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CONCLUSIONIIl percorso che abbiamo seguito può essere
considerato, per molti aspetti, “rivoluzionario”. La negazione degli assiomi
della produzione industriale “illimitata” ci ha consentito di tracciare le
linee dello sviluppo sostenibile, prima, e del progetto locale, poi, e seguirne
l’evoluzione. La focalizzazione sulla realtà locale, su quei
luoghi dimenticati dall’industrializzazione invasiva, è riuscita a far
emergere la società locale dal sommerso nel quale si trovava. Dalla
progettualità “calata dall’alto”, allo sviluppo “dal basso”, che si
fonda sulla complessità del luogo, sulle differenze; in tal modo è stato
possibile analizzare lo sviluppo locale autosostenibile, una forma di
microprogettualità capace di disegnare reti transnazionali, di raggiungere ogni
parte di un mondo mai stato tanto diviso. In tal modo alla “globalizzazione oligarchica”,
che ha per troppo tempo tracciato confini invisibili ma invalicabili tra un Nord
sempre più potente e un Sud sempre più povero, si è opposta una maglia di
reti transnazionali dinamiche tra paesi occidentali e in via di sviluppo, che
non conosce confini, continuando a espandersi. Il ruolo della cooperazione allo sviluppo è stato
per troppo tempo determinato da politiche centraliste e filo-governative, che
non hanno permesso uno sviluppo “endogeno”, capace di rispettare la
complessità dei luoghi e fondare su di essi progetti alternativi di sviluppo. Per troppo tempo l’Occidente ha vissuto nella
certezza di “civilizzare” i paesi in via di sviluppo, “esportando” la
propria cultura, i propri modelli di vita a quella parte del mondo che continua
a soffrire. La cooperazione allo sviluppo ha rappresentato, in
passato, una “copertura” dei vari tentativi di penetrazione economica e
politica dell’ Occidente nei paesi che chiedevano aiuti; una logica di
“esportazione” mirata all’omologazione, alla diffusione dei modelli della
“globalizzazione liberista” in quei territori assolutamente lontani da
questi approcci allo “sviluppo”. Di recente, unitamente alla “sensibilizzazione”
internazionale per i problemi del Sud e al riconosciuto fallimento di questa
visione neocolonialista, si sta affermando una nuova forma di cooperazione che
sembra basarsi proprio sul partenariato tra le realtà locali del Nord e del Sud
del mondo. Se, come sembra confermato, la globalizzazione ha
determinato per molti versi una “crisi” dello Stato nazionale, è necessario
che questo processo non vada a completo vantaggio delle grandi multinazionali
della produzione, le quali ricoprono, oggi, un ruolo preminente nei processi
decisionali intergovernativi. In questo contesto è importante la nascita di un
processo che proceda dal basso, che veda emergere il locale come nuovo soggetto
di relazioni internazionali. A partire dalle comunità locali, dalle identità dei
luoghi, dai territori ritrovati, è possibile giungere a una partecipazione
democratica, a un decentramento governativo, al fine di promuovere uno sviluppo
endogeno capace di ri-attivare le sinergie del locale. Questo è stato possibile nel progetto di
riqualificazione del Parque Metropolitano de la Habana, attraverso
un’azione di recupero del bacino fluviale dell’Almendares, vera dorsale di
sviluppo per l’intera area metropolitana. Un ecosistema ritrovato, grazie al
partenariato del governo cubano con enti non governativi stranieri, ong europee,
canadesi, americane, ma soprattutto grazie al ruolo degli enti locali, il Grupo
para el Desarrollo Integral de la Capital, il Consejo de la Cuenca,
la società civile. Gli Almendares nel mondo sono ancora molti, tutti
profondamente diversi, tutti ugualmente in pericolo; la cooperazione decentrata
e partecipativa, fondando la sua forza sulla valorizzazione delle potenzialità
locali e sul riconoscimento delle complessità dei luoghi, si muove sulla strada
dello sviluppo locale autosostenibile, lasciando intravedere nuove possibilità
per le realtà del Sud del mondo. La massificazione produttiva inizia a rallentare,
l’omologazione della globalizzazione invasiva trova delle resistenze sulla sua
strada; dal deserto della produzione della modernità emergono infiniti germogli
di comunità ritrovate, infiniti mondi possibili che si ribellano al dominio di
quella oligarchia che pensava di dominare il mondo: la sfida delle complessità
è appena iniziata. |