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3.4) La società locale: linee di un progetto attraverso la ridefinizione del concetto di “sostenibilità” Lo sviluppo locale pone l’accento sulla necessità
della nascita di processi di autogoverno, focalizzando l’attenzione sul ruolo
delle società locali nella valorizzazione del proprio territorio, attraverso un
riscoperto sapere ambientale e una “lettura” delle identità dei luoghi. La comunità locale autodeterminata è una tipologia
particolare del più vasto “intervento” del progetto; in quanto tale, essa
non potrà formarsi a prescindere da “strategie” precise finalizzate alla
sostenibilità (nella sua più vasta accezione terminologica). Come si arriva, quindi, alla comunità locale? In che
modo si può contribuire a “formare” un attore così importante per il
progetto locale? Di seguito sono esposte alcune accezioni del termine
“sostenibilità” nell’intento di “ritrovare” una parte della comunità
locale in ognuna di esse. La riattivazione delle sinergie della comunità
insediata con il luogo passa necessariamente per la capacità di autogoverno, e
per l’attivazione di processi partecipativi della società locale. Si parla, in tal senso, di sostenibilità politica,in
grado, cioè, di promuovere una cultura della comprensione e del riconoscimento
dell’alterità, valore fondamentale della relazione sociale; è, d’altra
parte, la valorizzazione di una dimensione molto importante, ma che è, di
solito, trascurata. Si tratta di un tentativo di ridisegnare la complessa
macchina burocratica degli organismi locali, al fine di renderla quanto più
fluida nel suo operare, e quanto più aperta agli interessi e alle voci degli
attori sociali più deboli del sistema decisionale locale. Questa la
sostenibilità sociale, necessaria come tutte le “altre” tipologie, per la
formazione di organi amministrativi non gerarchici[1]. Il declino inevitabile dell’approccio della
crescita illimitata, come si è in più contesti ripetuto, deve lasciare spazio
a uno sviluppo capace (anche) di valorizzazione territoriale, che sia
strettamente legato alla qualità della vita umana, che possa trovare una sua
dimensione “strategica” in nuove forme di economia più “umane”
(sostenibilità economica). Sul piano “ambientale”, la consapevolezza del
riduzionismo dell’approccio ecologista-ambientalista deve risultare utile per
andare oltre i progetti settoriali, vincolati da visioni
deterministico-catastrofiche; la sostenibilità ambientale riuscirà a
materializzarsi nelle reti di produzione tra “locali” ad alta complessità,
nella riqualificazione dei sistemi ambientali e delle attività agricole (oltre
l’omologazione produttiva delle zone monoculturali), nel rispetto dei cicli
naturali dell’ecosistema locale. Infine la riterritorializzazione, sostenibilità
territoriale, va perseguita attraverso modelli insediativi nuovi, che arrestino
il consumo del suolo, che riescano a recuperare le vaste aree dismesse e a
costruire sistemi di rappresentazione delle identità dei luoghi. Si tratta di un processo ampio e complesso, dunque,
che, partendo dalla definizione di un nuovo modello di sviluppo, lo sviluppo
locale autosostenibile, riesca a trovare una perfetta sinergia tra i cinque
ambiti di sostenibilità individuati, al fine di promuovere la formazione di
contesti insediativi ad alta qualità territoriale. Lo sviluppo locale autosostenibile è nato in
opposizione alle definizioni tecniciste e puramente “ambientali” della
sostenibilità, le quali hanno promosso un modello di sviluppo quasi sempre
“gestito” dall’esterno e “proiettato” sul locale. Se, invece, si è
parlato del locale, mettendo in rilievo l’“auto” sostenibilità, è stato
per sottolineare la necessità di una cultura di “auto” governo e di una
“riappropriazione” del rapporto storico con il territorio. Tra Stato e Mercato, da sempre legati
indissolubilmente dalle leggi della produzione capitalistica, sorge la società
locale, la quale, schiacciata tra i due maggiori protagonisti dell’economia
globale, cerca di recuperare una sua dimensione strategica, post
“economica”, più che post-industriale[2]. |