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IL Dovere della Memoria: Piazza loggia e Capaci...
Ricordiamo l’anniversario della strage di Piazza
della Loggia. Della strage che il 28 maggio del 1974 prese di
mira la manifestazione sindacale convocata da Cgil Cisl e Uil per rispondere
alle ripetute provocazioni neofasciste di quei giorni; sappiamo ormai
molto, moltissimo di quella strage. Sappiamo del clima di violenza e di
terrore che in quegli anni preparò il terreno alla stagione delle stragi.
Come ha scritto il giudice nel dispositivo processuale del 1993,
l’attentato in Piazza della Loggia fu un vero e proprio attacco diretto e
frontale all’essenza stessa della democrazia, vale a dire al
diritto dei membri di una ‘polis’ di radunarsi e di esprimere lì,
direttamente e senza mediazioni, la propria soggettività politica,
individuale e collettiva, nelle forme previste e tutelate dalla Legge delle
leggi, in difesa delle condizioni di una libera e civile convivenza. E’
un attacco che è fallito perché i cittadini e i lavoratori bresciani
non hanno avuto paura, perché la risposta è stata immediata e
fortemente condivisa, perché - e lo abbiamo fatto gridando la nostra
indignazione, piangendo i nostri morti, moltiplicando il nostro impegno -
non c’è valore più grande di quello della libertà. Resta però il
peso drammatico di una verità storica e politica chiaramente definite, senza
l’approdo alla verità giudiziaria.
E ricordiamo, in questi giorni, anche il giudice
Giovanni Falcone, in occasione del 23 maggio, Anniversario della
strage di CAPACI. Scriveva Falcone:
"Si muore
generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo
grande.
Si muore spesso
perché non si dispone delle necessarie alleanze,
perché si è
privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che
lo Stato non è riuscito a proteggere."
Egli "Non
avrebbe voluto diventare un eroe.
Perché era convinto che uno stato tecnicamente
attrezzato e politicamente impegnato potesse sconfiggere il crimine
organizzato facendo a meno di tanti sacrifici individuali. Per
Falcone, la responsabilità collettiva di un ufficio specializzato, di una
istituzione locale, di una Procura nazionale, avrebbe dovuto cancellare
le singole personalità e dunque la vulnerabilità dei singoli operatori
dell'Antimafia: "Quando esistono degli organismi collettivi," diceva, "
quando la lotta non è concentrata o simboleggiata da una sola persona,
allora la mafia ci pensa due volte prima di uccidere." Non avrebbe dunque ,
Falcone, voluto diventare un eroe. "Vale la pena," gli avevo chiesto durante
un'intervista televisiva del gennaio 1988 "vale la pena di rischiare
la propria vita per questo stato?" E lui rispose, un po'
sconcertato: "Che io sappia, c'è soltanto questo stato, o più
precisamente questa società di cui lo Stato è l'espressione." Non
eroe per vocazione, ma servitore dello stato: questo era il giudice Falcone."
( stralcio da : Nota introduttiva all'edizione 1995 di COSE DI COSA NOSTRA
L'eredità del giudice Falcone: Marcelle Padovani)
Il
Circolo Territoriale della Margherita di Montichiari invita i cittadini
al ricordo e alla memoria, poiché nessuna conquista di libertà e di
civiltà è da considerarsi definitiva, essa va infatti conseguita e
guadagnata ogni giorno, con la partecipazione e l’impegno, affinché diventi
veramente patrimonio di tutti e stimolo per il futuro.
A Cura del Gruppo di Coordinamento del Circolo La Margherita di Montichiari.
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