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L'Incoronazione di Poppea è di Claudio Monteverdi? |
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di
Annibale Gianuario |
Dall'inizio
della loro attività verso la fine dell'Ottocento, gli storici della
musica hanno mitizzato la grandezza di Monteverdi sulla base della
paternità della «Incoronazione di Poppea», considerata prototipo,
a differenza dell'Orfeo, di ciò che nell'Ottocento era giudicata essere
uno dei grandi generi per eccellenza, cioè l'Opera.
Questa considerazione si basava su notizie settecentesche e
sul manoscritto (non autografo) facente parte del fondo veneziano
della famiglia Contarini, in cui peraltro il nome dell'autore è aggiunto
in epoca ottocentesca. A questo manoscritto veneziano si è aggiunto nel
Novecento il manoscritto (sempre non autografo) rinvenuto dal
Benvenuti nella Biblioteca del Conservatorio S. Pietro a Majella di
Napoli, con il titolo «Il Nerone ovvero la Incoronazione di Poppea».
La redazione amanuense dei due manoscritti risale alla fine
del Seicento; essa presenta inoltre una vastissima serie di grosse
differenze che non è possibile qui riportare, anche nelle linee
generali. |
GLI ERRORI DELL'IVANOVICH |
È alla fine del Seicento che risale la prima attribuzione a
Claudio
Monteverdi della paternità della «Incoronazione», da parte di uno
scrittore di cose musicali e teatrali: Cristoforo Ivanovich. Chi era
questo Ivanovich? Un musicista proveniente dalla Dalmazia che giunge a
Venezia verso il 1650 (Monteverdi era già morto nel 1643).
In uno scritto «Minerva al Tavolino... trascorso
istorico di Cristoforo Ivanovich» pubblicato a Venezia nel 1681
inserisce le “Memorie teatrali di Venezia in cui d'anno in anno si fa
menzione di tutti i Teatri, Drami, Autori di Poesia e Compositori di
Musica”. L'elenco dell'Ivanovich per il periodo iniziale
dell'attività teatrale e musicale a Venezia, 1637-1649, si è rivelato
colmo di errori, di attribuzioni dei drammi musicali ai vari musicisti
operanti a Venezia in quel tempo.
Ivanovich commette degli errori imperdonabili anche quando
il «libretto» pubblicato e lo «scenario» pubblicati per l'occasione
della prima rappresentazione indicavano chiaramente il nome del
musicista.
Uno spoglio accurato degli scenari (era un sunto che
permetteva allo spettatore di seguire l'andamento dello spettacolo), dei
testi poetici (che noi per comodità chiamiamo oggi libretti), dei 120
manoscritti musicali del fondo contariniano, conservato oggi presso la
Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, epistolari vari giacenti
presso l'Archivio di Stato di Venezia e di Firenze (il principe Mattias
Medici cercò di portare gli stessi spettacoli a Firenze) ci hanno
permesso di avere una chiara conoscenza degli errori dell'Ivanovich.
Eccone alcuni esempi:
1)
Andromeda (1637)
attribuita dall'Ivanovich a Benedetto Ferrari, mentre la musica risulta
essere di Francesco Manelli;
2)
La
Maga Fulminata
(1639) attribuita
dall'Ivanovich a Benedetto Ferrari, mentre la musica risulta essere di
Francesco Manelli;
3)
La
Delia
(1639) attribuita dall'Ivanovich a Francesco Sacrati, mentre la musica
risulta essere di Francesco Manelli;
4)
Adone
(1639) attribuito dall'Ivanovich a Francesco Cavalli, mentre Francesco
Manelli nell'edizione del 1645 dichiara di esserne l'autore;
5)
Arianna
(1640) attribuita dall'Ivanovich a Francesco Sacrati, mentre risulta
essere una ripresa di quella del Monteverdi, come ci attesta un sonetto
pubblicato per l'occasione da Benedetto Ferrari;
6)
Le
nozze di Enea con Lavinia
(1640) sono
attribuite dall'Ivanovich a Francesco Cavalli, mentre nello «scenario»
Monteverdi è indicato quale autore della musica;
7)
La
Finta pazza
(1641) attribuita
dall'Ivanovich a Francesco Cavalli, mentre nella prefazione al poema,
l'autore della poesia Giulio Strozzi indica Francesco Sacrati quale
autore della musica.
