A Lerici, Lerner spiega perchè si farà
la lista unica
10-09-2003
Roma. Gad Lerner – che un’attenzione ai fatti della politica l’ha sempre
avuta, e una vocazione prodiana da tempo ha maturato – è stato nella
settimana scorsa un paio di giorni a Lerici, alla festa della Margherita.
E dalle spiagge liguri, conducendo dibattiti e assistendo ai dibattiti
altrui, è tornato con una convinzione: che a sinistra il percorso per
arrivare al partito riformista si è messo davvero in moto. “In cinque –
dice Lerner – ci si giocano la faccia: Prodi, D’Alema, Rutelli, Parisi e
Fassino”. E può dire, Lerner, anche il giorno preciso in cui il progetto
da chiacchiera ha cominciato a diventare reale: “Sabato, durante il
dibattito tra Arturo Parisi e Massimo D’Alema, il figliol prodigo tornato,
che ha anche usato la formula di rito del mea culpa”. E attento, un po’
curioso, parecchio partecipe, Lerner racconta come è cominciata la
rivoluzione tra le file dell’opposizione. E come andrà. “Su come è
cominciata, voi del Foglio potreste compiacervi di ricordare che tutto è
iniziato dalla paginata di Michele Salvati che avete pubblicato la
primavera scorsa”. Ci compiacciamo. “Salvati proponeva la soluzione del
partito democratico, che riunisse le diverse correnti del riformismo
italiano, lasciando aperto un legittimo spazio alla sua sinistra per la
componente più massimalista – ricorda Lerner – come unica possibilità di
dare a Prodi il partito, le gambe su cui camminare, senza il quale la sua
candidatura, ancora sospesa per aria, sarebbe stata in ostaggio dei vari
partiti che avrebbero finito col penalizzarla”. Però non ci fu un coro di
entusiasmi, intorno alla proposta di Salvati. “Fu accolta con silenzio o
male parole. Soprattutto molti tra i Ds, avendo un’idea mitica dell’unità
del partito, vedevano nel progetto essenzialmente un incoraggiamento alla
scissione. Accusavano la proposta Salvati di astrattezza ingegneristica.
Troppo facile, dicevano, costruire con il taglia e cuci. Non vedevano il
fattore di semplificazione che parla alla gente comune, sembrava un’idea
velleitaria: bella, ma…”. Un analogo tira e molla (più molla che tira),
dice Lerner, cominciò dopo l’intervista di Prodi al Corriere, con la
proposta di lista unica alle elezioni europee. “In tanti l’hanno vissuta
come una boutade. Ancora fino a una decina di giorni fa, dentro i Ds la
stessa componente maggioritaria ne parlava con sufficienza. Sembrava
prevalere un’altra idea: Berlusconi si consuma da solo, noi cresciamo,
perciò non complichiamoci la vita… E Prodi se vuol venire venga, però
senza pretendere di essere il deus ex machina del centrosinistra”. I
meriti del presidente dei Ds E poi, come è andata che hanno cambiato idea?
“La settimana scorsa, sottovalutata da commentatori e osservatori, è stata
la settimana di svolta della sinistra italiana. Mercoledì la segreteria
dei Ds ha deciso che il partito ci stava alla lista unica e Fassino è
andato a Lerici e lo ha detto chiaramente. Sabato è venuto D’Alema e ha
precisato che la lista unica è essenziale per dare concretezza e misurare
di fronte agli elettori – misurare sul mercato, ha detto – l’ipotesi di
una nuova forza democratica e riformista che smuova la cristallizzazione
della politica italiana, ma in chiave europea. E questa nuova forza
diventa di fatto, agli occhi degli elettori, il partito di Prodi”.
Veramente, i più dicevano che i Ds stavano facendo i furbi. “Sono convinto
che in partenza era così. Anche perché le europee, con il proporzionale
puro, sono una ghiotta occasione di autorappresentazione. Tutte cose
rispettabili, ma che si scontravano con la possibilità reale di cambiare
il nostro panorama politico. E i Ds, che pure possono vantare di aver
avuto un discreto successo alle amministrative, sanno che non hanno un
candidato premier. Con l’eccezione di Veltroni, che però difficilmente
vincerebbe. Altri non ce ne sono. E’ la maledizione del post comunismo:
così se esce il libro di Fassino, loro si ritrovano a discutere su Craxi e
Berlinguer, roba di vent’anni fa”. Il rischio, per Lerner, è stato
evitato. “Anche per merito, perché negarlo?, della capacità di visione e
prospettiva di D’Alema”. Che ha avuto l’incontro con Prodi, preparato dal
Professore in diversi colloqui con Fassino (nonostante un momento di
frizione quando Cofferati fu candidato a Bologna senza che Prodi ne fosse
informato). Prodi, dice Lerner, era preoccupato: tanto per la tentazione
egemonica dei Ds, quanto di “finire ostaggio della pletora di segretari di
partito in lite tra di loro. Ma ora l’eterna discussione su quali e quante
gambe debba avere l’Ulivo, viene superata felicemente da questa idea, che
in realtà risolve un problema che D’Alema pose nel ’97, quando disse che
era un’anomalia italiana che il leader del partito di maggioranza non
fosse capo del governo. Aveva ragione. E noi dobbiamo risolvere questo
problema; fare Prodi capo del maggior partito. D’Alema è un uomo che ha
sicuramente una spregiudicatezza togliattiana, possiamo rimproverarlo di
aver fatto un’inversione a ‘u’, ma già da un anno aveva cominciato a
ragionare sui limiti della sua precedente strategia”. E perché mai, dopo
tanto parlarne, questa sarebbe la volta buona? “Perché, ripeto, i
dirigenti che contano, da Rutelli a Parisi, da Fassino a D’Alema, oltre a
Prodi, ci hanno messo la faccia. Difficile fare marcia indietro. Per me si
fa”. E si fa come? “E’ rilevante se Prodi farà o non farà il capolista
alle europee, ma non è decisivo. Cito D’Alema, il figliol prodigo: se ci
fosse la conta delle preferenze, e se Prodi superasse Berlusconi, sarebbe
un fatto politico concreto. Ma in ogni caso, se questo partito arrivasse
al 35 per cento, la lista più votata delle elezioni europee, sarebbe un
punto di non ritorno. E Prodi potrebbe venire avendo in mano, diciamo
così, un capitale sociale”. Continua Lerner: “Del resto si sta già aprendo
una felice dinamica a sinistra. Le aperture di Bertinotti, la
disponibilità di Diliberto, magari di Salvi…”. Ma nella Margherita i
democristiani non ne vogliono sapere. “Alcune componenti della Margherita
– ma non direi di dc: sono d’accordo Mattarella, Castagnetti, Letta, Bindi,
Gasbarra – sono preoccupate per una possibile annessione alla sinistra.
