Martire del Confessionale
A partire dal 1830 migliaia di persone verranno ad Ars per confessarsi dal santo Curato. Nell'ultimo anno della sua vita saranno più di centomila.
Impegnato fino a diciassette ore al giorno al suo confessionale, per riconciliare gli uomini con Dio e tra di loro, egli fu un autentico martire del confessionale.
Unisciti a noi
L'Amore che salva
Afferrato dall'amore di Dio, stupito davanti alla vocazione dell'uomo, aveva coscienza della follia che consisteva nel volere essere separati da Dio. Per questo desiderava che ognuno fosse libero di poter gustare l'amore di Dio.
Era la santità stessa del Curato d'Ars che dava alla sua parola "tanta" efficacia. Sicuramente sulla bocca di altri quelle espressioni sarebbero passate per luoghi comuni.
Le parole erano come dardi infuocati che penetravano per sempre nel cuore e ogni accusa del penitente strappava a lui un grido di fede, di commiserazione e di orrore anche per le minime mancanze. Ogni sua parola colpiva soprattutto per la tenerezza e pur nella brevità diceva tutto il torto che era stato fatto all'anima.
Dal suo confessore si udivano ogni tanto sospiri irrefrenabili che gli sfuggivano e che facevano nascere nei penitenti sentimenti di dolore e amore. Uomini di ogni condizione giungevano da tutti i distretti di Francia, alcuni, al tocco della grazia, erano pronti a tutte le riparazioni.
Il suo confessionale era assediato giorno e notte. Il suo miracolo per eccellenza fu la conversione dei peccatori. Provava molta gioia nel vedere il ritorno dei peccatori a Dio. Riusciva a convertire in un anno più di settecento persone.
Il Curato d'Ars amava molto i peccatori e il suo amore era tanto quanto odiava il peccato. Detestava il male e ne parlava con orrore e indignazione, ma aveva per i colpevoli una compassione smisurata e i suoi gemiti per la perdita delle anime spezzavano il cuore. Ogni sera, durante la preghiera, la voce era rotta per la commozione quando recitava la frase: Mio Dio, che non volete che il peccatore perisca.
La dolcezza con cui il Santo accoglieva i poveri peccatori non aveva nulla di debolezza, esigeva la sincerità del pentimento altrimenti non dava l'assoluzione. Quando il Curato d'Ars aveva ottenuto dai penitenti i segni sicuri della correzione, si mostrava di un'estrema benignità nell'applicazione della penitenza sacramentale.
Don Vianney lavorava venti ore di cui undici al confessionale. Undici o tredici d'inverno, quindici o sedici d'estate.
Don Vianney fece della confessione la ragione della sua vita. Una forza irresistibile che saliva dal suo cuore lo spingeva a essere sempre a disposizioni dei penitenti, e loro lo cercava molto presto addirittura prima dell'alba.
Don Vianney suonava personalmente l'Angelus per indicare che la chiesa era aperta e che egli si trovava a disposizione dei penitenti. Intanto che aspettava, pregava in ginocchio davanti all'altare o recitava il suo Breviario. Quando l'afflusso dei pellegrini diventò smisurato, il Curato d'Ars si rese conto che non avrebbe potuto ascoltarli tutti, pur confessando tutto il giorno. Incominciò qualche volta ad alzarsi prima di mezzanotte. Tuttavia, per quanto si alzasse presto, i suoi penitenti erano già in attesa quando giungeva alla chiesa.
Don Vianney giungeva, rischiarandosi il passaggio col debole lume della sua lanterna dai vetri rotti, vestito già di cotta e stola violacea. Attraversato il vestibolo, apriva la porta della chiesa, e subito i penitenti, come un fiume, si precipitavano verso il suo confessionale.
Il Santo s'inginocchiava sui gradini dell'altare, elevando la sua anima. Faceva l'offerta di tutte le pene di quel giorno a Dio, e lo supplicava di aver pieta dei poveri peccatori, poi entrava nel confessionale.
Era diventato un martire della confessione. Se lo avesse voluto, avrebbe potuto sfuggire dai peccatori non facendosi trovare, ma per l'amore grande per le anime tutto accettava.
Per comprendere quanto fu eroico questo Santo basta ricordare come alcune ore di confessionale possano estenuare anche dei sacerdoti robusti, le lunghe e interminabili ore possono sfinire, togliere l'appetito e il sonno con un senso di smarrimento.
Il Curato d'Ars, nelle interminabili sedute al confessionale, compì un lavoro che regolarmente avrebbe estenuato almeno sei confessori. Appare come un evento miracoloso come abbia potuto sopportare tanta fatica, addirittura affetto da infermità con uno stile di vita così austera.
D'estate, nella sua piccola chiesa, il caldo diventava così soffocante, che secondo una sua affermazione, gli dava un'idea delle pene dell'inferno. Era tormentato dall'emicrania e quando nei giorni di afa opprimente l'aria della piccola navata diventava quasi irrespirabile, provocava all'eroico confessore una vera nausea. Non andava meglio d'inverno, quando la temperatura scendeva e il gelo arrivava con il vento di tramontana, tanto che qualche volta il Santo perdette i sensi.
Per il Curato d'Ars una buona confessione deve essere umile e totale. Bisogna evitare tutte quelle accuse inutili, tutti quegli scrupoli che fanno dire cento volte la stessa cosa. Confessioni e parole brevi. Eppure non c'era uno solo dei penitenti che non si sentisse fatto oggetto di una sollecitudine particolare, di una dedizione sempre pronta ad approfittare di ogni minimale apertura all'azione dello Spirito, anche quella dei cuori più induriti. A proposito della riparazione da richiedere ai penitenti, diceva: Io do loro una piccola penitenza, ed io faccio il resto al posto loro. La cosa che conta, dice il Curato, è avere almeno un minimo di contrizione dei propri peccati.
"Ragazzi miei, non si può comprendere la bontà che ha avuto Dio per istituire questo grande sacramento. Se noi avessimo avuto una grazia da domandare a Nostro Signore, non avremmo mai immaginato di domandargli quella là. Lui ha previsto la nostra fragilità e la nostra incostanza nel bene, e il suo amore l'ha portato a fare ciò che noi non avremmo mai osato domandargli", scrive il Curato.
Per questo il tesoro della misericordia divina è inesauribile, e nessuno può pensare di mettere in conto i doni della grazia. "La sua pazienza ci aspetta", rassicura il Curato. Di più: "Non è il peccatore che torna a Dio per chiedergli perdono, ma è Dio che corre dietro al peccatore e lo fa ritornare a Lui".