Un
autore del Seicento, Leone Allacci, pubblica nel 1666 una «Drammaturgia»
in cui è solo menzionato l'autore del testo, Francesco Busenello. Altri
autori di cataloghi come Giancarlo Bonlini (1730) ed Antonio Groppo
(1745) copiano pedissequamente i dati presentati dall'Ivanovich.
Francesco Busenello pubblicò nel 1656 una raccolta dei
propri drammi, fra cui L’Incoronazione di Poppea, ma non accenna
minimamente al nome del musicista ed alla rappresentazione al Teatro S.
Cassiano avvenuta, secondo l'Ivanovich, nel 1643. È questo un fatto
anomalo in quanto Monteverdi era il musicista più celebre e considerato
del tempo, il cui nome era ricercato anche per fini puramente
utilitaristici e pubblicitari (come diremo oggi).
Ciò che infatti colpisce parlando della Incoronazione è
l'assenza assoluta di ciò che lo storico considera documenti di
contorno o (indiretti): poesie composte in occasione delle
rappresentazioni o dedicate ai cantanti che vi hanno preso parte (il
sonetto dedicato dal Ferrari ad Anna Renzi, prima interprete di Ottavia,
non fa nessun accenno al musicista), lettere di privati etc., materiale
che invece non manca per gli altri ultimi lavori monteverdiani (oggi in
gran parte perduti). Basta ricordare:
a)
il
sonetto del Ferrari a Monteverdi in occasione della rappresentazione
della Arianna al Teatro di S. Moisè nel 1640;
b)
i
sonetti dedicati sempre dal Ferrari sia a Monteverdi che al librettista
Badoaro per Il Ritorno di Ulisse in Patria in occasione della
rappresentazione avvenuta a Bologna nello stesso 1640 che ne aveva visto
la prima a Venezia;
c)
lo
«scenario» de Le nozze di Enea con Lavinia in cui sono lungamente
esposte le motivazioni estetiche di Monteverdi.
La musicologia del nostro secolo da Prunières ad Anna
Amalie Abert si è spesso scatenata nel lodare i vari aspetti della
Incoronazione secondo una visuale ottocentesca elevandola al rango
di capolavoro senza una pur minima conoscenza delle produzioni
drammatico-musicali a lei contemporanee (tanto può il fascino del nome
di Monteverdi!). Per colmare questa grave lacuna, il gruppo dei giovani
ricercatori, guidato da Nella Anfuso, ha operato un esame
approfondito della produzione veneziana relativa al decennio 1639-1649
incentrando l'attenzione sull'uso dei due fulcri espressivi di
provenienza monteverdiana e diventati quasi una vera moda (come ben
sappiamo da Monteverdi stesso): il «Lamento» ed il «Concitato».IL
«LAMENTO» |
IL «LAMENTO» |
Nei drammi per musica veneziani del decennio 1639-1649
appaiono «lamenti» così esplicitamente indicati in partitura e, più
frequentemente, «lamenti di fatto», individuabili per la loro struttura
drammatico-poetica multisezionale o per una particolare morfologia
musicale. Ecco in uno schema le forme nelle quali il «lamento» si
presenta in quelle opere (soprattutto di Cavalli) rappresentate a
Venezia prima della metà del Seicento:
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1639 - Le nozze di Teti e Peleo
(Cavalli) - II, I
«Lamento di fatto» di Tetide; monologo multisezionale in solo
recitativo. |
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1640 - II ritorno di Ulisse in patria
(Monteverdi) -I,
I «Lamento di fatto» di Penelope; monologo multisezionale in solo
