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La villa nella baia di Positano

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 Nei pressi dell’attuale chiesa madre di Positano esistono i resti di una villa romana, alla quale non è più possibile accedere per accumulo di materiali di scarico moderni e successive obliterazioni.

A questa villa il rapporto del 23 aprile 1758 di Carlo Weber, addetto agli scavi di Pompei, Ercolano e Stabia all’epoca di Carlo III di Borbone: egli, giunto il giorno 16 di quel mese a Positano, diede subito inizio allo scavo che continuò fino al giorno 20. Il Weber dice di aver osservato che al lato della chiesa con campanile, di fronte alla spiaggia che è ai piedi dei monti chiamati Santa Maria a Castelli e S. Angelo, alla profondità di 30 palmi (cioè m. 6,66 equivalendo un palmo a 22,2 cm.) si trova un famoso edificio antico il cui primo mosaico è in marmo bianco molto pregiato.

Riporta inoltre quanto gli aveva raccontato Giuseppe Veniero, il parroco, che alla fine del secolo passato- dunque sullo scorcio del 1600- si era scavato per molto tempo diverso materiale antico e che vari reperti erano stai venduti alle monache di S. Teresa a Napoli e in tal modo si ricavò il necessario per ingrandire la chiesa. Si allude al restauro della chiesa nella prima metà del Settecento, cui partecipò la famiglia Romito.

Quindi il Weber descrive quanto è ancora visibile nel complesso, il quale appare davvero notevole: discostandosi dalla chiesa vide infatti dei piccoli ambienti con pareti dipinte ma il cui intonaco era per la maggior parte caduto perché in cattive condizioni, e ancora due grandi colonne in laterizio, ricoperto di intonaco rosso vivo, ai lati di un condotto d’acqua e, successivamente, un altro condotto simile al precedente, con colonne in mattoni intonacate bianche. Lateralmente poté osservare un giardino a pianta quadrangolare – il cui lato maggiore era quasi m 44.40 -, circondato da un corridoio con pilastri intonacati e, al centro, una vasca con condotto di scarico.

I dati riportati hanno trovato riscontro in quanto la Soprintendenza di Napoli negli anni Venti poté constatare allorché un macellaio, effettuando dei lavori nella parte retrostante la sua bottega attigua alla piazzetta Regina Giovanna, nel Vallone di Fiume, ai piedi della scala della chiesa, si imbatté proprio nei resti della villa romana. I lavori, condotti per ricavare una grotta idonea a mantenere fresca la carne macellata, prevedevano l’estrazione del lapillo, operazione che, una volta effettuata, creò un vuoto alto da m. 1,5 a 2. L’intervento non provocò danni sia perché fu tempestivamente fermato, sia per la presenza di una vigna sul banco tufaceo.

Questo banco di circa 8m. di tufo grigio compatto, con un metro di humus soprastante, è il risultato della terribile colata fangosa formata da ceneri, miste a terreno, con l’acqua delle piogge torrenziali di tipo alluvionale. Della costituzione di questo banco tufaceo parla Maiuri: la villa romana di Positano sarebbe stata ricoperta dalla coltre di lapillo dell’eruzione vesuviana del 79 a.C., alta poco più di mezzo metro che poi le violente piogge sopraggiunte a breve intervallo dal processo eruttivo, precipitando dai monti Lattari a valle con carattere torrenziale, rappresero e indurirono con effetti molto gravi per le strutture della villa.

Quanto si trovava più addossato al fianco del vallone subì meno danni: il resto fu trascinato nella massa fangosa verso il mare. Ci sarebbero stati dunque due processi: la pioggia dei materiali eruttivi e la fluitazione alluvionale, resa ancor più disastrosa dalla posizione stessa della villa. Il processo di seppellimento e distruzione di questo complesso fu simile a quello di Ercolano, diversamente da Pompei. Schiacciata nella morsa del fango indurito, la villa romana di Positano subì una sorte ben più amara di quella di Minori, rimasta quasi intatta al pianterreno probabilmente a causa di una utilizzazione priva di soluzione di continuità che studi recenti hanno sottolineato. Dal rilievo promosso dal Mingazzini in quella occasione si vide l’esistenza di un peristilio con colonne laterizie stuccate, le cui basi erano chiuse da un muretto basso e continuo, pluteo, riempito probabilmente di terra all’interno per piantarci dei fiori. Di questo peristilio era visibile l’angolo Nord-Ovest con cinque colonne e poteva costituire l’ingresso alla villa dalla parte del quartiere marittimo. A Nord si estendeva un lungo criptoportico, visibile per tre lati (dei quali uno solo dell’originaria lunghezza di m. 32), parte in opus incertum, arieggiante al pseudo- reticolato: poteva essere l’ ambulacro esterno di un secondo peristilio o il piano inferiore di un loggiato superiore.

