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L'e(ste)tica di Annibale Gianuario

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Ho conosciuto Annibale Gianuario sulla metà degli anni Settanta, quando fui accompagnato da Giulio Cogni alla Villa medicea di Artimino dove si teneva un convegno del Centro Studi Rinascimento Musicale, organizzato da Gianuario e da Nella Anfuso. Conoscevo Cogni per via degli interessi wagneriani che in quel periodo avevo, stavo infatti attendendo alla mia tesi di laurea, alla quale ne seguirà una seconda, per il Perfezionamento in musicologia, sempre su Wagner (da questi due lavori è tratto il mio primo libro, Wagner oggi). I miei interessi si sono mossi da Wagner per andare avanti e per approfondire il Novecento, e in particolare, la contemporaneità, interessi quindi storicamente distanti da quelli di Gianuario, ma non lontani dal punti di vista e(ste)tico, proprio per la comune necessità di contrarre l'estetica in etica, ovvero per il comune bisogno interiore di intendere il pensiero sulla musica e le prassi tecniche legati a un rigoroso studio del giusto (*), di ciò che l'uomo/artista persegue col suo incessante scavo sul linguaggio e sulla forma, una ricerca essenziale in profondità che nulla condivide con le mode, l'arrivismo, l'arroganza di una psuedo-cultura che s'impone, non per la serietà della ricerca e per la qualità della riflessione, ma grazie a operazioni commerciali e/o politiche. Che Gianuario sia stato un martire di questa ricerca sulla cultura nessuno potrà negare.

Ho incontrato molte volte Gianuario all'Istituto musicale "Luigi Boccherini" di Lucca, dove io insegnavo, ed insegno tuttora, Storia della musica, e dove Gianuario accompagnava Nella Anfuso, che era docente di Letteratura poetica e drammatica; qui abbiamo avuto modo di parlare tante volte, colloqui proseguiti in incontri, conferenze, seminari ecc. Un dato su tutti voglio dire di Gianuario, prima di sottolinearne l'acume intellettuale e la preparazione musicale, un aspetto che mi ha sempre colpito è stata la sua umanità e la sua simpatia, mille miglia lontano era il suo signorile atteggiamento da quello sussiegoso e altero dell'erudita e da quello inconcludente e noioso dell'homunculus che si parla addosso; quello di Gianuario era un modo fine ed elegante di vivere la cultura, l'unico modo che sa porla a scopo di vita, non mezzo per attrarre l'attenzione, ma atto che ti scuote nel profondo, condividendo l'affermazione di Nietzsche "la musica è un fatto di una serietà tremenda". In tal senso Gianuario seguiva la sua vocazione: era stato chiamato, come i grandi di tutti i tempi, a donare la sua vita all'arte. Che lui si interessasse di Rinascimento e di Barocco e io di Novecento, da questo punto di vista e(ste)tico non fa differenza, c'incontravamo sullo stesso terreno, abitavamo, con sofferenze e impazienze, il luogo dal quale l'arte era stata sfrattata, quel luogo dove l'arte tornerà, prima o poi, grazie a persone come Gianuario. Apollo e Dioniso, sono stati sfrattati per far posto a Mercurio, il dio dei mercanti.

L'intelligenza sapida e viva, prensile e ironica gli permetteva di cogliere i tanti aspetti dell'(in)civiltà del mondo musicale, di filtrarli, di indirizzarli, di respingerli. La situazione della cosiddetta "musica antica" (!) e specialmente il degrado in cui era precipitata l'arte del canto lo allarmavano, e cercava con i suoi scritti e con l'attività del Centro Studi Rinascimento Musicale di far capire agli interpreti gli errori in cui erano caduti. Il fatto era, ed è, diciamolo chiaramente, che quegli errori erano, e sono, voluti, ossia si è riadattata la verità storica a bella posta, camuffandola con un modo di intendere e proporre musica meramente funzionale alla carriera di cantanti e strumentisti legati a case discografiche dal basso profilo culturale, ma dall'alto profilo economico.

La cultura di Gianuario era veramente ampia e profonda, forse unica per gli aspetti relativi al Seicento vocale e violinistico, monteverdiano in particolare. Una cultura autentica, vissuta e partecipata, incentrata su studi severi e su considerazioni argute. Una cultura già all'epoca rara e malcapita e che ora pare tristemente scomparsa, dispersa dai bla bla radiofonici, dalle insulsaggini degli scribacchini dei giornali e riviste, dalla stupidità dei politici. E' con rimpianto che dico questo. Nella Anfuso, che oltre a essere la più autorevole interprete della "seconda pratica" è una fiera combattente per la verità dell'arte, realizza meritevoli iniziative discografiche e librarie per sostenere l'opera di Gianuario, a qualcuna di queste imprese ho partecipato volentieri anch'io, come quella dell' eroica rivista "Il Pasquino musicale" (dov'è possibile leggere molte riflessioni di Gianuario). Un plauso alla pubblicazione di questo volume, che sarà motivo di riflessioni per gli studiosi non preconcetti e motivo di studio per i giovani che si avvicinano alla difficile arte musicale, difficile ma quanto affascinante e quanto rivelatrice dell'uomo e della società!

L'augurio è che l'unicità della personalità di Gianuario si faccia viatico per una nuova attenzione ai fatti della cultura musicale, modello di una rinnovata serietà e onestà nell'affrontare i testi musicali, esempio di incomparabile e incessante ricerca del giusto (*) per i più giovani che non hanno avuto la fortuna di conoscere Gianuario, ma che hanno però l'opportunità di leggerlo. Saranno in pochi, ma è sempre dal seme che si parte per arrivare alla pianta (di una nuova e più consapevole cultura della nostra amatissima Musica).

 

* "Spiegando la sua concezione della seconda pratica (Melodia platonica) Monteverdi dice chiaramente: "l'Arianna mi porta a un giusto lamento et l'Orfeo ad una giusta preghiera." E' questa parola GIUSTO che ci conduce alla concezione del Canto in quanto modulazione modulata del pensiero che, secondo Platone, deve nascere dalla ricreazione di una reale situazione e che è, allora, la verità ritrovata." (dalle Note di copertina del CD di Nella Anfuso Parlar cantando, a cura del Centro Studi Rinascimento Musicale).

 

 

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