recitativo, ma con l'inserimento di un secondo personaggio (la
nutrice) in funzione di «coro» che commenta la vicenda. |
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1640 - Gli amori di Apollo e Dafne
(Cavalli) -I,
VIII Lamento dichiarato in partitura; monologo multisezionale
di Procri in solo recitativo (tutta la scena) - III, III «Aria-lamento»
di Apollo su tetracordo minore discendente e ostinato, preceduta e
conclusa da recitativo. Solo l'aria (non dichiarata) è indicata in
partitura come «lamento». |
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1641 - Didone
(Cavalli) - III, XI «Lamento di fatto» di Didone; monologo
multisezionale in solo recitativo (tutta la scena) - I, IV
«aria-lamento» di fatto; monologo di Cassandra in metro binario su
tetracordo cromatico discendente (tutta la scena). |
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1642 - La virtù de' strali d'Amore
(Cavalli) - II,
II «Lamento» di fatto di Meonte; monologo multisezionale in solo
recitativo. I, II Monologo lamentoso di Eumete in solo recitativo
che vede l'inserimento di due personaggi (marinaio I e II) in
funzione di «coro». |
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1643 - Egisto
(Cavalli) - II, I «Lamento di fatto» di Egisto; monologo
multisezionale svolto in recitativo e aria in 3/2 dichiarata in
partitura (tutta la scena). II, IV «Aria-lamento» di fatto; monologo
di Climene in 3/2 su tetracordo cromatico, discendente ed ostinato.
L'aria (non dichiarata) è preceduta e conclusa da brani recitativi
(tutta la scena). |
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1644 - Ormindo
(Cavalli) - III, XII «Aria-lamento» di fatto; svolta a voce
sola e come duetto (Ormindo-Erisbe) su basso ostinato. L'aria (non
dichiarata) è intersecata da recitativi in metro binario. |
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1645 - La Doriclea
(Cavalli) - II, II «lamento di fatto» di Tigrane; monologo
multisezionale diviso in due parti: 1) aria (non dichiarata) su
basso ostinato, con ritornelli in metro binario; 2) recitativo in
solo metro binario (tutta la scena). IlI, I «Lamento di fatto» di
Doriclea; monologo multisezionale in recitativo e aria (non
dichiarata). |
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1649 - Giasone (Cavalli) -I, XIII «Lamento di fatto»
di Isifile; monologo multisezionale in recitativo e movimento
ternario (tutta la scena). II, II «Lamento di fatto di Isifìle»;
monologo multisezionale in recitativo e movimento ternario. IlI, XXI
Lamento dichiarato in partitura; monologo multisezionale
ancora in Isifìle con movimenti ternari. |
Già
da questa casistica si rileva la precisa tendenza, dal 1641 circa in
poi, ad inserire sempre più frequentemente nel tradizionale lamento a
sezioni, arie e movimenti ariosi o addirittura a trasformare il
«lamento», in stile recitativo, in «arie-lamento».
La precisa struttura poetico-drammatica «plurisezionale»
del «Lamento di Arianna» di Ottavio Rinuccini, è il prototipo di tutti i
«lamenti cantati o scenici» posteriori. Monteverdi utilizza il testo
rinucciniano con un preciso intento: l'individuazione di un nuovo
linguaggio espressivo (Seconda Pratica), un «parlar cantando» che si
modella sull'elocuzione poetica.
