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In questi giorni si è sentito molto parlare del Lodo
Maccanico.
Ecco cosa abbiamo trovato sulla Stampa....
«Perché non è più la
mia proposta»
19-06-2003
NEL momento stesso in cui il Lodo Maccanico diventa legge, l’autore
toglie il proprio nome, e poi si astiene dal votarlo. Ieri mattina a
Montecitorio, Antonio Maccanico ha chiesto, per primo, a Casini di parlare.
A mano a mano che si addentrava nel discorso, il disegno di legge si
smontava e le parole sfumavano nel rimpianto, «Una riforma di così tale
rilievo non è stata avviata sulla strada della normalità democratica». E
mentre improvvisamente calava in Aula un rispettoso silenzio, mentre la voce
si rompeva e l’autore strapazzava tra le mani i foglietti dattiloscritti,
scoppiava fragoroso l’applauso del centrosinistra, e Casini faceva a
Maccanico un cenno. Una stretta di mano, e un breve scambio di opinioni. «E’
vero, durante il discorso mi sono emozionato» dice Maccanico, «perché io so
che esiste un modo di intessere relazioni tra maggioranza e opposizione che
non è quello che l’Italia sta vivendo». Come esce oggi il paese da questo
Lodo che non possiamo più definire di Maccanico? «E’ un paese che scende di
rango. Non si può non provare amarezza, non io almeno. La mia proposta era
nata in tempi diversi, con intenti diversi, e nel quadro di un confronto
civile su temi delicati e ineludibili. Mentre è intollerabile affrontarli
così, in maniera contingente. L’esperienza mi dice che gli errori in materia
istituzionale si pagano». Ci vuole ricordare come nacque la sua proposta?
«Sei mesi fa, ai tempi della Cirami. Ero convinto, e lo sono ancora, che
quella fosse un’iniziativa improvvida, originata com’era dall’intento di
influire su un procedimento giudiziario in corso a Milano. Invitai la
maggioranza ad accantonarla. Spiegai che se si voleva porre il presidente
del Consiglio al riparo delle incombenze di un procedimento giudiziario
durante il suo impegno al vertice dell’esecutivo, si poteva imboccare la via
di una norma processuale di improcedibilità, prevista anche da qualche altro
ordinamento. Avanzai la proposta in commissione, il presidente Donato Bruno
parve interessato. Ma cadde nel vuoto. Perché avrebbe salvato Berlusconi ma
non Previti, credo». Spiegò le sue motivazioni? «Già ai tempi della
soppressione dell’immunità parlamentare ero convinto che in un sistema come
il nostro, con l’obbligatorietà dell’azione penale e l’indipendenza del
pubblico ministero dall’esecutivo, si sarebbe squilibrato il rapporto tra
giustizia e politica. Quando Berlusconi è stato liberamente eletto dai
cittadini, già gravato in sede giudiziaria da accuse di non lieve entità, si
è aperto un vero dramma per l’intero paese. Un dramma che può essere risolto
solo in due modi: o con una resa dei conti, cioè con una sentenza, ma a
rischio di crisi istituzionali di dimensioni imprevedibili, e che il
centrosinistra non vuole. Oppure, attraverso una via istituzionalmente
corretta, ma capace di affrontare una condizione personale del presidente
del Consiglio così eccezionale ed insolita. Inoltre, un accordo tra
maggioranza e opposizione su un tema così delicato poteva essere un modo
nuovo di essere maggioranza e di essere opposizione. Questo, di tutti i fini
che io mi prefiggevo, era forse il principale. Ma la maggioranza non solo ha
ignorato allora la mia proposta: non si curò proprio dell’opposizione. Anzi,
avviò polemiche aspre contro la magistratura e il Csm. Infine, sei mesi
dopo, ha riesumato la mia proposta in tutta fretta. Per questo dico che la
modalità è quella di un Paese che oggi è sceso di rango».
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