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  Ultimo aggiornamento: 01-10-03

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IL Dovere della Memoria: Piazza loggia e Capaci...

Ricordiamo l’anniversario della strage di Piazza della Loggia. Della strage che il 28 maggio del 1974 prese di mira la manifestazione sindacale convocata da Cgil Cisl e Uil per rispondere alle ripetute provocazioni neofasciste di quei giorni; sappiamo ormai molto, moltissimo di quella strage. Sappiamo del clima di violenza e di terrore che in quegli anni preparò il terreno alla stagione delle stragi. Come ha scritto il giudice nel dispositivo processuale del 1993, l’attentato in Piazza della Loggia fu un vero e proprio attacco diretto e frontale all’essenza stessa della democrazia, vale a dire al diritto dei membri di una ‘polis’ di radunarsi e di esprimere lì, direttamente e senza mediazioni, la propria soggettività politica, individuale e collettiva, nelle forme previste e tutelate dalla Legge delle leggi, in difesa delle condizioni di una libera e civile convivenza. E’ un attacco che è fallito perché i cittadini e i lavoratori bresciani non hanno avuto paura, perché la risposta è stata immediata e fortemente condivisa, perché - e lo abbiamo fatto gridando la nostra indignazione, piangendo i nostri morti, moltiplicando il nostro impegno - non c’è valore più grande di quello della libertà. Resta però il peso drammatico di una verità storica e politica chiaramente definite, senza l’approdo alla verità giudiziaria.

E ricordiamo, in questi giorni, anche il giudice Giovanni Falcone, in occasione del 23 maggio, Anniversario della strage di CAPACI. Scriveva Falcone:

"Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande.

Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere." Egli "Non avrebbe voluto diventare un eroe.

Perché era convinto che uno stato tecnicamente attrezzato e politicamente impegnato potesse sconfiggere il crimine organizzato facendo a meno di tanti sacrifici individuali. Per Falcone, la responsabilità collettiva di un ufficio specializzato, di una istituzione locale, di una Procura nazionale, avrebbe dovuto cancellare le singole personalità e dunque la vulnerabilità dei singoli operatori dell'Antimafia: "Quando esistono degli organismi collettivi," diceva, " quando la lotta non è concentrata o simboleggiata da una sola persona, allora la mafia ci pensa due volte prima di uccidere." Non avrebbe dunque , Falcone, voluto diventare un eroe. "Vale la pena," gli avevo chiesto durante un'intervista televisiva del gennaio 1988 "vale la pena di rischiare la propria vita per questo stato?" E lui rispose, un po' sconcertato: "Che io sappia, c'è soltanto questo stato, o più precisamente questa società di cui lo Stato è l'espressione." Non eroe per vocazione, ma servitore dello stato: questo era il giudice Falcone."
( stralcio da : Nota introduttiva all'edizione 1995 di COSE DI COSA NOSTRA
L'eredità del giudice Falcone: Marcelle Padovani)

Il Circolo Territoriale della Margherita di Montichiari invita i cittadini al ricordo e alla memoria, poiché nessuna conquista di libertà e di civiltà è da considerarsi definitiva, essa va infatti conseguita e guadagnata ogni giorno, con la partecipazione e l’impegno, affinché diventi veramente patrimonio di tutti e stimolo per il futuro.

 

                                     A Cura del Gruppo di Coordinamento del Circolo La Margherita di Montichiari.

 

   

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Ultimo aggiornamento: 06-09-03