Busenello (Amori di Apollo e Dafne), Persiani
(Nozze di Teti e Peleo), Cicognini (Giasone) propongono dei
testi drammatici contenenti «lamenti» strutturati secondo il modello
plurisezionale; Cavalli nel realizzarli in musica dimostra di subire in
qualche modo l'influenza della «Seconda Pratica», ma nel contempo
propende verso soluzioni più adatte al contesto scenico di una mutata
realtà teatrale musicale, quella veneziana, dove il carattere
«mercenario» della produzione artistica assume grande rilevanza. Anche
nella Incoronazione di Poppea, così come nella maggior parte
delle opere di Cavalli, la «forma lamento» tende a lasciarsi connotare,
a differenza dell'Arianna (una cui ripresa ripetiamo avvenne a
Venezia nel 1640), da caratteristiche di natura musicale, più che
letteraria. Ciò riflette (o incrementa) la propensione del sistema
comunicativo melodrammatico a ricercare nell'arioso e nell'aria
l'ideale mezzo di amplificazione espressiva del testo poetico.
È bene sottolineare dunque che il «melodramma» non nasce
dalle ricerche
«fiorentine» o di Seconda Pratica monteverdiana (tutte rivolte alla
realizzazione della musicalità del Linguaggio poetico),
bensì dal «sistema» operistico veneziano. Il contrasto, la sfasatura
prodotti dalla «forzatura» musicale del materiale verbale, genera un
assurdo che diventerà il reale e sottile fascino dell'espressione
melodrammatica. L'Assicurato Accademico Incognito (Giacomo
Badoaro - autore del testo drammatico «II ritorno di Ulisse in Patria»)
aveva già posto, nel 1644, l'accento su questo problema; scriveva
infatti in una lettera al Sig. Michelangelo Torcigliani stampata come
prefazione dell'Ulisse errante (la musica fu di Sacrati
-rappresentato al SS. Gio. e Paolo nel 1644): «... niente si cura al
presente per accrescer diletto agli spettatori il dar luogo a qualche
inverosimile, che non deturpi l’Azione: onde vedemo, che per dar più
tempo alle Mutationi delle scene, habbiamo introdotto la musica, nella
quale non possiamo fuggire un inverosimile, che gli huomini trattino i
loro più importanti negotij cantando; inoltre per godere né Theatri ogni
sorta di Musica, si costumano concerti a due, tre, e più dove nasce un
altro inverosimile, che essi favellando insieme possano impensatamente
incontrarsi a dire le medesime cose. Non è dunque meraviglia, se
obbligandoci noi al diletto del genio presente, ci siamo con ragione
slontanati dall'antiche regole». |
IL «CONCITATO» |
La stessa imitazione pedissequa ed esteriore della «forma
lamento»
(compresa l'utilizzazione di intervalli particolari e dissonanze
tipicamente monteverdiane - a cominciare dalla famosa quinta
diminuita del Lamento di Arianna -) per cui la struttura
intervallare crea cellule melodiche corrispondenti che non nascono dal
materiale verbale, ma si sovrappongono ad esso, avviene per il genere
concitato, una delle grandi novità scaturite dalla già nuova ed
originale attività di Monteverdi. La pubblicazione nel 1638 dell'Ottavo
Libro dei madrigali sancì il successo che un così particolare tipo di
scrittura musicale presupponeva: col successo non tardarono a comparire
anche le imitazioni, soprattutto nel repertorio operistico del teatro
musicale pubblico allora nascente.
Dalle indicazioni date da Monteverdi nell'avviso «a chi
legge» e dagli esempi tratti dal Combattimento di Tancredi e
Clorinda, è possibile dedurre uno schema degli elementi fondamentali
costituenti il genere concitato e della prassi compositiva
seguita per realizzarlo:
1)
La
semibreve, identificata con «Tocco di Spondeo», ridotta a sedici
semicrome, cioè il tempo Pirrichio; da ciò nasce l'effetto tipico del
concitato.
La progressiva scomposizione non deve però essere confusa
con i semplici «accelerando» poiché la frantumazione in valori minori
non significa accelerazione, bensì intensificazione, dal
momento che il ritmo resta inalterato.
2)
La «Oratione»
contenente «ira e sdegno».
3)
La «Oratione»
che mantiene un andamento ritmico proprio e che non seguita «co Piedi»
(metrici) la velocità dell'Istromento».
