Santa Caterina da Siena
"Morte dei peccatori" testo tratto dal "Dialogo della divina Provvidenza" di Santa Caterina da Siena.
In questo testo "Morte dei peccatori" la grande Santa narra ciò Dio le comunica sulle pene dei peccatori in punto di morte.
Dice Gesù: Quanto è terribile e scura la morte dei peccatori!
- La loro coscienza gli pone dinanzi i peccati commessi per maggiore sua vergogna.
- Nella morte conoscono i grandi difetti commessi e sono collocati in maggiori tormenti.
- In punto di morte i demoni li accusano con tanto terrore e oscurità.
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Morte dei peccatori di Santa Caterina
O carissima figliuola, non è tanta l'eccellenza dei buoni, che non abbiano più miseria gli infelici, dei quali io ti ho parlato. Quanto è terribile e scura la loro morte! In punto di morte i demoni li accusano con tanto terrore e oscurità, e si mostrano nella loro figura, che sai essere tanto orribile, che la creatura sceglierebbe ogni pena di questa vita, piuttosto che vederli nella loro immagine.
Inoltre gli si rinfresca lo stimolo della coscienza, che lo rode miseramente nell'intimo. Le disordinate delizie e la sensualità che egli si fece signora, mentre fece serva la ragione, l'accusano terribilmente, perché allora conosce la verità di quello che prima non conosceva. Onde viene a grande confusione per il suo errore, essendo vissuto in vita come infedele a me, poiché l'amor proprio gli aveva velato la pupilla del lume della santissima fede. Il demonio lo tenta d'infedeltà, per farlo venire a disperazione.
Oh quanto gli è dura questa battaglia, che lo trova disarmato, senza l'arma dell'affetto della carità. Questi peccatori, come membri del diavolo, ne sono del tutto privati. Non hanno il lume soprannaturale, né quello della scienza: non lo compresero, poiché le corna della superbia non lasciarono loro intendere la dolcezza del suo midollo; ed ora nelle grandi battaglie non sanno che si debba fare. Non sono nutriti nella speranza, poiché non hanno sperato in me e nel Sangue, del quale li feci ministri, ma solo in se stessi e nelle dignità e delizie del mondo.
Questo misero demonio incarnato non vedeva che ogni cosa gli stava a usura, e come debitore gli toccava un giorno rendere ragione a me. Ora si trova ignudo e senza alcuna virtù; da qualunque lato si volga, non ode altro che rimproveri, con grande sua confusione.
L'ingiustizia, che ha esercitata in vita, l'accusa alla coscienza, onde non s'ardisce di domandare altro che giustizia. E ti dico che tanta è quella vergogna e confusione, che essi già si dispererebbero. Se non che nella loro vita nutrono una grande presunzione, per cagione dei loro difetti: perché si può dire che vi sia più presunzione che speranza di misericordia, in colui il quale offende col braccio stesso della misericordia che gli uso. Giungendo dunque all'estremo della morte, se egli riconosce il suo peccato e scarica la coscienza nella santa confessione, viene ad esser tolta la presunzione colpevole, e rimane la misericordia.
Con questa misericordia possono attaccarsi alla speranza, se lo vogliono. Ché se non vi fosse questo, non vi sarebbe nessuno che non si disperasse, e nella disperazione giungerebbe coi demoni all'eterna dannazione.
La mia misericordia questo fa: di farli sperare durante la vita nella misericordia, benché io non lo conceda perché offendano la misericordia, ma perché si dilatino nella carità e nella considerazione della mia bontà. Purtroppo l'usano tutta al contrario, perché con la speranza, che hanno concepita della mia misericordia, m'offendono. E nondimeno io li conservo in questa speranza della misericordia, perché in punto di morte abbiano a che attaccarsi, non vengano del tutto meno nella riprensione che sarà loro fatta, e non giungano così a disperazione.