Pericolo che non c’è: non si fa una fusione dentro l’apparato dei Ds, e il
baricentro di questa operazione non è post comunista, ma prodiano. Vero
che, per la crisi di Berlusconi come leader dei moderati, c’è una certa
nostalgia del proporzionale. Ma non esiste una spinta significativa
alternativa alla logica bipolare, nessuna rinascita della Dc
all’orizzonte”. Un aiuto indiretto dal Ppe Racconta Lerner: “Rutelli sulle
prime era spiazzato, sorpreso. Ma da buon navigatore politico, si è poi
dimostrato compartecipe, protagonista, dimostrando che è un progetto vero,
non un bluff”. E D’Alema che ci guadagna? “Ritrova un ruolo da king
maker”. Ma la proposta Salvati lo escludeva. “E’ la sola differenza. D’Alema
è l’unico che può farsi garante, di fronte al popolo dei Ds, di questo che
è uno strappo rispetto al partito che hanno votato. E adesso gli si chiede
di rompere quello steccato”. Anche perché “c’è una certa faciloneria, a
sinistra: c’è chi pensa che la catena di infortuni farà crollare
automaticamente Berlusconi. Invece Berlusconi resterà molto forte: non
solo per le sue tivù, ma perché continua ad avere una relazione profonda
con una parte dell’Italia. E se il centrosinistra va alle elezioni con un
candidato che dà l’idea di essere in balìa di gelosie, le busca”. Non si
profila un partito troppo prodiano, partito del presidente? “C’è questo
pericolo. Nonostante l’amicizia, non sono qui a predicare culto della
personalità o insostituibilità di Prodi. Fosse solo il ritorno di Prodi,
per l’elettorato sarebbe facile percepirlo come il ritorno di un vecchio.
Per questo è decisivo che nasca una nuova forza politica intorno a lui.
Che esprima quello che è già in corso, la crescita di una leadership e di
un establishment del centrosinistra: sindaci di grandi città, governatori
di regione, alcuni dirigenti di partito, alcuni banchieri e uomini
dell’impresa, in particolare al Nord. Gente del volontariato, dei
movimenti della società civile. Prodi deve essere la levatrice, il
traghettatore di questa nuova leadership”. A sentir Lerner, “un aiuto
inaspettato potrebbe venirci dal Ppe, che sarebbe pronto ad accogliere An,
anche per bilanciare Berlusconi”. E che aiuto ne viene? “Se il Ppe si
configura sempre più come il partito dei conservatori europei, finisce con
l’accelerare sull’altra sponda la necessità che il Pse si apra, che non si
illuda di poter restare nel recinto del socialismo europeo. Così il
problema di dove andarci a sedere in Europa, su quali banchi, sarà risolto
dalle circostanze europee”. Vista da Lerner, questa storia del partito
riformista pare quasi una storia di conversioni fulminee. “Né conversioni
né miracoli. Ma anche quando Prodi si candidò nel ’96 era circondato da
scetticismo, un velleitario. Invece non fu solo somma matematica, ma
sprigionò il lavoro di 60-80 mila militanti ulivisti in giro per l’Italia.
L’operazione della lista unica può fare altrettanto”. E come deve
rapportarsi, con il Cav., il partito riformista? “Sui contenuti. Un
progetto per l’Europa che si riallacci ai fondatori. L’equilibrio mondiale
multipolare. Il welfare modernizzato ma preservando quanto di sociale ci
contraddistingue. E sui modelli: sobrietà, nessuna ostentazione,
manifestazioni di competenza. Anche la protesta radicale, se serve. Essere
moderati non vuol dire non essere incazzati se Berlusconi ci fa vergognare
del suo linguaggio antipolitico”. E Lerner che ci fa, lì in mezzo? Pure
lui king maker? “Magari, ma non mi danno abbastanza retta. Scherzo. Mi
diverto a condividere questa speranza, ci credo. Però continuo a fare il
mio mestiere”.