4)
La
ribattuta di sedici semicrome sulla stessa nota:
è l'unico
procedimento che permette di realizzare il concitato inteso alla
maniera originale, di Monteverdi. Non «tampellare» la corda sedici volte
vuol dire non fare udire il Pirrichio, ma solo lo Spondeo; inadempienza
questa che compromette, nelle esecuzioni, il raggiungimento dell'effetto
ricercato. Infatti scrive Monteverdi nella medesima Prefazione: «...
a primo principio (in particolare a quali toccava sonare il basso
continuo) il dover tampellare sopra ad una corda sedici volte in una
battuta, gli pareva più tosto far cosa da riso che da lode, perciò
riducevano ad una percossa sola durante una battuta tal molteplicità, et
in guisa di far udire il pirrichio piede facevano udire il spondeo, et
levando la similitudine al oratione concitata».
Il
successo del «genere» ideato da Monteverdi fu grande; è sufficiente
scorrere le partiture superstiti (per lo più di Francesco Cavalli) dei
drammi per musica rappresentati a Venezia nel decennio 1639-49, per
rendersi conto di quanto l'imitazione (più o meno corretta) e l'impiego
(più o meno appropriato) di un tale procedimento compositivo fossero
divenuti essenziali alla realizzazione di un'opera per musica. Spesso
però l'imitazione si ridusse a semplice schema formale, distaccato da
quelle profonde esigenze di natura drammatico-poetica che avevano spinto
Monteverdi alla ricerca di un «genere» atto ad esprimere stati d'animo
contenenti «ira e sdegno», poiché l’oratione determinava la
realizzazione del «concitato». Le partiture veneziane del decennio
1639-49 ci mostrano così nelle Sinfonie da Battaglia, nei
Combattimenti e nelle Cacce una metamorfosi
dell'originale «concitato» monteverdiano.
La «Incoronazione di Poppea» non sfugge a tale
realtà: manca un reale impegno di «oratione concitata» intesa
come genere oratorio da opporre al «molle» ed al «temperato»
(per dirla con Monteverdi), ma anche, a differenza di altre partiture
contemporanee, di pseudo-concitati in corrispondenza di versi che
richiamano «all'armi» o «alla caccia» o di natura
esclusivamente strumentale per sottolineare musicalmente le azioni di
tipo guerresco. Unica eccezione: Atto I, scena IX, una sola battuta
corrispondente alla parola «allo sdegno» di Nerone. Troppo
poco per ottenere una reale «oratione concitata»! |
GLI INTERROGATIVI DELL'INCORONAZIONE |
Ma dulcis in fundo ecco le sorprese più interessanti
riservatici dai manoscritti
dell'«Incoronazione»:
1)
Una
analisi approfondita delle partiture musicali delle prime opere
veneziane ci consente di chiarire il problema relativo alla tessitura
vocale dei vari personaggi. Fino alla metà del secolo (1645/50) troviamo
una corrispondenza fra realtà vocale e personaggio, cioè la voce
maschile (Tenore o Basso) indica il personaggio maschile, mentre la voce
femminile realizza la figura femminile. Nei manoscritti
dell'Incoronazione invece il ruolo di Nerone è scritto in
chiave di Soprano. Come è lontano dal mondo di Monteverdi che
in una lettera ad Alessandro Striggio del 6 Dicembre 1616 scriveva: «...
mosse l'Arianna per essere donna et mosse parimente Orfeo per essere
omo..»!
2)
la
sinfonia iniziale risulta avere lo stesso basso di quella della Doriclea
di Cavalli;
3)
II
finale dell'Incoronazione nella partitura musicale differisce da
quello del dramma originale di Busenello: in quest'ultimo, dopo
l'intervento di Venere «Io mi compiaccio o figlio» si ha il
Coro degli Amor; nelle due stesure, sia veneziana che napoletana,
l'opera termina con il Duetto fra Nerone e Poppea «Pur ti miro, pur
ti godo».