Quest'ultimo peccato della disperazione è molto più spiacevole a me e dannoso a loro, che tutti gli altri peccati che hanno commessi. Infatti gli altri peccati li fanno con qualche diletto della sensualità, e talvolta se ne dolgono fino al punto che, per quel dolore, ricevono misericordia. Ma al peccato della disperazione non ve li muove fragilità, poiché non vi trovano alcun piacere, ma niente altro che pena intollerabile. Nella disperazione l'infelice spregia la mia misericordia, stimando il suo difetto maggiore della misericordia e bontà mia. Caduto che sia in questo peccato, non si pente né ha dolore della mia offesa come dovrebbe; si duole sì del suo danno, ma non si duole dell'offesa che ha fatta a me; e così riceve l'eterna dannazione. Così tu vedi che solo questo peccato lo conduce all'inferno, e nell'inferno è tormentato da questo e da tutti gli altri difetti, che ha commessi. Se si fosse doluto e pentito dell'offesa fatta a me, e avesse sperato nella misericordia, l'avrebbe trovata; poiché, senza paragone alcuno, la mia misericordia è maggiore di tutti i peccati che potesse commettere qualunque creatura. Perciò mi dispiace molto che essi stimino maggiori i loro difetti. Questo è quel peccato che non è perdonato né di qua né di là. E poiché molto mi dispiace la disperazione, vorrei che nel punto di morte, dopo che la loro vita è passata disordinatamente e scelleratamente, pigliassero speranza nella mia misericordia. Ecco perché nella loro vita io uso il dolce inganno, di farli sperare largamente nella mia misericordia, perché, quando sono nutriti in questa speranza, se giungono alla morte, non sono così portati a lasciarla per le dure riprensioni che odono, come farebbero se non se ne fossero nutriti.
Tutto questo è dato loro dal fuoco e dall'abisso della mia inestimabile carità. Ma perché essi hanno usata la misericordia nelle tenebre dell'amor proprio, da cui è proceduto ogni loro difetto, non l'hanno conosciuta in verità; perciò è loro reputata a grande presunzione la dolcezza della misericordia, per quanto sta nel loro affetto. E questa è un'altra riprensione che dà loro la coscienza alla presenza dei demoni, rimproverando loro che il tempo e la larghezza della misericordia, nella quale speravano, dovevano dilatarsi in carità, in amore delle virtù, e con virtù spendere il tempo che io diedi loro per amore. Essi invece, mi offendevano miseramente col tempo stesso e con la speranza larga della misericordia.
O cieco, e più che cieco! Tu sotterravi la perla e il talento che io ti misi nelle mani per guadagnare; e tu, presuntuoso come eri, non volesti fare la mia volontà, ma li nascondesti sotto la terra del disordinato amor proprio che ti rende ora frutto di morte. Oh, misero te! Quanto è grande la pena, che tu ricevi ora nell'estremo. Non ti sono occultate le tue miserie, poiché il verme della coscienza ora non dorme, ma rode. I demoni ti gridano e ti rendono il compenso che essi usano di rendere ai loro servi: confusione e rimprovero. Vogliono che tu giunga alla disperazione, affinché tu nel punto della morte non esca loro dalle mani, e perciò ti dànno la confusione; così ti renderanno poi quello che essi hanno per sé.
Oh misero! La dignità, nella quale ti posi, ti si presenta lucida come ella è. E per tua vergogna, conoscendo che tu hai tenuti e usati in tanta tenebra di colpa i beni della santa Chiesa, ti presenta come un ladro e un debitore, poiché dovevi rendere il dovuto ai poveri e alla santa Chiesa. Allora la coscienza ti mette avanti quel che hai speso e dato alle pubbliche meretrici, quello con cui hai allevato i figliuoli, arricchiti i parenti, o te lo sei cacciato giù per la gola, procurando l'ornamento della casa e i molti vasi d'argento, mentre dovevi vivere in povertà volontaria.
La tua coscienza ti presenta l'ufficio divino, che lasciavi senza curartene, sebbene cadessi in colpa di peccato mortale; oppure, se lo dicevi con la bocca, il tuo cuore era lungi da me. Verso i sudditi dovevi avere la carità e la fame nutrendoli di virtù, dando loro esempio di vita, battendoli con la mano della misericordia e con la verga della giustizia; ma perché tu facesti il contrario, la coscienza te ne rimprovera al cospetto orribile dei demoni. E se tu, prelato, hai dato ingiustamente le prelazioni o la cura d'anime a qualche tuo suddito, senza badare a chi e come abbia dato tali uffici, ti si presenta alla coscienza il pensiero che tu dovevi darli non per parole lusinghevoli, né per piacere alle creature, né per doni, ma solo con riguardo alla virtù, al mio onore e alla salute delle anime. E poiché non l'hai fatto, ne sei ripreso: così, a maggiore tua pena e confusione hai dinnanzi alla coscienza e al lume dell'intelletto quello che hai fatto e non dovevi fare, e quello che dovevi fare e non hai fatto.
Sappi, carissima figliuola, che il bianco si conosce meglio se si pone di fianco al nero, e il nero a lato del bianco, che separati l'uno dall'altro. Così avviene a questi miseri in particolare e a tutti gli altri in generale, che si vedono presentata la loro vita scellerata nel punto della morte, in cui l'anima comincia a vedere di più i suoi guai, e il giusto la sua beatitudine.
