umana, possono
ricevere maggiore attendibilità interpretativa da opportune verifiche degli
elementi acustici (di origine fisiologica, psicologica e razionale) che
compongono il tessuto significativo e sonoro delle esposizioni artistiche in un
adeguato inquadramento estetico.
È’ questa mia esposizione un primo
passo verso la instaurazione di una metodologia impostata scientificamente onde
lasciare, nella ricerca, il minimo di aleatorietà possibile ed offrire allo
studio i mezzi più idonei alla individuazione dei temi compositivi ed esecutivi
di opere alle quali troppe volte e con troppa facilità si assegnano
caratteristiche assolutamente contrarie alla loro essenza.
Desidero insistere sulla opportunità di
una ricerca di studio mediante analisi elettroacustiche che ci offrono la
possibilità di verificare la attendibilità di intuizioni interpretative. Il
fatto, ad esempio, che la tecnica moderna abbia messo a disposizione dello
studioso numerosi strumenti elettronici che analizzano il segnale vocale,
registrato su nastro magnetico, e consentono la sua descrizione nel dominio del
tempo e delle frequenze, deve servire di incentivo per la ricerca, attraverso
l'analisi dei diagrammi, sonogrammi, ecc., di tutti gli elementi espressivi,
ricercati e realizzati dai cultori di 2ª
pratica, contenuti nell'opera analizzata; anche quelli che sfuggono alla nostra
comune attenzione (condizionata da una diversa estetica), ma non certamente alla
sensibilità dell'apparecchio. La conoscenza della Voce umana e delle sue
possibilità caratterizzanti è forse la chiave della conoscenza della 2ª
pratica, conoscenza che si può raggiungere solo a prezzo di un approfondimento
del mondo estetico nel quale si è attuata l'opera da analizzare.
Ecco alcuni parametri estratti da una
analisi elettroacustica del segnale verbale e musicale della frase « Lasciatemi
morire » tratta dal Lamento d'Arianna
di Claudio Monteverdi, espressi sotto forma di grafici.
La frase è stata pronunciata recto
tono, con dizione emotiva e nella notazione monteverdiana.
Associando alla grandezza tempo il concetto di ritmo ed alla grandezza frequenza
quello di melodia (accezione moderna del termine) e timbro, si deduce che la
traduzione quantitativa dei parametri elencati consente allo studioso di musica
una descrizione precisa ed oggettiva del fenomeno vocale e musicale.
Nelle figure 1a, 1 b, 1c, si riportano
i sonogrammi della frase in esame e nelle tre pronuncie. Sull'asse delle ascisse
è riportato il tempo, mentre, su quello delle ordinate, è riportata la
frequenza; gli annerimenti sono relativi alla presenza di energia in un certo
istante ed in una certa banda di frequenze. Si ottiene in sostanza una
rappresentazione, nel dominio tempo-frequenza, della concentrazione di energia
sonora che fornisce lo spettro del segnale. L'analisi è stata eseguita
impiegando un filtro a banda stretta (di 40 Hz) al fine di evidenziare le
armoniche del segnale analizzato (linee nere orizzontali). Sull'asse del tempo
sono state riportate, in corrispondenza dei relativi annerimenti, le parole
pronunciate; per ogni lettera, in senso verticale, è rilevabile lo spettro: la
prima riga dal basso corrisponde alla frequenza fondamentale e, procedendo verso
l'alto si incontra la seconda, la terza armonica e così di seguito.
La presenza più o meno marcata delle
linee procedendo in senso verticale denota la presenza di zone formantiche che
individuano la vocale e la consonante sonora caratterizzandola anche dal punto
di vista timbrico. L'andamento nel senso orizzontale delle linee armoniche
caratterizza l'andamento melodico (accezione moderna del termine) della frase
nel senso che ad un abbassamento di questo corrisponde un abbassamento della
melodia (accezione moderna del termine).
Nelle figure 2 a, 2 b, 2 c, si
riportano, in funzione del tempo, gli andamenti della intensità con cui vengono
pronunciate le singole sillabe che costituiscono la frase. Dall'andamento
dell'intensità è possibile dedurre l'accentuazione della pronuncia.
Il quesito di base è questo: data una
intonazione di assetto X, si pronuncia la frase in oggetto: a) senza particolari
accenti emotivi; b) con una emotività riferibile alla intenzione del messaggio;
c) nella modulazione notizzata da Monteverdi. Si riscontra dai sonogrammi
ottenuti che: sia la dizione realizzata con una emozione riferita alla
intenzione del messaggio, sia la dizione modulata, monteverdiana, rimangono
aderenti alle caratteristiche oggettive della dizione semplicemente parlata. Ciò
denota nei tre casi una costante, nel dominio tempo-frequenza, che dimostra come
la notazione monteverdiana proponga la esatta rappresentazione grafica
dell'evento emotivo che Arianna vive in un preciso momento drammatico, senza
forzature melodiche (accezione moderna del termine). E questa costante è
chiaramente operante indipendentemente da quelle incidenze timbriche o di varia
altra natura che possono intervenire, riferibili anche alle caratteristiche
vocali del parlante.
Emerge da questa analisi che la
versione modulata e notizzata da Monteverdi, secondo i temi estetici di 2a
pratica, realizza (ed è il parlar cantando in contrapposizione al
cantar parlando - lettera allo Striggio del 9 dic. 1616) l'emotività di
Arianna nella espressione del proprio dramma oggettivato nella parola; non vi è
un motivo sonoro su cui si pronunciano parole, ma, viceversa, è evidente
l'espressione fonetica del pensiero: è pura espressione poetica dell'evento
drammatico.
Si ringrazia il Dott. Ing. Raffaele
Pisani dell'Istituto Nazionale "Galileo Ferraris" di Torino di aver condotto,
per il Centro Studi Rinascimento Musicale, l’ analisi elettroacustica che ha
consentito di condurre una indagine che, pur in termini, ancora, di
informazione, evidenzia che la voce umana nel profferire la vocale, la
consonante, la sillaba, la frase, emette energie acustiche determinate dalla
scelta lessicale e dalla emozione; energie acustiche che troviamo identificate
ed operanti nel frammento monteverdiano di
Arianna.
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