L'inserimento di questo duetto è stato considerato, dagli
storici della musica, la trovata geniale del grande musicista! Ora,
le più recenti ricerche hanno dimostrato che il duetto in questione
costituisce il finale del «Pastor Regio» rappresentato nel 1641 a
Bologna e di cui l’autore sia del testo che della musica fu Benedetto
Ferrari! |
BENEDETTO FERRARI |
Chi era questo Benedetto Ferrari? È un personaggio chiave,
fino ad oggi
trascurato, della vita musicale veneziana ed italiana del tempo.
Letterato, musicista, virtuoso di Tiorba, tanto da essere soprannominato
«Ferrari della Tiorba», è, insieme ad un altro musicista, Francesco
Manelli, il titolare della cooperativa che introduce a Venezia (prima
città in Europa) gli spettacoli drammatico - musicali a pagamento.
Dal 1637 (anno dell'apertura del teatro di S. Cassiano) al 1644 il
Ferrari opera intensamente nella città lagunare organizzando propri
spettacoli in collaborazione con il Manelli (Andromeda e La
Maga Fulminata) o con altri (La Finta Savia) oppure di altri
musicisti come Monteverdi (Arianna - II Ritorno di Ulisse in Patria),
Sacrati (Ulisse errante) etc.
Del Ferrari fortunatamente (a differenza di qualche
musicista citato -Manelli, Sacrati) ci rimangono i tre Libri di
Musiche varie pubblicati fra 1633-1637 (vi è una poesia del
Busenello con il quale era in ottimi rapporti) e 1641. L'analisi di
queste sue musiche lo rivela musicista particolarmente interessante per
le arditezze armoniche (dissonanze - cromatismi etc.) e profondo
conoscitore delle motivazioni estetiche ed espressive del suo tempo.
È
uno dei tanti musicisti dell'epoca da scoprire; solo una conoscenza
approfondita di essi potrà chiarirci le idee nei confronti di una
attribuzione più attendibile circa l'autore dell’«Incoronazione». Del
resto l'ultimo scenario di un'opera musicale di Monteverdi rimastoci,
(Le Nozze di Enea con Lavinia) ci illumina ampiamente sulle di lui
impostazioni estetiche. E meravigliosamente in esso ritroviamo il credo
estetico di tutta la sua vita e di cui abbiamo conferma continua
nell'epistolario, fino alle ultime importantissime lettere del 1633/34
in cui affronta, ancora una volta, il tema preferito della Prima
e della Seconda Pratica.
Per chiarire, spero definitivamente, quale è il concetto
più importante per poter individuare la realtà estetica, storica e
tecnica della Incoronazione (come di qualsiasi altro lavoro
musicale), è bene fissare la differenza che esiste fra la musica
rappresentativa di Monteverdi e ciò che può considerarsi soltanto dramma
in musica e melodramma.
Monteverdi scrive le sue opere rappresentative in parlar
cantando; l'analisi condotta sulla Incoronazione mostra un
chiaro esempio di Cantar parlando, anche nei brani di «imitazione
recitativa». In che cosa consiste la differenza? Nel «parlar cantando»
il musicista capta le sonorità e gli accenti emotivi della articolazione
verbale realizzando la melodia in senso platonico nei termini fissati
dal concetto di imitazione (mimèsi) e secondo due secoli di tradizione
umanistica ('400-'500) italiana (Poliziano, Vincenzo Calmeta etc.) - II
Pratica -; nel «cantar parlando» si ha invece una unione di parola alla
linea musicale più o meno aderente al significato del testo - I Pratica
-.
In quest'ultimo caso si ricerca un rapporto più o meno
stretto fra testo letterario ed espressione musicale, mentre nella II
Pratica abbiamo la realizzazione della unicità poesia-musica; e questa
non si riscontra nella Incoronazione di Poppea.
Annibale
Gianuario |
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