Non vi è bisogno che alcuno la ponga dinanzi al misero peccatore, perché la sua coscienza da se stessa si pone dinanzi i peccati commessi, e le virtù che doveva esercitare. Perché le virtù? Per maggiore sua vergogna; perché essendo allato il vizio e la virtù, per la virtù conosce meglio il vizio, e quanto più lo conosce, maggiore è la vergogna che ne ha. Parimente, per il suo difetto, conosce meglio la perfezione della virtù, onde ha maggiore dolore, vedendo che nella sua vita è stato fuori d'ogni virtù. E devi sapere che nel conoscere la virtù e il vizio, essi vedono davvero il bene che segue all'uomo virtuoso dalla virtù, e la pena che segue a chi è giaciuto nelle tenebre del peccato mortale.
Io do questo conoscimento, perché egli venga non alla disperazione, ma al perfetto conoscimento di sé e alla vergogna del suo difetto, unita alla speranza; affinché con la vergogna e con questo conoscimento sconti i suoi difetti e plachi l'ira mia, domandando umilmente misericordia. Il virtuoso cresce nel gaudio e nel conoscimento della mia carità, perché riporta a me, non a sé, la grazia d'aver seguito le virtù, e d'essere andato per la dottrina della mia Verità; perciò esulta in me. Con questo vero lume e conoscimento gusta e riceve il dolce fine suo, nel modo che io ti ho detto in altro luogo. Sicché l'uno, che è vissuto con ardentissima carità, esulta in gaudio, e l'iniquo tenebroso si confonde in pena.
A1 giusto non nuocciono le tenebre e la vista dei demoni, né egli teme, poiché solo il peccato è quello che teme e gli dà nocumento. Ma quelli che hanno menata la loro vita lascivamente e con molte miserie, ricevono danno e timore al vedere i demoni. Non il danno che proviene dalla disperazione, a meno che essi stessi lo vogliano, ma quello che proviene dalla pena della riprensione, dal rinfrescamento della coscienza, dalla paura e timore al loro aspetto orribile.
Or vedi, carissima figliuola, quanto siano differenti la pena e la battaglia che ricevono nella morte il giusto e il peccatore; e quanto sia differente la loro fine. Una piccola particella te ne ho narrato e mostrato all'occhio dell'intelletto; ed è sì piccola per rispetto a quella che è veramente, cioè alla pena che riceve l'uno e al bene che riceve l'altro, che è quasi un niente.
Vedi quanta sia la cecità dell'uomo, e specialmente di questi miserabili, poiché quanto più hanno ricevuto da me e più sono illuminati dalla santa Scrittura, tanto maggiormente mi sono obbligati e maggiore è la pena intollerabile che ricevono. E siccome ebbero maggiore conoscenza della santa Scrittura nella loro vita, conoscono di più in morte i grandi difetti commessi, e sono collocati in maggiori tormenti che gli altri, come pure i buoni sono posti in maggiore eccellenza.
A costoro avviene come al falso cristiano, che nell'inferno è posto in maggiore tormento che un pagano, perché egli ebbe il lume della fede e vi rinunziò, mentre l'altro non l'ebbe. Così questi miseri avranno più pena d'una medesima colpa che gli altri cristiani, per il ministero che io loro affidai, dando loro ad amministrare il Sole del santo Sacramento, e perché ebbero il lume della scienza, per poter discernere la verità per sé e per gli altri, se avessero voluto. E perciò giustamente ricevono maggiori pene.
Ma i miseri non lo conoscono; ché, se avessero un minimo di considerazione del loro stato, non verrebbero in tanti mali, ma sarebbero quello che devono essere, e non sono. È vero: tutto il mondo è corrotto, ma essi fanno peggio che i secolari nel loro grado. Onde con le loro immondezze lordano la faccia delle loro anime, corrompono i sudditi e succhiano il sangue alla Sposa mia, che è la santa Chiesa. Per i loro difetti la impallidiscono, poiché l'amore e l'affetto della carità, che dovrebbero avere a questa Sposa, l'hanno posto in se stessi, e non attendono ad altro che a piluccarla e a trarne le prelazioni e le grandi rendite, mentre dovrebbero cercare anime. Così, per la loro malavita, i secolari giungono alla irriverenza e disobbedienza alla santa Chiesa, benché non dovrebbero farlo. Né il loro difetto è scusato dal difetto dei ministri.