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  Ultimo aggiornamento: 19-01-04

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In questi giorni si è sentito molto parlare del Lodo Maccanico.

Ecco cosa abbiamo trovato sulla Stampa....

«Perché non è più la mia proposta»

19-06-2003

NEL momento stesso in cui il Lodo Maccanico diventa legge, l’autore toglie il proprio nome, e poi si astiene dal votarlo. Ieri mattina a Montecitorio, Antonio Maccanico ha chiesto, per primo, a Casini di parlare. A mano a mano che si addentrava nel discorso, il disegno di legge si smontava e le parole sfumavano nel rimpianto, «Una riforma di così tale rilievo non è stata avviata sulla strada della normalità democratica». E mentre improvvisamente calava in Aula un rispettoso silenzio, mentre la voce si rompeva e l’autore strapazzava tra le mani i foglietti dattiloscritti, scoppiava fragoroso l’applauso del centrosinistra, e Casini faceva a Maccanico un cenno. Una stretta di mano, e un breve scambio di opinioni. «E’ vero, durante il discorso mi sono emozionato» dice Maccanico, «perché io so che esiste un modo di intessere relazioni tra maggioranza e opposizione che non è quello che l’Italia sta vivendo». Come esce oggi il paese da questo Lodo che non possiamo più definire di Maccanico? «E’ un paese che scende di rango. Non si può non provare amarezza, non io almeno. La mia proposta era nata in tempi diversi, con intenti diversi, e nel quadro di un confronto civile su temi delicati e ineludibili. Mentre è intollerabile affrontarli così, in maniera contingente. L’esperienza mi dice che gli errori in materia istituzionale si pagano». Ci vuole ricordare come nacque la sua proposta? «Sei mesi fa, ai tempi della Cirami. Ero convinto, e lo sono ancora, che quella fosse un’iniziativa improvvida, originata com’era dall’intento di influire su un procedimento giudiziario in corso a Milano. Invitai la maggioranza ad accantonarla. Spiegai che se si voleva porre il presidente del Consiglio al riparo delle incombenze di un procedimento giudiziario durante il suo impegno al vertice dell’esecutivo, si poteva imboccare la via di una norma processuale di improcedibilità, prevista anche da qualche altro ordinamento. Avanzai la proposta in commissione, il presidente Donato Bruno parve interessato. Ma cadde nel vuoto. Perché avrebbe salvato Berlusconi ma non Previti, credo». Spiegò le sue motivazioni? «Già ai tempi della soppressione dell’immunità parlamentare ero convinto che in un sistema come il nostro, con l’obbligatorietà dell’azione penale e l’indipendenza del pubblico ministero dall’esecutivo, si sarebbe squilibrato il rapporto tra giustizia e politica. Quando Berlusconi è stato liberamente eletto dai cittadini, già gravato in sede giudiziaria da accuse di non lieve entità, si è aperto un vero dramma per l’intero paese. Un dramma che può essere risolto solo in due modi: o con una resa dei conti, cioè con una sentenza, ma a rischio di crisi istituzionali di dimensioni imprevedibili, e che il centrosinistra non vuole. Oppure, attraverso una via istituzionalmente corretta, ma capace di affrontare una condizione personale del presidente del Consiglio così eccezionale ed insolita. Inoltre, un accordo tra maggioranza e opposizione su un tema così delicato poteva essere un modo nuovo di essere maggioranza e di essere opposizione. Questo, di tutti i fini che io mi prefiggevo, era forse il principale. Ma la maggioranza non solo ha ignorato allora la mia proposta: non si curò proprio dell’opposizione. Anzi, avviò polemiche aspre contro la magistratura e il Csm. Infine, sei mesi dopo, ha riesumato la mia proposta in tutta fretta. Per questo dico che la modalità è quella di un Paese che oggi è sceso di rango».

 

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Ultimo aggiornamento: 16-01-04