In base ai dati strutturali sembra che almeno una parte di questa villa possa risalire al I sec. a.C. e infatti Mingazzini sostiene che si tratta di una costruzione repubblicana; secondo altri ci troveremmo di fronte ad una villa del consueto tipo vesuviano di età giulio-claudia, distrutta nell’eruzione del 79 d.C. Per Maiuri "non si hanno sufficienti elementi per far risalire alcune strutture ad età repubblicana… più prudente è ammettere che ci troviamo innanzi a una villa del consueto tipo vesuviano dell’età giulio- claudia, sottoposta alle stesse vicende di seppellimento di Ercolano, Stabia e Pompei" ( Maiuri 1954, p. 94).

Ad eguale datazione giunse per altra via il Della Corte il quale sostenne che il nome di Positano deve rannodarsi al nome di Posides Claudi Caseris libertus e ad un suo praedium posidetanum ( Della Corte 1936 e 1937). Di tale Posides parlano Svetonio, Giovenale e Plinio: il primo, storico vissuto tra il 75 e il 160 d.C., nella sua opera Le vite dei Cesari,a proposito dell’imperatore Claudio, dice che quest’ultimo"libertorum praecipue suspexit Posiden spadonem, quem etiam Britannico triumpho inter militares viros hasta pura donavit. Dei liberti predilisse l’eunuco Posides a cui, dopo il trionfo riportato sui Britanni, tra i militaridel suo seguito, conferì l’asta pura", un’asta senza punta di ferro che si dava come distintivo d’onore ai soldati che si erano segnalati in battaglia. La testimonianza di Sventonio fa vedere questo greculo Posides che entra nelle grazie dell’imperatore Claudio e si distingue nell’attività militare. Ma la satira XIV di Giovenale, poeta satirico nato tra il 50 e il 60 e morto dopo il 127 d.C., allarga il quadro della personalità di questo liberto favorito di Claudio come di un uomo dominato dalla stessa mania di Cetronio, famoso costruttore di numerose e sontuose ville, al punto che "Spado vicebat copitolia nostra Posides". La testimonianza della Naturalis Historia (libro 31,2) di Plinio il Vecchio poi, morto proprio per osservare il fenomeno dell’eruzione del 79 d.C., circoscrive la zona in cui Posides diede sfogo alla sua attività edilizia. Il sinus Puteolanus e precisamente Baia. Rivendicata alla Campania una parte considerevole delle attività di questo favorito imperiale, è possibile – sostiene il Della Corte – che sia esistito a Positano un praedium posidetanum che, per aploosi della sillaba atona de, divanta Positanum. Questo collegamento del nome di Positano con uin Praedium posidetanum apparve molto probabile a Mario Napoli che, come Maiuri, considerava la villa ispirata al tipo di quelle vesuviane.

Tralascio le altre interpretazioni sull’origine del nome di Positano perché seppur suggestive, non trovano alcun riscontro: a tutt’oggi l’ipotesi del Della Corte resta l’unica più plausibile. I toponomi a base onomastica latina (ricordo, nella zona ad alta concentrazione di Tramonti, Cesarano, Grisignano, Vitagliano, Capitignano, Corsano)sono ricordo di Praedia; è da citare a tal proposito Tordigliano, dopo Punta Germano.

Sulla villa di Positano crebbe, nell’altomedioevo, una abbazia alla quale potrebbe appartenere la lastra con la pistrice inserita nel campanile della Chiesa Madre. Mentre per la vita dell'abbazia si rinvia al lavoro della Di Giacomo, in particolare per le vicende legate alla Chiesa Madre (Di Giacomo 1986), resta tutta da indagare la sequenza storica dall’alto-medioevo all’età moderna. Segnalo qui solo la suggestione di espressioni come "in mezzo alla terra", allusiva ad una Chora, come ancora localmente si denomina la zona della chiesa di S. Maria delle Grazie (o Chiesa Nuova),o di strutture come il mulino ad acqua che ancora si vede avvicinandosi alla Valle dei Mulini.

Dalla villa provengono le paraste e le colonne distribuite nell’aria prospiciente l’arenile, così come il dolio sistemato alle spalle del famoso locale "Buca di Bacco" presso l’ingresso allo stabilimento balneare l’Incanto, e ancora una base di labrum al centro del piazzale davanti alla scala con i leoni, alla marina. Due grandi frammenti architettonici decorati, ancora di epoca romana, sovrapposti, costituiscono invece la base della croce in ferro davanti alla chiesa del Rosario a piazza dei Mulini, nella quale inoltre si conserva una grande lastra frammentaria di un sarcofago romano (cf. Sabella 1997) che cronologicamente non può essere messa in relazione con la villa, ma potrebbe rientrare nell’ambito dei commerci altomedievali collegati alle reliquie dei santi, tema accuratamente esaminato da Daniele Manacorda che ricorda anche le due urna cinerarie romane conservate come acquasantiere nella chiesa di S. Maria delle Grazie (o Chiesa nuova) e in quella di S. Giovanni Battista (Bracco 1977, Manacorda 1980). È da menzionare inoltre, tra le lastre iscritte e figurate murate sul fianco della Chiesa Madre, un piccolo frammento che presenta metà di una tabula ansata, tipica dell’epoca flavia (fine del sec. d.C.).

Non può apparire palese quanto sarebbe importante uno scavo archeologico che restituisse i resti della villa romana e le successive fasi di occupazione.

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