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Giri di vite e giri di soldi

 Diario della crisi: 2011 - trentottesimo mese di 72/84.

eccoci ai mesi "relativamente duri" della degenerazione sociale!

Sul secondo anno di dura crisi italiana al meno 5%!

27/04/2011

Di F. Allegri

Quando nel 2008 previdi con esattezza il fallimento di Lehman Brothers mi resi conto anche che questa crisi sarebbe durata molti anni!

Per un certo periodo pensavo che l’anno della crisi italiana sarebbe stato il 2010 ma poi alcune scelte importanti del ministro Tremonti e altre discutibili e di corto respiro del governo Berlusconi hanno permesso di respingere i primi morsi della crisi.

Nel 2011 la crisi ha nuovamente colpito il Giappone attraverso il terremoto e lo tsunami e lo ha messo in ginocchio: almeno per un paio d’anni.

Contemporaneamente la crisi si sta innestando nel Mediterraneo colpendo il Nord Africa e il Medio Oriente pseudo socialista.

Qui la crisi economica è anche politica e spesso demografica.

Il crollo politico di questi paesi unito alla guerra incivile libica e all’instabilità siriana porteranno un sensibile calo del PIL italiano nel 2011, porteranno il caro petrolio e un rinforzino del dollaro.

Nel 2008 l’Italia perse il 5% del PIL, farà lo stesso questo anno?

Non si può ancora dire, ma mi preoccupa la povertà del dibattito politico che mi circonda e soprattutto il fatto che le caste politiche non percepiscono la crisi per quella che è!

Io cominciai a capire che il 2011 sarebbe stato un anno duro a novembre del 2010 e facendo due conti facili compresi che qualcosa di tremendo poteva accadeva a marzo e/o ad aprile 2011.

Queste considerazioni mi misero sulla strada giusta per capire che il 14 dicembre scorso il governicchio del tirare a campare non sarebbe caduto.

Cosa accadde a novembre che mi fece fare queste considerazioni?

A novembre 2010 il dibattito sulla crisi prese una strana piega e si cominciò a parlare del ripudio del debito pubblico e di uscita dell’Italia dall’Euro.

Le due vicende sono interconnesse e presuppongono una classe politica degna di questo nome.

Da un lato l’uscita dall’Euro fu ipotizzata dal presidente del Banco di Roma Paolo Savona che parlò del debito come di “un cappio al collo dell’Italia”.

Dall’altro questa diventò una proposta per una piccola parte della destra cattolica conservatrice e di altre minoranze anche di sinistra, ma nel complesso senza una vera capacità di incidere nelle scelte politiche del paese.

Io non credo che le caste politiche ed economiche italiane vogliano uscire dall’euro e credo che gli ambienti finanziari romani abbiano usato questo tema in quel modo come se fosse uno spaventapasseri o un accalappia citrulli, ma anche come strumento per avviare trattative sotterranee.

Io non mi interessai a questo dibattito del momento, ma presi la mia palla di vetro e cercai di guardare nel futuro come faccio spesso.

E’ certo che tra novembre e a dicembre i poteri forti hanno discusso da qualche parte e in qualche momento della guerra civile libica e delle sue ripercussioni nel nostro paese, ma è anche certo che hanno saputo farlo di nascosto.

Ultimamente sono divenuto un critico della UE e dell’Euro, ma non credo che si debba tornare all’Italia di 15 anni fa, io auspico un’Europa diversa, più rispettosa delle differenze tra stati e popoli e meno sottomessa alle banche e alla politica della Germania.

Con queste condizioni della finanza internazionale, l’Irlanda, il Portogallo e la Spagna rischiano la bancarotta, servirebbe una svalutazione dell’euro, ma i tedeschi non la vogliono e in queste condizioni l’Euro diviene un secondo Marco.

Vi dicevo che per uscire dall’Euro servirebbe il contemporaneo ripudio del debito pubblico e che queste due scelte dovrebbero appartenere e scaturire da una classe politica specifica, dotata di un certo coraggio e tesa a particolari obiettivi di riforma.

Noi disponiamo solo di gente tesa al tirare a campare e di illusi da vecchie e nuove barzellette.

Questa classe politica apparentemente coraggiosa non esiste e non è auspicabile in assoluto.

Se non fossi certo che questi temi sono stati introdotti dal Savona penserei alle sparate di estremisti senza capacità politiche, ma in questo contesto devo cercare di approfondire gli aspetti non toccati dai nostri pseudo economisti indigeni, senza perderci troppo tempo perché tutto il mondo va verso altre direzioni.

Il problema inizia con gli interessi sul debito da pagare che per il 2011 girano intorno ai 250 miliardi di euro, altro che stato sociale qui siamo all’indebitato finanziario!

In questo contesto una minaccia di scelte forti e coraggiose potrebbe portare all’aiutino e allo sconticino.

Ben presto ogni riflessione deve arrivare agli aspetti politici e dobbiamo domandarci chi può volere e/o cercare di ripudiare il debito?

La mia risposta è che nessun politico vuole il ripudio e contemporaneamente nessuno potrebbe farlo.

In queste condizioni si precipita nel pour parler e io non credo nemmeno che qualche italiota sia in grado di prevedere tutte le conseguenze di una scelta simile.

Io non credo che arriveremo al ripudio del debito e nemmeno all’uscita dall’Euro, ma devo registrare che i potenti ne hanno parlato per delle ragioni tutte loro e al momento inconfessabili o di certo non divulgate.

Va aggiunto che il ripudio del debito non necessariamente si legherebbe ad una sorta di economia di guerra ai poteri finanziari internazionali. La realtà ci offre anche un esempio storico: l’Argentina.

Questo paese è rinato dopo il ripudio e al momento chi aveva i suoi titoli è costretto a disperarsi nel privato dei suoi egoismi.

Va anche aggiunto che l’Argentina è un piccolo paese che aveva un debito modesto e uno stato che sopravvive da sempre senza un sistema di tassazione moderno.

Noi non possiamo fermarci troppo a guardare l’Argentina dobbiamo partire dal fatto che il 21% del nostro PIL va via con il debito.

Noi ci indebitammo per primi e allora fini il nostro lungo periodo di sviluppo e ricchezza, oggi tutti sono indebitati e circola carta colorata pari al valore di 12 pianeta Terra e in passato arrivammo anche a 13,5, ricordatevelo!

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